Dott. Emanuele Mascolo

Vita breve morte certa, del morir l’ora è incerta”.

Così recita una meditazione sui Novissimi che è bene ricordare, ma la recente decisione della Corte Costituzionale e tutto il dibattito che ne è scaturito, fanno prendere coscienza che la morte è certa, si, quanto può essere anche anticipata.

La Corte Costituzionale infatti ha deciso che non è punibile “ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da patologia irreversibile, forme di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.[1]

Le problematiche che sorgono a seguito di questa pronuncia, sono di tipo morale, bioetico, giuridico.

Una tematica che spesso mette in discussione anche i medici, alcuni dei quali, seppur non concordano con l’eutanasia o il suicidio assistito, non potendosi sottrarre in presenza della volontà esplicita del paziente, si ritrovano ad interrogarsi volta per volta sul significato “delle lacrime”, “del silenzio del paziente”.[2]

Naturalmente è sotto gli occhi di tutti che “quello che va bene per un ammalato può non essere adeguato per un altro[3] dovendosi esigere la personalizzazione delle terapie “sui bisogni e i desideri” del singolo paziente e del singolo caso.[4]

Secondo alcuni, la decisione della Corte Costituzionale è stata “la migliore possibile”, poiché risulta “rispettata l’autodeterminazione ma non l’arbitrio del paziente”.[5]

Il punto è che l’autodeterminazione incontra almeno due limiti: il “rispetto dell’altro” e “la natura del bene spesso indisponibile”.[6]

L’eutanasia, generalmente presa in esame, va considerata come “sviluppo materiale, non soltanto logico, del suicidio assistito”, infatti il medico può ritenersi e dichiararsi obiettore di coscienza.[7]

A proposito dell’autodeterminazione del paziente, va osservato che, “rimane integra con riferimento all’an”, senza che nessuno possa essere obbligato a “sottostare a cure salva – vita”.[8]

Il ricorso all’autodeterminazione deve inoltre far riflettere sul fatto che l’ordinamento può chiedere, può suggerire, “ma non può imporre a ciascuno di noi a compiere atti di eroismo”.[9]

Ciò che più stupisce è il presentare il diritto alla morte assistita, come riferito al principio costituzionale del diritto alla vita o, ancora peggio, come diritto alla salute, individuato principalmente nella “libertà di darsi e farsi dare la morte”.[10]

Fanno riflettere e lasciano basite, le parole in commento della decisione della Corte Costituzionale, pronunciate da Marco Cappato: “oggi siamo tutti più liberi, anche chi non è d’accordo”.[11]

Ma, non sarà forse il caso di rimarcare una contraddizione in termini?

Ogni vita umana ha una dignità che non spetta a noi spegnere in nessun modo e per nessuna ragione”, nel rispetto ovviamente del malato e di ogni situazione.[12]

Da quanto esposto deve emergere un’altra considerazione: “nessun medico può arrogarsi il diritto né tanto meno ricevere per Legge il dovere di contribuire attivamente a interrompere il corso di vita” come anche “nessun famigliare, può premere il bottone o azionare la siringa per determinare la morte di un suo caro”.[13]

Infatti, la tanto sbandierata libertà del malato e del paziente, in tali casi è presuntivo e spesso costituisce “manifestazione anticipata di volontà”.[14]

Altra argomentazione possibile sulla tematica, che scaturisce dalla pronuncia della Corte Costituzionale in commento, involge il cosiddetto accanimento terapeutico.

La Corte Costituzionale, infatti, pone il problema dell’obiezione di coscienza del medico, scelta che secondo alcuni è del singolo sanitario, non già “dell’intera categoria, tributaria della propria missione di curare, principio cardine della professione sanitaria”.[15]

Va chiarito che è legittima, rassicurante, pregevole e da sensibilizzare, la possibilità e l’idea per ognuno, di poter scegliere, per tempo, quando condizioni psicologiche, psichiche e mentali lo permettono, le cure da accettare e rifiutare nel caso si necessiti di un trattamento sanitario.

Ciò è possibile tramite il cosiddetto biotestamento, attraverso il quale possono essere previste da ognuno, le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).

