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La tutela della disconnessione. Fonti, limiti e prospettive

Massimiliano Cuomo*

Il contributo affronta il tema largamente dibattuto negli ultimi anni sugli strumenti atti all’attuazione del diritto del lavoratore alla disconnessione digitale. A che punto e’ il nostro ordinamento e quello europeo e come il diritto alla disconnessione associato allo smartworking puo rivelarsi un opportunita’ da sfruttare per rivitalizzare il ripopolamento dei piccoli centri urbani. L’oggetto del contenuto e’il voler inquadrare un argomento di pregnante fornendo una visione che parte dalle fonti europee per indagare i tempi e i modi di recepimento delle stesse da parte nel nostro ordinamento ,coniugandole con le rinnovate spinte al welfare sociale ed aziendale.The contribution addresses the widely debated topic in recent years on the tools for implementing the worker’s right to digital disconnection. At what point is our legal system and the European one and how the right to disconnect associated with smartworking can prove to be an opportunity to be exploited to revitalize the repopulation of small urban centres. The object of the content is the desire to frame a pregnant topic by providing a vision that starts from European sources to investigate the times and ways of transposing them into our legal system, combining them with the renewed thrusts towards social and corporate welfare.Il diritto alla disconnessione digitale in Italia si regge ancora su un insufficiente substrato normativo, che dà peraltro luogo a sacche di profili di disparità di trattamento, atteso che , diversamente da alcuni altri Paesi europei che hanno in forma indipendente normato in maniera certamente più omogenea ed esaustiva di noi, non solo questo non viene espressamente qualificato quale diritto, e dunque eziologicamente nemmeno dovere, laddove si tratta di una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che come da definizione necessita quale requisito sostanziale la presenza di strumenti tecnologici, quand’anche il dibattito e la dottrina si infittiscono di continui inediti contributi anche a smentita. Rappresenta senz’altro oggi un interesse collettivo meritevole di attenzione dati i costanti progressi economici, sociali e tecnologici costituendone la corretta formulazione negli usi, sicuramente un’importante opportunità per le relazioni industriali nell’ intercettare nuovi bisogni individuali coniugandoli con la produttivita’ e con buona pace delle relazioni sindacali.Ad oggi, il nostro ordinamento contempla ancora come unica forma di disconnessione la disciplina del “lavoro agile” di cui alla l. n. 81/2017, senza alcun riferimento ad altre fattispecie o più in generale allo status del lavoratore subordinato tout court. Si precisa che tale istituto viene previsto sia per il settore privato sia per quello pubblico, giacché, anche se aventi genesi di regolamentazione in materia di lavoro agile tra loro diverse, in forza del richiamo integrale dell’art. 19 della l. n. 81/2017 all’interno della Direttiva 1° giungo del 2017, quest’ultimo risulta direttamente applicabile alla pubblica amministrazione1Sulla medesima linea di applicabilità della disconnessione alla sola fattispecie di lavoro agile, così come di rinvio delle modalità di esercizio della stessa alla sola autonomia individuale, si è posizionato anche il legislatore della fase emergenziale da SARS-CoV-2, in occasione della conversione in legge del 6 maggio 2021 n. 61, del d.l. del 13 marzo 2021 n. 30 (2). Tuttavia, tale disposizione offre il primo riconoscimento normativo italiano della disconnessione in qualità di diritto, qualificazione che sino ad allora solo la contrattazione collettiva aveva avanzato. Tale riconoscimento, non privo di dubbi interpretativi, arriva non a caso alla luce dei più recenti interventi a livello di Unione Europea in tema di diritto alla disconnessione sia dalle parti sociali e sia dal Parlamento Europeo, rispettivamente, con l’Accordo quadro sulla Digitalizzazione del 22 giugno 2020 e con la Risoluzione sul diritto alla disconnessione del 21 gennaio 2021, quest’ultima contestuale a una proposta di direttiva europea in tema rivolta «a tutti i settori, sia pubblici che privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro».4 Si precisa sin da ora che in entrambi gli interventi viene assoggettato un ruolo significativo alla contrattazione collettiva sia nazionale che decentrata, diversamente dall’intervento postumo del legislatore emergenziale italiano. Tuttavia in un’ottica complessiva si ritiene ragionevole dover considerare il carattere emergenziale di quest’ultimo, soprattutto in vista della più recente presentazione del disegno di legge, avente un contenuto maggiormente soppesato, evoluto e senza dubbio collimato alle prese di posizione europee.5Infatti sebbene il legislatore riguardo alla regolamentazione della disconnessione abbia finito per prevedere stante anche le cause emergenziali una certa autonomia resa in luogo della contrattazione collettiva, riconoscendo che e’ fondamentale che la stessa si appropri di questo ruolo, andando a “riempire di contenuto” una norma, quella del 2017, priva di valore precettivo, e segnando la via per un futuro riconoscimento normativo di un vero e proprio diritto alla disconnessione per legem, non solo per gli smart worker e gli “agili”, ma per tutti i lavoratori, in linea con quanto gia’ cogente in Paesi come la Francia o la Spagna. Il legislatore potrebbe infatti intervenire su quanto finora disciplinato in autonomia dalle contrattazioni collettive, in modo da garantire una tutela più ampia e generale, pur lasciando comunque alle relazioni sindacali di prossimita’ spazi di modulazione della disciplina rispetto al caso specifico. Tuttavia ad oggi l’assenza sul punto di una cornice normativa più pregnante, in luogo di essere colta quale opportunità dalle parti sociali, ha spesso generato nelle ipotesi di contrattazione collettiva solo mere dichiarazioni di intenti, non in grado di conferire effettività alla tutela della disconnessione e di segnarne più concretamente il percorso di affermazione qualendiritto fondamentale.6Pacifico che l’esigenza di una sistematica normativa su tale argomento prende definitivo abbrivio con il periodo pandemico e postpandemico, gia dal 2018 il Parlamento europeo, mosso dalla convinzione che la transizione digitale deve essere guidata dal rispetto dei diritti umani, nonché dei diritti e dei valori fondamentali dell’Unione, invitava Commissione a presentare un proposta di direttiva in tema di “diritto alla disconnessione”7 dagli strumenti digitali, comprese le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC) a scopi lavorativi, (atteso che non esiste, allo stato, una normativa specifica dell’UE ed inoltre la legislazione carenziale in materia varia fra gli Stati membri). Tale proposta di Direttiva articolata su piu punti, invita dunque la Commissione a licenziare una legge su norme e condizioni minime per garantire che i lavoratori possano esercitare efficacemente il loro diritto alla disconnessione e per disciplinare l’uso degli strumenti digitali esistenti e nuovi a scopi lavorativi, prendendo al contempo in considerazione l’accordo quadro delle parti sociali europee sulla digitalizzazione, che include disposizioni sulla connessione e sulla disconnessione; rammenta che l’accordo quadro prevede che le parti sociali adottino misure di attuazione entro i prossimi tre anni e che una proposta legislativa prima della fine del periodo di attuazione significherebbe non tenere conto del ruolo delle parti sociali previsto dal TFUE; insiste che qualsiasi iniziativa legislativa rispetti l’autonomia delle parti sociali a livello nazionale, i contratti collettivi nazionali, i modelli dei mercati del lavoro nazionali e non pregiudichi il diritto di negoziare, concludere e mettere in atto accordi collettivi conformemente al diritto e alla prassi nazionali; pone al vertice l’importanza e il rango preminente dei CCNL sia pubblici che privati cosi come, le misure di sensibilizzazione e formazione devono interessare tanto le modalità pratiche di disconnessione quanto i rischi per la salute, da intendersi come effettiva acquisizione da parte del lavoratore della consapevolezza di un uso più responsabile e razionale della strumentazione digitale, la quale deve necessariamente comportare la conoscenza del ventaglio dei rischi afferenti alla sfera privata e personale che da essa possono derivare. Ad una osservazione complessiva degli elementi che compongono il dettato della proposta di Direttiva è possibile cogliere una particolare impronta pragmatica, nell’obiettivo di mettere a disposizione degli Stati membri gli strumenti chiave atti a rendere concretamente effettiva e democratica la regolamentazione di un istituto, quale il diritto alla disconnessione, che nel tessuto europeo risulta ancora disomogeneo e frammentario da iniziative volontaristiche di natura normativa e/o contrattualistica nazionale.D’altronde la normogenesi e’ rinvenibile già come substrato normativo in tutta una serie di disposizioni preesistenti nell’ordinamento europeo. Valga richiamare, al riguardo, l’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ai sensi del quale ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro che ne rispettino la salute, privacy, sicurezza e dignità, così come ad una limitazione dell’orario massimo di lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e ad un congedo retribuito, l’art. 7 della Carta che tutela il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare al pari dell’art. 8, par. 1, della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in virtù del quale, tra l’altro, “ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano”, quale clausola utilizzata nelle varie giurisdizioni nazionali per tutelare la vita privata dei lavoratori nei contesti lavorativi. In un contesto più ampio, degno di nota è, altresì, l’art. 24 della Dichiarazione universale dei diritti umani, il quale come risaputo sancisce che ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione dell’orario di lavoro e ferie periodiche retribuite. Con riguardo poi alle fonti di diritto derivato dell’UE, vengono in rilievo una serie di atti, alcuni dei quali adottati in conformità al cd. pilastro europeo dei diritti sociali: ancora, la direttiva 2003/88/CE, che prevede prescrizioni minime di sicurezza e sanitarie in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, anche in relazione al numero massimo di ore di lavoro consentito e ai periodi minimi di riposo da rispettare, nonché al diritto alle ferie annuali retribuite; la direttiva (UE) 2019/1152; la direttiva (UE) 2019/1158 nonché la direttiva 89/391/CEE del Consiglio sulla sicurezza e la salute dei lavoratori. Non mi attardero ad analizzare il diritto alla disconnessione per motivi di privacy e di salute e sicurezzain un quadro in cui viene garantita al lavoratore quell’«esistenza libera e dignitosa» di cui all’art. 36, co. 1, Cost.9 Ma e’ importante sapere che la ratio del diritto alla disconnessione per gran parte della dottrina e’ un diritto autonomo dostinto dal diritto al riposo poiché i tempi di disconnessione possono, ma non necessariamente devono, corrispondere ai tempi di riposo minimo. Infatti, i primi possono risultare più estesi e protettivi dei secondi, in quanto si ritiene opportuno identificarli con i tempi di non lavoro, ossia quelli esterni all’orario di lavoro o esterni ad eventuali fasce di contattabilità pattuite, le quali possono essere più estese dell’orario di lavoro effettivo.10 Dunque, in quest’ottica più ampia, è bene chiarire che e’possibile accogliere un’inversione di concetto, per cui sono i tempi di disconnessione ad incorporare i tempi di riposo minimo, e non viceversa, risultando il diritto de quo strumentale alla tutela del riposo, ma non solo.Se le nuove tecnologie, infatti, rappresentano un fattore di progresso e svolgono un ruolo di indubbio rilievo nel plasmare il luogo di lavoro del futuro ed assicurare efficienza lavorativa, al contempo e’ pacifico constatare che, un uso “improprio”delle stesse può tradursi in una regressione dei rapporti produttivi, nella misura in cui incide negativamente ed in maniera sproporzionata sulla vita privata del lavoratore e, più in generale, sul suo diritto alla propria autodeterminazione. Il ricorso intensivo agli strumenti digitali non può, dunque, rappresentare l’occasione per un “controllo” sistematico, pervasivo ed ubiquitario sul lavoratore, influendo, come evidenziato da piu’ parti, sull’equilibrio tra vita professionale e personale, salute fisica e mentale, ma deve avvenire nel pieno rispetto dei diritti fondamentali , cosi come auspicato dalla dottrina.11 Occorre, pertanto, rispettare in maniera efficace i confini tra “orario di lavoro”, in cui il lavoratore deve essere disponibile o raggiungibile per il datore di lavoro, e “orario non lavorativo”, in cui il dipendente non ha nessun obbligo di restare a sua disposizione. A tal uopo, dunque, il diritto alla disconnessione, quale diritto fondamentale, di nuova generazione, prospettato in ambito UE, intende mirare al “riequilibro” tra lavoro e vita del lavoratore disconnesso proprio in un ottica di una migliore e non gia’ maggiore produttivita’. Ed è, in particolare, proprio nell’ottica del “work life balance” che il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a delineare il quadro legislativo esaminato, ovvero i requisiti oggettivi tali da permettere l’utilizzo di strumenti digitali a scopi lavorativi e, al contempo, di garantire l’esercizio del diritto alla disconnessione, con un’attenzione particolare ai rischi connessi al disattendi mento di tali principi. D’altronde l’aumento della connettività sul luogo di lavoro, imputabile in particolare all’emergenza pandemica da Covid-19, ha reso ancora più pressante la necessità di garantire la disconnessione ai lavoratori da remoto; al riguardo, emerge l’indiscussa rilevanza del tentativo di introdurre una disciplina armonizzata per gli Stati UE, sì da garantire un equo trattamento di base per tutti lavoratori a prescindere dalle diversità ordina mentali, atteso che nell’ambito del territorio dell’ Unione si ci muova e si interagisca ampiamente nell’ ottica dell’unicum.Tuttavia la positivizzazione di un diritto alla disconnessione si rende necessaria per salvaguardare, inter alia, il diritto al riposo in ragione del fatto che, nel lavoro da remoto, sia troppo labile il concetto stesso di separazione tra momento del lavoro e quello del tempo libero.Valga qui richiamare a titolo esemplificativo la nozione, nell’ordinamento italiano, di smart working di cui all’art. 18/2017 della legge sul lavoro agile, inteso quale “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato (…) senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. Ivi l’assenza di vincoli orari genera il rischio di quella “confusione” tra sfera privata e sfera lavorativa che impone di “separare” e “mettere ordine” tra l’una e l’altra. Del resto, la legge 81/2017 presenta una serie di limiti tali da non consentire la configurazione di un adeguato diritto sostanziale alla disconnessione da riconoscersi in maniera generalizzata, affidato com’è alla contrattazione individuale. Da qui la rilevanza del diritto alla disconnessione prospettato dal legislatore dell’Unione, da intendersi quale diritto finito, autonomo, con dignità propria, che legittima una precipua disciplina, che intende assurgere, altresì, a misura preventiva a tutela della “salute” e al rispetto dell’individuo. Chiaro e’ che il diritto alla salute e’inteso nella sua più ampia accezione di benessere fisico, mentale e sociale della persona, contro i rischi di overworking e di violazione dei tempi di riposo.Ma classificarlo come “diritto al riposo” o “diritto al rispetto dell’orario lavorativo”risulta essere in qualche modo riduttivo12 ma come sottolineato, investe molteplici aspetti della persona nella sua totalità – come d’altronde è emerso anche dalle disposizioni costituzionali e della Carta dei diritti fondamentali dell’UE rilevanti in materia – e tutela non soltanto il diritto di non essere connesso al di fuori dell’orario di lavoro”, ma anche il “diritto di scegliere cosa fare del proprio tempo”, compreso restare “connesso” per le motivazioni più disparate.13Nella Relazione introduttiva del “Protocollo nazionale sul lavoro agile” del 7 dicembre 2021, il Gruppo di studio “Lavoro Agile” pone evidenza del fatto che nel panorama contrattualistico italiano la disconnessione rappresenti un tema ancora dalle linee contenute e/o sfumate, atteso cheche su oltre duecento contratti collettivi aziendali analizzati, solo una ottantina menziona esplicitamente la disconnessione14 Degno senz’ altro di notazione nel panorama normativo italiano tra l’altro con profili predittivi rispetto alla data di approvazione della l. n. 81/2017, è il decreto del 7 aprile 2017 emesso dal Direttore Generale dell’Università degli Studi dell’Insubria, il cui contenuto, a differenza dell’art. 19 co. 1, qualifica espressamente la disconnessione quale diritto del lavoratore dettando tempi e modalita’ ben definite per esercitarne gli usi.15Salvo questo primo slancio innovativo ante l. n. 81/2017, a seguito dell’approvazione della stessa, si può osservare l’inizio di una fase più “conoscitiva” che “riempitiva”, nella quale la contrattazione collettiva si è limitata sostanzialmente ad un approccio declaratorio16 della disconnessione, talvolta menzionata in qualità di diritto. È possibile riscontrare tale fenomeno soprattutto nei contratti collettivi aziendali, i quali ne hanno affibbiato diverse profondità attraverso previsioni più o meno articolate, ma pur sempre meramente dichiarative. Infatti, proprio in questa fase attuale è possibile assistere ad un forte fermento negli ambienti delle parti sociali, facendo registrare un significativo trend di crescita delle discipline collettive che si interessano all’istituto in esame, a livello contrattualistico sia aziendale che settoriale17, pur rimanendo prevalente un approccio ricognitivo e specificativo18 Orientamento che viene accolto anche dalle istituzioni che hanno adottato delle linee guida sia per il settore privato sia per quello pubblico, con l’obiettivo di incentivare la contrattazione a regolare una corretta applicazione della fattispecie di lavoro agile ma che tuttavia, sul tema in esame, si limitano in sostanza a ricalcare le disposizioni dell’art. 19 co. 1 della l. n. 81/2017, mantenendo quindi un approccio generico che fornisce una rete di regolazione “a maglie larghe”19. Dove, il tentativo della contrattazione collettiva di riempire il “vuoto” normativo in merito alla disconnessione si è basato e tuttora si basa essenzialmente su processi volontaristici e di carattere normativo non vincolante laddove l’attuale base volontaristica rischia di andare a creare una spaccatura “sociale” per cui la regolazione della disconnessione venga prevista dalla contrattazione collettiva per taluni settori e non per altri; da ultimo, sulla base delle esperienze fin qui commentate, è possibile avanzare l’ipotesi che, nel perdurare dell’assenza di un adeguato intervento normativo in grado di vincolare la contrattazione collettiva ad una base uniforme e maggiormente incisiva in tema de quo – tale da livellare in modo equo le disposizioni in materia –, si continuerà ad assistere ad una regolamentazione che, oltre ad avere una presenza incostante all’interno del tessuto negoziale collettivo, sarà sempre più caratterizzata da una disconnessione posta a diverse profondità di previsione, con l’ulteriore pericolo di creare in questa ottica di deregulation di fatto, un discrimine di trattamento tra lavoratori di diversi settori e di diverse aziende. 20In quest’ottica, si auspica che l’adozione di una futura, compiuta normativa europea che contempli articolatamente la regolamentazione della disconnessione con l’ estensione dello sviluppo dello smart working, che possa rappresentare altresi un’opportunità al fine di realizzare politiche di intervento atte alla riprogettazione del ripopolamento di zone depresse del Paese in favore della crescita demografica e di benessere del PIL anche attraverso, ma chi scrive appare ssere ormai in ritardo con l’appuntamento, la fruizione dei fondi del PNRR atti a progetti di riconversione in tal senso. Ancora una volta e’ segno inequivocabile che le evoluzioni giuslavoristiche sono sempre strettamente connesse a quelle del diritto dell’economia e viceversa.

