Archivi categoria: Diritto internazionale e diritto comunitario

L’emergenza e ‘le’ emergenze secondo un recente climate case

L’emergenza e ‘le’ emergenze secondo un recente climate case

di Andrea Giordano, Avvocatura dello Stato

https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/945-emergenza-climatica-e-obblighi-positivi-dello-stato-l-ellisse-della-c-e-d-u-e-le-geometrie-multilivello

Ringraziamo l’avv. Andrea Giordano, nostro relatore nel webinar “I diritti fondamentali nell’epoca dell’emergenza” del 30.4.2020 organizzato insieme al Coa di Roma e il Gruppo 24 ore, per aver citato noi e gli altri illustri relatori nel suo prezioso articolo.

Conferenza sull’Africa all’Università Internazionale della Pace delle Nazioni Unite (UNIPACE)

Convegno sulla Salute, Tecnologia e Robotica Educativa, Sviluppo Economico, Geopolitica e Geodiritto, Cultural Heritage e Sport, per sostenere la popolazione dell’AFRICA

OGANIRU FOR AFRICA

DEVELOPMENT OF THE AFRICAN CONTINENT IN THE LABIRYNTHS

OF EDUCATION AND MIGRATION

THE CONTRIBUTIONS OF THE UN UNIVERSITY FOR PEACE, INTERNATIONAL BIO-RESEACRCH INSTITUE ENUGU NIGERIA,

INTERNATIONAL BIO-RESEARCH UNIVERSITY (IBU SC.) CISTERNA DI LATINA ITALY, POLO ECONOMICO CREATIVO

INTERCULTURALE VELLETRI ITALY AND OTHER ITALIAN AND AFRICAN INSTITUTIONS.

La Signoria Vostra è invitata a partecipare al Convegno denominato Oganiru for

Africa, con Università Internazionale delle Nazioni Unite per la Pace ,

in data 14 Novembre 2018, presso Aula Magna, Via Nomentana, 54 Roma

L’intercultura e la cooperazione tra intelligenze è strumento essenziale per lo sviluppo delle comunità unite. Un

unico popolo che si riconosce nelle diversità. La formazione, la cultura sono strumenti cardine per le

fondamenta del progresso tecnologico e scientifico, trasmesso alle nuove generazioni. Il progetto nato tra il

Polo Economico Creativo Interculturale, la International Bio-Research Institut, la International Bio-Research

University denominato OGANIRU si origina con l’intento dello scambio di conoscenze, formazione e

orientamento per tutti coloro che hanno la volontà di apprendere, conoscere, ricercare nuove modalità

formative e ritornare nel proprio paese di origine contaminati dalla cultura del sapere. Con questo convegno

vogliamo presentare le persone che stanno aderendo alla nostra Mission, promuovere la costruzione di valore,

integrando le proprie conoscenze con la presentazione di progetti e lo sviluppo degli stessi volti al

miglioramento della qualità delle nostre vite. Si è pensato di suddividere il progetto Oganiru per macro aree. Le

quali convergono nel riconoscimento di percorsi di studi tra Università sia Italiane che Nigeriane, scuole

secondarie, primarie e professionisti di ogni settore, in ambito della Salute, Tecnologia e Robotica Educativa,

Sviluppo Economico, Geopolitica e Geodiritto, Cultural Heritage e Sport, per sostenere la popolazione del

continente Africano. Lo scopo del nostro incontro sarà quello di presentare il progetto Oganiru ed accogliere i

vostri contributi per ogni area di appartenenza. Vi invitiamo a presentare un vostro abstract per la massima

ottimizzazione del nostro convegno, con il fine di promuovere le future attività per ogni area di riferimento che

saranno presentate nelle sessioni a seguito della introduzione iniziale durante il convegno.

Il convegno avrà inizio alle ore 15:30 previa registrazione che avverrà dalle ore 14:30 alle 15:00.

A seguire presentazione del progetto Oganiru for Africa e le restanti sessioni per area di riferimento,

il termine sarà previsto per le ore 18:00.

Per aderire ti invitiamo a registrarti tramite questo link

Comitato Organizzativo Polo Economico Creativo Interculturale E-mail: info@pecipoint.it – Tel. 393.64.37.232 – www.pecipoint.it

PROGRAMMA CONVEGNO

OGANIRU FOR AFRICA

Presentazione del progetto Oganiru e la rete come strumento proaativo

Prof. Gianni Cara – Presidente, UNIPACE sede Europa di Roma

Prof. Edmund Ugwu Agbo – Prsidente IBI Ugwogo Nike Enugu,Vice Preside International Bio-

Research University (IBU SC.), Visiting Professor, IBI Ugwogo Nike Enugu

Dr. Alessio D’Andrea – Fondatore Polo Economico Creativo Interculturale P.E.C.I,Vice Preside

International Bio-Research University (IBU SC.), Cisterna di Latina & Visiting Professor, IBI Ugwogo

Nike Enugu, Accademico della Teathine Academy of Sciences inc.

ECONOMIC AND DEVOLOPMENT FOR AFRICA

Lo sviluppo, la ricerca Universitaria , Crescita occupazionale

Prof. Ivano Spano – Segretario Generale, UNIPACE Roma

Prof. Martin Nkafu Nkemnkia Area Internazionale di Ricerca Studi Interdisciplinari per lo Sviluppo

della Cultura Africana

Prof. Edmund Ugwu Agbo – Presidente IBI, Presidente IBU SC

Dr. Emmanuele Di Leo Presidente Steadfa ONLUS, Italia (Co-Direttore NIGERAID, TOGOLAID, SONAID 7

ITALAID)

TECHNOLOGY FOR AFRICA

La tecnologia a supporto dell’essere umano come strumento di cultura integrata

Prof. Ercole Amato – Agricoltura e Biotecnologia Professore e coordinatore Unipace, CREG

Marco Monaci – Formatore di Informatica e Robotica Educativa, Visiting professor, Resp. corsi IBI

Gabriele Tomasi – Skillonline tecnologie digitali soluzioni per le certificazioni informatiche.

