Consiglio di Stato sezione IV sentenza 24 luglio 2012 n 4214
Manufatti mobili, manufatti leggeri, nuova costruzione, servizio permanente

N. 04214/2012REG.PROV.COLL.
N. 05595/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente sentenza

sul ricorso numero di registro generale 5595 del 2010, proposto da:
****, rappresentato e difeso dall’avv. Donato Pennetta, con domicilio eletto presso Nicola
Petracca in Roma, via Ennio Quirino Visconti, 20;
contro Comune di Mercogliano, rappresentato e difeso dall’avv. Stefano Sorvino, con domicilio
eletto presso Domenico Sabia in Roma, via Fonteiana 65;
nei confronti di ****, rappresentato e difeso dall’avv. Pasquale Marotta, con domicilio eletto
presso Giancarlo Caracuzzo in Roma, via di Villa Pepoli,4;
per la riforma della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – SEZ. STACCATA DI SALERNO:
SEZIONE II n. 05904/2010, resa tra le parti, concernente ingiunzione di rimozione box mobile
adibito a bagno chimico.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Mercogliano e di ****;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 maggio 2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per
le parti gli avvocati Aristide De Vivo in sostituzione di Donato Pennetta e Pasquale Marotta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con il presente gravame l’appellante impugna la sentenza del TAR Salerno con cui:
— è stato dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo diretto all’annullamento dell’ordine di
demolizione assunto dall’amministrazione comunale di Mercogliano sul presupposto del
diverso posizionamento del manufatto rispetto a quanto rappresentato nell’istanza di condono
presentata in data 23.11.2004;
— sono stati respinti i motivi aggiunti relativi al rigetto della predetta istanza, ai sensi dell’art.
32 L. n. 326/03, intesa ad ottenere la sanatoria di alcuni manufatti tra cui: una roulotte
adibita ad ufficio e locale di ricovero; una struttura di metallo con copertura in plastica adibita
ad asciugatura autovetture, un box adibito a bagno chimico realizzati nell’ambito del proprio
autolavaggio.
Il ricorso è affidato alla denuncia di due motivi di gravame concernenti l’errores in giudicando
per violazione dei principi in materia di condono e violazione dell’art. 32 della L. n.326/2003.
Si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Mercogliano che la controinteressata, i quali
hanno contestato le argomentazioni di controparte e concluso per il rigetto.
L’istanza di sospensione cautelare del provvedimento è stata. nelle more, accolta con
ordinanza cautelare n.3611/2010.
Con memoria di replica l’appellante ha confutato le argomentazioni dei resistenti ed insistito
per il rigetto.
All’udienza pubblica di discussione, uditi i difensori delle parti, l’appello è stato ritenuto in
decisione.

DIRITTO
L’appellante contesta la sentenza del TAR con cui è stato respinto il ricorso avverso diniego
dell’intera domanda di condono edilizio, relativa ad una roulotte, un bagno chimico ed un
tendone, sulla scorta di un parere legale, richiamato nel provvedimento in questione, con il
quale si afferma che “le nuove costruzioni non residenziali e le opere abusive realizzate su aree
vincolate dopo l’imposizione del vincolo stesso, non possono essere suscettibili di sanatoria”.
1. Con il primo motivo di gravame si lamenta che erroneamente la sentenza ha escluso la
condonabilità sulla considerazione per cui “al fine di escludere la necessità della concessione
edilizia – ora permesso di costruire –, la precarietà della costruzione va desunta dalla funzione
assolta dal manufatto, non dalla struttura o dalla qualità dei materiali usati, essendo in ogni
caso subordinata al previo titolo abilitativo l’opera destinata a dare un’utilità prolungata nel
tempo (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 28 marzo 2008 n. 1354); non è, dunque, significativo
che il manufatto sia solo aderente al suolo e non anche infisso allo stesso, se alteri tuttavia in
modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, e cioè non si traduca in un uso
oggettivamente preordinato a soddisfare esigenze del tutto contingenti e transitorie. Afferma al contrario l’appellante che, come sarebbe stato affermato dalla giurisprudenza, la
struttura in questione avendo natura precaria e strumentale, non avrebbe richiesto
concessione edilizia e quindi non avrebbe avuto alcuna necessità di ottenere la sanatoria,
richiesta dall’appellante al solo fine di risolvere la situazione.
L’assunto va respinto.
L’art. 3, lett. e.5) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 riconduce, tra l’altro, alla nozione di
“intervento di nuova costruzione” proprio “l’installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
In tale scia interpretativa, la giurisprudenza ha costantemente affermato che, ai fini del
rilascio della concessione edilizia, debba parlarsi di “nuova costruzione” in presenza di opere
che comunque implichino una stabile – ancorché non irreversibile – trasformazione urbanistico-

