AVV. CORRADO SPRIVERI

Estratto:In tema di imposta di soggiorno, l’introduzione del comma 1-ter dell’art.4 del decreto legislativo n.23/ 2011 (2020), che qualifica il gestore della struttura ricettiva non più come “Agente contabile”, bensì come “responsabile di imposta”, pone fine a qualsiasi dubbio sulla giurisdizione tributaria, con conseguente esclusione della responsabilità, con effetto retroattivo, del delitto di peculato. Si ritiene  non condivisibile la soluzione avanzata dalla Corte dei Conti Regione Marche, in una recente pronuncia, di una possibile giurisdizione cumulativa (tributaria e contabile), il cui carico sanzionatorio previsto – sanzione amministrativa e responsabilità erariale – appare in contrasto con la normativa unionale e costituzionale in materia di proporzionalità punitiva”.

SOMMARIO: 1. L’imposta di soggiorno, imposta di scopo, breve analisi– 2. Responsabilità amministrativa e penale del gestore della struttura ricettiva, quale “Agente contabile”,  per l’omessa percezione e riversamento dell’imposta di soggiorno – disciplina  previgente – Giurisdizione della Magistratura contabile –  3. Esclusione della rilevanza penale del gestore della struttura ricettiva per l’omesso o ritardato versamento dell’imposta di soggiorno a seguito dell’introduzione dell’art.180 del decreto legge n.34/2020 – 4. Giurisdizione tributaria – Contrasti giurisprudenziali della Magistratura contabile, possibile una giurisdizione cumulativa?

 1. L’imposta di soggiorno, imposta di scopo, breve analisi

 L’imposta di soggiorno[1] è un tributo largamente diffuso in Europa (ben 17 paesi lo utilizzano), presente in passato anche in Italia. Segnatamente, la “tassa di soggiorno e di cura” è stata introdotta in Italia dalla legge 11 dicembre 1910, n.863, per finanziare i servizi curativi e lo sviluppo delle stazioni termali e climatiche. Nel 1926 si introduce una distinzione tra l’imposta di soggiorno e l’imposta di cura per evitare incomprensibili commistioni tra le due modalità di tassazione. Successivamente, il Testo Unico della Finanza Locale di cui al R.D. 14 settembre 1931, n.1175 e il R.D.L. 24 novembre 1938, n.1926, convertito in legge 2 giugno 1939, n.739 hanno dato vita stabile e definitivo alla materia[2]. La tassa di soggiorno è stata (poi) abolita nel 1989 e nuovamente introdotta come tributo comunale di natura “facoltativa[3] dall’art.4 del decreto legislativo 14 marzo 2011 n.23, recante: “Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale”, che ha conferito la generale facoltà di istituire detta imposta. Invero, ai sensi dell’art.4, comma 1 della suindicata norma i comuni capoluogo di provincia, le Unioni di comuni, nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte hanno la facoltà di istituire, con delibera del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio. Il successivo comma 3 prevede che sia un apposito Regolamento statale a dettare la disciplina generale di attuazione dell’imposta. Tuttavia, la mancata emanazione di tale regolamento da parte del Governo, unitamente alla previsione dell’ultimo periodo del medesimo comma 3, che consentiva ai comuni di procedere all’adozione dei regolamenti istitutivi anche in assenza del regolamento statale, ha concesso agli enti locali ampi margini di discrezionalità, così determinando una situazione di grande disomogeneità fra i regolamenti comunali, con possibili conseguenze di natura contabile[4]. L’imposta di soggiorno colpisce coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul territorio comunale e si applica in proporzione al prezzo corrisposto, secondo criteri di gradualità sino a 5 euro per notte di soggiorno[5]. Il gettito riferito al suddetto tributo è soggetto ad un vincolo di destinazione, ed è appunto per questo che tale imposta è stata considerata quale “imposta di  scopo[6]. Invero, il gettito dell’imposta di soggiorno è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché  interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali erogati dagli enti, in favore di una loro migliore e maggiore fruibilità e quindi, per migliorare e aumentare la soddisfazione del turista. L’imposta di soggiorno può sostituire, in tutto o in parte, gli eventuali oneri imposti agli autobus turistici per la circolazione e la sosta  nell’ambito del territorio comunale.

