Corte di Cassazione,  Sezioni Unite penali,

Sentenza  del 07 dicembre 2012   n. 47604    

  Presidente Dr.  Ernesto  Lupo,  Rel.  Dr. Squassoni. 

a cura dell’Avv. Nicola Nicodemo Damiano

 

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LA    MASSIMA:

“ La offerta in vendita di semi di piante dalle quali è ricavabile una sostanza drogante, correlata da precise indicazioni botaniche sulla coltivazione delle stesse, non integra il reato dell’art. 82 T.U. stupefacenti, salva la possibilità di sussistenza dei presupposti per configurare il delitto previsto dall’art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti.  

Inoltre, I nuovi giudici dovranno effettuare, quanto alla idoneità della condotta, la valutazione concreta rapportata alle peculiarità del caso, inerente alla reale attitudine dell’azione istigatrice a porsi come antecedente adeguato per influire sulla altrui volontà e fare sorgere, o rafforzare, il proposito di coltivare illecitamente piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti; dovranno verificare, sul piano della lesività, se la pubblicità non solo inducesse alla coltivazione, ma se fosse articolata in modo tale da sollecitare gli acquirenti dei semi a porre in essere un comportamento penalmente rilevante”.  

 

Sintesi del  caso.

Con tale recente pronuncia la Suprema Corte, investita di una delicatissima questione di diritto in tema di istigazione alla diffusione di piante idonee a produrre sostanze droganti, rivede alcuni precedenti orientamenti che risultavano alquanto divergenti. Il fatto ha origine da una sentenza assolutoria del G.U.P. presso il Tribunale di Firenze, il quale riteneva non penalmente rilevante la condotta di due imputati per aver istigato all’uso illecito ovvero alla coltivazione di piante di marjuana, offrendo e pubblicizzando sulla rete informatica la vendita di semi di tali piante proibite, inserendo consigli per la coltivazione.

Il primo Giudice scartava sia l’ipotesi di configurabilità del reato previsto dall’art. 414 c.p.,  sia l’ipotesi di reato prevista proprio dall’ art. 82 T.U. stupefacenti quale  legislazione speciale. Il giudicante di primo grado ha evidenziato che nel caso sottoposto “mancavano consigli per estrarre dalle piante il principio attivo stupefacente”, per cui difettava quella spinta morale necessaria per portare all’uso di sostanze droganti illecite.

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze proponeva ricorso per Cassazione deducendo erronea applicazione di legge.

Il processo veniva assegnato alla terza sezione penale della Suprema Corte, la quale rilevava come il caso fosse stato risolto in modo difforme in sede di legittimità, ha provveduto a rimettere il ricorso alle Sezioni Unite ex art. 618 c.p.p.

Quaestio juris.

La questione sottoposta all’esame delle Sezioni Unite penali, riguarda il seguente quesito: se integra il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti la pubblicizzazione e la messa in vendita di semi di piante idonee a produrre dette sostanze, unitamente alle indicazioni delle modalità di coltivazione e della resa del vegetale.

Da rammentare che la giurisprudenza della Cassazione si era in passato espressa in modo contrastante sul punto.

Un orientamento recente interpreta l’art. 82 del T.U. stupefacenti  nel senso che la “condotta istigatoria comprende anche l’attività di propaganda e di pubblicità di semi di piante” ritenute droganti.

La tesi seguita dai sostenitori di codesto orientamento giurisprudenziale fonda le basi sulla rilevanza dello scopo finale della coltivazione di piante proibite, atteso che la stessa coltivazione è finalizzata ad ottenere sostanze stupefacenti. Sussiste per i Giudici fautori di tale teoria “una interconnessione tra publicizzazione di semi, coltivazione degli stessi ed utilizzo di sostanze stupefacenti”.

Sul punto si sono espressi in tale modo i giudici della IV sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 26430 del 20.5.2009, nonché nella sentenza n. 23903 sempre del 20.5.2009.

Secondo tale primo orientamento il reato d’istigazione all’uso di sostanze stupefacenti si configura quando la condotta dell’agente “sia idonea ad indurre i destinatari all’uso di tali sostanze illecite, ne consegue che la condotta può astrattamente consistere nel fornire agli acquirenti dettagliare notizie sulle modalità della coltivazione di piante proibite” (cfr. anche Cassazione penale Sent.  n. 38633 del 24.9.2009).