*Dottore di ricerca, Professore a contratto, Consulente del lavoro.

Appendice bibliografica

1 Per una approfondita analisi del lavoro agile nelle pp. aa. si veda: V. Talamo, Diversamente agile? Lo Smart Work nelle pubbliche amministrazioni, in Il Jobs Act del lavoro autonomo e del lavoro agile, A. Perulli, L. Fiorillo, a cura di, Giappichelli, 2018, pp. 257 ss.

2 In:G.U.Misure urgenti per fronteggiare la diffusione del Covid 19 e interventi a sostegni dei lavoratori con figli minori.

3 E. Dagnino, Il diritto alla disconnessione nell’esperienza contrattual-collettiva italiana, in Lavoro, Diritti, Europa, n. 4/2021, pp. 4 ss.

4 Art. 1, co. 1, della proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, allegato alla Risoluzione. (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea, Risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021 recante raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2021-0021_IT.html)

5 Ibid V. § 4.

6 E. Fiata, L’iniziativa europea sul diritto alla disconnessione, in Lavoro, Diritti, Europa, n. 4/2021, p. 9 ss.

7 R. Zucaro, Il diritto alla disconnessione. Nuove modalità di tutela della qualità del tempo di vita nella prospettiva giuslavoristica, op. cit., pp. 10 ss.

8 Cfr. E. Fiata, op. cit., pp. 11 ss; R. Zucaro, Il diritto alla disconnessione. Nuove modalità di tutela della qualità del tempo di vita nella prospettiva giuslavoristica, op. cit

9 Perrone R., Il «diritto alla disconnessione» quale strumento di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, in federalismi.it, n. 24/2017 pp. 24 ss.

10 Per un approfondimento sul tema di vedano: M. C. Cataudella, op. cit., pp. 854 ss.; A. Fenoglio, Una veste digitale per il diritto al riposo: il diritto alla disconnessione, in Lavoro, Diritti, Europa, n. 4/2021, pp. 7 ss.; A. Preteroti, op. cit., pp. 7 ss.; C. Timellini, Il diritto alla disconnessione nella normativa italiana sul lavoro agile e nella legislazione emergenziale, in Lavoro, Diritti, Europa, n. 4/2021, p. 4;.; R. Zucaro, Il diritto alla disconnessione tra interesse collettivo e individuale, op. cit., pp. 220 ss.

11 Iermano A., Verso un nuovo diritto “fondamentale” in ambito UE: il diritto alla disconnessione digitale, in rivista.eurojus.it, fasc. 2/2021

12 Poletti D., Il c.d. diritto alla disconnessione nel contesto dei «diritti digitali», in Responsabilità civile e previdenza, n. 1/2017 p.19

13 ibid, op cit. p.9

14 Relazione del“Gruppo di studio Lavoro Agile”, https://www.lavoro.gov.it/notizie/Documents/Relazione-finale-Gruppo-di-Studio-Lavoro-agile-e-Protocollo.pdf, dicembre 2021,p.10

15 Art. 1, Università degli studi dell’Insubria, D.D.G. 289/2017, “Diritto alla disconnessione al di fuori dell’orario di lavoro e attivazione del Giorno di Indipendenza dalle e-mail in ogni trimestre”, https://www.uninsubria.it/files/ddg2017289dirittodisconnessionepdf.

16 Dagnino E., Menegotto M., Pelusi L.M., Tiraboschi M., Guida pratica al lavoro agile dopo la legge n. 81/2017, ADAPT University Press, 2017, pp 5 ss.

17 Ne sono esempi : Le linee guida per il lavoro agile nel settore delle telecomunicazioni del 30 luglio 2020; Le linee guida per il lavoro agile nel settore assicurativo e di assicurazione/assistenza del 24 febbraio 2021

18 E. Dagnino, op. cit., p. 8.

19 Per un confronto si vedano l’art. 3 – Organizzazione del lavoro agile e regolazione della disconnessione del “Protocollo nazionale sul lavoro agile” e l’art. 4 – Articolazione della prestazione in modalità agile e diritto alla disconnessione delle “Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche”.

20 Dalle Cave M., Smart working, necessario l’accordo scritto tra le parti, in Guida al Lavoro, n. 26, 23 giugno 2017.

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Istituzione elenco dei mediatori esperti in Giustizia riparativa: decreto 9 giugno 2023

Decreto 9 giugno 2023 – Di concerto con il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’Università e della ricerca, recante:

Istituzione presso il Ministero della giustizia dell’elenco dei mediatori esperti in giustizia riparativa. Disciplina dei requisiti per l’iscrizione e la cancellazione dall’elenco, del contributo per l’iscrizione allo stesso, delle cause di incompatibilità, dell’attribuzione della qualificazione di formatore, delle modalità di revisione e vigilanza sull’elenco, ed infine della data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione costituisce requisito obbligatorio per l’esercizio dell’attività, ai sensi degli articoli 60, comma 2, e 93, commi 2 e 3, del d. lgs. 150/2022 di attuazione della l. 134/2021 recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari

9 giugno 2023

Il Ministro della Giustizia

VISTO l’articolo 59, commi 7, 8, 9 e 10 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;

VISTO in particolare, l’articolo 60, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, il quale prevede che, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’università e della ricerca, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, sia istituito presso il Ministero della giustizia l’elenco dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa;

VISTO altresì l’articolo 93, comma 2, del medesimo decreto legislativo, il quale prevede che, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, siano stabilite le modalità di inserimento in detto elenco dei soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma 1 della stessa norma, nonché le modalità di svolgimento e valutazione della prova pratica valutativa di cui al comma 2;

VISTA la legge 5 febbraio 1992, n. 104, legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate;

VISTA la legge 8 ottobre 2010, n. 170, recante nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico;

VISTO l’articolo 3, comma 4-bis del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, recante misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia;

VISTO l’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante codice dell’amministrazione digitale;

VISTO l’articolo 4, comma 9, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario;

VISTO il decreto del 9 novembre 2021 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento della funzione pubblica, recante modalità di partecipazione ai concorsi pubblici per i soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento;

VISTO il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 9 ottobre 2006, n. 293, Regolamento recante norme per l’introduzione di nuove modalità di versamento presso le tesorerie statali;

Di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’università e della ricerca

DECRETA

Art. 1
(Definizioni)