2. Responsabilità amministrativa e penale del gestore della struttura ricettiva, quale “Agente contabile”, per l’omessa percezione e riversamento dell’imposta di soggiorno – disciplina  previgente – Giurisdizione della Magistratura contabile

L’imposta di soggiorno, come già detto, ai sensi dell’art.4 del decreto legislativo n.23 del 2011 è posta a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate in un determinato territorio comunale, ed è destinata a confluire nel gettito dei finanziamenti per gli interventi in materia di turismo, effettuati dagli enti locali. Per tale ragione, il mancato riversamento delle somme dovute, da parte dei gestori delle strutture ricettive, costituisce per gli enti locali un danno da minore entrata. Secondo la giurisprudenza contabile[7], l’attività di accertamento e riscossione dell’imposta ha natura di servizio pubblico e quindi,  il denaro da riscuotere a titolo di imposta di soggiorno spetta all’ente pubblico. Pertanto, i soggetti incaricati dai regolamenti comunali della riscossione e del riversamento nelle casse comunali dell’imposta di soggiorno assumono, in buona sostanza, secondo l’orientamento della Corte dei Conti, la funzione di “Agenti contabili”, con il conseguente obbligo di rendere il denaro sul conto del comune. Invero,  la Magistratura contabile ha ribadito la sussistenza della giurisdizione contabile a conoscere del danno provocato dal gestore della struttura ricettiva per l’omessa percezione e riversamento degli importi, nei limiti stabiliti dal regolamento comunale, essendo in presenza di un rapporto idoneo a fondare gli elementi costitutivi della responsabilità per danno erariale. Inoltre, secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimità[8], il gestore di una struttura ricettiva assume – quanto all’incasso e al successivo versamento dell’imposta di soggiorno corrisposta dagli ospiti – la qualifica pubblicistica di “Agente contabile”, ciò che consente di ritenere integrato in capo all’agente il maneggio di denaro pubblico (poiché incaricato di pubblico servizio), come tale destinato al successivo versamento nelle casse della Pubblica amministrazione locale, sicché il mancato trasferimento di quelle somme nel patrimonio della Pubblica amministrazione, nel termine sancito dalla normativa di settore, configura a carico del gestore di una struttura ricettiva il delitto di peculato, previsto e punito dall’art.314 c.p.[9].

3. Esclusione della rilevanza penale del gestore della struttura ricettiva per l’omesso o ritardato versamento dell’imposta di soggiorno a seguito dell’introduzione dell’art.180 del decreto legge n.34/2020

L’art.180, comma 3 del decreto legge 19 maggio 2020, n.34 dispone che: “All’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.23, dopo il comma 1-bis, è inserito il seguente: «1-ter. Il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno di cui al comma 1 e del contributo di soggiorno di cui all’articolo 14, comma 16, lettera e), del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. La dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, secondo le modalità approvate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica la sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471”. Dunque, a seguito della modifica della norma ut supra descritta, i gestori delle strutture ricettive non possono più essere considerati “Agenti contabili”, bensì “responsabili di imposta”, per cui il  mancato versamento dell’imposta di soggiorno non può, conseguentemente, dare spunto a una contestazione di carattere penale a loro carico per il delitto di peculato. Invero, la Suprema Corte[10] con la prima pronuncia successiva al cd. “decreto rilancio” chiariva che la diversa qualificazione del gestore della struttura ricettiva non ha effetto retroattivo perché la modifica del quadro normativo di riferimento non comporta un fenomeno di “abolitio criminis”.  Il Supremo Collegio, precisava quindi, che la qualifica di “responsabile di imposta”, che esclude la configurabilità del reato di peculato, può essere attribuita al gestore della struttura ricettiva soltanto per i fatti avvenuti in data successiva al 19 maggio 2020, rimanendo invece penalmente rilevanti, ex art.314 c.p., le condotte poste in essere prima di tale data.  Il Supremo Collegio[11] con una successiva pronuncia ha (poi) definitivamente chiarito che: “deve escludersi che permanga la rilevanza penale, a titolo di peculato, delle condotte di omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno, realizzate dal gestore di una struttura ricettiva prima della data del 19 maggio 2020, ossia anteriormente alle modifiche introdotte dall’art.180 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 20 luglio 2020, n.77, atteso che, con la precitata norma interpretativa, il legislatore ha espressamente assegnato valenza retroattiva alla disposizione più favorevole, che ha attribuito all’operatore turistico la qualifica soggettiva di responsabile d’imposta (a fronte della previgente disciplina che lo investiva, quale agente contabile, del servizio pubblico di riscossione del detto tributo) e, al tempo stesso, alla disciplina sanzionatoria amministrativa correlata a tale mutata qualifica”. Segnatamente, in forza della norma di interpretazione autentica di cui all’art.5-quinquies del decreto legge n.146 del 2021, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2021, n.215, i gestori delle strutture ricettive imputati per il mancato adempimento agli obblighi di riversamento dell’imposta di soggiorno di cui all’art.4 del d.l.  n.23/2011, anche nel caso di fatti avvenuti prima del 19 maggio 2020, non potranno essere puniti per il reato di peculato e, se vi è stata condanna, questa dovrà essere revocata, con tutti i relativi effetti penali.