Sul punto la Cassazione ha ritenuto che si tratta, in definitiva, di “tutelare l’autonomia e la libertà individuale del paziente[16], pertanto è logico che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato del paziente[17], come per Legge.

In tale contesto, non si può che condividere con la dottrina che riconosce “il diritto del paziente all’abbandono delle terapie”, bandendo “ogni forma di accanimento terapeutico”, garantendo però “la terapia del dolore fino alla sedazione profonda continuata”.[18]

Il testamento biologico è in pratica “un atto scritto con il quale si dispone dei trattamenti sanitari, modalità di sepoltura e assistenza religiosa[19], le cui disposizioni sono valide ex post fino a revoca, anche nel caso in cui il disponente perda la capacità naturale o non sia in grado di esprimerne la volontà.

Sul punto, meritevole di richiami e di osservazioni è la giurisprudenza sviluppatasi nel tempo.

Prima del 2017, anno dell’entrata in vigore della legislazione sul biotestamento, si riteneva idoneo, nel caso di soggetto in cui sopraggiungesse una “totale incapacità[20] la nomina dell’amministratore di sostegno.

La giurisprudenza successiva al 2017, seppur ritiene valido l’istituto dell’amministrazione di sostegno, chiarisce che “il rifiuto delle cure manifestato all’amministratore di sostegno deve potersi qualificare come il riflesso, come la rappresentazione, ancorché mediata, della volontà dell’interessato”.[21]

In giurisprudenza, si è giunti a ritenere addirittura “superfluo l’intervento del legislatore per l’introduzione e la disciplina del c.d. testamento biologico[22], avendo a disposizione l’amministrazione di sostegno per far esprimere la volontà sul fine vita ad un soggetto incapace.

Tutto ciò, evidentemente, sotto il profilo sanitario soprattutto, necessita di un elemento fondamentale: il consenso informato del paziente, un suo “diritto che trova fondamento nella Costituzione[23], ai sensi degli articoli 3, 13, 27, 29, 32 della Costituzione.

Ciò è ancor più importante se si considera obiettivamente e oggettivamente che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso informato della persona interessata”.[24]

Sul punto, la riflessione deve ritornare alla questione dell’autodeterminazione del paziente, che è ormai, “oggetto di uno specifico diritto fondamentale[25] di cui se ne occupa sia la dottrina che la giurisprudenza, ma che secondo alcuni, più che una nozione espressa dalla Costituzione, configura il tentativo di “qualificare alcune scelte e decisioni dell’individuo in modo puntuale[26], dovendo considerare, di conseguenza, non l’autodeterminazione, bensì le “singole scelte[27] da esso compiute e assunte.

Stando alla recente giurisprudenza, va dato atto del fatto che la normativa sul consenso informato, “è priva di efficacia retroattiva e non si applica alle manifestazioni di volontà relative ai trattamenti sanitari espresse in data anteriore all’entrata in vigore della legge[28], che è il 31 gennaio 2018.

Da quanto esposto è lampante che nel caso di trattamenti sanitari che abbiano carattere continuo, questi possono “in ogni tempo essere interrotti” con l’autodeterminazione del paziente, ma nel limite di non poter pretendere che soggetti terzi, adottino “comportamenti[29], che nella forma omissiva o commissiva, “portino in modo diretto, immediato e necessario alla morte del soggetto[30].

La Corte Costituzionale – condividendo il parere di autorevole dottrina sul punto – sembra aver spianato la strada “all’introduzione di una vera e propria forma di eutanasia attiva e non meramente passiva[31], suggerendo al legislatore la disciplina relativa alle “modalità con cui pervenire nel più breve tempo possibile all’exitus”.[32]

Va evidenziato, che tali scelte, relative alla propria vita, da considerare certamente come “possibili scelte libere e consapevoli[33], sono altresì estranee “alla tradizione giuridica europea[34], la quale evidentemente si “dimostra piuttosto incline a valorizzare della dignità la sua dimensione di carattere sociale, comunitario o relazionale[35] cogliendone oggettivamente i tratti “eterodeterminati egualmente validi per tutti[36]

Lo sviluppo giurisprudenziale che si rileva prima della decisione della Corte Costituzionale in commento, se ben osservato e approfondito, distingueva il caso dell’intervento del medico che operava il distacco del macchinario “interponendo un trattamento sanitario salvavita[37], dal caso dell’intervento medico o di terzi, al fine di “agevolare artificialmente l’evento letale[38].