  1. Ai fini del presente decreto si intende per:

a) «attività preliminari»: le attività precedenti il primo incontro di cui all’articolo 54 del decreto legislativo;
b) «Centro»: Centro per la giustizia riparativa di cui all’articolo 42, comma 1, lettera g), del decreto legislativo;
c) «Conferenza locale»: Conferenza locale per la giustizia riparativa di cui all’articolo 63, commi 2, 3, 4, 5, 6 del decreto legislativo;
d) «Conferenza nazionale»: Conferenza nazionale per la giustizia riparativa di cui all’articolo 61, del decreto legislativo;
e) «convivente del mediatore esperto»: la persona legata al mediatore esperto da un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o da una convivenza di fatto, anche se non formalizzata ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della stessa legge;
f) «decreto legislativo»: il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150;
g) «elenco»: l’elenco dei mediatori esperti istituito presso il Ministero;
h) «esito riparativo»: l’accordo di cui agli articoli 42, comma 1, lettera e) e 56, del decreto legislativo;
i) «familiare»: la persona fisica di cui all’articolo 42, comma 1, lettera d), del decreto legislativo;
l) «formazione del mediatore esperto»: il percorso formativo, iniziale e continuo, del mediatore esperto, ai sensi dell’articolo 59 del decreto legislativo;
m) «formazione del mediatore esperto formatore»: il percorso formativo, iniziale e continuo, del mediatore esperto formatore;
n) «giustizia riparativa»: ogni programma come definito all’articolo 42, comma 1, lettera a), del decreto legislativo;
o) «mediatore esperto»: il mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa, qualificazione conseguita in seguito al superamento della prova finale di cui all’articolo 59, comma 9, del decreto legislativo;
p) «mediatore esperto coassegnatario del programma»: uno dei due mediatori che presiede allo svolgimento del programma, ai sensi dell’articolo 53, comma 1, del decreto legislativo;
q) «mediatore esperto formatore»: il mediatore esperto ammesso a svolgere attività di formazione dei mediatori esperti, ai sensi dell’articolo 59, comma 7, del decreto legislativo, qualificazione conseguita in seguito all’effettuazione della simulazione, con giudizio di idoneità, di cui all’articolo 12, comma 5, del decreto ministeriale previsto dall’articolo 59, comma 10, del decreto legislativo;
r) «Ministero»: il Ministero della giustizia;
s) «partecipanti al programma»: i soggetti partecipanti al programma di cui agli articoli 42, comma 1, lettere b), c), d), e 45, comma 1, del decreto legislativo;
t) «persona indicata come autore dell’offesa»: la persona di cui all’articolo 42, comma 1, lettera c), del decreto legislativo;
u) «programma»: una delle tipologie di programmi di giustizia riparativa di cui all’articolo 53, comma 1, del decreto legislativo;
v) «prova pratico-valutativa»: la prova di cui all’articolo 93, comma 2, del decreto legislativo;
z) «responsabile»: il responsabile della tenuta dell’elenco;
aa) «tirocinio»: il percorso di apprendistato guidato del mediatore esperto, di cui all’articolo 59, comma 3, ultima ipotesi, del decreto legislativo;
bb) «Università»: le istituzioni universitarie che compongono il sistema della formazione superiore di tipo universitario;
cc) «vittima del reato»: la persona fisica di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo.

Art. 2
(Oggetto)

  1. Il presente decreto disciplina:

a) l’istituzione presso il Ministero dell’elenco dei mediatori esperti, con l’indicazione, accanto al nominativo del mediatore esperto, dell’eventuale qualificazione di formatore;
b) i requisiti per l’inserimento nell’elenco, ai sensi degli articoli 60 e 93 del decreto legislativo, ai fini dell’esercizio dell’attività di mediatore esperto;
c) le modalità di svolgimento e valutazione della prova pratico-valutativa e la relativa disciplina dell’onere finanziario a carico dei partecipanti;
d) i criteri per la cancellazione dei mediatori esperti dall’elenco;
e) le cause di incompatibilità con l’esercizio dell’attività di mediatore esperto;
f) il contributo per l’iscrizione nell’elenco;
g) le modalità di revisione dell’elenco;
h) la vigilanza sull’elenco;
i) i criteri per la valutazione delle esperienze e delle competenze dei mediatori esperti, al fine dell’attribuzione della qualificazione di formatore;
l) l’individuazione della data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione costituisce requisito obbligatorio per l’esercizio dell’attività di mediatore esperto e di mediatore esperto formatore.

Art. 3
(Elenco)

  1. È istituito l’elenco dei mediatori esperti abilitati alla conduzione dei programmi di giustizia riparativa.
  2. L’elenco è tenuto presso il Ministero, titolare del trattamento dei dati personali, in sede di prima applicazione, presso il Dipartimento per gli affari di giustizia. Presso il Dipartimento ne è responsabile il direttore generale degli affari interni, o persona da lui delegata, incardinata o assegnata alla suddetta direzione generale, con qualifica dirigenziale o con qualifica di magistrato.
  3. Il responsabile dell’elenco, al fine di esercitare la vigilanza sullo stesso nonché sull’attività degli iscritti, si può avvalere dell’Ispettorato generale del Ministero e della collaborazione dei Centri; il responsabile cura altresì l’aggiornamento dei dati.
  4. L’elenco è pubblicato sul sito istituzionale del Ministero e aggiornato con cadenza almeno trimestrale.
  5. L’elenco contiene l’annotazione della qualificazione di formatore ed è altresì articolato in una parte accessibile al pubblico ed una ad accesso riservato.
  6. Nella parte accessibile al pubblico sono consultabili i dati anagrafici del mediatore esperto, comprensivi di codice fiscale, numero e data di iscrizione all’elenco e di eventuale assunzione della qualificazione di formatore.
  7. Nella parte ad accesso riservato, sono indicati e consultabili soltanto dai Centri, dai partecipanti alla Conferenza nazionale e alle Conferenze locali e da coloro che ricoprono la carica di Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e di Garante territoriale dei diritti dei detenuti nonché di Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, nell’esercizio delle potestà loro conferite dalla legge, i dati relativi a:
    1. requisiti per l’inserimento nell’elenco, di cui agli articoli 4, 5, 6, 7 e 10;
    2. ente che ha rilasciato l’attestazione di cui agli articoli 9, comma 7, 10, comma 6 e 12, comma 5, del decreto ministeriale previsto dall’articolo 59, comma 10, del decreto legislativo;
    3. le richieste di sospensione o cancellazione volontaria dall’elenco e i provvedimenti di sospensione o cancellazione adottati, anche d’ufficio, dal responsabile.
  8. Ai soggetti di cui al comma 7 è altresì consentito l’accesso, su richiesta, alla documentazione relativa ai mediatori esperti, ivi inclusi i provvedimenti di sospensione e cancellazione dall’elenco.

Art. 4
(Requisito per l’inserimento nell’elenco ai sensi dell’articolo 60, comma 1, del decreto legislativo)

  1. Il possesso del requisito formativo per l’inserimento nell’elenco ai sensi degli articoli 59, comma 9, e 60, comma 1, del decreto legislativo, è comprovato dall’interessato mediante l’attestazione, con giudizio di idoneità, del superamento della prova finale teorico-pratica della formazione, di cui all’articolo 9, comma 7, del decreto ministeriale previsto dall’articolo 59, comma 10, del decreto legislativo.

Art. 5
(Requisiti per l’inserimento nell’elenco ai sensi dell’articolo 93, comma 1, lettera a), del decreto legislativo)

  1. Il possesso dei requisiti formativi ed esperienziali per l’inserimento nell’elenco ai sensi degli articoli 60, comma 1, e 93, comma 1, lettera a) del decreto legislativo è attestato dall’interessato mediante:
    1. certificazione, rilasciata da soggetti ed enti pubblici o privati eroganti formazione specialistica nella materia, o istituzioni universitarie, comprovante il conseguimento, alla data del 30.12.2022, di una formazione completa alla giustizia riparativa, analoga a quella di cui all’articolo 59, commi 5 e 6, del decreto legislativo, ed altresì attestante le modalità di svolgimento dell’attività formativa teorica e pratica. La formazione attestata nella certificazione può comprendere la frequenza di corsi, la partecipazione a seminari e convegni nonché attività laboratoriali ed esperienziali, anche con l’utilizzo di esercitazioni pratiche di progettazione e sperimentazione della conduzione dei diversi programmi di giustizia riparativa, in riferimento a tutte le fasi dei distinti percorsi; discussioni guidate; analisi e discussioni di casi; giochi di ruolo; simulazioni; esercizi di risoluzione di problemi; esercizi di ascolto attivo; esercizi di comunicazione non verbale; sollecitazioni metaforiche; visione guidata di materiale audio-video; ascolto di testimonianze;
    2. certificazione, rilasciata da soggetti specializzati che erogano servizi di giustizia riparativa, pubblici o privati, i quali, alla data del 30.12.2022, risultavano convenzionati con il Ministero della giustizia ovvero che alla medesima data risultavano operare in virtù di protocolli di intesa con gli uffici giudiziari o altri enti pubblici. La certificazione reca l’indicazione della convenzione o del protocollo, ed attesta il possesso, nell’arco del decennio precedente il 30.12.2022, di un’esperienza nella conduzione di programmi, anche a titolo volontario e gratuito, presso i soggetti suindicati, della durata di almeno cinque anni, di cui tre consecutivi. A tal fine, la certificazione contiene: l’elenco dei programmi effettivamente svolti dall’interessato nel periodo indicato, tra quelli di cui all’articolo 53, comma 1, lettere a), b) e c) del decreto legislativo; la loro tipologia e durata; la specifica indicazione di quelli gestiti in via esclusiva o quale componente operativo di un gruppo di lavoro.

Art. 6
(Requisiti per l’inserimento nell’elenco ai sensi dell’articolo 93, comma 1, lettera b), del decreto legislativo)

  1. Il possesso del requisito formativo per l’inserimento nell’elenco ai sensi dell’articolo 93, comma 1, lettera b) del decreto legislativo, è attestato dall’interessato mediante certificazione, relativa alla formazione teorica e pratica ricevuta nonché al tirocinio seguito.
  2. La certificazione, rilasciata da soggetti ed enti pubblici o privati eroganti formazione specialistica nella materia, o istituzioni universitarie, comprova il completamento, alla data del 30.12.2022, di una formazione alla giustizia riparativa in materia penale, articolata come segue:
    1. almeno centosessanta ore di frequenza effettiva dedicate alla formazione teorica, ispirata a metodi, valori e principi della giustizia riparativa sanciti a livello internazionale, svoltasi altresì nelle forme tipiche della giustizia riparativa ed avente ad oggetto i seguenti insegnamenti: principi, teorie e metodi della giustizia riparativa, nozioni basilari di diritto penale, diritto processuale penale, diritto penitenziario, diritto minorile, criminologia, vittimologia e ulteriori materie correlate. Dette materie sono individuate tra le seguenti: elementi di diritto pubblico, con particolare riferimento al diritto antidiscriminatorio, studi di genere, psicologia giuridica, psicologia di comunità, psicologia del conflitto, antropologia giuridica e culturale, sociologia dei processi culturali e interculturali, sociologia della devianza, teorie sociologiche sul conflitto e sui conflitti, sociolinguistica. I principi, teorie e metodi della giustizia riparativa comprendono anche lo studio: del paradigma della giustizia riparativa in una visione europea e internazionale, con riferimento alle raccomandazioni e alle politiche internazionali; dei protagonisti, programmi, principi, standard e metodi della giustizia riparativa in materia penale; dei peculiari ambiti applicativi della giustizia riparativa, tra cui quelli relativi ai reati più gravi o commessi in contesti di criminalità organizzata o altresì con vittime minorenni o altrimenti vulnerabili; della deontologia del mediatore esperto; ;
    2. almeno trecentoventi ore di frequenza effettiva dedicate alla formazione pratica, svolta prioritariamente in presenza e nelle forme di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), ultimo capoverso, dedicata allo sviluppo delle capacità di ascolto e di relazione nonché a fornire competenze e abilità necessarie alla gestione degli effetti negativi dei conflitti, con specifica attenzione alle vittime, ai minorenni e alle altre persone vulnerabili, mediante: l’acquisizione della consapevolezza dei propri conflitti e danni, agiti e subiti; l’apprendimento delle pratiche e delle tecniche di giustizia riparativa; lo sviluppo di sensibilità specifica per i peculiari ambiti applicativi della giustizia riparativa, indicati nell’articolo 4, comma 4, lettera d) del decreto ministeriale di cui all’articolo 59, comma 10, del decreto legislativo; lo sviluppo della capacità di discernimento del programma più idoneo al caso concreto e dell’abilità di seguirne integralmente il relativo percorso, gestendone con competenza ogni sua fase; l’acquisizione dell’idoneità al lavoro di gruppo con altri mediatori esperti ed altresì dell’abilità di costruire il gruppo di lavoro idoneo al caso concreto; l’acquisizione, infine, delle specifiche competenze necessarie per operare nell’ambito di un servizio pubblico nonché delle abilità relazionali e dialogiche funzionali all’interazione anche con i servizi della giustizia, l’autorità giudiziaria, i difensori, i servizi del territorio, le autorità di pubblica sicurezza ed ogni ulteriore interlocutore sociale;
    3. almeno duecento ore di tirocinio successivo, comprendente l’affiancamento nella conduzione di almeno dieci programmi. A tal fine, la certificazione contiene l’elenco di tutti i programmi cui ha partecipato l’interessato, tra quelli di cui all’articolo 53, comma 1, lettera a), b) e c) del decreto legislativo nonché la loro tipologia e durata.
  3. Il possesso altresì del requisito di cui all’articolo 93, comma 2, seconda ipotesi, del decreto legislativo, è comprovato dall’interessato mediante l’attestazione, con giudizio di idoneità, del superamento della prova pratica-valutativa, di cui all’articolo 8.