Dr. Guido Caramelli – Droni campi di intervento, progettazione e Pilotaggio da Remoto

HEALTH FOR AFRICA

Salute e Tecnologia integrata a supporto dell’essere umano

Prof. Sergio Bellanza – Presidente Accademia delle Arti Erboristiche Centro Studi e Ricerche

Dr. Alessio D’Andrea – Osteopatia e Healt Format Campi di applicazione e formazione in Oganiru

Dr.ssa Isabella Gorini – Presidente Alpinion, Associazione imprenditori sanitari

Dr. Alfonso De Maio – Alpinion Elettromedicali e Formazione

GEOPOLITICS & GEOLAW FOR AFRICA

Introduzione alla geopolitica ed al geodiritto come processo di identità del continente Africa

Prof. Maximilian Caligiuri – responsabile Fisica e Geofisica Quantistica, UNIPACE ROMA

Prof. Martin Nkafu Nkemnkia Direttore, Area Internazionale di Ricerca Studi Interdisciplinari per lo

Sviluppo della Cultura Africana, Pontificia Universita’ Lateranense, Citta’ del Vaticano

Prof. Edmund Ugwu Agbo – Rettore International Bio-Research Institut

Avv. Federica Federici Nuove Frontiere del Diritto

Fr. Dr. Cosmas Areji – Ricercatore

Fr. Dr. Paul Martins Obayi – Okunerere

COMUNICATION FOR AFRICA

L’importanza della Comunicazione e del Giornalismo per la scoperta della vera Africa

Dr. Giampiero Valenza – Responsabile Dipartimento Comunicazione e Giornalismo Ambientale Cesab

Unipace – Presentazione del corso Comunicazione per immigrati.

Dr. Antonio Gasperi Giornalista e Direttore, Frammenti di Pace.

Dr. Antonio Di Pietro – Cyber Security e Responsabilità DPR in Oganiru, Visiting Professor IBI

Dr. Francesco Cariati – Dr.ssa Giusy Ciani – Associazione Sviluppo Europeo

CULTURAL HERITAGE AND SPORT FOR AFRICA

Tangible cultural heritage (patrimonio culturale materiale), intangible cultural heritage (patrimonio

culturale immateriale). Sport professione ed educazione verso un processo di intercultura

Prof. Mauro Rossi – Responsabile Sport e Cultural Heritage in Oganiru, Visiting Professor IBI

Prof. Maurizio Perazzolo – Responsabile Relazioni Esterne UNIPACE ROMA

Dr.ssa Lianka Camerlengo – Co-Responsabile Cultural Heritage, Sistemi GIS in Oganiru

Dr. Alessio D’Andrea – Co-responsabile Sport in Oganiru, Visiting Professor IBI

OGANIRU AFRICA

DEVELOPMENT OF THE AFRICAN CONTINENT IN THE LABIRYNTHS OF

EDUCATION AND MIGRATION

THE CONTRIBUTIONS OF THE UN UNIVERSITY FOR PEACE, INTERNATIONAL BIO-RESEACRCH INSTITUE ENUGU

NIGERIA, INTERNATIONAL BIO-RESEARCH UNIVERSITY (IBU SC.), CISTERNA DI LATINA ITALY AND OTHER ITALIAN

AND AFRICAN INSTITUTIONS, POLO ECONOMICO CREATIVO INTERCULTURALE, VELLETRI ITALY

PROGRAMMA

DATA: 14.11.2018

LUOGO: Universita’ Internazionale per la Pace,

Sede dell’Europa, Roma

Via Nomentana, 54, 00185 Roma

ORARIO: 15.30 – 18.00

Moderatori: Dr.ssa Federica Federici

Presidente Nuove Frontiere de Diritto; Docente e Responsabile delle

Relazioni con Pubblico UNIPACE Roma

Dr. Alessio D’Andrea

Founder Recreative Economic and Intercultural Forum (Polo

Economico Creativo Interculturale P.E.C.I), Vice Preside International

Bio-Research University (IBU SC.), Cisterna di Latina & Visiting

Professor, IBI Ugwogo Nike Enugu, Accademico della Teathine

Academy of Sciences inc.

Dr. Chuks Okorie

President/Founder Comunità Nigeriana associazione volontari Africani

Fr. Dr. Cosmas Areji Ricercatore

15.30 – 15.40 Welcome Speech Prof. Gianni Cara,

President, UNIPACE sede Europa di Roma

15.45 – 16.05 Keynote Address

Prof. Edmund Ugwu Agbo

President, International Bio-Research Institute Ugwogo Nike Enugu

Nigeria & International Bio-Research University, (IBU SC.), Cisterna

di Latina Italy. Head African Geopolitics, Geolaw & Int’l Diplomacy,

UNIPACE.

La nascita della Marian Society in Africa – L’Istituto Mariologico

Nigeriano: le prospettive per lo sviluppo in Africa.

Prof. P. Stefano Cecchin Presidente, Pontificia Academia Mariana

Internationalis (PAMI) Santa Sede

16.05 – 16.35 ECONOMIC AND DEVOLOPMENT FOR AFRICA

Lo sviluppo, la ricerca Universitaria , Crescita occupazionale ed i contributi dell’Istituto

Mariologico Nigeriano

Prof. P. Stefano Cecchin – Presidente, Pontificia Academia Mariana Internationalis

(PAMI) Santa Sede

Prof. Martin Nkafu Nkemnkia – Direttore, Area Internazionale di Ricerca Studi

Interdisciplinari per lo Sviluppo della Cultura Africana, Pontificia Universita’

Lateranense, Citta’ del Vaticano

Prof. Edmund Ugwu Agbo – Presidente IBI e Direttore Dipartmento Geopolitico e

Giodiritto dell’Africa, UNIPACE Roma

Prof. Gianni Cara, – Presidente UNIPACE, Sede dell’Europa Roma

Dr Emmanuele Di Leo – Presidente Steadfast ONLUS, Italia (Co-Direttore NIGERAID,

TOGOLAID, SONAID 7 ITALAID)

Prof. Fr. Nicholas Ejim-Docente Facolta’ di Giurisprudenza, Pontificia Universta’

Lateranense, Citta’ del Vaticano

16.50 – 17. 05 TECHNOLOGY FOR AFRICA

La tecnologia a supporto dell’essere umano come strumento di cultura integrata

Prof. Ercole Amato – Agricoltura e Biotecnologia Professore e coordinatore Unipace,

CREG

Dr. Marco Monaci – Formatore informatico e della Robotica Educativa, Visiting

Professor IBI.

Dr. Gabriele Tomasi – Skill On Line tecnologie digitali responsabile Aule didattiche

Dr. Guido Caramelli – Droni campi di intervento, progettazione e Pilotaggio da Remoto,

Visiting Professor IBI.

17.10 – 17.25 HEALTH FOR AFRICA

Salute e Tecnologia integrata a supporto della salute e della qualità di vita.