Una diversa corrente giurisprudenziale (ultima pronuncia Cassazione del 17.01.2012. n. 6972), ritiene che la vendita di semi di piante dai quali sono ricavabili sostanze stupefacenti non costituisce reato perché riconducibile agli atti preparatori, per tanto di per sé privi di potenzialità causale rispetto alle condotte vietate.

Le Sezioni Unite chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale hanno confermato il principio espresso in massima.

 

Normativa di riferimento:

Art.81 c.p . “Concorso Formale. Reato continuato”

Art. 110 c.p. “Concorso di persone nel reato”

Art. 414 c.p. “Istigazione a delinquere.

                     Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito per il solo fatto dell’istigazione: con la reclusione da uno a cinque anni se trattasi di istigazione a commettere delitti;

con la reclusione fino ad un anno ovvero con la multa fino ad euro 206 se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni”.

Artt. 82 e 84 del D.P.R.  n° 309 del 1990  T.U. stupef.

Art. 82    Istigazione, proselitismo e induzione al reato di persona  minore

Art. 84     Divieto della propaganda pubblicitaria.

 

NOTA ESPLICATIVA.

La sentenza in esame tocca alcuni importanti temi della  legislazione penale in materia di stupefacenti, in particolare vengono rivisti i confini applicativi di due norme penali del T.U. sugli stupefacenti, ovvero l’art. 82 e l’art. 84.

L’art. 82 del T.U.  punisce chiunque istiga pubblicamente all’uso di sostanze stupefacenti, ovvero svolge attività di proselitismo, anche in privato, per l’uso di tale sostanze droganti, ovvero induce una persona all’uso di tale sostanza illecita.

A differenza di tale previsione normativa, l’articolo 84 fissa il DIVIETO della Propaganda pubblicitaria di sostanze o preparazioni illecite comprese nell’allegata tabella fissata dal legislatore.  La sanzione è di tipo amministrativa da euro 5.164 ad euro 25.822, specificando altresì  “sempre che non ricorra l’ipotesi di cui all’art. 82”.

Dall’esame congiunto delle due norme si evince che il legislatore ha inteso disciplinare in maniera dettagliata le varie fattispecie a rilevanza penale, stabilendo sia la rilevanza penale della condotta di pubblica istigazione all’uso di sostanze stupefacenti, sia il divieto alla “propaganda pubblicitaria” di sostanze ritenute  proibite.

Non sfugge all’interprete il fatto che la condotta del reo volta a pubblicizzare e diffondere la coltivazione di “piante di marjuana” rientra sicuramente nell’ambito operativo di queste due norme penali.

Il legislatore, disciplinando in misura restrittiva due distinte condotte materiali, ha inteso vietare comportamenti che possono diffondere od anche divulgare la coltivazione di piante da cui si può ricavare una sostanza stupefacente, quindi sostanza ritenuta illegale.

Le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza in commento, ricordando l’orientamento precedente del tutto restrittivo, evidenziano che la condotta dell’agente volta a pubblicizzare ed istigare alla coltivazione di piante di cannabis, integra di per sé un reato, in quanto la finalità ultima di tale condotta materiale è proprio quella di favorire e sviluppare su larga scala l’uso  di sostanze stupefacenti.

Questo primo orientamento giurisprudenziale, anche se può apparire oltremodo severo, in realtà segue un ragionamento logico giuridico coerente con la ratio delle norme in esame. Il principale pilastro su cui regge l’iter argomentativo della Corte è che la  mera condotta volta a diffondere ed incentivare la coltivazione di piante di marjuana,  è di per sé una condotta penalmente rilevante, poiché “la normale finalità della coltivazione è l’ottenimento ed utilizzo della droga”.

Ritengono i giudici che esiste una stretta relazione tra pubblicizzazione di semi, coltivazione degli stessi e l’utilizzo di sostanze stupefacenti che si ricavano da dette piante.

 

DOTTRINA: 

Secondo la dottrina l’articolo 82 del DPR 309/1990 presuppone  un reato di pericolo normalmente astratto, che “richiede l’accertamento dell’idoneità offensiva della condotta di istigazione, ovvero della capacità dissuasiva dell’istigazione ad indurre i destinatari o il destinatario all’uso di stupefacenti anche se in concreto l’uso non si verifichi (in ciò identificandosi con un reato di pericolo concreto)”  (Caringella, De Palma).

