La concreta rilevanza del quantitativo di soglia drogante ed uso di gruppo di sostanza stupefacente.

 

Corte di Cassazione, Sez. IV Penale, sentenza 20 settembre 2012, n. 44182

 

Nota a sentenza a cura dell’Avv. Giuliana Catalano

Massima:

Occorre che l’acquirente-mandatario, il quale opera materialmente (o conclude le trattative) di acquisto, sia anche lui uno degli assuntori; che sia certa sin dall’inizio l’identità dei componenti del gruppo, nonché manifesta la comune e condivisa volontà di procurarsi la sostanza destinata al paritario consumo personale e si sia del pari raggiunta un’intesa in ordine al luogo e ai tempi del relativo consumo; che gli effetti dell’acquisizione traslino direttamente in capo agli interessati, senza passaggi mediati.

Esulano dalla sfera dell’illecito solo le condotte afferenti a quantitativi di stupefacente talmente tenui, quanto alla misura del principio attivo, da non poter indurre, neppure in misura trascurabile, la modificazione dell’assetto neuropsichico dell’utilizzatore.

 

La materia del contendere

Nel caso in esame, alla Corte di Cassazione veniva chiesto di pronunciarsi sostanzialmente su due questioni. In particolare, facendo leva su dati fattuali emersi nel corso dell’istruttoria, si chiedeva il riconoscimento dell’assoluta inidoneità del principio attivo contenuto nella sostanza a base di eroina di provocare qualsivoglia effetto drogante nell’assuntore, nonché della sussistenza di una condotta di uso di gruppo, sul presupposto che essa non sia penalmente rilevante.

Quaestio iuris

Che ruolo può essere attribuito al principio riassunto nel brocardo latino nullum crimen sine iniuria? L’uso di gruppo di sostanze stupefacenti è penalmente rilevante? Quali sono i criteri discretivi in base ai quali stabilire se si è dinnanzi ad un acquisto di gruppo piuttosto che ad una detenzione finalizzata alla cessione a terzi?

 

Normativa di riferimento

Art. 73, commi I e I-bis; art. 75 D.P.R. 309/90.

 

Il Caso

Il caso in esame trae spunto dall’impugnazione di una sentenza della Corte d’Appello di Brescia confermativa della condanna pronunciata dal gip presso il Tribunale di Bergamo che, all’esito del rito abbreviato, aveva ritenuto l’imputata responsabile del reato di detenzione a fine di cessione a terzi di sei involucri di eroina e di 12 involucri di cocaina, infliggendole la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione congiuntamente ad 3.000,00 di multa.

 

Nota esplicativa

Le problematiche sottoposte all’attenzione della Corte di Cassazione nel caso in esame riguardavano  la quantità di sostanza drogante necessaria e sufficiente ai fini della configurabilità del reato in esame, nonché l’asserita ricorrenza dell’uso di gruppo di sostanze stupefacenti.

Prima di esaminare i profili più interessanti della pronuncia in esame, appare opportuna una breve premessa sul principio di necessaria offensività.

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Il principio di offensività è uno dei fondamenti su cui poggia il nostro diritto penale. Esso è estrinsecazione del principio di materialità che impone la punibilità dei soli atteggiamenti materiali, con esclusione degli atteggiamenti dell’animo, puramente interiori, che si sostanziano in una mera disobbedienza, cioè nell’espressione della ribellione della volontà del singolo alla volontà collettiva (Mantovani). Il principio di offensività completa il quadro imponendo la punibilità dei soli fatti che ledono o mettono in pericolo il bene che la norma penale violata si propone di tutelare. Una delle caratteristiche intrinseche del reato è, pertanto, la sua tendenziale lesività (intesa quale nocumento effettivo) o messa in pericolo (intesa quale lesione potenziale) di un bene giuridico protetto. Ne discende che un’azione di per sé non idonea a ledere o a mettere in pericolo un certo bene giuridico non sarebbe punibile per carenza di offensività.

Come spesso è stato chiarito dalla giurisprudenza, il principio in esame si rivolge, per un verso, al legislatore, ammonendolo di non punire fatti realmente inoffensivi e, per altro verso, al giudice che, nella fisiologica attività ermeneutica, deve verificare che nel caso sottoposto alla sua attenzione si sia concretamente verificata l’offesa al bene giuridico protetto (sub specie di lesione ovvero di messa in pericolo).