Prof. Sergio Bellanza – Presidente Accademia delle Arti Erboristiche Centro Studi e

Ricerche

Prof. Dr. Alessio D’Andrea – Osteopatia for Africa, Health Format, Campi di

applicazione e formazione in Oganiru

Dr.ssa Isabella Gorini – Presidente Alpinion Elettromedicali Associazione Imprenditori

Sanitari

Dr Alfonso De Maio – Alpinion Elettromedicali & Formazione

17.25 – 17.40 GEOPOLITICS & GEOLAW FOR AFRICA

Introduzione alla geopolitica ed al geodiritto come processo di identità del continente

Africa

Prof. Avv. Federica Federici – Presidente Nuove Frontiere del Diritto; Docente e

Responsabile delle Relazioni con Pubblico UNIPACE Roma

Prof. Edmund Ugwu Agbo campi di azione e formazione geopolitica e geodiritto in

oganiru

Fr. Dr. Cosmas Areji – Ricercatore

Fr. Dr. Paul Martins Obayi – Okunerere

17.40 – 17.50 COMUNICATION FOR AFRICA

L’importanza della Comunicazione e del Giornalismo per la scoperta della vera Africa

Prof. Dr. Giampiero Valenza Responsabile Dipartimento Comunicazione e Giornalismo

Ambientale CESAB Unipace

Dr. Antonio Gaspari – Giornalista e Direttore, Frammenti di PACE.

Dr.Francesco Cariati/ Dr.ssa Giusy Ciani – Associazione Sviluppo Europa

Dr. Antoni Di Pietro – Cyber Security e Responsabilità DPR in Oganiru, Visiting

Professor IBI

17.50 – 18.00 CULTURAL HERITAGE AND SPORT FOR AFRICA

Tangible Cultural heritage (patrimonio culturale materiale), intangible cultural heritage

(patrimonio culturale immateriale) Sport professione ed educazione verso un processo

di intercultura.

Prof. Mauro Rossi – Respsonsabile Sport e Cultural Heritage in Oganiru, Visiting

Professor IBI

Dr. Lianka Caerlengo – Co-Responsabile Progettazione e Formazione in Oganiru,

Visiting Professor IBI

Dr. Alessio D’Andrea – Co-responsabile Sport in Oganiru, Visiting Professor IBI

18:00 CONCLUSIONI E RINGRAZIAMENTI

Comitato Organizzativo Polo Economico Creativo Interculturale E-mail: info@pecipoint.it – Tel. 393.64.37.232 – www.pecipoint.it

     

     

     

    Il mandato di arresto europeo con riferimento all’applicabilità nei confronti della madre con prole di età inferiore a tre anni

    A cura di Avvocato Stabilito Giulio La Barbiera

     

    Introduzione

    Il mandato d’arresto europeo (MAE) è una procedura giudiziaria semplificata di consegna ai fini dell’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privativa della libertà.

    Un mandato emesso dalle autorità giudiziarie di uno Stato membro è valido in tutto il territorio dell’Unione europea.

    Il mandato d’arresto europeo è operativo dal 1° gennaio 2004 e ha sostituito le lunghe procedure di estradizione tra gli Stati dell’UE.

    Il meccanismo si basa sul principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed è operativo in tutti gli Stati UE.

    Esso opera mediante contatti diretti tra autorità giudiziarie.

    Quando chiedono il mandato le autorità devono rispettare i diritti procedurali degli indagati o degli imputati – come il diritto ad essere informato, a nominare un avvocato e possibilmente un interprete, come stabilito dalla legge nel paese in cui sono stati arrestati.[1]

    Muovendo da tali premesse normative, va evidenziato che, nel contesto legislativo italiano, “con la legge n. 69 del 22 aprile 2005 il Parlamento ha varato le nuove disposizioni in materia di mandato di arresto europeo e di procedure di consegna tra Stati membri, in attuazione della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio Europeo e che Il provvedimento si applica nel rispetto dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, di libertà e del giusto processo“.

    In conformità a quanto suindicato Il mandato d’arresto europeo viene definito come “una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell’Unione europea, in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro, di una persona, al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà personale“.

    Sul piano prettamente processuale “La competenza a dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo appartiene, nell’ordine, alla Corte di appello nel cui distretto l’imputato o il condannato ha la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui il provvedimento è ricevuto dall’autorità giudiziaria.[2]

     

    Mandato di arresto europeo: gli interventi della Corte Costituzionale con specifico riferimento ai diritti fondamentali della madre con prole di età inferiore a tre anni.

    La Corte costituzionale italiana è stata – in diverse occasioni – chiamata a valutare la conformità ai principi costituzionali della normativa interna di attuazione in tema mandato di arresto europeo, così come la sua conformità rispetto alla matrice comunitaria di origine, e ciò pur senza giungere agli esiti “demolitivi”, anche in ragione del progressivo adattamento interpretativo che la giurisprudenza della Corte di Cassazione è riuscita a garantire evitando di pronunciare decisioni in contrasto con i principi della decisione quadro[3].

    Tra i casi più rilevanti esaminati dalla giurisprudenza, va senza dubbio esaminato quello relativo alla tutela della madre di prole di età inferiore a tre anni.

    In proposito, va evidenziato che: “con riferimento al trattamento riservato alla madre di prole di età inferiore a tre anni, la S.C. ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 705, comma 2, c.p.p., rispetto all’art. 18, lett. s), della legge n. 69/2005, in quanto il mandato di arresto europeo realizza una speciale collaborazione tra Stati tutti appartenenti all’Unione europea, giustificata da una forte affinità socio culturale e giuridica, che trova riscontro in ordinamenti che offrono simili garanzie di natura sostanziale e processuale, fondate su una piena condivisione dei principi di democrazia e di pluralismo.

    E, quindi, “la formale appartenenza all’Unione europea che giustifica il diverso regime (Sez. 6, n. 40612 del 31/10/2006 Sochiu, Rv.2354458).

    È stata, perciò, ritenuta manifestamente infondata “la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma primo, lett. s), d ella L. 22 aprile 2005, n. 69, dedotta con riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 Cost., nella parte in cui il motivo di rifiuto riguardante la consegna esecutiva di un mandato d’arresto europeo emesso nei confronti di una donna “incinta o madre di prole d’età inferiore a tre anni con lei convivente non si applica anche al coniuge a padre di prole minore di tre anni, stante la palese non equiparabilità delle due situazioni che il legislatore ha inteso differenziare in considerazione dell’assoluta peculiarità della tutela del rapporto madre figlio in tenera età (Sez. F, n. 35286, del 2/9/2008 -15/09/2008, Zvenca, Rv. 241002 in senso conforme Sez. 6, n. 11800 del 25/3/2010 in senso conforme Sez. 6, n. 11800 del 25/3/2010-26/3/2010 Meskaoui, Rv.246509).[4]

    Approfondendo la questione in esame, vanno ancora esaminate le conclusioni formulate dalla Corte d’Appello di Milano, Sez. V, 12.1.2011, Pres. Cerqua , Est. Nova.

    Sul punto risulta, esemplificativa e va riportata la nota sviluppata da Salvatore Meloni[5] in data 23 maggio 2011, intitolata: Richiesta di estradizione e tutela del bambino di età  inferiore ai tre anni convivente con la madre:                        alla ricerca di un compromesso possibile.