edilizia del territorio preordinata a soddisfare esigenze non precarie del committente sotto il
profilo funzionale e della destinazione dell’immobile (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 20 giugno
2011 n. 3683; Consiglio Stato, sez. IV, 22 dicembre 2007 n. 6615; Consiglio di Stato, sez. VI, 16
febbraio 2011 n. 986).
Nel caso in esame dunque non vi sono dubbi che, come esattamente affermato dal Tar, le
strutture installate avrebbero dovuto essere qualificate come “intervento di nuova costruzione”
a nulla rilevando che si trattasse di manufatti mobili (come la roulotte) o leggeri (come la
tenda in metallo e plastica o il bagno chimico) data la loro funzione a servizio permanente
all’attività di autolavaggio.
Trattandosi di strutture stabilmente destinate all’esercizio di un’attività dell’appellante,
queste non potevano esser considerate meramente temporanee.
Il motivo è dunque infondato e va respinto.
2. Con il secondo motivo si lamenta che la sentenza erroneamente avrebbe ritenuto non
condonabile le nuove opere perché ritenute “non residenziali”.
L’art. 32 della L. n.326/2003, invece, non avrebbe posto alcuna distinzione tra illecito
residenziale e non residenziale, ed in particolare il comma 27° non avrebbe previsto alcuna
discriminazione al riguardo.
Inoltre il TAR avrebbe ritenuto irrilevante l’interpretazione della Circolare del Ministero delle
Infrastrutture n. 2699/C del 17.12.2005.
Di qui l’erroneità di una decisione che ha avvallato le determinazioni dell’ente che non avrebbe
potuto negare il condono per opere accessorie ad un autolavaggio assentito fin dal 1990.
L’assunto non convince. La normativa (c.d. del “piccolo condono”) di cui al comma 25 dell’art. 32 del d.l. 30 settembre
2003 n.269 (conv. in L. n. 326/2003) riaprì la possibilità di richiedere il condono delle opere
abusive che risultino essere ultimate entro il 31 marzo 2003 limitatamente:
– all’ampliamento di manufatti esistenti non superiore al 30% della volumetria della
costruzione originaria, con il limite dei 750 metri cubi;
– alle “nuove costruzioni residenziali” non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di
titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi
complessivamente i 3.000 metri cubi.
In base alla costruzione letterale stessa della norma, in linea di principio la disciplina del
condono edilizio del 2003, a differenza dei precedenti, non era dunque applicabile
all’istallazione di nuove strutture ad uso diverso da quello residenziale in quanto come
esattamente rilevato nella sentenza impugnata dal TAR “Le tipologie di “abusi minori” come
definite dall’art. 32 comma 25 del d.l. n. 269/2003 conv in l. n. 326/2003 non contemplano
evidentemente, tra le fattispecie di abuso sanabili, le “nuove costruzioni con destinazione non
residenziale”.
Nessun rilievo al contrario può assurgere nella specie la tesi riportata dalla Circolare del
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 7 dicembre 2005, n. 2699, secondo cui sono
condonabili tutte le opere, “ab origine” prive di titolo abilitativo, residenziali e non, in quanto
la natura eccezionale dell’istituto del condono edilizio e la sua incidenza su illeciti
amministrativi, a rilevanza penale, implicano che la tipologia e consistenza delle opere
suscettibili di sanatoria devono essere individuate con rigorosa tassatività dalle singole leggi
istitutive, senza possibilità di integrazioni con le diverse fattispecie previste dalle leggi
precedenti (cfr. Consiglio Stato, A. Plen., 23 aprile 2009 n.4; Cassazione penale, sez. III, 02
dicembre 2010, n. 762; idem, 24 febbraio 2004, n. 15283, ecc. ).
Sotto altro profilo deve poi annotarsi che, come si evince dall’attestazione del responsabile del
servizio versata dalla controinteressata – come esattamente affermato nel provvedimento
impugnato ma non contestato dall’appellante — l’area in parte è classificata come “Zona G1
Verde di rispetto stradale” con divieto di qualsiasi nuova costruzione ed in parte rientra nella
fascia di rispetto dei 150 mt del vallone Acqualaggia sottoposto a vincolo ambientale ai sensi
della lett. c) dell’art.142 del l.lgs. n. 42/2004. A tal proposito si ricorda che il 27° co. d) dell’art.
32 cit., prevedeva che le opere abusive non fossero comunque suscettibili di sanatoria, “qualora
siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e
regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e
paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora
istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo
edilizio e non conformialle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”. In definitiva, nel caso di specie, alle strutture impiantate non era dunque applicabile il
“nuovo” condono edilizio di cui all’art. 32 del d. I. n. 269 del 2003:
– poiché, dovendo qualificarle come “nuove costruzioni” non attenti all’edilizia residenziale,
non potevano essere ricomprese nell’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 32 cit.;
– perché comunque insistevano in un’area per una parte sottoposta a vincoli ambientali
imposti antecedentemente al momento di realizzazione dell’abuso.
In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto e per l’effetto la sentenza impugnata
deve essere integralmente confermata.
Le spese, per evidenti ragioni di equità sociale, possono tuttavia essere compensate tra le
parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:
1. Respinge l’appello, come in epigrafe proposto.
2. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2012 con l’intervento dei
magistrati:
Gaetano Trotta, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 24/07/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lascia un commento

Help-Desk