Il principio di offensività nell’ordinamento positivo non trova un inequivocabile referente normativo cui agganciarsi; tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza ormai concordano sul fatto che esso trovi riconoscimento nella Costituzione in molteplici norme. Ci si riferisce all’art. 13 Cost., che nell’ammettere la possibile compressione della libertà personale, tuttavia, la subordina alla ricorrenza di un fatto concretamente lesivo di beni di egual tenore; all’art. 25, II co, Cost. che, suggellando il principio di materialità, subordina la risposta punitiva a fatti che abbiano avuto una qualche manifestazione a livello empirico, in tal modo evitando che vengano puniti meri atteggiamenti dell’animo; all’art. 21 Cost. che sancisce la libertà di manifestazione del pensiero, la quale, appunto, verrebbe irrimediabilmente ed ingiustificatamente compressa qualora si potessero punire meri atteggiamenti interiori; all’art. 27 Cost. che, nella misura in cui sancisce i principi di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa della pena, rispettivamente, implica la presenza di un elemento soggettivo che abbracci tutti gli elementi significativi (dunque offensivi) del fatto di reato e presuppone un fatto realmente offensivo (in mancanza del quale la sanzione penale verrebbe avvertita come ingiusta).

Infine, una lettura combinata degli artt. 25 e 27 Cost. impone di riflettere sulla circostanza che, ove si punisse un soggetto per un mero atteggiamento interiore non vi sarebbe alcuna apprezzabile differenza tra pene e misure di sicurezza.

Quanto all’addentellato normativo del principio di offensività nel codice penale, gran parte della dottrina e della giurisprudenza concorda nel ritenere che esso sia costituito dall’art. 49, II co[1], in materia di reato impossibile.

Per esigenze di completezza si evidenzia la circostanza che alcune disposizioni processuali sembrano prevedere espressamente il principio di offensività: art. 27 D.P.R. 448/88 (che, in materia di processo minorile, dà rilevanza alla tenuità del fatto al fine della emissione della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto) ed art. 34 d.lgs. 274/00 (che, con riferimento alle controversie di competenza del Giudice di Pace, prevede una causa di improcedibilità in ipotesi di particolare tenuità del fatto).

Esaurita questa premessa, come già accennato, una delle problematiche trattate dalla Cassazione nella sentenza in esame, involge l’importanza da attribuire all’offensività concreta della condotta di detenzione ad uso non esclusivamente personale o, per meglio dire, di cessione onerosa a terzi, in quanto in tal guisa che la condotta dell’imputata viene qualificata.

A tal riguardo si registrano diversi orientamenti in giurisprudenza.

Secondo un orientamento maggiormente risalente, avallato anche dalle S.U. n. 9973 del 1998, la condotta di cessione risulterebbe sempre meritevole di sanzione penale. Tale interpretazione si fonda su molteplici assunti. Ed infatti, per un verso, la nozione di sostanza stupefacente accolta dal nostro legislatore non è una nozione farmacologica bensì legale e, pertanto, non potrebbe attribuirsi rilievo alcuno alla circostanza che la sostanza che superi la soglia tabellare abbia o meno la capacità di ingenerare l’effetto psicotropo. Per altro verso, inoltre, le Sezioni Unite evidenziavano che il bene giuridico protetto dalla norma non sarebbe esclusivamente quello della salute individuale ma altresì quelli della salute collettiva, della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico ed anche la salvaguardia delle giovani generazioni. Atteso, pertanto, che obiettivo del legislatore sarebbe stato quello di espellere le droghe dal circuito economico nazionale, se ne può desumere l’irrilevanza della concreta idoneità della dose ceduta a cagionare l’effetto psicotropo ai fini della punibilità o meno della condotta. La modesta entità del quantitativo, peraltro, potrebbe essere apprezzata ai fini del riconoscimento della attenuante di lieve entità.

Secondo altro orientamento, maggiormente attento all’incidenza del principio di offensività, importanza certamente influente assumerebbe l’accertamento della concreta idoneità della sostanza ceduta a sortire gli effetti tipici delle sostanze stupefacenti o psicotrope.

A tal proposito le S.U. n 47472 del 2007, sebbene non abbiano risolto tale nodo interpretativo, hanno chiarito la differenza tra dose media giornaliera e dose media singola. Ed infatti, nella premessa del Decreto del Ministero della Salute 11.4.2006, che ha proceduto alla indicazione dei limiti quantitativi massimi ai fini previsti dall’art. 73, comma 1-bis D.P.R. 309/90, è precisato che è stata individuata nella dose media singola la base del calcolo per ritenere presunta la detenzione al fine di spaccio. Essa deve intendersi come “la quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo. Ed infatti, mentre il riferimento alla dose media singola possiede una propria “espressione di evidenza scientifica”, la dose media giornaliera, per converso, è molto variabile da persona a persona[2].