La prima ipotesi ha fondamento costituzionale, non è così pacifico che lo sia la seconda, semplicemente osservando che la stessa tenderebbe a “trasformare l’autonomia individuale nella scelta delle possibili terapie[39], in obblighi per il sanitario “chiamato a porre in essere condotte di tipo commissivo non di carattere terapeutico[40] con l’unico fine di anticipare per via artificiale, la morte del paziente.

Alla stregua di tale distinzione, la Corte Costituzionale reputa necessario, per entrambe le ipotesi su esposte, l’identico trattamento sanitario, “chiudendo gli occhi[41] (cit) sull’oggettiva diversità dei due trattamenti.

Del tutto evidente, nella prima ipotesi, il diritto – dovere di curarsi a qualsiasi costo, mentre nella seconda si consolida un diritto “potestativo a disporre del bene vita[42]

Alla luce delle argomentazioni esposte, chi scrive, senza ombra di dubbio, condivide le perplessità da tempo già sollevate in dottrina, prospettando che non sarà “agevole districarsi tra tassi variabili di sofferenza, possibilità di recupero di funzioni vitali e standard di vita meritevole o no di essere vissuta[43].

Sotto il profilo etico, seppur risulta superfluo evidenziare che il biodiritto e tutte le tematiche ad esso legate, vanno risolte attraverso la laicità, ciò va fatto, invece, aprendo gli occhi su un altro fattore, ormai divenuto europeista e che non si può negare: quello di risolvere ogni scelta etica aggrappandosi “all’autodeterminazione[44], che insieme al principio di “non discriminazione[45], pone la base al “ “sommovimento” che ha investito di recente i diritti della persona”.

Si corre così il rischio, nel nostro ordinamento, di porre in essere scelte che risultino al limite della costituzionalità, poiché rispettose dell’autodeterminazione individuale da un lato, ma irrispettose dei “vincoli indissolubili di solidarietà familiare e sociale[46].

Se proprio si vuole auspicare un intervento legislativo su tali tematiche, che sia corretto e meritevole di apprezzamento, esso deve tener conto delle varie “concezioni sul significato stesso della vita e della morte[47], cercando di far “coesistere, armonizzandole al meglio, regole quanto più possibili comuni alle diverse etiche[48].

In conclusione, dobbiamo porci alcuni interrogativi: a lungo andare, tale cultura finirà forse per puntare al suicidio assistito come strada normale per risolvere e chiudere la vita di una persona affetta da malattie mentali o psicologiche?

O peggio ancora, costituirà la strada per risparmiare soldi e tasse a carico del Servizio Sanitario Nazionale?

[1] Ufficio Stampa della Corte Costituzionale, Roma, 25 settembre 2019.

[2] Goisis A., “Suicidio assistito. In ogni persona malata una dignità che ci riguarda”, in Avvenire.it, 1 ottobre 2019.

[3] Goisis A., op. cit.

[4] Goisis A., op. cit.

[5] Fontana S., “Fine vita, il mondo cattolico si sveglia tra sgomento e urrà”, in La Nuova Bussola Quotidiana, 27 settembre 2019.

[6] Mantovano A., “Fine vita. Tutte le verità e le bugie su eutanasia e suicidio assistito”, in www.tempi.it, 24 settembre 2019.

[7] Fontana S., op. cit.

[8] Ruggeri A., “Fraintendimenti concettuali e l’utilizzo improprio delle tecniche decisorie nel caso di una spinosa, inquietante e ad oggi non conclusa vicenda (A margine di Corte Costituzionale, Ordinanza 207 del 2018), in Consulta online, Fascicolo I, 21 febbraio 2019, pagg. 95 e ss.

[9] Rescigno F., “Brevi riflessioni laiche sul caso Cappato; in Forum di Quaderni Costituzionali, 12 ottobre 2018.

[10] Ruggeri A., op. cit.