La dottrina maggioritaria concorda con la tesi giurisprudenziale della Suprema Corte riguardo l’idoneità offensiva della condotta istigatrice che deve essere vagliata e posta nel contesto in cui opera il soggetto attivo, tenendo conto delle sue azioni concrete e delle “esortazioni” all’uso delle sostanze proibite.

Bisogna verificare se l’agente, nel cotesto in cui opera e per il contenuto delle sue esortazioni, abbia sul piano soggettivo, l’intento di promuovere l’uso di sostanze illecite, adoperandosi in maniera effettiva con manifestazioni verbali o scritte di tenore chiaro ed inequivocabile.

Puntualizzano, altresì, gli studiosi della materia che “il reato in questione, come tutti quelli denominati di opinione, deve tenere conto del diritto alla libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), ossia del diritto ad esprimere la propria opinione anche in tema di stupefacenti” (Caringella).

 

Sentenze e precedenti conformi;  giurisprudenza.

Il principio di offensività nella legge penale sancisce che per la sussistenza del reato è necessario che il comportamento del colpevole corrisponda al fatto previsto dal precetto penale, ovvero ponga in pericolo il bene protetto dall’ordinamento. Tale principio basilare presuppone il conseguente “principio di materialità” (nullum crimen sine actione), ove il comportamento materiale del reo deve integrare a pieno il reato tipico sancito dalla norma penale.

Il principio di offensività si ricava per sintesi dai precetti costituzionali della materia penale, come l’art. 13 Cost. sulla libertà personale, l’art.25 che subordina la sanzione penale alla commissione di un fatto, inteso come “condotta materiale ed offensiva”, nonché l’art. 27 che detta i principi in tema di rieducazione del condannato e funzione riabilitativa della pena.

Qualche anno addietro veniva sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale la questione dell’offensività della condotta inerente la fattispecie delineata dall’art. 707 c.p., ovvero del “possesso ingiustificato di chiavi e grimaldelli”.

La Consulta con la sentenza n. 225 del 20 giugno 2008, affrontava la questione di legittimità costituzionale della fattispecie penale delineata dall’art. 707 c.p., affermando che il principio in questione “costituisce insieme a quello di legalità, un caposaldo del nostro ordinamento penale, difatti la norma penale va interpretata in modo che la punibilità sia circoscritta ai fatti offensivi del bene giuridico, in ossequio alla esigenza di ancorare la responsabilità penale all’offesa reale dell’interesse protetto”.  I giudici della Consulta affermavano che il principio di offensività opera su due piani, rispettivamente della previsione normativa, intesa quale formula legale in astratto e generale (la previsione delle legge), nonché della concreta offensività della condotta del reo, che deve essere esaminata e giudicata caso per caso dal giudice del merito.

Sulla questione dell’offensività delle condotte di coltivazione e detenzione di sostanze stupefacenti, sono intervenute nel 2008 le stesse Sezioni Unite della Cassazione, esaminando la questione relativa alla rilevanza penale della condotta di coltivazione di piante, dalle quali si può estrarre lo stupefacente, anche quando la coltivazione è destinata ad esclusivo uso personale.

Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2008 si orientavano rifacendosi alla pronuncia n. 360 del 1995 della Corte Costituzionale, dichiarando “arbitraria” la distinzione tra coltivazione in senso tecnico-agrario, ovvero imprenditoriale e la cosiddetta “coltivazione domestica”, non legittimata dal dato letterale della norma, che non prevede alcuna specificazione di tale termine.

La Suprema Corte di Cassazione, dal proprio canto, nel 2012 statuiva che “in tema di coltivazione di sostanze stupefacenti, si era riscontrato un contrasto giurisprudenziale che vedeva contrapposte, da un lato alcune pronunce secondo le quali la condotta di coltivazione rientra nell’ambito di operatività del D.P.R. n. 309 del 1990 art. 26 ed art. 73 comma 1, cosicché non assume alcun rilievo la eventuale destinazione del raccolto all’esclusivo uso personale, salva la necessità di verificare la offensività in concreta della singola condotta accertata ovvero il sufficiente effetto drogante del prodotto della coltivazione e, dall’altro, alcune decisioni orientate nel senso di ritenere che tutte le condotte non riconducibili  alla nozione di coltivazione in senso tecnico agrario od imprenditoriale rientrerebbero nell’ampio concetto detenzione, che comporta l’irrilevanza penale della condotta in caso di destinazione ad uso esclusivamente personale”.

