Intervista alla Prof.ssa Laura Volpini – Parte II

Avv. Angela Allegria 

Avv. Federica Federici

Per l’iniziativa #iorestoacasaescrivopernfd pubblichiamo la seconda parte dell’intervista alla Prof.ssa Laura Volpini, Psicologa giuridica e forense, psicoterapeuta, docente presso “La Sapienza” Università di Roma.

La terza ed ultima parte dell’intervista sarà pubblicata venerdì prossimo.

Tutti chiusi in casa, tutti online. Chi per studio o lavoro, chi perché non ha altro da fare è cambiato qualcosa nella socializzazione e saremo cambiati dopo dipendenza psicologica come internauti ed utilizzo della tecnologia?
Questo periodo di quarantena ha fatto emergere il meglio della tecnologia digitale. Ci ha permesso di sopperire, anche se virtualmente, a quell’isolamento sociale a cui saremmo stati destinati, se questa pandemia fosse avvenuta vent’anni fa.
Abbiamo la possibilità di stare in contatto video con i nostri familiari, con i nostri amici. Abbiamo la possibilità di gestire in questo modo riunioni e colloqui da casa.
La stessa televisione sta beneficiando di questa grande opportunità, con gli ospiti televisivi che si collegano  attraverso l’web.
In sostanza, credo che stiamo facendo un uso più funzionale della rete, più mirato, focalizzato, meno frivolo e dispersivo.
Rimane una piccola parte di “haters”, ma mi pare più marginale di prima
Anche gli artisti stanno dando un loro contributo di svago, socializzazione, ma anche impegno sociale, grazie a questi potenti strumenti digitali. Uno fra tutti è Alessandro Gassmann che su Twitter, regala ai suoi followers ogni mattina una “pillola di poesia”, corredata di video amatoriali, degni di un fine regista, raccomandando di “stare a casa”. Anche Fedez e Ferragni, hanno dimostrato un senso di civile responsabilità, mettendo al servizio della comunità il loro potere di found rising, grazie alla loro visibilità “social”, a cui si sono aggiunti altri artisti come Gabbani.
Non ultimo, attraverso la rete si è scatenata una gara di solidarietà senza precedenti nel nostro Paese. I grossi gruppi commerciali, i brend, le banche e milioni di cittadini, hanno cominciato a donare risorse per sostenere i nostri ospedali e il nostro Sistema Sanitario.
Difronte a questa tragica situazione, abbiamo dimostrato che può esiste il “primato dell’essere umano”, sul “profitto”. Questo non dovremo dimenticarlo neanche in futuro.
Credo poi che stiamo diventando internauti più consapevoli. Siamo molto più attenti alle “fake news”, perché il tema del contagio ci interessa da vicino. Prendiamo con più cautela le notizie, o almeno stiamo imparando a farlo. Osserviamo la fonte, vediamo l’autore del pezzo. Confrontiamo la stessa notizia, con più fonti.
Mi auguro poi, che appena potremo incontrarci e vederci da vicino, almeno per un certo periodo, gli scambi social, passeranno in  secondo piano.
Credo che tutti noi, non vediamo l’ora di poterci reimmergere nella nostra socialità.

L’Italia, ma accade anche nello stesso individuo, sembra divisa ed alterna l’esorcizzazione della drammatica situazione con catene, frasi, slogan e riti spiritosi e il costante attaccamento alla ricerca ed ascolto di numeri, bollettini, informazioni scientifiche. Cosa sta succedendo in noi?
Questa alternanza è un modo per fronteggiare questo drammatico presente.
Abbiamo dimostrato una forte coesione sociale, ci siamo adeguati in larga maggioranza alle ristrettezze dei decreti, abbiamo espresso vicinanza e gratitudine a tutto il personale in prima linea; medici, infermieri, ausiliari, che non sapremo mai ripagare abbastanza per quello che stanno facendo.
Ci siamo incollati al video per capire i “numeri”, ovvero per comprendere fino a che punto fosse grave  il pericolo.
Ci stiamo rendendo conto che questo virus sta spazzando via un’intera generazione di anziani, che poi sono la nostra memoria storica. Il virus colpisce però un po’ tutti, a volte anche i giovani.
Abbiamo capito che la medicina sta facendo una corsa contro il tempo per trovare un vaccino e i rimedi farmacologici.
Ci hanno detto che questo virus è sconosciuto alla scienza. Questo ci ha fatto sentire certamente disarmati, e più  fragili.
La lezione più importante che dovremmo trarre ce l’ha indicata Papa Francesco: non potevamo pensare che nel pianeta ammalto, l’uomo non si ammalasse.
Il virus, come ci stanno dicendo i virologi, dalla giungla è arrivato in città, e questo grazie alla desertificazione, all’inquinamento e a degrado sociale, che in Cina ha visto grossi mercati di animali vivi, tra cui i pipistrelli, venduti per uso domestico.
Credo che nel mondo che verrà, non potremmo più mettere in secondo piano la salute del pianeta.
Le agende politiche che in questi mesi si sono riorganizzate sull’emergenza sanitaria, mettendo da parte, salvo qualche eccezione, demagogie e strumentalismi, domani dovranno pensare di mettere in agenda il benessere ambientale, coordinandolo con le politiche economiche e sociali.