Art. 7
(Requisiti per l’inserimento nell’elenco ai sensi dell’articolo 93, comma 1, lettera c), del decreto legislativo)

  1. Il possesso dei requisiti formativi ed esperienziali per l’inserimento nell’elenco ai sensi dell’articolo 93, comma 1, lettera c) del decreto legislativo, è attestato dall’interessato mediante:
    1. documentazione, presentata ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante il servizio prestato presso i servizi minorili della giustizia o presso gli uffici di esecuzione penale esterna alla data del 30.12.2022, ed ancora in essere all’epoca di presentazione della domanda;
    2. certificazione, rilasciata da soggetti ed enti pubblici o privati eroganti formazione specialistica nella materia o istituzioni universitarie, comprovante il conseguimento, alla data del 30.12.2022, di una adeguata formazione alla giustizia riparativa, analoga a quella di cui all’articolo 59, commi 5 e 6, del decreto legislativo, ed altresì attestante le modalità di svolgimento dell’attività formativa teorica e pratica. La formazione attestata nella certificazione può comprendere la frequenza di corsi, la partecipazione a seminari e convegni nonché attività laboratoriali ed esperienziali, anche con l’utilizzo di esercitazioni pratiche di progettazione e sperimentazione della conduzione dei diversi programmi di giustizia riparativa, in riferimento a tutte le fasi dei distinti percorsi; discussioni guidate; analisi e discussioni di casi; giochi di ruolo; simulazioni; esercizi di risoluzione di problemi; esercizi di ascolto attivo; esercizi di comunicazione non verbale; sollecitazioni metaforiche; visione guidata di materiale audio-video; ascolto di testimonianze;
    3. apposita certificazione, attestante il possesso di un’esperienza acquisita nella medesima materia mediante il servizio prestato presso gli uffici di cui alla lettera a), della durata di almeno cinque anni, di cui tre consecutivi, nell’arco del decennio precedente il 30.12.2022. A tal fine, la certificazione contiene: l’elenco dei programmi effettivamente svolti, tra quelli di cui all’articolo 53, comma 1, lettere a), b) e c) del decreto legislativo, nel periodo indicato e nell’ambito del servizio prestato dall’interessato; la tipologia e durata di ogni singolo programma; la specifica indicazione di quelli gestiti in via esclusiva o quale componente operativo di un gruppo di lavoro.

Art. 8
(Prova pratico-valutativa)

  1. La prova pratico-valutativa di cui all’articolo 93, comma 2, seconda ipotesi, del decreto legislativo, è organizzata, nell’ambito della collaborazione di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale previsto dall’articolo 59, comma 10, del decreto legislativo, dalle Università e dai Centri che individuano altresì le modalità attraverso le quali vengono sostenuti dai candidati gli oneri finanziari della prova.
  2. Alla stessa accedono esclusivamente i soggetti in possesso del requisito formativo di cui all’articolo 93, comma 1, lettera b) del decreto legislativo, attestato nelle forme di cui all’articolo 6, comma 1 e 3 del presente decreto. Alla prova sovrintende una commissione di almeno cinque membri, composta da due formatori teorici e tre mediatori esperti formatori, scelti nell’ambito della collaborazione di cui al comma 1.
  3. La prova consiste nella dimostrazione, da parte dei candidati, della piena padronanza delle competenze tecnico-pratiche e delle specifiche abilità acquisite nel percorso formativo effettuato. La stessa, in particolare, mira a valutare, ai sensi dell’articolo 59, comma 6, del decreto legislativo, il possesso, in capo ai candidati stessi, di capacità di ascolto e di relazione, nonché delle seguenti competenze, abilità e capacità necessarie alla gestione degli effetti negativi dei conflitti:
    1. consapevolezza dei propri conflitti e danni, cagionati e subiti;
    2. piena padronanza delle pratiche e delle tecniche della mediazione, del dialogo riparativo e di ogni altro programma dialogico di cui all’articolo 53, comma 1, lettera c), del decreto legislativo;
    3. sensibilità specifica per i peculiari ambiti applicativi della giustizia riparativa, tra cui quelli relativi ai reati più gravi o commessi in contesti di criminalità organizzata o altresì con vittime minorenni o altrimenti vulnerabili;
    4. capacità di discernimento del programma più idoneo al caso concreto e abilità di seguirne integralmente il relativo percorso, gestendone con competenza ogni sua fase;
    5. idoneità al lavoro di gruppo con altri mediatori esperti ed altresì abilità di costruire il gruppo di lavoro idoneo al caso concreto;
    6. specifiche competenze necessarie per operare nell’ambito di un servizio pubblico nonché abilità relazionali e dialogiche funzionali all’interazione anche con i servizi della giustizia, l’autorità giudiziaria, i difensori, i servizi del territorio, le autorità di pubblica sicurezza ed ogni ulteriore interlocutore sociale.
  4. La prova, della durata complessiva non inferiore a sei ore, da svolgersi in presenza, consiste nella simulazione di un programma articolato nei differenti momenti ed attività di cui lo stesso si compone: segnalazione del caso; gestione delle attività preliminari, tra cui valutazione individualizzata della vittima e della persona indicata come autore dell’offesa, scelta dello stile del linguaggio da utilizzare e attività di informazione nei confronti dei partecipanti; scelta del programma più utile per la gestione del conflitto avente rilevanza penale; raccolta del consenso; conduzione del programma prescelto, con specifico riferimento alla gestione dei rapporti con l’altro mediatore, ed eventuali ulteriori mediatori, con la vittima o le vittime del reato, la persona indicata come autore dell’offesa e i loro familiari, con gli altri partecipanti, con l’autorità giudiziaria, con i difensori, gli interpreti ed i traduttori, con i servizi della giustizia e del territorio, con l’autorità di pubblica sicurezza e con ogni ulteriore interlocutore sociale; costruzione, ove possibile, dell’accordo riparativo; redazione della relazione e delle ulteriori comunicazioni all’autorità giudiziaria; gestione dell’esito del programma. A mezzo della simulazione in questione, i candidati dimostrano le competenze e abilità acquisite con riferimento ad ognuna delle fasi e delle attività indicate al capoverso che precede. Alla simulazione partecipano, nei differenti ruoli richiesti dal programma, soggetti scelti dalla commissione di cui al comma 2, secondo periodo.
  5. La prova finale si conclude con la valutazione, debitamente attestata, di idoneità o non idoneità del candidato.
  6. Nell’organizzazione, svolgimento e valutazione della prova si tiene conto delle peculiari esigenze dei candidati portatori di disabilità o di disturbi specifici dell’apprendimento -DSA-, ove debitamente documentati, e si provvede ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e della legge 8 ottobre 2010, n. 170, nonché dell’ articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, e del decreto del 9 novembre 2021 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento della funzione pubblica.

Art. 9
(Requisiti soggettivi e di onorabilità)

  1. I soggetti che chiedono l’inserimento nell’elenco devono possedere inoltre i seguenti requisiti:
    1. non essere iscritti all’albo dei mediatori civili, commerciali o familiari;
    2. non trovarsi in stato di interdizione legale o di inabilitazione o non essere altresì sottoposti ad amministrazione di sostegno;
    3. non essere stati condannati con sentenza definitiva, per delitto non colposo, a pena detentiva, anche se sostituita da una delle pene indicate nell’articolo 20-bis, primo comma, numeri 1), 2), e 3) del codice penale;
    4. non essere stati destinatari di sentenza definitiva resa ai sensi dell’articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto non colposo, a pena detentiva, anche se sostituita da una delle pene indicate nell’articolo 20-bis, primo comma, numeri 1), 2) e 3), del codice penale, con la quale sono state altresì applicate pene accessorie;
    5. non avere in corso procedimenti penali per delitti non colposi, fermo restando quanto previsto dall’articolo 335-bis del codice di procedura penale;
    6. non essere incorsi nell’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici;
    7. non essere stati sottoposti a misure di prevenzione, salvi gli effetti della riabilitazione, né a misure di sicurezza personali;
    8. non avere riportato, per gli iscritti ad un ordinamento professionale, negli ultimi cinque anni, una sanzione disciplinare più grave di quella minima prevista dal singolo ordinamento.
  2. Con riferimento al comma 1, lettere c) e d), sono fatti salvi gli effetti della riabilitazione e della revoca della sentenza per abolizione del reato ai sensi dell’articolo 673, comma 1, del codice di procedura penale.
  3. Il possesso dei requisiti di cui al comma 1 è attestato dagli interessati mediante documentazione presentata ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
  4. Il responsabile verifica la sussistenza dei requisiti e ha facoltà di accertare la veridicità delle dichiarazioni rese dai richiedenti ai sensi dell’articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Art. 10
(Requisiti per l’attribuzione della qualificazione di formatore)

  1. È attribuita la qualificazione di formatore di cui all’articolo 3, comma 5, del presente decreto a coloro che risultino iscritti nell’elenco con la qualificazione di mediatore esperto e che siano in possesso dell’attestazione comprovante l’effettuazione della simulazione finale della formazione iniziale con giudizio di idoneità, di cui all’articolo 12, comma 5, del decreto ministeriale previsto dall’articolo 59, comma 10, del decreto legislativo.
  2. Ai fini del primo popolamento dell’elenco, è altresì attribuita la qualificazione di formatore di cui all’articolo 3, comma 5, ai soggetti iscritti nell’elenco di cui all’articolo 3, con la qualificazione di mediatore esperto, ai sensi degli articoli 5, 6, 7 e 8, che siano comunque in possesso, alla data del 30.12.2022, dei seguenti requisiti:
    1. avere comprovate perizia e professionalità nella materia della giustizia riparativa, derivanti dall’esperienza concreta e specifica maturata nella conduzione di programmi, in modo ininterrotto nei cinque anni precedenti il 30.12.2022, presso soggetti specializzati che erogano servizi di giustizia riparativa, pubblici o privati, i quali, alla medesima data, risultavano convenzionati con il Ministero della giustizia ovvero risultavano operare in virtù di protocolli di intesa con gli uffici giudiziari o altri enti pubblici;
    2. aver già svolto, in Italia o all’estero, attività di formatore in materia di giustizia riparativa, in modo ininterrotto nei cinque anni precedenti il 30.12.2022. Quale attività formativa può essere valorizzata quella prestata in materia di giustizia riparativa nel settore penale nell’ambito di corsi diretti a futuri mediatori o nell’ambito di corsi universitari o infine nell’ambito di seminari o convegni scientifici.
  3. I requisiti di cui al comma che precede sono attestati a mezzo di idonea certificazione, che contiene:
  1. nell’ipotesi di cui al comma 2, lettera a), l’indicazione in dettaglio della convenzione o del protocollo nonché l’elencazione dettagliata dei programmi effettivamente svolti dal mediatore esperto presso i soggetti indicati nella stessa lettera a) nei cinque anni precedenti il 30.12.2022, con specificazione di tipologia, durata e gestione in via esclusiva o quale componente operativo di un gruppo di lavoro;
  2. nell’ipotesi di cui al comma 2, lettera b), l’indicazione in dettaglio di luogo, data, durata, contenuto e destinatari di ogni singola esperienza formativa come docente.

Art. 11
(Procedimento di iscrizione)

  1. La domanda di iscrizione nell’elenco dei mediatori esperti istituito in conformità all’articolo 3 è presentata utilizzando i modelli uniformi predisposti dal responsabile, resi disponibili sul sito del Ministero ed è trasmessa al Ministero stesso, unitamente alla documentazione indicata da ciascun modello, in via telematica, mediante utilizzo di posta elettronica certificata o altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato.
  2. Sulla domanda di iscrizione provvede il responsabile.
  3. Il procedimento di iscrizione deve essere concluso entro trenta giorni dal ricevimento della domanda; può essere richiesta, per una sola volta, l’integrazione della domanda o dei suoi allegati entro trenta giorni dal ricevimento della stessa. La richiesta di integrazione interrompe il decorso del termine, che inizia nuovamente a decorrere dalla data in cui risulta pervenuta la documentazione integrativa richiesta.
  4. Gli iscritti sono tenuti a comunicare al responsabile dell’elenco:
    1. il venir meno dei requisiti di cui all’articolo 9;
    2. l’avvio di procedimenti penali a loro carico per delitti non colposi;
    3. l’avvio di procedimenti disciplinari a loro carico;
  5. Le richieste e le comunicazioni di cui, rispettivamente, ai commi 3 e 4 sono effettuate con le modalità di cui al comma 1.
  6. Per le domande di inserimento nell’elenco pervenute entro sei mesi dall’approvazione del modello di domanda di cui al comma 1, il termine di conclusione del procedimento previsto dal comma 3 è di quarantacinque giorni. La richiesta di integrazione interrompe il decorso del termine, che inizia nuovamente a decorrere dalla data in cui risulta pervenuta la documentazione integrativa richiesta.
  7. Alle domande di attribuzione della qualificazione di formatori, anche ove presentate disgiuntamente dalle domande di iscrizione all’elenco dei mediatori esperti, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 6.

Art. 12
(Effetti dell’iscrizione)

  1. Il provvedimento di iscrizione è comunicato al richiedente con il numero d’ordine attribuito nell’elenco.
  2. Dalla data della comunicazione di cui al comma 1, il mediatore esperto è tenuto, negli atti e nella corrispondenza, a fare menzione del numero d’ordine.
  3. Il provvedimento di attribuzione della qualificazione di formatore è comunicato al richiedente e annotato nell’elenco di cui all’articolo 3. Si applica la disposizione di cui al comma 2.