 

Bibliografia:

Mantovani Diritto Penale, Cedam Padova;

Carlo Fiore, Stefano Fiore; Diritto Penale, Parte generale  edizioni  UTET giuridica;

Francesco Caringella, Michele De Palma, Sara Farini, Alessandro Trinci; Manuale di Diritto penale, DIKE editrice, sec. Edizione;

 

 

Testo della Sentenza :

 

Cassazione penale, Sezioni Unite

sentenza 07 dicembre 2012 n 47604

 

Le sezioni unite penali

(Presidente Lupo – Relatore Squassoni)

 

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 1 giugno 2011, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Firenze, in esito a giudizio abbreviato, ha assolto gli imputati L.B. e G.M., con la formula perché il fatto non sussiste, dai reati previsti dagli artt. 110, 81, 414 cod. pen., 82 T.U. stup. (d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) loro contestati per avere istigato all’uso illecito, o alla coltivazione, di marijuana offrendo e pubblicizzando via internet la vendita di semi delle piante unitamente ad un opuscolo recante precise indicazioni per la loro coltivazione.

Per giungere a tale conclusione, il Giudice ha osservato, in punto di fatto, che l’addebito faceva riferimento alla sola commercializzazione dei semi con indicazioni botaniche relative esclusivamente alla loro crescita.

Indi, il Giudice ha scartato le ipotesi della configurabilità del reato previsto dall’art. 414 cod. pen. (essendo più specifico quello di istigazione ex art. 82 T.U. stup.) e della sussunzione della condotta nel concetto di proselitismo, contemplata dall’art. 82, per il mancato coinvolgimento di più persone ad un determinato stile di vita caratterizzato dalla assunzione di stupefacenti.

Il Giudice ha rilevato che, nel caso di specie, mancavano consigli per estrarre dalle piante il principio attivo, per cui difettava quella spinta emotiva o morale all’uso di sostanze stupefacenti che distingue la condotta di istigazione penalmente rilevante, prevista dall’art. 82 T.U. stup., dalla semplice propaganda, che configura un illecito amministrativo a sensi del successivo art. 84.

2. Per l’annullamento della sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, deducendo, con un unico motivo, erronea applicazione di legge.

Lamenta che la sentenza si sia discostata dal principio, affermato da varie pronunce della Cassazione, secondo cui la vendita di semi di cannabis o marijuana su un sito internet liberamente accessibile, con corredo di indicazioni per la coltivazione delle specie offerte, integra il reato dell’art. 82 T.U. stup. e non la meno grave fattispecie prevista dall’art. 84.

Gli imputati hanno presentato una memoria rilevando, in particolare, che, in un caso del tutto sovrapponile al presente, essi erano stati assolti dal giudice di merito e la Corte di cassazione (Sez. 4, n. 6973 del 17/01/2012) aveva respinto il ricorso del pubblico ministero.

3. Il processo è stato assegnato alla Terza Sezione penale, che alla udienza del 29 maggio 2012, rilevando come il caso fosse stato risolto in modo difforme in sede di legittimità, ha provveduto a rimettere il ricorso alle Sezioni Unite a sensi dell’art. 618 cod. proc. pen.

4. Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali con decreto del 5 luglio 2012, fissandone per la trattazione l’odierna udienza.

 

Considerato in diritto

1. La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite è la seguente: “Se integra il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti la pubblicizzazione e la messa in vendita di semi di piante idonee a produrre dette sostanze con la indicazione delle modalità di coltivazione e della resa”.