Ci sono persone che accusano mancanza di interesse, apatia, insonnia, pessimismo, tendenza a reagire in modo eccessivo, tesso, rischiamo di diventare una società di depressi, di ipercondriaci, di diffidenti, di haters, di intolleranti o di empatici, aperti e più umani?
Resistere per diverse settimane in casa è una dura prova, in cui i soggetti con più vulnerabilità, psicologiche e sociali, possono risentirne molto. Consiglio sempre, per chi trovasse insostenibile questa attuale condizione, di rivolgersi ad uno dei tanti colleghi che stanno offrendo la disponibilità di colloqui gratuiti via video, per farsi ascoltare e sostenere in questo periodo.
Più il tempo della quarantena si prolungherà e più questa esperienza segnerà la nostra mente.
E’ possibile che tenderemo un po’ tutti ad essere centrati sul rischio del contagio, quindi più cauti verso il prossimo, forse più comprensivi ed empatici, sapendo che siamo tutti “collegati”. Questo virus ci impone di comprendere che non esiste un Io senza un Tu e senza un Noi, che il Mio destino, dipende dal Tuo comportamento e che il Nostro comportamento può fare la differenza in questa situazione, ma anche in tutte le situazioni sociali che ci riguarderanno in futuro.

Il rapporto col proprio corpo e lo stato di salute; tra paure, incertezze, autovalutazioni, coinvolgimento di conoscenti e familiari, cosa può succedere nelle persone?
Certamente siamo un po’ tutti spaventati, terrorizzati, per noi e per le persone che amiamo. Siamo tutti più attenti a come ci sentiamo, ad una piccola variazione che percepiamo nel nostro corpo. Credo che tutto questo sia sano.  Il monitoraggio del proprio stato fisico ci aiuta a capire se c’è qualcosa che non va, per chiedere aiuto.
La paura ci aiuta a non uscire di casa, a rispettare le regole. Il terrore invece diventa un’emozione che blocca i ragionamenti e il senso di realtà. In questo senso dobbiamo tenerlo a bada, per esempio guardando non più di due TG al giorno, ed evitando di farci invadere da notizie sul virus troppo a lungo.

Le preoccupazioni circa il contagio per sé e per gli altri sono realmente percepite o si è creata una suggestione?
Le preoccupazioni sono reali. Abbiamo capito dagli scienziati e da tutto quello che sta succedendo nel mondo, che il contagio è facilissimo. Questo non deve diventare fobia del prossimo, ma deve essere una chiara consapevolezza che guida i nostri comportamenti, almeno fino a quando non avremo una cura e un vaccino.

Le indicazioni igienico sanitarie ufficiali e il passaparola, rischiano di alimentare fobie ed ossessioni? In che modo e come si potrebbero gestire?
Le indicazioni vanno applicate alla nostra vita quotidiana e alla realtà che ciascuno vive. In questa fase meglio essere un po’ “ossessivi”, piuttosto che pensare che le indicazioni siano eccessive. Mi riferisco ovviamente  a quelle istituzionali.
Utile invece fare una certa selezione di tutti i consigli fai da te che emergono in rete, sui possibili rimedi per potenziare le difese immunitarie e via dicendo. 

Si ha realmente paura della morte e del futuro o si sta vivendo una sorta di grande fratello mondiale?
Il rapporto con la morte è un aspetto sociale, ma anche strettamente individuale.
Mi hanno colpito due testimonianze in questi giorni, di due donne. Una suora che si occupa degli ospiti di una casa di cura, che ha affermato, che nonostante le scarse protezioni personali ed il rischio che corre; la cura di quelle persone è per lei una missione. “Non ho paura della morte” ha dichiarato. Cosi come una signora Belga di 90 anni, che ha rifiutato il respiratore, dicendo ai medici di darlo a qualcuno più giovane di lei, affermando: “ho avuto una bella vita” e congedandosi con una lucida, spaventevole ed esemplare serenità.
Che dire poi dei medici in prima linea, di tutto il personale sanitario che sta a contatto con i malati. Credo che ognuno di loro, consapevolmente o meno, faccia tutti i giorni i conti con la morte, senza farsi dissuadere dal loro lavoro. E’ questo che li rende davvero eroici.

C’è qualche esperienza storica che può essere assimilata a questa in termini di ricaduta psicologica e percezione dell’evento catastrofico?
Mi viene a mente la minaccia terroristica che ci ha colpiti a partire dell’11 settembre 2001, fino ai giorni nostri.
Abbiamo viaggiato di meno, abbiamo cercato di evitare luoghi affollati, abbiamo evitato alcune città bersaglio. Insomma l’evitamento direi che può essere una forma di ricaduta psicologica. La tendenza a mettersi meno in gioco con gli altri e o facendolo a distanza di sicurezza.

 

Per leggere la prima parte dell’intervista:

https://www.nuovefrontierediritto.it/per-iorestoacasaescrivopernfd-a-tu-per-tu-con-la-prof-ssa-laura-volpini-sulle-ricadute-psicologiche-da-emergenza-covid-19/

 

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