4. Giurisdizione tributaria  – Contrasti giurisprudenziali della Magistratura contabile, possibile una giurisdizione cumulativa? –

Secondo la giurisprudenza di legittimità, a seguito della modifica del decreto legge n.34 del 2020, ex art.180, comma 3, i gestori delle strutture ricettive non possono più essere considerati “Agenti contabili”, bensì “responsabili di imposta”. La qualifica di “responsabile di imposta” attribuita, ex lege, al responsabile della struttura ricettiva chiarisce, definitivamente, la giurisdizione tributaria in materia di imposta di soggiorno. Invero, la giurisdizione sugli atti impositivi che riguardano la tassa di soggiorno comunale appartiene al Giudice tributario. Il Comune ha, infatti, il potere di accertare le violazioni degli obblighi di versamento dell’imposta di soggiorno, (ex art.4 d.lgs. n.23/2011) e la giurisdizione tributaria di carattere generale si radica in base alla materia indipendentemente dal contenuto dei motivi opposti dall’atto impositivo[12].  Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte[13] ha ribadito la giurisdizione del giudice tributario, escludendo quella della Corte dei Conti, in quanto la controversia non concerne presunte irregolarità nella condotta posta in essere in ordine al riversamento dell’imposta assolta dai clienti, ovvero la mera gestione del denaro spettante al Comune, ma l’esistenza dell’obbligazione tributaria nei confronti dei soggetti che hanno pernottato nell’albergo. Secondo la Magistratura contabile invece l’orientamento non è unanime. Si sono espressi in favore del perdurante regime di “Agente contabile” dei gestori delle strutture ricettive: Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Sicilia, sentenza n.432 del 02/09/2020; Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Emilia-Romagna, sentenze nn.325 del 14/10/2021 e 408 del 24/12/2021; Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Veneto, sentenza n.50 del 24/3/2021; Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Lazio, sentenza n.568 del 7/7/2021; Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Campania, sentenza n.1010 dell’8/10/2021. Ritengono  invece, che il gestore della struttura ricettiva non sia più “Agente contabile” ma che continui ad essere sottoposto al giudizio della Corte dei Conti: Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Toscana, sentenze nn.95 del 12/3/2021, 162 del 20/4/2021, 199 del 6/5/2021, 457 del 9/12/2021, 464 del 14/12/2021, 14 del 28/1/2022; Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Calabria, sentenza n.195 dell’11/6/2021. Si sono espressi per l’uscita dal regime di “Agente contabile”: Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Lombardia, sentenze nn.38 del 12/2/2021, 159 del 6/5/2021, 289 del 22/10/2021, 6 del 17/1/2022. Infine, secondo la Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Marche[14]: “deve ritenersi irrilevante l’assoggettamento dell’albergatore, per effetto delle norme sopravvenute, alla giurisdizione tributaria in qualità di “responsabile d’imposta”, ben potendo il medesimo soggetto essere sottoposto contemporaneamente alla  giurisdizione della Corte dei conti, quale agente contabile”. Invero, secondo la suindicata pronuncia la qualificazione  di “responsabile di imposta” del gestore della struttura ricettiva non si pone in contraddizione con la qualifica di “Agente contabile”, e  che quindi le due qualificazioni sono previste per finalità differenti. Da qui discenderebbe la possibilità di una doppia giurisdizione su una medesima condotta di omesso pagamento dell’imposta di soggiorno. Pertanto, secondo la Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Marche, per le violazioni commesse in materie di imposta di soggiorno, all’albergatore si renderebbero applicabili la sanzione amministrativa oltre alla sanzione per “responsabilità erariale”. Tale tesi non può essere condivisa poiché in contrasto con il diritto unionale e costituzionale in materia di proporzionalità delle sanzioni amministrative. Più in generale per la giurisprudenza comunitaria[15] il principio di proporzionalità comporta che la severità delle sanzioni deve essere adeguata alla gravità delle violazioni, tenendo conto non solo degli elementi costitutivi di un’infrazione e delle norme relative all’importo delle sanzioni, ma anche degli elementi di cui si può tenere conto per la fissazione dell’importo della sanzione. Invero, come affermato dalla dottrina[16] e dalla Corte Costituzionale[17] in questo ambito sussiste: “l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato; evenienza nella quale la compressione del diritto diverrebbe irragionevole e non giustificata”. Per le motivazioni sopra esposte, in tema di imposta di soggiorno, l’introduzione del comma 1-ter dell’art.4 del decreto legislativo n.23 del 2011 attribuisce al gestore della struttura ricettiva la qualifica di “Agente contabile” e non più quella di “responsabile di imposta”, con conseguente esclusione, con effetto retroattivo, del delitto di peculato, eliminando a tal fine, qualsiasi dubbio sulla giurisdizione tributaria. Si ritiene infine, non condivisibile la soluzione avanzata dalla Corte dei Conti Regione Marche di una giurisdizione cumulativa (tributaria e contabile), il cui carico sanzionatorio previsto – sanzione amministrativa e responsabilità erariale – appare in contrasto con la normativa unionale e costituzionale in materia di proporzionalità punitiva.