2. Sul tema, la giurisprudenza di legittimità si è espressa in modo contrastante.

2.1. Un primo orientamento (rappresentato dalle sentenze Sez. 4, n. 26430 del 20/05/2009, Pesce, Rv. 244503; Sez. 4, n. 23903 del 20/05/2009, Malerba Rv. 244222; Sez. 4, n. 2291 del 23/03/2004, D’Angelo, Rv. 228788) interpreta l’art. 82, comma 1, T.U. stup. nel senso che la condotta istigatoria in esso delineata comprende l’attività di pubblicizzazione di semi di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti con precisazioni sulla coltivazione delle stesse. L’argomentazione posta alla base della conclusione si incentra nel rilievo che, anche in mancanza di pubblicità volta ad esaltare la qualità del prodotto e l’uso dello stupefacente che si ricava dalle piante, la normale finalità della coltivazione è l’ottenimento e l’utilizzo della droga. Sussiste, pertanto, una interconnessione tra pubblicizzazione di semi, coltivazione degli stessi e utilizzo di sostanze stupefacenti. Conforme alle ricordate decisioni è quella della Sez. 4, n. 15083 del 08/04/2010, Gracis, non massimata.

2.2. Ad analogo risultato, pervengono due sentenze con un iter motivazionale più articolato.

Si afferma, in particolare, che il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti si configura quando la condotta dell’agente, per il contesto in cui si realizza e per le espressioni usate, sia idonea ad indurre i destinatari delle esortazioni all’uso delle dette sostanze; consegue che la condotta di istigazione può astrattamente consistere nel fornire agli acquirenti dettagliate notizie sulle modalità di coltivazione di piante dalle quali sono ricavabili sostanze stupefacenti.

L’apprezzamento di fatto relativo alla efficacia ed idoneità in concreto delle modalità di pubblicizzazione è riservato al giudice di merito, il quale può desumere la condotta concretamente antigiuridica anche dal fatto che l’offerta sia indirizzata ad una platea indeterminata di soggetti (Sez. 6, n. 38633 del 24/09/2009, Barsotti, Rv. 244559).

Un’altra decisione, quella della Sez. 5, n. 16041 del 05/03/2001, Gobbi, Rv. 218484, è stata in tale modo massimata: “Ai fini della configurabilità del reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti occorre che l’agente, per il contesto in cui opera e per il contenuto delle sue esortazioni, abbia, sul piano soggettivo, l’intento di promuovere tale uso e, dal punto di vista materiale, di fatto si adoperi, con manifestazioni verbali, con scritti o anche con il ricorso al linguaggio simbolico affinché l’uso di stupefacenti da parte dei destinatari delle sue esortazioni sia effettivamente realizzato (fattispecie nella quale la Corte ha escluso il reato nel caso di volantinaggio da parte di studenti favorevoli alla liberalizzazione di droghe leggere)”.

2.3. Una diversa opinione (espressa da Sez. 4, n. 6972 del 17/01/2012, Bargelli, Rv.251953) si discosta dalle precedenti, movendo dal principio giurisprudenziale secondo il quale la vendita di semi di piante dai quali sono ricavabili sostanze stupefacenti non costituisce reato perché riconducibile agli atti preparatori privi di potenzialità causale rispetto alle attività vietate. Alla luce di tale principio, la sentenza interpreta il rapporto tra la fattispecie penale dell’art. 82, comma 1, riferita a chi pubblicamente istiga all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, e l’illecito amministrativo, di cui al successivo art. 84, concernente la propaganda pubblicitaria di sostanze o preparazioni comprese nelle tabelle previste dall’art. 14. In particolare, rileva che la condotta dell’art. 84 non possa consistere in un propaganda finalizzata alla vendita, ma semplicemente in un’opera di diffusione senza induzione all’acquisto; nella condotta dell’art. 82, invece, si riscontra un qualcosa di aggiuntivo che spinge all’uso del prodotto da parte del destinatario della propaganda. Ne consegue che, nei casi in cui la pubblicità si soffermi solo sulla illustrazione delle caratteristiche delle piante che nascono dai semi e sulle modalità della loro coltivazione, il reato dell’art. 82 non può ritenersi sussistente perché l’azione non è idonea a suscitare consensi ed a provocare il concreto pericolo dell’uso di stupefacenti da parte dei destinatari del messaggio.

3. Innanzi tutto, è opportuno precisare che ogni tipo di inserzione pubblicitaria avente per oggetto prodotti droganti deve essere oggetto di divieto.

Il principio ha un fondamento sovrannazionale nell’art. 10, comma 2, della Convenzione di Vienna del 1971, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge del 25 marzo 1981, n. 385, che stabilisce: “Ciascuna parte, tenendo debito conto delle norme della sua Costituzione, proibirà le inserzioni pubblicitarie riguardanti le sostanze psicotrope e destinate al grosso pubblico”.