    Il brillante studioso osserva  che: “La Corte d’appello di Milano, nella sentenza oggetto della presente nota, si occupa di una richiesta di estradizione relativa ad una donna polacca condannata per truffa e lesioni personali gravi; nel caso di specie l’autorità giudiziaria straniera ha richiesto l’estradizione e non il mandato di arresto europeo – nonostante la repubblica di Polonia faccia parte dell’Unione Europea – poiché le condanne oggetto dell’istanza di consegna sono risalenti ad un periodo antecedente all’ingresso della Polonia tra gli Stati membri dell’U.E.

    Esemplificando: a parere dell’illustre studioso “giova ricordare che l’istanza di consegna è stata respinta in quanto la donna all’esito del procedimento giurisdizionale era madre di una bambina d’età inferiore a tre anni con lei convivente.

    A ciò egli aggiunge che: “Il motivo di rigetto della richiesta di estradizione individuato dalla Corte d’appello non rientra né nelle previsioni della Convenzione europea sull’estradizione, né è contemplato tra le ipotesi di rifiuto contenute nel codice di rito, bensì prende le mosse da una interpretazione analogica – stante l’affinità di materia – della legge 22 aprile 2005, n.69 in tema di mandato d’arresto europeo, in particolare della clausola ostativa disciplinata dalla lettera s dell’art.18, che consente di rifiutare l’esecuzione del MAE nel caso in cui la persona che deve essere consegnata allo Stato estero sia  madre di prole di età inferiore ai tre anni con lei convivente, salvo che, “trattandosi di mandato d’arresto europeo emesso nel corso di un procedimento, le esigenze cautelari poste a base del provvedimento restrittivo dell’autorità giudiziaria emittente risultino di eccezionale gravità” .

      In altre parole la clausola ostativa disciplinata dall’art. 18 lett. s tende a scongiurare l’allontanamento della prole dalle attenzioni materne prima del compimento dei tre anni d’età, in modo da evitare che tale separazione possa provocare al bambino gravi lesioni psicofisiche e la clausola in oggetto si riferisce sia al mandato di arresto richiesto in seguito ad una sentenza di condanna da eseguire, che a quello emesso nel corso di un procedimento penale, dato che la stessa lett. s fa riferimento alla gravità delle esigenze cautelari come condizione per poter far cadere l’operatività della stessa clausola ostativa e permettere così la consegna della madre seppur con prole di età inferiore ai tre anni.

    Tale indicazione ha, ovviamente suscitato qualche dubbio in dottrina sull’opportunità stessa di una clausola siffatta, poiché l’eventualità che delle esigenze cautelari di particolare gravità facciano venir meno la possibilità di tutelare un bambino in circostanze di questo tipo porta inevitabilmente a riconsiderare la ratio dell’intera clausola ostativa, posto che forse il problema de quo si potrebbe risolvere ugualmente sospendendo il procedimento giurisdizionale dinanzi alla Corte d’appello“, poiché situazioni simili nel diritto interno “impediscono la limitazione di libertà ma non certo la sottoposizione a processo della persona”.

    Scendendo nel dettaglio, si rileva, dunque che, Il ragionamento operato dai giudici nella sentenza che si annota s’incardina sull’idea che la tutela dell’infante disciplinata dall’art. 18 lett. s sia essenzialmente il riflesso di un principio generale, suscettibile pertanto di estensione analogica anche in materia di estradizione con riferimento alla clausola di rifiuto contenuta nell’art. 18 lett. s per il mandato d’arresto europeo.

      Va, tuttavia, fatto notare che su questo punto la giurisprudenza di legittimità abbia un orientamento “ondivago”, dato che in altre sentenze è stata espressa una posizione diametralmente opposta a quella fatta propria  dalla Corte d’appello nella sentenza che si annota.

    Esemplificando: In quest’ottica la Suprema Corte, considera la clausola ostativa contenuta nella lett. s dell’art. 18 come fondata su una logica di cooperazione giudiziaria speciale, giustificata dal fatto che le norme sul mandato d’arresto europeo riguardano specificamente solo gli Stati dell’U.E. e sono finalizzate a rafforzare il rapporto esistente  tra questi in virtù delle forti relazioni di carattere socio culturale che legano i vari Stati appartenenti all’Unione europea.

    Ne deriva che la diversità tra le due discipline non sarebbe il frutto di una lacuna sistematica della disciplina sull’estradizione contenuta nel codice di rito – da colmare con l’estensione analogica del principio generale contenuto nella lett. s dell’art. 18 MAE – ma scaturirebbe viceversa da una scelta ben precisa fatta dal legislatore, quella cioè  di regolamentare una situazione giuridica – madre di prole con età inferiore ai tre anni – in modo differente per il mandato d’arresto europeo, in conseguenza del differente ambito territoriale di applicazione dell’istituto, visto che, come confermato dalla Corte, l’euromandato “rappresenta un regime speciale di estradizione, caratterizzato da una procedura più agile e snella e attuato sulla base di una decisione quadro, che realizza una collaborazione tra Stati tutti appartenenti all’Unione Europea e in quanto tali aventi una forte affinità giuridica, che trova riscontro in ordinamenti che offrono simili garanzie di natura processuale e sostanziale, fondate su una piena condivisione dei principi di democrazia e di pluralismo” .

    Concludendo: nei casi in cui ci si trovi di fronte ad una richiesta di estradizione di madre di prole di età inferiore ai tre anni, sarebbe auspicabile quantomeno un’indagine conoscitiva da parte dei giudici, volta alla verifica delle condizioni carcerarie garantite dal paese richiedente.

    A parere dell’autore: Così si è pronunciata di recente la Corte di cassazione, che accogliendo una richiesta di estradizione dal Brasile di una donna con una figlia in tenera età con lei convivente, ha affermato che                                              << non costituisce condizione ostativa all’estradizione la circostanza che l’ordinamento dello Stato richiedente preveda per l’esecuzione delle pene detentive forme di tutela a favore della madre di prole infantile non corrispondenti a quelle previste dall’ordinamento italiano, essendo sufficiente che siano previsti meccanismi di tutela comunque funzionali a salvaguardare l’integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e della stessa famiglia >> ”. 

    Esemplificando: La sentenza citata da ultimo – esprimendo la necessità di una valutazione in concreto della situazione oggettiva in cui verrebbe accolta la madre col suo bambino una volta estradata nel paese richiedente – si colloca nel solco tracciato dalla Corte costituzionale in materia di estradizione del minorenne con la pronuncia n.128 del 198sulla legittimità della legge di ratifica del  trattato Italia – Usa del 1973 (non più in vigore).