Art. 13
(Cause di sospensione dall’elenco)

  1. Costituiscono causa di sospensione d’ufficio, per un periodo da sei a dodici mesi:
    1. la mancata comunicazione delle variazioni intervenute riguardo i requisiti di cui all’articolo 9, attestati ai sensi del comma 3 dello stesso articolo all’atto della domanda di inserimento;
    2. la mancata trasmissione delle attestazioni o certificazioni relative all’adempimento degli obblighi formativi permanenti, rispettivamente entro il 31 maggio di ciascun anno, per le attestazioni o certificazioni rilasciate fino al 30 aprile, ed entro il 30 novembre dell’anno medesimo, per le attestazioni o certificazioni rilasciate fino al 31 ottobre;
    3. la violazione di uno dei doveri del mediatore esperto, descritti negli articoli 43, comma 1, lettere b), e) e g), 47, commi 3, 4, 5, 48, 50, comma 1, 52, comma 5, 54, comma 1, 55, commi 2 e 4, 56, comma 4 e 57 del decreto legislativo;
    4. l’ipotesi prevista dall’articolo 18, comma 6 del presente decreto.
  2. Costituisce causa di sospensione della qualificazione di formatore la mancata trasmissione delle attestazioni o certificazioni relative all’adempimento degli obblighi formativi permanenti, nella qualità di mediatori esperti formatori, rispettivamente entro il 31 maggio di ciascun anno, per le attestazioni o certificazioni rilasciate fino al 30 aprile, ed entro il 30 novembre dell’anno medesimo, per le attestazioni o certificazioni rilasciate fino al 31 ottobre.
  3. Costituisce altresì causa di sospensione dall’elenco o di sospensione della qualificazione di formatore l’istanza in tal senso volontariamente avanzata dall’interessato, per gravi e comprovate ragioni di salute, familiari o professionali, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile una sola volta per ulteriori sei mesi.
  4. Sull’istanza di cui al comma che precede, provvede il responsabile con decreto adottato ai sensi dell’articolo 15, comma 4.

Art. 14
(Cause di cancellazione dall’elenco)

  1. Costituiscono cause di cancellazione d’ufficio dall’elenco:
    1. l’insussistenza, anche per fatti sopravvenuti, dei requisiti di cui all’articolo 9;
    2. il mancato adempimento agli obblighi formativi permanenti;
    3. la volontaria divulgazione di dati personali relativi ai programmi;
    4. la reiterata violazione di uno dei doveri del mediatore esperto, di cui all’articolo 13, comma 1, lettera c);
    5. la conduzione di uno o più programmi in presenza di una delle cause di incompatibilità di cui all’articolo 19;
    6. l’ipotesi prevista dall’articolo 18, comma 7.
  2. Costituisce causa di cancellazione d’ufficio della qualificazione di formatore il mancato adempimento degli obblighi formativi permanenti.
  3. Costituisce altresì causa di cancellazione dall’elenco o di cancellazione della sola qualificazione di formatore l’istanza in tal senso avanzata dall’interessato.
  4. Sull’istanza di cui al comma 3, provvede il responsabile con decreto adottato ai sensi dell’articolo 15, comma 4.

Art. 15
(Procedura di contestazione)

  1. Il responsabile dell’elenco, quando rileva la sussistenza di fatti che, in relazione alle cause indicate negli articoli 13, commi 1 e 2, e 14, commi 1 e 2, potrebbero dar luogo all’adozione di un provvedimento, rispettivamente, di sospensione o di cancellazione anche della sola qualificazione di formatore, ne dà comunicazione al mediatore esperto con l’invito, entro un termine non superiore a trenta giorni, a fornire chiarimenti e ad effettuare eventuali produzioni documentali.
  2. Scaduto il termine assegnato ai sensi del comma 1, il responsabile dell’elenco, esaminati, se presentati, i chiarimenti e documenti, se ritiene di non archiviare la procedura, contesta formalmente all’interessato i fatti riscontrati, indica le norme che ritiene violate e assegna un termine di quindici giorni per difese e ulteriori produzioni documentali.
  3. Se nel termine assegnato ai sensi del comma 2, l’interessato non fornisce elementi idonei a superare la contestazione, il responsabile dell’elenco, con provvedimento motivato, dispone la sospensione indicandone la durata o la cancellazione, dando comunicazione all’interessato del provvedimento adottato.
  4. La sospensione e la cancellazione sono disposte con decreto succintamente motivato, comunicato senza ritardo all’interessato mediante utilizzo di posta elettronica certificata o altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato.
  5. In ogni fase della procedura di contestazione, il mediatore esperto può dichiarare di non avere interesse al mantenimento dell’iscrizione o dell’annotazione della qualificazione di formatore. In tal caso il responsabile dell’elenco, allo stato degli atti, ne dispone la relativa cancellazione.
  6. Spetta al responsabile, per le finalità di cui al comma 1, l’esercizio del potere di vigilanza, anche mediante acquisizione di atti e notizie, che viene esercitato nei modi e nei tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti, di cui viene curato il preventivo recapito, anche soltanto in via telematica, agli interessati.
  7. Tutte le comunicazioni previste dal presente articolo sono effettuate dal responsabile dell’elenco all’indirizzo indicato dall’interessato al momento dell’iscrizione.

Art. 16
(Effetti della sospensione e della cancellazione)

  1. Il mediatore esperto, ricevuto il provvedimento di sospensione o di cancellazione, ne informa immediatamente il Centro presso il quale opera e documenta al responsabile dell’elenco l’adempimento di tale onere.
  2. Dopo la comunicazione della sospensione o della cancellazione, il mediatore esperto non può più condurre programmi; laddove il mediatore esperto abbia programmi in corso di svolgimento, gli stessi saranno riassegnati ad altro mediatore esperto, a cura del Centro.
  3. Fuori del caso previsto dall’articolo 18, comma 7, secondo periodo, la cancellazione preclude al mediatore di procedere a nuova iscrizione per un periodo di due anni.
  4. Alla sospensione e alla cancellazione della qualificazione di formatore si applica la disposizione di cui al comma 1. Il mediatore esperto formatore informa altresì del provvedimento in questione ogni soggetto presso il quale stia svolgendo attività di formazione, documentando al responsabile dell’elenco l’adempimento di tale onere.
  5. Dopo la comunicazione della sospensione o della cancellazione di cui al comma 4, il mediatore esperto formatore non può più procedere a svolgere attività formative, anche laddove le stesse siano in corso.
  6. La cancellazione della qualificazione per qualsiasi causa preclude al mediatore esperto formatore di procedere a nuova richiesta di attribuzione della qualificazione di formatore per un periodo di due anni.

Art. 17
(Cessazione degli effetti della sospensione)

  1. Il mediatore esperto, almeno trenta giorni prima della scadenza del termine finale del periodo di sospensione irrogato per i motivi di cui all’articolo 13, comma 1, lettere a), b) e d), comunica e documenta al responsabile dell’elenco l’assolvimento degli obblighi previsti nelle medesime disposizioni.
  2. Il responsabile, verificato l’assolvimento degli obblighi in questione, alla scadenza del termine finale del periodo di sospensione dichiara cessata la sospensione, altrimenti dispone la cancellazione.

Art. 18
(Contributo per l’iscrizione e per il mantenimento dell’elenco e modalità di versamento)

  1. In sede di prima formazione dell’elenco, non è dovuto alcun contributo per l’iscrizione allo stesso.
  2. A far data dal 1.1.2025, per l’iscrizione all’elenco è dovuto dal richiedente la stessa un contributo di euro cinquanta.
  3. Per il mantenimento dell’iscrizione è posto a carico dell’iscritto un contributo annuo di euro cinquanta da versare entro il 31 gennaio di ciascun anno. Il contributo è dovuto a far data dal 1.1.2026 e comunque dall’anno successivo a quello dell’iscrizione.
  4. Il pagamento del contributo di cui ai commi 2 e 3 è effettuato tramite la piattaforma tecnologica Pago PA, prevista dall’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo del 7 marzo 2005, n. 82, con versamento sull’apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato.
  5. Non è dovuto ulteriore contributo per gli iscritti che formulano anche la richiesta di annotazione della qualificazione di formatore.
  6. Nel caso di omesso pagamento del contributo di cui al comma 3, il responsabile, decorsi tre mesi dalla scadenza prevista per il pagamento, dispone la sospensione del mediatore esperto dall’elenco.
  7. In caso di perdurante omesso pagamento del contributo, decorsi sei mesi dall’adozione del provvedimento di sospensione di cui al comma 6, è disposta la cancellazione dall’elenco. In tal caso non è consentita una nuova iscrizione nell’elenco prima che sia decorso almeno un anno dalla comunicazione della cancellazione.
  8. In caso di corresponsione tardiva del contributo sono dovuti gli interessi sull’importo della somma dovuta dall’iscritto dalla data di scadenza del termine per il pagamento, al tasso previsto dall’articolo 1284 del codice civile.

Art. 19
(Cause di incompatibilità)

  1. Non possono esercitare l’attività di mediatore esperto:
    1. i membri del Parlamento nazionale, i membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, i membri del Governo;
    2. i membri delle giunte degli enti territoriali, nonché i consiglieri regionali, provinciali, comunali e municipali, all’interno del distretto di corte d’appello in cui hanno sede gli enti presso i quali i predetti svolgono il loro mandato;
    3. coloro che ricoprono o che hanno ricoperto, nei tre anni precedenti alla domanda di iscrizione nell’elenco, incarichi direttivi o esecutivi in partiti o movimenti politici o nelle associazioni sindacali maggiormente rappresentative;
    4. coloro che ricoprono la carica di difensore civico;
    5. coloro che ricoprono la carica di Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e di Garante territoriale dei diritti dei detenuti.
  2. Non possono esercitare l’attività di mediatore esperto, all’interno del distretto di corte d’appello in cui svolgono a qualsiasi titolo le loro funzioni, i magistrati onorari. Tale incompatibilità è limitata al periodo di effettivo esercizio delle funzioni per i giudici popolari della corte d’assise e per gli esperti delle sezioni specializzate agrarie.
  3. I mediatori esperti non possono svolgere la loro attività all’interno del medesimo distretto di corte d’appello in cui esercitano in via prevalente la professione forense gli stessi mediatori esperti ovvero i loro associati di studio, i membri dell’associazione professionale, i soci della società tra professionisti, il coniuge e il convivente, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado.
  4. Sussiste altresì incompatibilità con l’esercizio dell’attività di mediatore esperto, in relazione al singolo programma:
  1. se il mediatore esperto, il suo coniuge o convivente, uno dei suoi ascendenti, discendenti, fratelli, sorelle, affini nello stesso grado, zii e nipoti hanno interesse nel programma relativo al procedimento penale, nelle ipotesi previste dall’articolo 44, commi 2 e 3, del decreto legislativo, o nel procedimento penale stesso;
  2. se un partecipante al programma, il mediatore esperto coassegnatario del programma o una delle parti private o dei difensori del procedimento penale di cui alla lettera a) è debitore o creditore del mediatore esperto, del coniuge o del convivente o del figlio del mediatore stesso;
  3. se il mediatore esperto, il coniuge o il convivente o il figlio di costui è tutore, curatore, procuratore, amministratore di sostegno o datore di lavoro di un partecipante al programma o del mediatore esperto coassegnatario del programma o di una delle parti private del procedimento penale di cui alla lettera a);
  4. se il difensore, il tutore, il procuratore, il curatore, l’amministratore di sostegno di un partecipante al programma o del mediatore esperto coassegnatario del programma o di una delle parti private del procedimento penale di cui alla lettera a) è ascendente, discendente, fratello, sorella, affine nello stesso grado, zio o nipote del mediatore esperto, del suo coniuge o convivente;
  5. se vi è inimicizia grave fra un partecipante al programma o una delle parti private del procedimento penale di cui alla lettera a) e uno dei seguenti soggetti: il mediatore esperto; il coniuge o il convivente dello stesso; gli ascendenti, i discendenti, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti del mediatore esperto;
  6. se è partecipante al programma o comunque vittima del reato o offeso o danneggiato dal reato o parte privata del procedimento penale di cui alla lettera a) uno dei seguenti soggetti: ascendenti, discendenti, fratelli, sorelle, affini nello stesso grado, zii e nipoti del mediatore esperto o del suo coniuge o convivente;
  7. in ogni caso in cui è partecipante al programma persona alla quale il mediatore esperto è legato da un rapporto personale o professionale.
  8. Il mediatore esperto non può altresì ricoprire il ruolo di partecipante in un programma che si svolga presso il Centro per il quale costui presta la propria opera.
  9. Chi ha svolto la funzione di mediatore esperto non può intrattenere rapporti professionali di qualsiasi genere con alcuno dei partecipanti al programma prima che siano decorsi due anni dalla conclusione dello stesso.
  10. Il mediatore esperto, all’atto dell’affidamento di un caso, rilascia una dichiarazione di impegno, dallo stesso sottoscritta, diretta al responsabile del Centro, nella quale dichiara espressamente, ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, di non versare in alcuna delle cause di incompatibilità di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 del presente decreto. Laddove la causa di incompatibilità sussista, il mediatore esperto lo dichiara per iscritto nelle forme di cui al primo periodo del presente comma ed è tenuto ad astenersi dal seguire il programma.
  11. Il responsabile ha facoltà di accertare la veridicità delle dichiarazioni rese dal richiedente ai sensi dell’articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
  12. La violazione degli obblighi inerenti alle dichiarazioni previsti dal presente articolo, commesse da un mediatore esperto che è pubblico dipendente o professionista iscritto in un albo o collegio professionale, costituisce illecito disciplinare sanzionabile ai sensi delle rispettive normative deontologiche. Il responsabile dell’elenco è tenuto a informarne gli organi competenti.