Sebbene comunque non appaia sopito il contrasto sopra riferito, due potrebbero essere le soluzioni adottabili: ritenere che il mancato superamento della dose media singola escluda di per sé la rilevanza penale della condotta di riferimento, ovvero che l’accertamento dell’efficacia drogante vada sempre condotta “caso per caso”.

Nella sentenza in esame emerge a chiare lettere l’orientamento della Cassazione allorquando afferma che la “tipicità oggettiva non può prescindere del tutto dalla farmacologica attitudine delle diverse sostanze a produrre i loro effetti caratteristici”. E’ evidente come dal principio di offensività non possa prescindersi ai fini della valutazione della stessa tipicità della condotta. Nella pronuncia, inoltre, vi è un chiaro riferimento alla giurisprudenza che si è espressa negli stessi termini relativamente alla condotta di coltivazione c.d. domestica di piante dalle quali ricavare sostanze droganti. Con riferimento a quest’ultima condotta, infatti, si è spesso prestata particolare attenzione alla sua concreta idoneità a porre a repentaglio il bene giuridico protetto.

Nel caso di specie, tuttavia, non si fa questione del mancato superamento della dose media singola e della sua concreta idoneità a ledere il bene giuridico protetto. Ed infatti, la conferma della condanna pronunciata in primo ed in secondo grado è derivata dalla considerazione che, sebbene l’imputata sia stata trovata in possesso di due diversi principi attivi (cocaina ed eroina) di per sé non superiori alla dose media singola, ciò non ne esclude la punibilità. Secondo la Corte, infatti, l’offensività concreta della condotta va valutata tenendo in considerazione che, sebbene le sostanze in possesso dell’imputata vadano tenute distinte sul piano classificatorio, esse debbano essere considerate nel loro complesso, in quanto la presenza di cocaina oltre all’eroina non dà luogo ad una autonoma oggettività materiale del reato in esame. Ne è conseguito, pertanto, il concreto superamento del quantitativo implicante inevitabilmente la realizzazione della condotta penalmente rilevante.

Conclusivamente può affermarsi che, nonostante le interessanti premesse di principio in punto di offensività dalle quali prende le mosse la Cassazione nel caso di specie, anche in questo caso ci si è trovati dinnanzi ad una effettiva ipotesi superamento della dose media singola e, pertanto, la conferma della condanna era facilmente intuibile.

***

Ulteriore profilo esaminato nella sentenza in esame attiene al c.d. uso di gruppo di sostanza stupefacente, sul quale la Cassazione si sofferma sinteticamente dando atto del contrasto interpretativo che lo riguarda.

Come è noto il TU stupefacenti, ed in particolare l’art. 73, hanno subito profonde modifiche per effetto della l. 49/2006. In particolare all’art. 73 è stato aggiunto un comma 1-bis che punisce chiunque “importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene:

a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute … ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale”.

Ebbene, l’orientamento invalso precedentemente alla novella legislativa del 2006, soprattutto a seguito della preferenza accordatagli da Cass. S.U. 28 maggio 1999, n. 4, era nel senso di ritenere non punibili, e pertanto rientranti nella sfera dell’illecito amministrativo di cui all’art. 75, “l’acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti destinate all’uso personale che avvengano, sin dall’inizio, per conto e nell’interesse anche di soggetti diversi dall’agente, quando è certa, ab origine, la identità dei medesimi, nonché manifesta la volontà di essi di procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo”.

A tale conclusione le S.U. erano pervenute osservando che la omogeneità teleologica della condotta del procacciatore, rispetto allo scopo degli altri componenti del gruppo, caratterizzava la detenzione quale codetenzione ed impediva che il primo si ponesse in rapporto di estraneità rispetto ai secondi, con conseguente impossibilità di connotazione della sua condotta quale cessione.