    La Consulta ha in tal modo, affermato la possibilità di rifiutare l’estradizione del minore, allorché lo Stato richiedente non riconoscesse a quest’ultimo un trattamento giuridico differenziato rispetto a quello previsto per gli adulti.

    In tale specifica occasione, la Corte costituzionale non ha considerato compatibile la Costituzione la tutela garantita al minore, poiché  in caso di estradizione quest’ultimo sarebbe stato giudicato da “organi giudiziari ordinari come se fosse adulto” e trattato in fase di esecuzione della pena “senza alcuna cura speciale prevista appositamente per i minori”.

    Tuttavia è necessario rimarcare come la corrispondenza delle condizioni carcerarie garantite dal nostro Stato agli imputati minorenni – intesa cioè come parametro per poter valutare la legittimità della richiesta di consegna fatta da parte di uno paese straniero – sia prevista anche dalla clausola di rifiuto prevista dalla lett. i  dell’art. 18 MAE, giacché quest’ultima indica la non differenziazione del trattamento in carcere tra minorenni e maggiorenni come un ostacolo alla consegna dell’imputato minore di diciotto anni.

     Al contrario per quanto riguarda l’estradizione, la procedura di consegna di soggetti condannati o processati in paesi diversi dall’Italia – a prescindere dal fatto che siano minorenni o maggiorenni – non viene consentita  dall’art. 705 comma 2 del codice di rito penale  in presenza di condizioni sfavorevoli all’estradando tali da ledere alcuni principi fondamentali riconosciuti dal nostro ordinamento come condizioni coessenziali allo status di condannato o imputato in un processo penale.

    In altre parole “L’articolo de quo tutela l’imputato verso una richiesta di estradizione all’estero per un procedimento penale che non assicuri il rispetto dei diritti fondamentali – per lo meno in relazione agli aspetti di carattere processuale contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici –, e contro l’esecuzione di una sentenza di condanna che contenga disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato.

    Oltre a ciò l’art. 705 comma 2 c.p.p. non permette l’accoglimento dell’estradizione richiesta per reati politici, né la consegna dell’imputato quando questo rischi di subire presso lo Stato richiedente un trattamento discriminatorio o persecutorio legato a motivi di razza, sesso, religione o opinioni politiche, oppure l’esecuzione di una pena crudele, disumana o degradante.

    Non va infine dimenticato che la disciplina contenuta nel codice di procedura penale riveste – così come indicato in senso generale dall’art. 696 c.p.p.– un ruolo integrativo rispetto ad eventuali norme delle convenzioni internazionali stipulate in materia di estradizione  tra l’Italia ed altri Stati o norme di diritto internazionale generale, dato che tutta la disciplina relativa ai rapporti internazionali tra Stati è soggetta alla regolamentazione pattizia

     Alla luce delle considerazioni fatte fin’ora pare condivisibile la definizione data alla lett. s dell’art. 18 MAE dalla Corte d’appello nella sentenza che si annota, la quale considera la clausola ostativa de qua come un’espressione del principio generale di tutela della maternità sancito dall’art. 31 comma 2 della Costituzione; all’opposto suscita qualche perplessità l’estensione analogica al procedimento di estradizione della stessa clausola di rifiuto prevista per il mandato d’arresto europeo.

    Invero,conclude lì’autore, affermando che il fatto che tra i casi di rigetto della richiesta di estradizione disciplinati dall’articolo 705 comma 2 c.p.p. non sia prevista la possibilità di un rifiuto della consegna giustificato dalla necessità di tutelare la madre con prole di età inferiore ai tre anni, dovrebbe essere letta come il frutto di una scelta consapevole, e non come una “mera dimenticanza” da parte del legislatore.  

    Per questo motivo, l’interpretazione indicata dai giudici di Milano come soluzione ermeneutica del caso di specie, non pare l’esegesi più corretta per tutelare il bambino minore di tre anni nel caso in cui venga richiesta l’estradizione della madre; dal momento che il medesimo obiettivo forse poteva essere raggiunto in modo differente, vale a dire con una sentenza di accoglimento della richiesta di estradizione  sottoposta a sospensione dell’esecuzione ossia                           i giudici, preso atto della situazione oggettiva in cui si trovava la madre, avrebbero potuto interrompere l’attuazione della estradizione concessa, fino al superamento del terzo anno di età della figlia, ottenendo così lo stesso risultato della sentenza in oggetto; id est la tutela della bambina fino all’età di tre anni, prevista dalla legge sul mandato d’arresto europeo.

      Va, infine, sottolineato come la stessa considerazione di cui gode lo status genitoriale della madre in situazioni siffatte, dovrebbe essere riconosciuto anche al padre. Invero  nel caso in cui ci fosse un mandato d’arresto europeo o una richiesta di estradizione nei confronti di un padre con bambino di età inferiore ai tre anni, e nella sfortunata ipotesi in cui quest’ultimo rischi di ritrovarsi in uno stato d’abbandono – a causa dell’ impossibilità della madre ad occuparsene, oppure nel caso in cui sia orfano di madre –  sembra corretto asserire come in questi casi la tutela del bambino dovrebbe concretizzarsi anche attraverso il mantenimento di un legame col padre

    Tale possibilità non è, oltretutto, sconosciuta al nostro ordinamento, dato che l’art. 275 comma 4 c.p.p. disciplinando i criteri di scelta delle misure cautelari prevede che la custodia cautelare in carcere  non possa essere disposta – salvo che esistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza – per la donna incinta o la  madre di prole con età inferiore di tre anni, indicando altresì anche il padre come soggetto legittimato a godere della medesima tutela, nel caso in cui la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole.

     Per tali motivi, la clausola ostativa contenuta nella lett. s dell’art.18 sul MAE dovrebbe essere interpretata in senso estensivo– in modo tale da ampliare il più possibile la tutela del minore – con riferimento cioè ad entrambi i genitori, dal momento che un interpretazione strettamente letterale della stessa porterebbe inevitabilmente a non concedere anche al padre un eventuale rifiuto dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo – ovvero dell’estradizione – nel caso in cui fosse l’unico genitore rimasto a potersi occupare della prole con età inferiore ai tre anni.

    [1] Da: Portale europeo della giustizia elettronica – Mandato di arresto europeo

    Sito internet: www.e-justice.europa.eu

    [2]   Da: Leggi e Normativa – Europa – Penale – Mandato d’arresto europeo e procedure di consegna tra Stati membri Legge, 22/04/2005 n° 69, G.U. 29/04/2005 – Aggiornato il 10/05/2005 (Altalex, 22 aprile 2005).

    [3] Da: Le pronunce della Corte costituzionale sul mandato di arresto europeo (par.3 dello (Intervento all’Incontro trilaterale tra la Corte costituzionale italiana e i Tribunali costituzionali di Spagna e Portogallo, 16 novembre 2012, Lisbona) a cura di Giorgio Lattanzi.