Art. 20
(Monitoraggio)

  1. I Centri, entro il 31 gennaio di ogni anno, trasmettono al Ministero, con modalità informatiche, ai fini delle attività di analisi e monitoraggio, i dati relativi all’anno precedente concernenti:
    1. il numero totale di mediatori esperti di cui i Centri si sono avvalsi;
    2. il numero totale di programmi svolti, la loro tipologia, durata ed esito, distinti per Conferenze locali di riferimento.

Art. 21
(Disciplina transitoria)

  1. Al fine dell’effettiva operatività dei servizi di giustizia riparativa, le domande di iscrizione all’elenco ai sensi degli articoli 5, e 7 sono presentate dagli interessati, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data di approvazione del modello di domanda di cui all’articolo 11, comma 1. Le domande di iscrizione all’elenco ai sensi dell’articolo 6 sono altresì presentate a pena di inammissibilità entro sei mesi dal conseguimento dell’attestazione di cui all’articolo 8, comma 5.
  2. Le domande di attribuzione della qualificazione di formatore ai sensi dell’articolo 10, comma 2, sono presentate dagli interessati, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data di approvazione del modello di domanda di cui all’articolo 11, comma 1, anche ove avanzate disgiuntamente dalle domande di iscrizione all’elenco.

Art. 22
(Clausola di invarianza finanziaria)

  1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni competenti provvedono ai relativi adempimenti con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Il presente decreto sarà trasmesso ai competenti organi di controllo e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ai sensi dell’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 1985, n. 1092, e sul sito istituzionale dei Ministeri della giustizia, del lavoro e delle politiche sociali e dell’università e della ricerca.

Roma, il 9 giugno 2023

IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Carlo Nordio

IL MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Marina Elvira Calderone

IL MINISTRO DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA
Anna Maria Bernini

Registrato alla Corte dei Conti il 30/06/2023 con il n.1880

Formazione operatori Giustizia riparativa. Decreto 9 giugno 2023

Decreto 9 giugno 2023 – Di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’università e della ricerca, recante:

Disciplina delle forme e dei tempi della formazione finalizzata a conseguire la qualificazione di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa nonché delle modalità di svolgimento e valutazione della prova di ammissione alla formazione ed altresì della prova conclusiva della stessa, ai sensi dell’articolo 59, commi 7, 8, 9 e 10, del d. lgs. 150/2022 di attuazione della l. 134/2021 recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari

9 giugno 2023

Il Ministro della Giustizia

VISTO l’articolo 59, commi 7, 8, 9 e 10 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;

VISTO il decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, recante definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, a norma dell’articolo 4, commi 58 e 68, della legge 28 giugno 2012, n. 92;

VISTO l’articolo 1, comma 720, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, recante bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024;

VISTA la legge 5 febbraio 1992, n. 104, legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate;

VISTA la legge 8 ottobre 2010, n. 170, recante nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico;

VISTO l’articolo 3, comma 4-bis del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, recante misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia;

VISTO il decreto del 9 novembre 2021 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento della funzione pubblica, recante modalità di partecipazione ai concorsi pubblici per i soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento;

Di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’università e della ricerca

DECRETA

Art.1
(Definizioni)

  1. Ai fini del presente decreto si intende per:

a) «attività preliminari»: le attività precedenti il primo incontro di cui all’articolo 54 del decreto legislativo;
b) «Centro»: Centro per la giustizia riparativa di cui all’articolo 42, comma 1, lettera g), del decreto legislativo;
c) «Conferenza locale»: Conferenza locale per la giustizia riparativa di cui all’articolo 63, commi 2, 3, 4, 5, 6 del decreto legislativo;
d) «decreto legislativo»: il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150;
e) «elenco»: l’elenco dei mediatori esperti istituito presso il Ministero;
f) «esito riparativo»: l’accordo di cui agli articoli 42, comma 1, lettera e) e 56, del decreto legislativo;
g) «familiare»: la persona fisica di cui all’articolo 42, comma 1, lettera d), del decreto legislativo;
h) «formazione continua»: il percorso formativo permanente del mediatore esperto, di cui all’articolo 59, comma 4, del decreto legislativo;
i) «formazione del mediatore esperto»: il percorso formativo, iniziale e continuo, del mediatore esperto, ai sensi dell’articolo 59 del decreto legislativo;
l) «formazione iniziale»: il percorso formativo finalizzato a conseguire la qualificazione di mediatore esperto, di cui all’articolo 59, commi 3, 5 e 6 del decreto legislativo;
m) «formazione del mediatore esperto formatore»: il percorso formativo, iniziale e continuo, del mediatore esperto formatore;
n) «formazione pratica»: il percorso formativo, iniziale e continuo, del mediatore esperto, di cui all’articolo 59, commi 3, seconda ipotesi, 4 e 6, del decreto legislativo;
o) «formazione teorica»: il percorso formativo, iniziale e continuo, del mediatore esperto, di cui all’articolo 59, commi 3, prima ipotesi, 4 e 5, del decreto legislativo;
p) «giustizia riparativa»: ogni programma come definito all’articolo 42, comma 1, lettera a), del decreto legislativo;
q) «mediatore esperto»: il mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa, qualificazione conseguita in seguito al superamento della prova finale di cui all’articolo 59, comma 9, del decreto legislativo;
r) «mediatore esperto formatore»: il mediatore esperto ammesso a svolgere attività di formazione dei mediatori esperti, ai sensi dell’articolo 59, comma 7, del decreto legislativo, qualificazione conseguita in seguito all’effettuazione della simulazione, con giudizio di idoneità, di cui all’articolo 12, comma 5, del presente decreto;
s) «Ministero»: il Ministero della giustizia;
t) «obiettivi formativi»: i risultati assicurati dalla formazione del mediatore esperto, di cui all’articolo 59, comma 1, del decreto legislativo;
u) «partecipanti al programma»: i soggetti partecipanti al programma di cui agli articoli 42, comma 1, lettere b), c), d), e 45, comma 1, del decreto legislativo;
v) «persona indicata come autore dell’offesa»: la persona di cui all’articolo 42, comma 1, lettera c), del decreto legislativo;
z) «programma»: una delle tipologie di programmi di giustizia riparativa di cui all’articolo 53, comma 1, del decreto legislativo;
aa) «prova di ammissione»: la prova culturale e attitudinale, al cui superamento è subordinato l’accesso alla formazione iniziale, ai sensi dell’articolo 59, comma 8 del decreto legislativo;
bb) «prova finale»: la prova finale teorico-pratica del percorso formativo iniziale, al cui superamento consegue l’acquisizione della qualificazione di mediatore esperto, ai sensi dell’articolo 59, comma 9, del decreto legislativo;
cc) «responsabile»: il responsabile della tenuta dell’elenco;
dd) «tirocinio»: il percorso di apprendistato guidato del mediatore esperto, di cui all’articolo 59, comma 3, ultima ipotesi, del decreto legislativo;
ee) «Università»: le istituzioni universitarie che compongono il sistema della formazione superiore di tipo universitario;
ff) «vittima del reato»: la persona fisica di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo.

Art. 2
(Oggetto)

  1. Il presente decreto disciplina:
    1. le forme e i tempi della formazione pratica e teorica finalizzata a conseguire la qualificazione di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa, ai sensi dell’articolo 59, comma 7, del decreto legislativo;
    2. le modalità di svolgimento e valutazione della prova di ammissione culturale e attitudinale ai sensi dell’articolo 59, comma 8, del decreto legislativo;
    3. le modalità di svolgimento e valutazione della prova finale teorico-pratica ai sensi dell’articolo 59, comma 9, del decreto legislativo;
    4. le modalità con cui i partecipanti sostengono l’onere finanziario della formazione e della prova finale.

Art. 3
(Finalità, struttura ed erogazione della formazione dei mediatori esperti)

  1. Il mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa è un professionista, imparziale e adeguatamente formato, che, con indipendenza, sensibilità, riservatezza ed equiprossimità, conduce i programmi, mediativi o comunque dialogici, svolti nell’interesse della vittima e della persona indicata come autore dell’offesa, cui costoro, i loro familiari, altri soggetti appartenenti alla comunità e chiunque altro vi abbia interesse partecipano in modo consensuale, attivo e volontario, allo scopo di risolvere le questioni derivanti dal reato e raggiungere un esito riparativo. Per l’esercizio di tale professionalità il mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa deve essere in possesso dei seguenti ambiti di competenza:

a) capacità di valutare la scelta del programma più idoneo, previa valutazione sulla fattibilità dello stesso e sull’assenza di pericolo concreto per i partecipanti;
b) capacità di informare, orientare, favorire la partecipazione attiva delle persone coinvolte nel programma, attraverso l’uso di un linguaggio chiaro e appropriato e un ascolto attento;
c) capacità di sostenere la paura dei potenziali effetti distruttivi del conflitto provocato dal reato, di collocarsi in posizione di equiprossimità rispetto alle persone che ne sono immediatamente portatrici, di facilitare il percorso comunicativo tra le stesse, di aiutarle a raccontare e ad ascoltare, con modalità reciproca, il dolore, di gestire le emozioni e i sentimenti della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa, di promuovere il riconoscimento della prima e la responsabilizzazione della seconda;
d) capacità di garantire tempi adeguati alle necessità del caso, spazi e luoghi adeguati e idonei ad assicurare riservatezza e indipendenza;
e) capacità di gestire le relazioni interpersonali, attraverso la padronanza delle tecniche riparative, con un trattamento rispettoso, equiprossimo e non discriminatorio dei partecipanti, senza assumere nei confronti degli stessi un comportamento giudicante e senza fornire consulenza legale in alcuna forma;
f) capacità di farsi carico e prendersi cura degli effetti negativi del conflitto provocato dal reato, analizzandolo in modo imparziale, e capacità di favorire la scelta delle soluzioni migliori a superare gli effetti pregiudizievoli dell’offesa; ove possibile, capacità di costruire l’accordo riparativo e la ricostituzione dei legami con la comunità;
g) capacità di gestire, anche attraverso la padronanza del sistema normativo di riferimento, gli effetti che le vicende processuali producono sui partecipanti;
h) capacità di lavorare in gruppo con altri mediatori esperti e saper costruire il gruppo di lavoro idoneo al caso concreto;
i) capacità di interloquire con l’autorità giudiziaria, mediante le relazioni e le ulteriori comunicazioni dirette alla stessa;
l) capacità di gestire, con competenze relazionali e dialogiche funzionali all’interazione, nell’ambito del servizio pubblico, i rapporti con i difensori, gli interpreti e i traduttori, con i servizi della giustizia e del territorio, con l’autorità di pubblica sicurezza e con ogni ulteriore interlocutore sociale;
m) capacità di gestire, in modo autonomo, processi di formazione continua e aggiornamento professionale al fine di assicurare un alto livello di professionalità e competenza nella sua attività di mediazione.

  1. Il percorso per la formazione teorico-pratica dei mediatori esperti di cui all’articolo 59, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, del decreto legislativo, è unitario ed è istituito presso le Università, in collaborazione paritetica con i Centri.
  2. La collaborazione ha ad oggetto:
    1. il coordinamento scientifico-didattico del percorso unitario di formazione iniziale, con riguardo alla programmazione, all’ammissione, allo svolgimento e alla valutazione dello stesso;
    2. l’individuazione delle modalità tramite le quali vengono sostenuti, rispettivamente, dai candidati e dai partecipanti, gli oneri finanziari relativi alla prova di ammissione e alla formazione, ivi inclusa la prova finale, ai sensi dell’articolo 59, comma 10, ultima ipotesi, del decreto legislativo;
    3. l’individuazione delle modalità di ripartizione, tra le Università e i Centri, dei proventi finanziari della formazione.
  3. Le forme in cui si realizza detta collaborazione sono individuate dalle Università nell’ambito della loro autonomia.
  4. Alle Università è affidata la gestione amministrativa e finanziaria del percorso formativo unitario, previamente concordata con i Centri, e il rilascio dell’attestazione finale di cui all’articolo 9, comma 7.
  5. Per le finalità di cui al comma 2, il percorso formativo è istituito presso le Università aventi sede nel singolo distretto di corte d’appello, in collaborazione con i Centri di cui alla Conferenza locale di riferimento.
  6. Nell’ambito territoriale della medesima Conferenza locale, possono operare in forma consorziata sia i Centri sia le Università.
  7. L’offerta formativa si ispira a criteri di trasparenza e pubblicità.
  8. Per le finalità di cui all’articolo 59, comma 1, del decreto legislativo, il percorso formativo di cui al comma 1 del presente articolo riflette anche le specificità del territorio, ed è aperto all’evoluzione delle tecniche e delle migliori pratiche sperimentate anche in ambito internazionale.
  9. I partecipanti al percorso formativo unitario di cui agli articoli 4, 5 e 6 non possono superare il numero di venticinque per ciascun ciclo formativo, ad eccezione delle attività seminariali di cui all’articolo 4, comma 2.
  10. Ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, le qualificazioni di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa e di mediatore esperto formatore sono rimesse alla titolarità del Ministero della giustizia in qualità di ente pubblico titolare, che individua le Università quali enti titolati al suo rilascio.
  11. Nell’ambito della formazione, il trattamento dei dati personali da parte dei Centri si svolge nelle forme previste dal decreto ministeriale previsto dall’articolo 65 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150.