Il nostro ordinamento, nell’alveo della lotta alla droga, colpisce, con una forte anticipazione della tutela penale, ogni forma di propaganda degli stupefacenti ed ogni condotta di stimolo alla creazione, diffusione o al consumo degli stessi.

Non è, tuttavia, ineludibile nel settore della inibita propaganda la mera offerta in vendita di semi dalla cui pianta sono ricavabili sostanze stupefacenti; l’attività che ha tale oggetto, di per sé, non è vietata configurandosi come atto preparatorio non punibile perché non idoneo in modo inequivoco alla consumazione di un determinato reato per la considerazione che non è dato dedurre la effettiva destinazione dei semi (sentenze Sez. 2, n. 10496 del 01/09/1988, Lanzuisi, Rv. 179539; Sez. 4, n. 13853 del 04/12/2008, Kurti, Rv. 243194; Sez. 4, n. 6972 del 17/01/2012,, Bargelli, Rv. 251953).

4. Poiché la sentenza impugnata incentra il suo apparato argomentativo sulla applicabilità al caso dell’art. 84 e non sul contestato art. 82 (mentre il Pubblico Ministero nel suo ricorso ed il Procuratore Generale nella sua requisitoria opinano il contrario), si ritiene puntualizzare la distinzione tra le due norme anche se, come si dirà, la risoluzione del caso sottoposto alle Sezioni Unite si rinviene altrove in un diverso referente normativo.

5. Il fondamentale elemento discretivo tra le due fattispecie (i residui sono di minore significatività in rapporto al quesito in esame) deve essere reperito nella tipologia delle condotte; una loro precisa individuazione esclude già che in certe ipotesi nascano problemi di conflitto.

La pubblicità è in genere concisa, non mira a proporre modelli di comportamento ed a persuadere il pubblico facendo leva sulle presunte ragioni ideologiche che stanno alla base della scelta suggerita; quindi, non è conciliabile con la nozione di proselitismo.

Il messaggio pubblicitario non implica un rapporto personale tra il propagandista ed il destinatario con opera di diretto influenzamento dell’uno sull’altro, per cui è da scartare che possa essere classificato nel novero della induzione.

Rimane la condotta di istigazione effettuata pubblicamente (secondo la disposizione definitoria dell’art. 266, ultimo comma, cod. pen.) che presenta un labile confine con quella di propaganda; dato che il Legislatore ha usato nello stesso contesto normativo termini diversi, occorre che l’interprete non li omologhi e cerchi di individuare i rispettivi ambiti di applicazione, si da rendere ragionevole la scelta della differente risposta punitiva.

6. Sul punto, la citata sentenza della Sez. 4, n. 6972 del 2012, ha focalizzato la distinzione, ponendo l’accento sulle caratteristiche del messaggio pubblicitario che, nell’art. 84, deve essere asettico e non deve indurre i destinatari all’acquisto o all’uso del prodotto stesso.

La Corte condivide questa impostazione, anche se sono eccezionali le ipotesi di propaganda pubblicitaria che non invoglino all’acquisto; tuttavia, il criterio individuato nella sentenza è l’unico reperibile che, sul piano strutturale, diversifichi le condotte, incida significativamente sul livello della offesa ed abbia come ricaduta di condurre la previsione dell’art. 84 nell’alveo di una ipotesi marginale e di scarsa lesività.

Si ritiene, pertanto, che rientri nella propaganda pubblicitaria la condotta di chi si limita in modo asettico e neutro a rendere noto al pubblico la esistenza della sostanza veicolando un messaggio non persuasivo e privo dello scopo immediato di determinare all’uso di stupefacenti.

7.La delineata esegesi del rapporto tra norme trova riscontro nella clausola di riserva dell’art. 84, comma 2, non valutata dalla giurisprudenza che si è occupata dell’argomento. Il Legislatore si è reso conto che il termine propaganda può essere interpretato con parametri non bene definiti e che tra le sue previsioni non sussiste un rapporto di specialità risolvibile a sensi dell’art. 9 legge 24 novembre 1981, n. 689, bensì di gravità crescente, ed ha fornito una chiave per risolvere il conflitto apparente di norme.