     

    [4] Tutela della madre di prole di età inferiore a tre anni –DPC – DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO –CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SERVIZIO PENALE – Rel. N. 28/08/ sexies

    [5] Dottore di ricerca in diritto penale presso l’Università di Trieste dal 2009  – Richiesta di estradizione e tutela del bambino di età  inferiore ai tre anni convivente con la madre: alla ricerca di un compromesso possibile. Nota a Corte d’Appello di Milano, Sez. V, 12.1.2011, Pres. Cerqua, Est. Nova. da dirittopenale contremporaneo.it

    Il principio di parità di trattamento

    UE3Raggruppamento temporaneo di impresa e scioglimento

    A cura dell’avv. Filomena Agnese Chionna

    La Corte di giustizia affronta la questione relativa alla compatibilità con il diritto europeo del subentro di una della società costituenti un originario raggruppamento temporaneo, in caso di scioglimento del raggruppamento stesso per fallimento dell’altra società.

    La questione, circa la compatibilità del principio di parità di trattamento degli operatori economici, di cui alla direttiva 2004/17,ci si chiede se debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un ente aggiudicatore autorizzi un operatore economico, che faceva parte di un raggruppamento di due imprese preselezionate e che avevano presentato la prima offerta in una procedura negoziata di aggiudicazione di un appalto pubblico, a continuare a partecipare in nome proprio a tale procedura in seguito allo scioglimento del raggruppamento di cui trattasi.

    A tal riguardo, va ricordato che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza significano, in particolare, che gli offerenti devono trovarsi su un piano di parità sia al momento in cui preparano le loro offerte sia al momento in cui queste sono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice e costituiscono la base delle norme dell’Unione relative ai procedimenti di aggiudicazione degli appalti pubblici.

    Il principio di parità di trattamento tra gli offerenti, che ha lo scopo di favorire lo sviluppo di una concorrenza sana ed effettiva tra le imprese che partecipano ad un appalto pubblico, impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse opportunità nella formulazione dei termini delle loro offerte e implica quindi che queste siano soggette alle medesime condizioni per tutti i concorrenti

    Un’applicazione restrittiva del principio di parità di trattamento tra offerenti, condurrebbe alla conclusione che solo gli operatori economici così come sono stati preselezionati possono presentare offerte e diventare aggiudicatari.

    Se l’operatore economico continui a partecipare alla procedura negoziata in nome proprio, in seguito allo scioglimento del raggruppamento di cui faceva parte e che era stato preselezionato dall’ente aggiudicatore, non leda il principio della parità di trattamento di tutti gli offerenti.

    A tal riguardo, un ente aggiudicatore non viola tale principio se autorizza uno dei due operatori economici che facevano parte di un raggruppamento di imprese invitato, in quanto tale, da tale ente a presentare offerte, a subentrare a tale raggruppamento in seguito allo scioglimento del medesimo e a partecipare, in nome proprio, alla procedura negoziata di aggiudicazione di un appalto pubblico, purché sia dimostrato, da un lato, che tale operatore economico soddisfa, da solo, i requisiti definiti dall’ente di cui trattasi e, dall’altro, che la continuazione della sua partecipazione alla suddetta procedura non comporta un deterioramento della situazione degli altri offerenti sotto il profilo della concorrenza.

    Tassazione per l’accesso alla giustizia e diritto ad un ricorso effettivo

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    TASSAZIONE PER L’ACCESSO ALLA GIUSTIZIA E DIRITTO AD UN RICORSO EFFETTIVO

    A cura della dott.ssa Filomena Agnese Chionna

    La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affrontato l’importante questione interpretativa della compatibilità della legislazione italiana, in materia di tassazione per l’accesso alla giustizia amministrativa, nell’ambito degli appalti pubblici con l’ordinamento europeo.
    Occorre precisare che, nell’ambito dei processi amministrativi, il regime italiano di tassazione degli atti giudiziari, fondato sul pagamento di un contributo unificato, viene stabilito indipendentemente dal valore della controversia. In materia di appalti pubblici, il contributo è più elevato, sulla base di indici di rilevanza economica del contratto. Ulteriori addizionali sono legate a circostanze specifiche. Il valore della causa corrisponde non al margine di utile che si può trarre dall’esecuzione del contratto, bensì all’importo posto a base d’asta dell’appalto stesso.
    Il contributo unificato è versato non solo all’atto del deposito del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per il ricorso incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove.
    La Corte ritiene che la previsione in esame non contrasti con l’ordinamento dell’Unione, e che la ratio legis tende al “buon funzionamento del sistema”, costituendo “una fonte di finanziamento dell’attività giurisdizionale degli Stati membri” dissuadendo “l’introduzione di domande che siano manifestamente infondate” o meramente dilatorie.
    Tali obiettivi possono giustificare un’applicazione multipla di tributi giudiziari solo se gli oggetti dei ricorsi o dei motivi aggiunti sono effettivamente distinti e costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente. Ove così non fosse, l’obbligo aggiuntivo si porrebbe in contrasto con le garanzie di accessibilità al ricorso.
    In conclusione la corte esprime il seguente principio di diritto:
    L’articolo 1 della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, nonché i principi di equivalenza e di effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi. L’articolo 1 della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che www.ildirittoamministrativo.it 19 tale amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso. Tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.

    Tribunale Permanente dei Popoli su Libero Commercio, violenza, impunità e diritti dei popoli in Messico

    Si conclude la Sessione del Tribunale Permanente dei Popoli su Libero Commercio, violenza, impunità e diritti dei popoli in Messico (2011-2014)

    Dalla Fondazione Lelio Basso riceviamo e pubblichiamo 

    Dal 12 al 15 novembre 2014 il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) si riunirà per concludere la lunga Sessione che dal 2011 si è svolta in Messico, per analizzare le molteplici cause e i responsabili della violenza di cui è vittima la società messicana . La Sessione è stata dedicata in particolare alla relazione tra Libero commercio, violenza, impunità e diritti dei popoli, e si è articolata in dieci udienze preliminari che hanno riguardato settori e gruppi sociali particolarmente colpiti dalla violenza: lavoratori, ambiente, sovranità alimentare, difensori dei diritti umani, libertà di espressione, donne, migranti, movimenti e gruppi politici, istruzione, giovani.

