caviA chi spetta sostenerne le spese?

A cura dell’Avv. Giuliana Degl’Innocenti

Calandosi nella disamina di questa articolata materia osserviamo che la stessa risulta regolata dagli articoli 91 e 92 del d.lgs. 259/03 Codice delle comunicazioni elettroniche il quale ha appunto recepito la normativa inserita nel precedente Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e gli impianti elettrici r.d. n. 1775 del 1933.
La disciplina concerne gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico e quelli ad uso privato quando, per ragioni di pubblico interesse, siano dichiarati di pubblica utilità con apposito decreto del Ministero delle comunicazioni così l’art. 115 r.d. n. 1775/33.
Le norme contemplano, a carico del proprietario del fondo, una serie di limiti al godimento del diritto di cui è titolare.
Sul punto si evidenzia, infatti, come l’art. 91 del C.c.e. sancisca  che:
– non è necessario il consenso del proprietario per consentire il passaggio di fili o cavi senza appoggio al di sopra di proprietà private o dinnanzi ai lati degli edifici dove non ci siano finestre o aperture praticabili a prospetto;
– il proprietario o il condomino non può opporsi all’appoggio di antenne, sostegni, il passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o condomini;
– il proprietario è tenuto a sopportare il passaggio nell’immobile del personale dell’esercente, quando sia necessario per installare, riparare o effettuare interventi di mantenimento degli impianti di comunicazione elettronica.
Nelle ipotesi sopra esposte il proprietario non ha diritto ad alcuna indennità, ma per non comprimere eccessivamente il suo diritto, appunto pieno ed assoluto, è contemplato un obbligo anche per i gestori: gli impianti devono essere ubicati in modo da non impedire il libero uso della cosa secondo la sua destinazione.
Il titolare del diritto di proprietà infatti, ha sempre la facoltà di regolare i contenuti della servitù e la sua durata attraverso un contratto (servitù che necessiterà di trascrizione ex art. 2643 c.c.) o per testamento.
In caso di impianti ad uso pubblico o ad uso privato dichiarati di pubblica utilità, tuttavia, la servitù non richiede l’accordo del proprietario (vedasi anche art. 119 e ss. r.d. 1775/33). E’ però parimenti necessario un atto costitutivo, rappresentato da un atto dell’autorità amministrativa, sia questo autorizzativo all’installazione dell’impianto o un decreto espropriativo (d.p.r. 327/01, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).
Pertanto se il gestore del servizio di comunicazione elettronica è in possesso del titolo autorizzativo (di natura volontaria, o coattiva), può esercitare sui fondi privati i diritti elencati all’art. 121 del r.d. n. 1775/33.
Tuttavia, giova sottolineare che l’art. 92 C.c.e., al comma 6 prevede un temperamento alla limitazione sancita a carico del proprietario e precisamente: “la servitù deve essere costituita in modo da riuscire la più conveniente allo scopo e la meno pregiudizievole al fondo servente, avuto riguardo alle condizioni delle proprietà vicine”.
Rimane impregiudicata, inoltre, la facoltà per il proprietario “di fare sul suo fondo qualunque innovazione, ancorché essa importi la rimozione od il diverso collocamento degli impianti, dei fili e dei cavi, ne’ per questi deve alcuna indennità, salvo che sia diversamente stabilito nella autorizzazione o nel provvedimento amministrativo che costituisce la servitù'” (art. 92 comma 7 C.c.e.).
Questa norma va integrata con ciò che stabilisce l’art. 122 del r.d. n. 1775/33, mantenuto in vigore dal Codice delle comunicazioni elettroniche. L’articolo ribadisce che, salvo le diverse pattuizioni che si siano stipulate all’atto della costituzione della servitù, il proprietario ha facoltà di eseguire sul suo fondo qualunque innovazione, costruzione o impianto, ancorché essi obblighino l’esercente dell’elettrodotto a rimuovere o collocare diversamente le condutture e gli appoggi, senza che per ciò sia tenuto ad alcun indennizzo o rimborso a favore dell’esercente medesimo.
In considerazione di quanto sopra illustrato, possiamo, dunque,  ritenere che i costi per lo spostamento dei cavi o degli impianti di reti di comunicazioni elettroniche sono sempre a carico dell’esercente, a meno che il provvedimento amministrativo o la servitù volontaria non prevedano diversamente (ad esempio questi potrebbero prevedere l’inamovibilità dell’impianto, o la perpetuità della servitù).
Su tale circostanza si segnalano diverse pronunce giurisprudenziali: “la regola generale, posta dall’art. 122 del testo-unico n. 1775 del 1933, è che la servitù per la installazione di linee elettriche sia di carattere amovibile, e cioè comporti il diritto potestativo per il proprietario del fondo di ottenere, a carico dell’esercente dell’elettrodotto, lo spostamento della linea, purché il proprietario stesso offra a tal scopo un altro luogo adatto all’esercizio della servitù” (T.A.R. Napoli – Campania, sent. n. 2763/04), nonché: “l’art. 122 comma 4 r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, che conferisce al proprietario del fondo gravato il diritto di ottenere lo spostamento dell’elettrodotto con obbligo per l’esercente di sopportarne le spese, si applica anche nell’ipotesi in cui la coattività della servitù, che ne costituisce il presupposto, derivi, anziché da un atto impositivo, da un contratto cui il proprietario del fondo addivenga per evitare che l’imposizione della servitù di realizzi comunque imperativamente” (Tribunale Ivrea 18 settembre 2000 n. 300).
Al fine di richiedere lo spostamento di un cavo o di un’infrastruttura di rete è necessario, pertanto che il proprietario si attivi nei confronti della compagnia che gestisce le telecomunicazioni elettroniche, rappresentando alla stessa questa esigenza, nel caso che quest’ultima  risponda presentando dei preventivi all’utente nei cui confronti intende addebitare la spesa per l’intervento, questi, considerato quanto prevede la legge, dovrà  rivolgersi al gestore diffidandolo ad adempiere, e nel caso adire le vie giudiziarie (sul punto: Sezioni Unite Cassazione sent. n. 5679/1980, 207/1986, sent. n. 4190/1990 e anche sentenza del TAR Campania n. 2452/2004).

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