Art. 4
(Formazione teorica iniziale)

  1. La formazione teorica iniziale è assicurata dalle Università e si articola in un corso, di durata complessiva non inferiore a centosessanta ore effettive, avente ad oggetto l’insegnamento di principi, teorie e metodi della giustizia riparativa, nonché di nozioni basilari di diritto penale, diritto processuale penale, diritto penitenziario, diritto minorile, criminologia, vittimologia e delle ulteriori materie correlate di cui all’articolo 5. La frequenza delle attività formative è obbligatoria, salva una quota di assenze giustificate non superiore al 10% del monte ore complessivo
  2. In aggiunta a quanto previsto al comma 1 e al relativo monte orario, possono essere organizzati seminari specialistici, destinati a partecipanti la cui formazione accademica di partenza possa richiedere una integrazione specialistica funzionale al perseguimento degli obiettivi formativi di cui all’articolo 3, comma 1.
  3. I moduli formativi di cui ai commi che precedono tengono conto dei bisogni formativi specifici della singola classe di corso.
  4. I principi, teorie e metodi della giustizia riparativa comprendono anche lo studio:
    1. del paradigma della giustizia riparativa in una visione europea e internazionale, con riferimento alle raccomandazioni e alle politiche internazionali;
    2. di protagonisti, programmi, principi, standard e metodi della giustizia riparativa in materia penale, secondo lo specifico modello di cui al decreto legislativo;
    3. della deontologia del mediatore esperto;
    4. di peculiari ambiti applicativi della giustizia riparativa, tra cui quelli relativi ai reati più gravi o commessi in contesti di criminalità organizzata o altresì con vittime minorenni e altrimenti vulnerabili.
  5. L’insegnamento di principi, teorie e metodi della giustizia riparativa si svolge integralmente in presenza. L’insegnamento delle rimanenti discipline di cui al comma 1 può svolgersi con collegamento da remoto nei limiti di un quarto del relativo monte ore. I seminari di cui al comma 2 possono svolgersi anche con collegamento da remoto.
  6. La formazione con collegamento da remoto si svolge in diretta e con la telecamera sempre accesa anche per i partecipanti, salve specifiche esigenze, valutate dai formatori.
  7. La formazione di cui ai commi 1 e 2 si ispira a metodi, valori e principi della giustizia riparativa sanciti a livello internazionale. La stessa si svolge nelle forme tipiche della giustizia riparativa e prevede altresì:
  1. il coinvolgimento dei partecipanti nella didattica;
  2. l’alternanza costante, anche nella singola unità formativa, tra la formazione teorica e la sperimentazione pratica. Detta alternanza si realizza anche a mezzo della collaborazione dei mediatori formatori, allo scopo di consentire ai partecipanti, all’esito dell’illustrazione del modello teorico, l’esperienza personale e immediata della dinamica, anche relazionale, tipica del modello stesso, e la sua conseguente rielaborazione e restituzione al formatore teorico.

Art. 5
(Materie correlate)

  1. Le materie correlate di cui all’articolo 59, comma 5, del decreto legislativo, sono individuate, nell’ambito della collaborazione di cui all’articolo 3, comma 3, tenendo conto dei bisogni formativi specifici della singola classe di corso e delle conflittualità più frequenti nel territorio di riferimento.
  2. Nell’ambito della rispettiva autonomia regolamentare, le Università prevedono l’introduzione nell’offerta formativa di discipline individuate tra le seguenti materie correlate: elementi diritto pubblico, con particolare riferimento al diritto antidiscriminatorio, studi di genere, psicologia giuridica, psicologia di comunità, psicologia del conflitto, antropologia giuridica e culturale, sociologia dei processi culturali e interculturali, sociologia della devianza, teorie sociologiche sul conflitto e sui conflitti, sociolinguistica.

Art. 6
(Formazione pratica iniziale)

  1. La formazione pratica iniziale, nell’ambito del percorso unitario oggetto di programmazione in collaborazione di cui all’articolo 3, comma 3, è assicurata dai Centri tramite i mediatori esperti formatori.
  2. Il modulo formativo ha durata complessiva non inferiore a trecentoventi ore effettive, calcolate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, secondo periodo, e si svolge integralmente in presenza. I contenuti tengono conto dei bisogni formativi specifici di ogni singola classe di corso.
  3. Per le finalità di cui all’articolo 59, comma 6, del decreto legislativo, il percorso formativo dei partecipanti comprende i seguenti passaggi:
    1. acquisizione della consapevolezza dei propri conflitti e danni, provocati e subiti, anche mediante specifici e adeguati momenti esperienziali di lavoro, in forma dialogica con i formatori e con il gruppo;
    2. apprendimento delle pratiche e delle tecniche della mediazione, del dialogo riparativo e di ogni altro programma dialogico di cui all’articolo 53, comma 1, lettera c), del decreto legislativo;
    3. sviluppo di sensibilità specifica per i peculiari ambiti applicativi della giustizia riparativa, di cui all’articolo 4, comma 4, lettera d);
    4. sviluppo della capacità di discernimento del programma più idoneo al caso concreto e dell’abilità di seguirne integralmente il relativo percorso, gestendone con competenza ogni sua fase;
    5. acquisizione dell’idoneità al lavoro in gruppo con altri mediatori esperti e dell’abilità di costruire il gruppo di lavoro idoneo al caso concreto;
    6. acquisizione delle specifiche competenze necessarie per operare nell’ambito di un servizio pubblico nonché delle abilità relazionali e dialogiche funzionali all’interazione anche con i servizi della giustizia, l’autorità giudiziaria, i difensori, i servizi del territorio, le autorità di pubblica sicurezza e ogni ulteriore interlocutore sociale.
  4. Per le finalità di cui al comma 3, il modulo formativo prevede:
  1. l’utilizzo di specifici strumenti formativi interattivi, tra i quali: esercitazioni pratiche di progettazione e sperimentazione della conduzione dei diversi programmi di giustizia riparativa, in riferimento a tutte le fasi dei distinti percorsi; discussioni guidate; analisi e discussioni di casi; giochi di ruolo; simulazioni; esercizi di risoluzione di problemi; esercizi di ascolto attivo; esercizi di comunicazione non verbale; sollecitazioni metaforiche; visione guidata di materiale audio-video; ascolto di testimonianze;
  2. nell’ambito dell’attività di collaborazione di cui all’articolo 3, comma 3, e in analogia con la previsione di cui all’articolo 4, comma 7, lettera b), la restituzione degli esiti del percorso formativo anche ai formatori teorici, al termine del modulo o delle singole unità che lo compongono.

Art. 7
(Tirocinio)

  1. Il tirocinio curriculare è assicurato dai Centri, tramite i mediatori esperti.
  2. Il tirocinio si svolge presso il Centro o uno dei Centri consorziati che hanno curato la formazione pratica iniziale; può essere altresì svolto, in caso di specifiche esigenze valutate dai Centri stessi, esclusivamente presso altro Centro tra quelli che hanno attivato percorsi formativi pratici.
  3. Il tirocinio consiste nell’affiancamento dei tirocinanti a mediatori esperti, prioritariamente nella conduzione dei differenti programmi di cui articolo 53, comma 1, del decreto legislativo, ed altresì nel complesso delle ulteriori attività operative e organizzative del Centro.
  4. Il tirocinio ha durata complessiva pari a duecento ore effettive, calcolate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, secondo periodo, e comprende l’affiancamento nella conduzione di almeno dieci programmi.

Art. 8
(Prova di ammissione)

  1. La prova di ammissione è organizzata dalle Università e dai Centri, nell’ambito della collaborazione di cui all’articolo 3, comma 3.
  2. Alla prova di ammissione accedono i candidati in possesso del titolo di studio di cui all’articolo 59, comma 8, del decreto legislativo, e titoli equivalenti o equipollenti ai sensi di legge, e che abbiano previamente depositato il proprio curriculum vitae ed una lettera motivazionale. La prova consiste in un colloquio pubblico, da svolgersi in presenza, volto a valutare il contenuto della documentazione prodotta, nonché il livello di cultura generale e le attitudini specifiche del candidato stesso.
  3. Alla prova sovrintendono congiuntamente almeno due rappresentanti dell’Università e un mediatore esperto formatore e la stessa si conclude con l’espressione del giudizio di ammissione o non ammissione alla formazione teorica iniziale.
  4. Nell’organizzazione, svolgimento e valutazione della prova si tiene conto delle peculiari esigenze dei candidati portatori di disabilità o di disturbi specifici dell’apprendimento – DSA -, ove debitamente documentati, e si provvede ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e della legge 8 ottobre 2010, n. 170, nonché dell’ articolo 3, comma 4-bis del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, e del decreto del 9 novembre 2021 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento della funzione pubblica.

Art. 9
(Prova finale)

  1. La prova finale è organizzata dalle Università e dai Centri, nell’ambito della collaborazione di cui all’articolo 3, comma 3, e accedono alla stessa i partecipanti che hanno assolto all’obbligo di frequenza nella misura di cui agli articoli 4, comma 1, secondo periodo, 6, comma 2, e 7, comma 4.
  2. La prova finale di valutazione del percorso formativo unitario consiste nella dimostrazione, da parte dei partecipanti alla formazione, della conoscenza completa dei contenuti teorici del percorso, nonché della piena padronanza delle competenze tecnico-pratiche e delle specifiche abilità acquisite nel percorso formativo. A tali fini, la prova finale si articola in una prova teorica e una pratica.
  3. A entrambe le prove sovrintende una commissione di almeno cinque membri, composta da due formatori teorici e tre mediatori esperti formatori, scelti tra coloro che hanno somministrato il percorso unitario di formazione, nell’ambito della collaborazione di cui all’articolo 3, comma 3, lettera a) e comma 4.
  4. La prova teorica mira a valutare, in capo ai partecipanti, l’assimilazione dei contenuti didattici di cui all’articolo 4, commi 1, 2, 3 e 4, e di cui all’articolo 5, commi 1 e 2, nonché la capacità di elaborazione di uno scritto in materia di giustizia riparativa e altresì il livello di capacità dialettica raggiunto sul tema. La prova, della durata complessiva non inferiore a quattro ore, da svolgersi in presenza, consiste nella redazione di un testo scritto, elaborato in risposta a un quesito avente a oggetto un tema affrontato nel corso della formazione iniziale, seguita dalla discussione, in forma pubblica, dell’elaborato stesso.
  5. La prova pratica mira a valutare, ai sensi dell’articolo 59, comma 6, del decreto legislativo, il possesso, in capo ai candidati, di capacità di ascolto e di relazione, nonché delle competenze e abilità necessarie alla gestione degli effetti negativi dei conflitti, con specifica attenzione alle vittime, ai minorenni e alle altre persone vulnerabili, anche nelle peculiari modalità di cui all’articolo 6, comma 3 del presente decreto.
  6. La prova, della durata complessiva non inferiore a sei ore, da svolgersi in presenza, consiste nella simulazione di un programma, articolato nei differenti momenti e attività di cui lo stesso si compone: segnalazione del caso; gestione delle attività preliminari, tra cui valutazione individualizzata della vittima e della persona indicata come autore dell’offesa, scelta dello stile del linguaggio da utilizzare e attività di informazione nei confronti dei partecipanti; scelta del programma più utile per la gestione del conflitto avente rilevanza penale; raccolta del consenso; conduzione del programma prescelto, con specifico riferimento alla gestione dei rapporti con l’altro mediatore, e eventuali ulteriori mediatori, con la vittima o le vittime del reato, la persona indicata come autore dell’offesa e i loro familiari, con gli altri partecipanti, con l’autorità giudiziaria, con i difensori, gli interpreti e i traduttori, con i servizi della giustizia e del territorio, con l’autorità di pubblica sicurezza e con ogni ulteriore interlocutore sociale; costruzione, ove possibile, dell’accordo riparativo; redazione della relazione e delle ulteriori comunicazioni all’autorità giudiziaria; gestione dell’esito del programma. A mezzo della simulazione, i candidati dimostrano le competenze e abilità acquisite con riferimento a ciascuna delle fasi e delle attività indicate nel primo periodo; alla stessa partecipano, nei differenti ruoli richiesti dal programma, soggetti scelti dalla commissione di cui al comma 3 anche tra partecipanti alla formazione.
  7. La prova finale si conclude con la valutazione, oggetto di deliberazione a maggioranza, di idoneità o non idoneità del candidato, al quale è rilasciata attestazione relativa all’esito della prova. Alla prova si applica la disposizione di cui all’articolo 8, comma 4.