    Sono numerosi i casi di violazione dei diritti umani documentati dall’ampia rete di attori sociali, associazioni, difensori dei diritti umani, esperti che hanno fatto appello al TPP e che hanno contribuito ad evidenziare la crisi umanitaria, politica, sociale e istituzionale che si vive nel paese. Il caso dei giovani studenti della scuola normalista di Ayoztinapa sequestrati (43) e uccisi (3) dalle autorità messicane e dai gruppi criminali che controllano lo Stato di Guerrero è una delle numerose e drammatiche manifestazioni di violenza documentate dal Tribunale, che il 26 settembre 2014, giorno dell’accaduto, stava per concludere l’udienza pre-istruttoria dedicata al tema della guerra sucia e per realizzare, poco dopo, l’udienza dedicata al tema dell’istruzione. È di qualche giorno fa la notizia che i 43 studenti desaparecidos non potranno più ricongiungersi alle loro famiglie.

    La società messicana, sostenuta in questo momento dalla comunità internazionale, è preoccupata per la rete di complicità tra le istituzioni governative e la criminalità organizzata. L’impossibilità di accedere alla giustizia formale e l’impunità dei numerosi crimini fino ad ora documentati rendono l’intervento del Tribunale Permanente dei Popoli necessario non solo per qualificare giuridicamente i casi di violenza accertati fino ad ora, ma anche per fornire raccomandazioni che possano arrestare la spirale di violenza e sensibilizzare le istituzioni messicane e internazionali verso il rispetto effettivo dei diritti umani nel paese.

    La giuria del Tribunale Permanente dei Popoli è composta da numerosi esperti internazionali che avranno il compito di concludere la Sessione facendo luce sulle cause, i meccanismi e le responsabilità dei crimini commessi nel paese, riconoscendo allo stesso tempo gli sforzi e la competenza dei numerosi attori che hanno dato vita a questo lungo processo di indagine. Faranno parte della giuria: Elmar Altvater (Germania), Luciana Castellina (Italia), Graciela Daleo (Argentina), Alda Facio (Costa Rica), Daniel Faierstain (Argentina), Juan Hernámdez Zubizarreta (Spagna), Antoni Pigrau Solé (Spagna), Silvia Rodriguez (Messico), Nello Rossi (Italia), Philippe Texier (Francia), Raul Vera (Messico). Sarà presente il Segretario Generale del Tribunale, Gianni Tognoni.

    La decisione della giuria sarà presentata il giorno 15 novembre 2014 a Città del Messico. La Sentenza sarà disponibile sul sito: http://www.internazionaleleliobasso.it/?p=2655

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    L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO DI DETENZIONE DI STUPEFACENTI

    L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO DI DETENZIONE DI STUPEFACENTI:

    RIFLESSIONI SUL CONSTRUCTIVE POSSESSION STATUNITENSE

    A cura del Dott. Giovanni Catanzaro

     

    Nell’attuale sistema penale italiano l’analisi della condotta e dell’elemento soggettivo del reato di detenzione di stupefacenti non occupa molto tempo agli operatori del settore. E’ opinione comune che l’art. 73 D.p.r. 309/90 presupponga l’elemento soggettivo del dolo generico, il quale deve integrare ogni condotta tassativamente elencata.

    Ciò che rileva è unicamente la connessione oggettiva tra il soggetto e la sostanza.

    Nei sistemi anglosassoni (specialmente negli Stati Uniti), invece, lo studio del coefficiente volitivo e della condotta di reato sono tematiche a cui viene dedicato particolare approfondimento e attenzione in tutte le fasi procedimentali.

    E’ interessante confrontare e analizzare questa diversa metodologia di ragionamento, non solo in termini culturali—comparatistici, ma anche al fine di valutarne eventuali risvolti in termini di utilità applicative e processuali.

     

    Com’è noto, le condotte di reato previste dall’attuale normativa italiana penale in materia di stupefacenti sono molteplici e apparentemente eterogenee (coltivare, produrre, fabbricare, estrarre, raffinare, vendere, offrire o mettere in vendita, cedere, distribuire, commerciare, trasportare, procurare ad altri, inviare, passare o spedire in transito, consegnare, importare, esportare, acquistare, ricevere a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene).

    La Corte di Cassazione ha più volte chiarito come i commi 1 e 1- bis dell’art. 73 del D.p.r. 309/90 costituiscano una norma a più fattispecie tra loro alternative, con la conseguenza, da un lato, della configurabilità del reato allorché il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste e, dall’altro, dell’esclusione del concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative[1].

    Tuttavia, dalla lettura dell’articolo 73 del D.p.r. 309/90 è corretto dover affermare che tutte le condotte alternative elencate, altro non siano che delle precisazioni della mera condotta oggettiva “di detenzione”.

    Di conseguenza, se ogni tipo di condotta prevista ai commi 1 e 1 bis dell’articolo 73 del D.p.r. 309/90 viene sempre e comunque a definirsi in un semplice “avere con sé“, tutti i coltivatori, produttori, venditori, trasportatori ecc. per essere ritenuti tali devono godere implicitamente del potere di disposizione della sostanza stessa, (appunto in virtù di un vincolo oggettivo che è la mera prossimità allo stupefacente); così ragionando, si limita implicitamente l’analisi dell’elemento soggettivo del dolo di detenzione ad una mera presunzione di colpevolezza, che grava sui soggetti materialmente più prossimi alla sostanza.

    Dall’analisi della disciplina statunitense, si evince, all’opposto, come la valutazione dell’elemento soggettivo della volontà di detenere delle sostanze stupefacenti, sia un passaggio imprescindibile per poter giungere ad una pronuncia di assoluzione o condanna dell’imputato.

    La disciplina penale statunitense in materia stupefacenti distingue la condotta e la volontà di detenzione in base a due criteri interpretativi: il primo criterio propriamente volitivo, differenzia l’“actual possession” e il “constructive possession;  il secondo un criterio, invece, di matrice plurisoggettiva suddivide il “sole possession” dal “joint possession”.

    Colui che consapevolmente esercita un controllo materiale e diretto su un bene pone in essere una condotta di “actual possession”(es. impugnare un’arma). Invece, se non viene esercitato l’”actual possession”, ma si ha comunque il potere di disporre liberamente su una cosa si pone in essere il “constructive possession[2]” (ad es. avere dello stupefacente nascosto nell’auto o in casa).

    Se il possessore agisce da solo, vi è una condotta qualificabile nel “sole possession”; se, invece, il possesso concorre con altri soggetti si verifica l’ipotesi di “joint possession”.

    La seconda distinzione riferita al numero dei possessori è facilmente “traducibile” nel linguaggio del nostro sistema penale, con le fattispecie di concorso di persone ex 110 c.p. o all’associazione per delinquere ex art. 74 D.p.r. 309/90, o, eventualmente con il reato di favoreggiamento.

    E’, invece, decisamente più interessante e suggestiva è la differenziazione fra constructive possession e actual possession.