8. Occorre ora prendere in considerazione la fattispecie concreta e verificare se, come sostenuto dal ricorrente, sia corretto il suo inquadramento nella ipotesi di reato dell’art. 82, sotto la previsione della istigazione all’uso di stupefacenti; sul tema, la Corte non condivide la opinione delle sentenze che hanno risposto positivamente, perché la condotta contestata solo indirettamente ed eventualmente conduce al consumo di sostanze droganti.

Non è possibile equiparare la nozione di stupefacente a quella di pianta dalla quale, con determinati procedimenti chimici neppure menzionati nella pubblicità, è ricavabile una sostanza drogante che, allo stato naturale, è compresa nelle tabelle; una simile esegesi non rientra nel novero di una plausibile interpretazione estensiva perché travalica l’ambito dei possibili significati letterali, sia pure amplificati all’estremo, del termine stupefacente e dilata il fatto tipico integrandolo con una ipotesi non espressamente inclusa con palese violazione del principio di tassatività e del divieto di analogia nel diritto penale.

Inoltre, se si fosse trattato di offerta in vendita di sostanze stupefacenti, la condotta sarebbe sussumibile nella previsione dell’art. 73, comma 1, T,U. stup.

9. Quanto precisato sul divieto della analogia (valevole anche per le sanzioni amministrative per il principio di legalità inserito nell’art. 1, comma secondo, legge n. 689 del 1991) non è trasferibile anche all’art. 84 per il quale la propaganda può essere effettuata anche indirettamente, cioè, facendo sorgere nel pubblico – in modo obliquo, dissimulato o per associazioni di idee – il riferimento implicito alla sostanza stupefacente.

La citata norma, tuttavia, non è applicabile perché la offerta del prodotto da parte degli imputati era correlata da ulteriori, allettanti specificazioni. La precisazione rende il caso non inquadratane nella previsione dell’art. 84, perché il messaggio non era neutro ed asettico: indicando i metodi botanici più appropriati per la resa dei semi, la pubblicità invitava i destinatari all’acquisto dei semi come attività prodromica al successivo comportamento consistente nella coltivazione di piante dalle quali è estraibile una sostanza stupefacente.

Questa ultima condotta è vietata dall’art. 26 T.U. stup. e prevista come delitto dal successivo art. 73, comma 3, perché accresce la disponibilità di droghe con conseguente pericolo di diffusione illecita delle stesse.

10. Poiché gli imputati istigavano a commettere un reato con le modalità esecutive dell’art. 266, comma quarto, cod. pen., il caso può rientrare nella previsione dall’art. 414 cod. pen.; tale fattispecie si pone come norma generale e non è applicabile in presenza di reati di istigazione più specifici.

In virtù di questo principio, il Giudice ha rilevato che il delitto previsto dall’art. 82 sarebbe una specie rispetto alla previsione codicistica; la tesi non è condivisibile perché raffronta il reato di istigazione a delinquere con quello di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti che deve essere escluso per la già detta ragione (al paragrafo 8).

La esatta comparazione tra norme, rapportata alla ipotesi che ci occupa, porta a concludere che l’art. 82 non è strutturato come species rispetto al genus dell’art. 414 cod. pen., perché non annovera tra le condotte punibili la illegale coltivazione di stupefacenti.

11. Tanto premesso, è appena il caso di osservare come, al fine della possibile sussunzione del fatto in esame nel delitto di istigazione a delinquere, non rilevi che la pubblicità fosse carente di indicazioni circa le modalità con le quali è estraibile lo stupefacente perché la mera coltivazione (sia pure alla condizione specificata al paragrafo 13) è punita dall’art. 73 T.U. stup.

È, pure, ininfluente che il comportamento suggerito fosse privo della sua qualificazione penale essendo sufficiente il requisito della indicazione degli elementi fattuali della condotta suggerita (ed il delitto evocato aveva un inequivoco livello di determinatezza).

12. È, anche, inconferente, per il perfezionamento della fattispecie dell’art. 414 cod. pen., l’esito della azione istigatrice, in virtù della clausola di indifferenza inserita nel comma primo (che costituisce una deroga al generale principio contenuto nell’art. 115 cod. pen.), ma è necessaria la potenziale offensività della condotta che è richiesta per tutti i reati anche quando il precetto tenda ad evitare la messa in pericolo del bene oggetto di tutela penale.