[1] Si veda in proposito: V. Ficari, G. Scanu, Tourism taxtion, “Sostenibilità ambientale  fra fiscalità locale e competitività”, Torino 2013; A. Quarto, “La politica fiscale nel settore turistico: un confronto internazionale”, in Rivista di scienza del turismo, n.1-2/2013; F. Biagi, G. Brosio, G. Turati, “Le imposte di scopo: una rassegna di alcuni casi interessanti”, in Economia Pubblica,  2004, 5, pag.19.

[2] In merito alla disciplina previgente si veda: F. Gallo, “Aspetti fiscali del turismo, con particolare riguardo all’autonomia  tributaria degli enti locali turistici”, in Riv.dir.fin.sc.fin., 1975, I, pag.582 e ss.; G. Provini, “L’imposta di soggiorno e la riforma tributaria”, in Boll. Trib., 1974, pag.1577.

[3] Si veda in proposito: S. Sergio, “L’Imposta di soggiorno, un volano per il turismo?”, in federalismi.it, 2019, 8 maggio 2019,  secondo cui “la ratio di tale disposizione è quella di consentire ai comuni di finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali. Si tratta quindi di un’imposta il cui gettito è soggetto ad un vincolo di destinazione”.

[4] La predeterminazione di possibili destinazioni  avrebbe potuto prevenire il finanziamento di iniziative di dubbia utilità sociale e attinenza al settore che talune amministrazioni locali hanno disposto, anche esponendosi a possibili conseguenze di natura contabile. Si veda in proposito: Corte dei Conti sezione Regionale di controllo per la Campania, sentenza n.114 del 3 ottobre 2018. Secondo la Magistratura contabile, l’assunzione di personale (stagionale) in un comune da impiegare nei servizi turistici ed in particolare a rafforzamento del servizio di vigilanza urbana a fronte di esigenze connesse al flusso turistico,  non può essere considerata un intervento in materia di turismo.

[5]  A. Uricchio, “Manuale di Diritto Tributario”, Bari, Cacucci, 2020, pag.362.

[6] F. Amatucci, “I tributi di scopo e le politiche tariffarie degli enti locali”, in Rass.trib., 2011, 5, pagg.1270-1271; G. Salinitro, “Prime riflessioni sull’imposta di scopo per il finanziamento di opere pubbliche”, in Riv.dir.trib., 2007, 1, pag.1123. Si veda anche: Corte dei Conti, sez. contr. Puglia 210/2015 e Corte dei Conti Sez. Emilia Romagna, deliberazione n.228/2014/PAR secondo cui “ratio dell’introduzione delle imposte di scopo è da ricercare nella circostanza che, essendo queste ultime basate sulla correlazione “prelievo-beneficio, determinano un miglior livello di accettazione sociale del sacrificio richiesto, essendo direttamente correlate alla specifica attività dell’ente pubblico”.

[7] Corte dei conti, sez. II Appello, sentenza n. 275/2022.

[8] Corte di Cassazione,  sez. VI,  sentenza 21 giugno 2019,  n.27707.

[9] L’art.314, comma 1 c.p., rubricato “Peculato”, prevede che: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi”.

[10] Corte di Cassazione, pen, Sez. VI, sentenza 28 settembre 2020, n.30227.

[11] Corte di Cassazione, pen.,  ordinanza  7 marzo 2024,  n.6187.

[12] Corte di Cassazione, Sezione Unite, sentenza n.1865/2011.

[13] Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte,  sentenza n.631/1 del 27/10/2020.

[14] Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Marche, sentenza n.64 del 25/09/2023.

[15] CGUE Sentenza del 22 marzo 2017, Euro‑Team e Spirá‑Gép (C‑497/15 e C‑498/15, EU:C:2017:229, punti da 39 a 43). V. anche, 9 febbraio 2012, Urbán (C‑210/10, EU:C:2012:64, punti da 53 a 54), e del 19 ottobre 2016, EL‑EM‑2001 (C‑501/14, EU:C:2016:777, punti da 40 a 41).

[16] F. Viganò, “La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale”, Torino, 2021.

[17] Corte Costituzionale, sentenza  n.185 del 2021; Corte Costituzionale, sentenza n.95 del 2022.

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