    La distinzione fra actual possession e costructive possession consente di differenziare la condotta di apprensione fisica del possessore, dall’elemento soggettivo, permettendo così di accertare l’effettivo detentore anche se questo si trova distanza dalla stupefacente, o se la sostanza viene controllata per interposta persona.

    La giurisprudenza americana definisce generalmente il “constructive possession” come una fictio iuris utilizzata per accertare il soggetto effettivamente detentore dello stupefacente, ma senza esercitarne materialmente alcuna forma di dominio e/o di controllo[3].

    Vi è “constructive possession” ogniqualvolta il soggetto può liberamente decidere di esercitare l’”actual possesson” sulla cosa, cioè di entrarne effettivamente in contatto fisico[4],[5].

    Nel corso degli anni, le Corti americane hanno cristallizzato i presupposti soggettivi necessari per determinare in quali casi possa ravvisarsi la condotta di “constructive possession” in luogo di quella tipica dell’“actual possession”.

    Per porre in essere una condotta di “constructive possession”, l ‘imputato deve:

    1)    Conoscere il luogo in cui è situato lo stupefacente. La giurisprudenza ha ritenuto provato in sede processuale questo dato anche in un caso in cui l’imputato sia stato visto più volte affacciarsi alla finestra dell’appartamento e guardare in direzione dell’auto in cui si scoprì essere occultata la droga.

    2)    Avere il potere di esercitare un controllo sulla sostanza. Il potere di controllo sulla sostanza è stato ritenuto insussistente in un caso in cui, al momento del rinvenimento dello stupefacente, oltre all’imputato erano presenti altre due persone: infatti, la mera presenza nella zona in cui vi è lo stupefacente non è da sola idonea a sostenere un’imputazione di constructive possession[6].

    3)    Avere l’intenzione di esercitare un controllo sullo stupefacente. Quest’ultimo presupposto crea una maggiore quantità di problemi a livello interpretativo. Infatti, è su questo punto che la casistica si tende a farsi decisamente più eterogenea e svariata. Vengono considerati fattori rilevanti per determinare la volontà possessoria dell’imputato tra gli altri: l’avere avuto contatti con il soggetto trovato in actual possession, l’avere libero accesso alla zona in cui è situato lo stupefacente, avere recentemente utilizzato simili sostanze stupefacenti, ma anche rendere dichiarazioni contrastanti nella fase d’indagine o il contraddirsi all’esame da parte dell’Autorità Giudiziaria, e addirittura (in casi in cui viene contestato il possesso di sostanze particolarmente odorose come marijuana e hashish)  l’essersi adoperato per coprire gli odori che le sostanze emanano[7].

    Solo nel caso in cui il Prosecutor riuscisse a provare alla giuria popolare la sussistenza di ognuno di questi presupposti, l’imputato verrebbe condannato per reato di possesso di stupefacenti attuto mediante una condotta di “constructive possession”.

     

    La conclusione del lavoro non può che soffermarsi ad illustrare quali effetti processuali potrebbe produrre nel nostro sistema metodologico-interpretativo, l’analisi dell’elemento soggettivo del “constructive possession”.

    Come si è ricordato all’inizio dell’elaborato, la normativa italiana non prevede un’analisi così approfondita sull’elemento soggettivo del reato di detenzione di stupefacente come quella statunitense, tuttavia non è raro trovarsi difronte a imputazioni di reato ex art. 73 d.p.r. 309/90, in cui dello stupefacente venga occultato in un appartamento o in un’automobile che sono utilizzati di più persone; sorge allora il problema di identificare l’effettivo possessore della droga: il proprietario dell’automobile o dell’appartamento? L’autista o un soggetto terzo che ha utilizzato l’auto?

    Il criterio della connessione oggettiva, utilizzata dalla normativa italiana, non fornisce risposte precise in merito.

    L’istituto del “constructive possession”, invece, riesce proprio rispondere a questi interrogativi, accertando colui che sia il detentore effettivo dello stupefacente, anche se in un determinato momento non esercita un contatto diretto sulla sostanza stessa; e, d’altra parte, consente di accertare la condotta detentiva in base ad un’analisi dell’elemento soggettivo del “dolo di detenzione”.

    Il metodo statunitense impone all’organo accusatore di provare il dolo del reato, proprio al fine di poter condannare colui che dispone effettivamente della droga (anche se a distanza), ma anche di mandare assolti quei soggetti che vengono a trovarsi nelle immediate prossimità della droga senza però detenerla dolosamente.

    Utilizzando il metodo logico—interpretativo d’oltreoceano, l’interprete riuscirebbe a determinare e a gradare un elemento soggettivo anche per il reato di detenzione di stupefacenti, e quindi di utilizzare una valida e efficiente chiave interpretativa per qualificare



    [1]Cfr. Cass. Sez. IV, sent. 26.06.2008, m anche Cass. Sez. IV, sent. 07.04.2005;

    [2] “Possession may be actual or constructive. A defendant has actual possession of contraband if it is on his or her person, the defendant is aware of its presence, and either alone or with others has the power and intent to control its disposition or use. North Carolina v. Loftis, 185 N.C. App. 190 (2007); North Carolina v. Reid, 151 N.C. App. 420 (2002)”.

    [3] “Constructive possession requires that a person knowingly have ‘the power and the intention at a given time to exercise dominion and control over an object, either directly or through others.’” United States v. Craig, 522 F.2d 29 (6th Cir. 1975)

    [4] “In essence, constructive possession is the ability to reduce an object to actual possession.” United States v. Martinez, 588 F.2d 495 (5th Cir. 1979)

    [5] The defendant’s proximity or lack thereof to the contraband. (evidence was sufficient to establish constructive possession when, among other things, cocaine was found within the defendant’s reach), with State v. Autry, 101 N.C. App. 245 (1991)

    [6] The evidence was insufficient when the defendant was found upstairs in a small hallway or landing in the premises; the drugs were found in an upstairs bedroom, with two other people present and the evidence did not place defendant in same room with the cocaine. However, mere presence at a location where drugs are found does not create an inference of constructive possession. State v. Minor, 290 N.C. 68 (1976)

    “The most the State has shown is that defendant had been in an area where he could have committed the crimes charged. Beyond that we must sail in a sea of conjecture and surmise. This we are not permitted to do.”; State v. Ferguson, N.C. App. , 694 S.E.2d 470 (2010) (mere presence is insufficient);

    [7] In Louisiana v. Tasker, 448 So.2d 1311 (La.App. 1st Cir.1984), the court stated that factors relevant to proving dominion and control were: the defendant’s knowledge that illegal drugs are in the area; the defendant’s relationship with the person found to be in actual possession; the defendant’s access to the area where the drugs were found; the evidence of recent drug use by the defendant, the defendant’s physical proximity to the drugs, any evidence that the particular area was frequented by drug users.