Parte della giurisprudenza, tuttavia, ha ritenuto di doversi discostare dalla superiore interpretazione in quanto, a seguito della riforma del 2006, l’uso di gruppo sarebbe stato inequivocabilmente espunto dal novero delle condotte penalmente irrilevanti attraverso l’impiego della locuzione “uso non esclusivamente personale”. In altri termini, il legislatore avrebbe inteso distinguere tra “l’uso personale” di sostanze stupefacenti e “l’uso esclusivamente personale”, frase quest’ultima che, proprio mediante l’avverbio “esclusivamente”, non potrebbe che condurre ad un’interpretazione più restrittiva rispetto a quella corrente nella vigenza del precedente testo. Secondo tale indirizzo interpretativo, pertanto, da ciò conseguirebbe che non può più farsi rientrare nell’ipotesi di consumo esclusivamente personale la fattispecie del c.d. uso di gruppo, all’interno della quale è inclusa l’ipotesi in cui un gruppo di persone dia mandato ad uno di loro di acquistare dello stupefacente, sia l’altra ipotesi in cui l’intero gruppo procede all’acquisto di stupefacente destinato ad essere consumato collettivamente (ex multis Cass.Pen. Sez. IV, n. 56023 del 2011; Cass. Pen. n. 6374 del 2012).

Altro filone interpretativo, invece, sostiene che il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, conseguente al mandato all’acquisto collettivo ad uno degli assuntori, non è penalmente sanzionabile ai sensi dell’art. 73 comma 1 bis, lett. a), d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nemmeno dopo le modifiche apportate a tale disposizione dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49. In particolare, si è evidenzia, per un verso, che l’espressione “non esclusivamente personale” avrebbe il medesimo significato di “tassativamente personale”, suggerendo così all’interprete la ragionevole impressione di un’aggiunta ridondante, superflua e pleonastica; per altro verso, si è riconosciuto che “il disegno perseguito dai soggetti partecipanti all’acquisto deve caratterizzarsi palesemente nel denominatore comune di un uso esclusivamente personale” e si è precisato che “l’adesione preliminare a simile progetto comune esclude che colui (o coloro) che acquista, su incarico degli altri sodali, si ponga in una posizione di estraneità rispetto ai mandanti l’acquisto destinatari dello stupefacente, come si verifica (in ambito civilistico) per colui che operi in nome e per conto altrui, ma rimanga estraneo agli effetti del negozio che egli ha concluso” (Cass. Pen. sez. VI, n. 8366 del 2011).

In conclusione, gli indici rivelatori della condotta penalmente irrilevante dell’uso di gruppo si sarebbero i seguenti: che l’acquirente-mandatario, il quale opera materialmente (o conclude) le trattative di acquisto, sia anche lui uno degli assuntori; che sia certa sin dall’inizio l’identità dei componenti il gruppo, nonché manifesta la comune e condivisa volontà di procurarsi la sostanza destinata al paritario consumo personale e si sia del pari raggiunta un’intesa in ordine al luogo ed ai tempi del relativo consumo; che gli effetti dell’acquisizione traslino direttamente in capo agli interessati, senza passaggi mediati (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, n. 17396 del 2012).

La sentenza in esame si limita a fornire il quadro dell’attività ermeneutica della giurisprudenza sul punto, senza peraltro prendere una posizione ben chiara. Essa, in parte qua, conferma l’impugnata sentenza della Corte d’Appello di Brescia la, appurata la circostanza che il denaro occorrente per l’acquisto sarebbe stato fornito esclusivamente dal compagno dell’imputata, aveva escluso la sussistenza dell’uso di gruppo, declinando piuttosto per la sussistenza della fattispecie di cessione a terzi.

Conclusivamente è opportuno rilevare che Cassazione penale, sez. IV, con ordinanza n. 43464 del 08.11.2012 ha rimesso tale questione alle Sezioni Unite della Cassazione.

 

Bibliografia

G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale. Parte Generale, 2009

F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, 2011

F. Caringella, Lezioni e sentenze di diritto penale, 2012



[1] Parte della dottrina (Antolisei) ritiene che tale norma non assolva ad altra funzione che a quella di costituire il doppione in negativo del tentativo di delitto; altra parte della dottrina, invece, ritiene che essa sia la riprova dell’accoglimento della concezione c.d. realistica del reato; altri ancora (Fiandaca-Musco), pur non aderendo a nessuna delle precedenti teorie, valorizzano la norma in esame come effettivo referente normativo del principio di offensività.

[2] Proprio sulla base di questa differenza, nel caso sottoposto al loro esame, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’acclarato superamento della dose media singola rendeva irrilevante la questione ad essa sottoposta.

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