Occorre, pertanto, una ponderazione – riservata al magistrato di merito e da effettuarsi con giudizio ex ante – circa la reale efficienza della azione stimolatrice a spronare le persone con modalità tali da persuaderle a passare alla azione e da porsi come antecedente adeguato per indurle a commettere il fatto illecito (sulla natura di delitto di pericolo concreto della fattispecie dell’art. 414 cod. pen,, v. tra le altre, Sez. 1, n. 26907 del 05/06/2001, Vencato, Rv.219888).

13. Si evidenzia, inoltre, che, per la configurabilità del delitto ex art. 414 cod. pen., non è richiesta la punibilità in concreto della condotta istigata, ma è necessario che la stessa sia prevista dalla legge come reato.

Sul punto, occorre tenere nel debito conto il principio enucleato dalle Sezioni Unite che (dopo avere precisato come costituisca un reato di pericolo astratto qualsiasi attività di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali è estraibile una sostanza stupefacente) hanno ricordato il canone nullum crimen sine iniuria sotteso a tutti i reati che, secondo la giurisprudenza costituzionale, opera per il Legislatore in astratto e per gli interpreti in concreto quale criterio ermeneutico.

Consegue che necessita verificare, con una valutazione di fatto improponibile in sede di legittimità, se la condotta contestata all’agente ed accertata sia assolutamente inidonea a mettere a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto inoffensiva; tale ipotesi ricorre quando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non produca un effetto drogante rilevabile (Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Silvia, Rv. 239920).

14. Da quanto esposto, emerge che la risoluzione del caso implica, anche, questioni di fatto che esulano dai limiti cognitivi della Cassazione che può solo osservare come, allo stato, non emerga in modo palese che la pubblicità degli imputati fosse inoffensiva; deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Firenze trattandosi di ricorso immediato a sensi dell’art. 569, comma 1, cod. proc. pen..

15. In relazione a questa statuizione, non rileva la circostanza che il ricorso del Pubblico Ministero non contiene un riferimento specifico alla fattispecie di istigazione a delinquere perché questa limitazione non interferisce con il principio devolutivo della impugnazione; la esatta qualificazione giuridica dei fatti è questione di diritto la cui risoluzione compete a questa Corte che non è vincolata alle prospettazioni delle parti.

Si precisa che la contestazione dell’art. 414 cod. pen. era stata correttamente effettuata dal Pubblico Ministero nel capo di imputazione sia con la indicazione della norma sia con la precisazione della condotta materiale posta in essere; pertanto la conclusione non pone problemi sulla fattiva possibilità degli imputati di comprendere l’accusa e di difendersi.

16. Nel giudizio di rinvio, la Corte di appello si confermerà al seguente principio di diritto: “La offerta in vendita di semi di piante dalle quali è ricavabile una sostanza drogante, correlata da precise indicazioni botaniche sulla coltivazione delle stesse, non integra il reato dell’art. 82 T.U. stup., salva la possibilità di sussistenza dei presupposti per configurare il delitto previsto dall’art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti”.

17. Inoltre, i nuovi Giudici dovranno effettuare, quanto alla idoneità della condotta, la valutazione concreta rapportata alle peculiarità del caso, inerente alla reale attitudine della azione istigatrice a porsi come antecedente adeguato per influire sulla altrui volontà e fare sorgere, o rafforzare, il proposito di coltivare illecitamente piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti; dovranno verificare, sul piano della lesività, se la pubblicità non solo inducesse alla coltivazione, ma se fosse articolata in modo tale da sollecitare gli acquirenti del semi a porre in essere un comportamento penalmente rilevante, cioè, atto a determinare una germinazione dalla quale fosse ragionevolmente prevedibile il ricavo di un prodotto finito con effetto drogante.

In merito alla volontà degli imputati di determinare altri a commettere il reato, i Giudici del rinvio dovranno analizzare la indicazione, contenuta nella inserzione pubblicitaria (che segnalava come la coltivazione necessitasse di previa autorizzazione) e considerare se l’ammonimento fosse serio ed il suo rispetto controllato al momento della vendita dei semi al fine di valutare la sua efficacia deterrente per i destinatari ed esimente per gli imputati.

Per costoro, l’assoluzione per un fatto identico a quello in esame non rileva ai fini del dolo perché successiva alla inserzione pubblicitaria per cui è processo.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo a) della imputazione e rinvia alla Corte di Appello di Firenze.

 

 

Commento a cura di:

Avv.  Nicola Nicodemo Damiano

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