[11] Melo G., “Fine vita. La consulta ha deciso: l’aiuto al suicidio non è sempre punibile”, in Il Dubbio, 26 settembre 2019.

[12] Camisasca M., “Fine vita tra fede e ragione. Domande da non eludere per una scelta di dignità”, in Avvenire.it, 4 ottobre 2019.

[13] Camisasca M., op. cit.

[14] Gambino A. M., “Punibilità dell’aiuto al suicidio. La decisione della Corte Costituzionale sul fine vita”, in Giustizia Civile.com, 01 ottobre 2019, pagg. 3 e ss..

[15] Gambino A. M., op. cit.

[16] C. Cass. Civ., n. 23707/2012.

[17] Biarella L., “Dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT): a che punto siamo?”, Ventiquattrore Avvocato, ottobre 2019, n. 10, pagg. 23 e ss..

[18] Biarella L., op. cit.

[19] Mascolo E., “Il DDL sul biotestamento”, in Ratio Legis, Anno 2, n. 2, Primiceri Editore srls. Padova, 2017, pagg. 48 e ss.

[20] Trib. Prato, 8 aprile 2009.

[21] Trib. Pavia, Ordinanza 24 marzo 2018.

[22] Trib. Modena, Decreto 13 maggio 2008.

[23] Mascolo E., op. cit.

[24] Biarella L., op. cit.

[25] Vari F., Piegentili F., “Sull’introduzione dell’eutanasia nell’ordinamento italiano”, Testo predisposto in occasione dell’audizione presso le Commissioni giustizia e Affari sociali della Camera dei deputati sulle proposte di legge C.2 d’iniziativa popolare, C. 1655, Rostan.

[26] Mangiameli A., “Autodeterminazione: diritto di spessore costituzionale?”, in www.forumcostituzionale.it.

[27] Mangiameli A., op. cit.

[28] C. Cass., n. 12998/2019.

[29] Ruggieri A., op. cit.

[30] Chieffi L., “Il diritto all’autodeterminazione terapeutica. Origine ed evoluzione di un valore costituzionale”, Giappichelli, Torino, 2019, pagg. 149 e ss..

[31] Licastro A., “Trattamenti sanitari, diritto all’autodeterminazione ed etiche di fine vita dopo l’ordinanza n. 2017/2018 della Corte Costituzionale”, in www.statoechiese.it, n. 14/2019.

[32] Licastro A., op. cit.

[33] Berlingò S., “Ordine etico e legge civile: complementarietà e distinzione”, in Iustitia1996, pagg. 198 e ss..

[34] Scalisi V., “L’ermeneutica della dignità”, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2018, pagg. 32 e ss.

[35] Scalisi V., op. cit.

[36] Freni F., “Biogiuridica e pluralismo etico – religioso. Questioni di bioetica, codici di comportamento e comitati etici”, Giuffrè, Milano, 2000, pag. 160.

[37] Licastro A., op,cit.

[38] Bartoli R., Ragionevolezza e offensività nel sindacato di costituzionalità dell’aiuto al suicidio, in Dir. Pen Cont., n. 10/2018, pag. 101.

[39] Tripodina D., “Quale morte per “gli immersi in una notte senza fine”? Sulla legittimità costituzionale dell’aiuto al suicidio e sul “diritto a morire per mani di altri””, in BioLaw Journal, Rivista di Biodiritto, n. 3/2018, pagg. 145 – 146.

[40] Tripodina D., op. cit.

[41] Licastro A., op,cit.

[42] Licastro A., op,cit.

[43] Canestrari S., “I tormenti del corpo e le ferite dell’anima: la richiesta dell’assistenza a morire e l’aiuto al suicidio”, in Dir Pen. Cont., 14 marzo 2019, p. 17.

[44] Cartabia M., “I “nuovi” diritti”, in www.olir.it, febbraio 2011, pag.12.

[45] Cardia C., “La famiglia e il diritto”, in Iustitia, n. 3/2014, pagg. 273 e ss.

[46] Barbuto G., “Alcune considerazioni in tema di consenso dell’avente diritto e trattamento medico chirurgico”, in Cass. Pen., 2003, p. 339.

[47] Tripodina C., op. cit.

[48] Tripodina C., op. cit.

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