Art. 10
(Formazione continua)

  1. I mediatori esperti iscritti nell’elenco di cui all’articolo 60 del decreto legislativo curano la formazione continua mediante la frequenza dei percorsi di cui ai commi che seguono, con cadenza annuale a far data dal provvedimento di iscrizione nell’elenco istituito in forza dell’articolo 3 del decreto ministeriale di cui all’articolo 60, comma 2, del decreto legislativo.
  2. La formazione continua, per le finalità di cui all’articolo 59, comma 4, del decreto legislativo, è assicurata dalle Università e dai Centri, in collaborazione paritetica tra loro, tramite corsi annuali istituiti presso le Università.
  3. La collaborazione ha ad oggetto quanto previsto nell’articolo 3, comma 3, lettera a), nonché l’individuazione delle modalità tramite le quali i partecipanti sostengono gli oneri finanziari della formazione ed altresì delle modalità di ripartizione dei proventi finanziari della formazione tra le Università e i Centri.
  4. La scelta delle forme della collaborazione è effettuata ai sensi dell’articolo 3, comma 4. Alle Università è poi affidata la gestione amministrativa e finanziaria della formazione continua, previamente concordata con i Centri.
  5. La formazione ha ad oggetto: la revisione dei contenuti della formazione teorica e pratica, tramite moduli avanzati; la supervisione, a cura dei formatori, delle modalità di conduzione dei programmi da parte dei mediatori esperti, nonché la verifica della persistenza nel tempo del possesso delle capacità, abilità e competenze di cui all’articolo 9, comma 4; la condivisione, anche tra i partecipanti, di nuove prassi nazionali, europee e internazionali.
  6. Il corso annuale di formazione permanente ha durata complessiva non inferiore a sessanta ore effettive, calcolate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, secondo periodo, e si articola in moduli formativi anche suddivisi nel corso dell’anno solare, per un numero massimo di cinquanta partecipanti. Il corso si svolge in presenza per i tre quarti del monte orario complessivo e comunque per i moduli pratici; la residua formazione eventualmente offerta con collegamento da remoto si svolge in diretta e con la telecamera sempre accesa anche per i partecipanti, salve specifiche esigenze, valutate dai formatori. Al termine del corso annuale, è rilasciato dalle Università attestazione di partecipazione agli interessati, con onere di comunicazione al responsabile dell’elenco di cui all’articolo 3 del decreto ministeriale previsto dall’articolo 60, comma 2, del decreto legislativo.

Art. 11
(Finalità, struttura ed erogazione della formazione dei mediatori esperti formatori)

  1. Il percorso per la formazione iniziale e continua dei mediatori esperti formatori, di cui agli articoli 60, comma 2, terzo capoverso, prima ipotesi, del decreto legislativo, e 10 del decreto ministeriale previsto dalla stessa norma, è unitario ed è istituito presso le Università, in collaborazione paritetica con i Centri. Allo stesso si applicano le disposizioni di cui all’articolo 3, commi 4, 5, 6, 7 e 8, del presente decreto.
  2. La collaborazione ha ad oggetto:
    1. il coordinamento scientifico-didattico del percorso unitario di formazione inziale e permanente, con riguardo alla programmazione, allo svolgimento e alla valutazione dello stesso;
    2. l’individuazione delle modalità tramite le quali vengono sostenuti dai partecipanti gli oneri finanziari relativi alla formazione;
    3. l’individuazione delle modalità di ripartizione, tra le Università e i Centri, dei proventi finanziari della formazione.

Art. 12
(Modalità della formazione iniziale e continua dei mediatori esperti formatori)

  1. Al percorso formativo accedono i mediatori esperti iscritti nell’elenco di cui all’articolo 60 del decreto legislativo, che hanno comprovata perizia e professionalità nella materia della giustizia riparativa, derivante dall’esperienza concreta, specifica e continuativa nella conduzione di programmi come mediatore esperto presso uno o più Centri, maturata nel corso di almeno cinque anni precedenti la data della richiesta di iscrizione al percorso formativo.
  2. La formazione iniziale è assicurata dalle Università e dai Centri ai sensi dell’articolo 11, comma 1, e si articola in un corso, di durata complessiva non inferiore a ottanta ore effettive, calcolate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, secondo periodo, di cui almeno sessanta in presenza. Il corso si ispira a metodi, valori e principi della giustizia riparativa sanciti a livello internazionale e si svolge altresì nelle forme tipiche della giustizia riparativa, prevedendo il coinvolgimento dei mediatori esperti nella riflessione e in confronti orizzontali, sia tra gli stessi mediatori esperti sia tra costoro e i formatori.
  3. Il corso mira a:
    1. fornire ai partecipanti le competenze formative e psico-attitudinali, necessarie a preparare altri mediatori esperti alla formazione, specificamente declinate secondo i criteri della formazione in età adulta e altresì ispirate ai metodi, valori e principi di cui al comma 2;
    2. valorizzare l’acquisizione di tutte quelle competenze relazionali che rendono il formatore abile nel facilitare il mediatore esperto verso lo sviluppo personale e professionale;
    3. rendere i partecipanti in grado di organizzare e gestire processi di formazione continua, dalla fase di progettazione alla fase di valutazione, calibrandoli in funzione dei differenti bisogni dei destinatari della formazione;
    4. far conseguire ai partecipanti la capacità didattica circa l’autovalutazione della verifica della persistenza nel tempo del possesso delle capacità, abilità e competenze di cui all’articolo 9, comma 5.
  4. Il corso ha ad oggetto la rivisitazione, in chiave formativa, delle materie oggetto della formazione di cui agli articoli 4, 5 e 6, nonché l’insegnamento delle nozioni basilari di modelli didattici per la formazione degli adulti, l’autovalutazione e la costruzione del proprio modo di fare formazione, con specifico riferimento: allo studio del processo formativo nella sua interezza; all’attenzione all’ascolto della narrazione dei partecipanti; alla costruzione di una storia narrativa; alla capacità di creare un dialogo attento sia all’atto violento sia alla particolare vulnerabilità delle vittime; alla creazione e utilizzo del materiale didattico; alla gestione delle esercitazioni.
  5. Al termine del corso, è prevista per i partecipanti una simulazione finale dell’attività di formazione, sotto la supervisione dei docenti, nonché il rilascio, da parte dell’Università, di attestazione di idoneità o non idoneità del partecipante alla simulazione.
  6. I mediatori esperti formatori curano la formazione continua, assicurata dalle Università e dai Centri in collaborazione paritetica tra loro, tramite la frequenza dei corsi istituiti presso le Università, con cadenza annuale a far data dal provvedimento di annotazione della qualifica di formatore nell’elenco istituito in forza dell’articolo 3 del decreto ministeriale previsto dall’articolo 60, comma 2, del decreto legislativo.
  7. La formazione continua ha ad oggetto la revisione dei contenuti della formazione di cui ai commi 2, 3 e 4, tramite moduli avanzati, nonché la condivisione, anche tra i partecipanti, di nuove prassi formative nazionali, europee e internazionali.
  8. Il corso annuale di formazione permanente ha durata complessiva non inferiore a trenta ore effettive, calcolate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, secondo periodo, e si articola in moduli formativi anche suddivisi nel corso dell’anno solare, per un numero massimo di cinquanta partecipanti. Il corso si svolge in via prioritaria in presenza; la formazione eventualmente offerta con collegamento da remoto si svolge in diretta e con la telecamera sempre accesa anche per i partecipanti, salve specifiche esigenze, valutate dai formatori. Al termine del corso annuale, è rilasciata dalle Università attestazione dell’attività formativa svolta ai frequentanti, con onere di comunicazione al responsabile dell’elenco di cui all’articolo 3 del decreto ministeriale previsto dall’articolo 60, comma 2 del decreto legislativo.

Art. 13
(Disciplina transitoria)

  1. In deroga a quanto previsto dall’articolo 3, comma 6, laddove nel distretto di corte d’appello di competenza della Conferenza locale non siano ancora stati istituiti Centri, il percorso formativo dei mediatori esperti, di cui agli articoli 3 e seguenti, nonché dei mediatori esperti formatori, di cui agli articoli 11 e 12, è istituito presso le Università in collaborazione con uno o più Centri di cui alle Conferenze locali limitrofe. Laddove in detto distretto non siano presenti Università, il percorso formativo è istituito presso Università situate nei distretti di corte d’appello limitrofi, in collaborazione con uno o più Centri di cui alla conferenza locale di riferimento.

Art. 14
(Clausola di invarianza finanziaria)

Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il presente decreto sarà trasmesso ai competenti organi di controllo e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ai sensi dell’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 1985, n. 1092, e sul sito istituzionale dei Ministeri della giustizia, del lavoro e delle politiche sociali e dell’università e della ricerca.

Roma, il 9 giugno 2023

IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Carlo Nordio

IL MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Marina Elvira Calderone

IL MINISTRO DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA
Anna Maria Bernini

Registrato alla Corte dei Conti il 30/06/2023 con il n.1879

Decreto Lavoro 2023: Nuovo regime di causali e nuovi parametri di computo del periodo di
prova per i contratti a termine


Dott.ssa Federica Santoro

Approvato dal Consiglio dei Ministri, nella simbolica giornata del 1° maggio e pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il 4 maggio, il testo del nuovo Decreto Legge n. 48 – c.d. Decreto Lavoro 2023 –
il quale statuisce una serie provvedimenti volti ad introdurre un piano ah hoc di politiche per il
lavoro a sostegno delle famiglie e dei lavoratori. Dal nuovo taglio al cuneo fiscale per i redditi
medio bassi, al superamento del Reddito di cittadinanza o ancora dai maggiori controlli in materia
di sicurezza ad una maggiore flessibilizzazione nell’uso del contratto a termine.
Fra le numerose novità introdotte dal citato Decreto Legge n. 48 del 4 maggio 2023, quella che più
ha suscitato l’interesse degli addetti ai lavori è stata indubbiamente la Riforma sul contratto a
termine, rappresentativa di una delle principali misure contenute nel testo del provvedimento
presentato dall’Esecutivo al tavolo di Palazzo Chigi.
Il Governo Meloni modifica le fondamenta del contratto a termine superando la rigidità delle
causali previste dal Decreto Dignità reintroducendone la flessibilità antecedente, nel tentativo di
operare una maggiore liberalizzazione di tale tipologia contrattuale, mediante l’introduzione di
nuove causali che consentiranno un maggior margine di manovra al datore di lavoro. Le norme
contenute nel provvedimento, come anticipato, sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 4
maggio 2023 ed entrate in vigore a far data da venerdì 5 maggio 2023.
Giova rammentare come la disciplina del contratto a termine sia stata oggetto, nel susseguirsi del
tempo, di ripetute modifiche, ora per adeguarne il perimetro applicativo alle mutate esigenze sociali,
ora per porre un freno alle diverse posizioni giurisprudenziali oggettivamente restrittive e distanti
dal tenore letterale della norma. Dalla spinta alla liberalizzazione con la disciplina del Jobs Act del
2015 ed il c.d. Decreto Poletti dell’anno precedente, alla maggiore drasticità con il Decreto Dignità
ed il suo regime di “causali stringenti”, si è oggi giunti ad una soluzione forse intermedia. Appare
evidente come l’intenzione del Legislatore sia quella di convergere verso un maggiore ricorso del
contratto a termine il cui utilizzo è comunque affidato – fermi restando i vincoli di derivazione
europea – al controllo sindacale mediante le previsioni dei Contratti Collettivi.
Per quanto concerne le causali di legittimazione nell’uso del contratto a tempo determinato –
protratto oltre i 12 mesi – come si avrà modo di osservare nel corso del proseguo, sarà la
Contrattazione Collettiva espressa dai sistemi comparativamente più rappresentativi, a disciplinarne
il ricorso legittimo. Solo in difetto di previsioni contenute nei Contratti Collettivi opererà, in via
subordinata e soltanto sino al prossimo 30 aprile 2024, la clausola di legittimazione generale delle
“ragioni tecniche, organizzative e produttive” precisate dalle parti individuali del rapporto di lavoro.
Come è agevole comprendere, la nuova disciplina del Decreto Lavoro, ammette l’intervento
dell’autonomia individuale soltanto in mancanza di regole puntuali predisposte dai Contratti
Collettivi Nazionali di Lavoro. Il ruolo della Contrattazione Collettiva deve essere pertanto inteso
in termini vincoli di sistema nell’uso del contratto a termine.
Più specificamente, la nuova Riforma conferma la possibilità di stipulare liberamente tale tipologia
contrattuale per i primi 12 mesi, prevedendo – per quei rapporti protratti oltre tale scadenza e sino ad
un massimo di 24 mesi – nuove casuali sostitutive di quelle previste dal Decreto Dignità, le
quali permettono al datore una più agevole prosecuzione del rapporto di lavoro.
In seguito, alle modifiche decise a Palazzo Chigi, i contratti a termine potranno avere durata
superiore ai 12 e non eccedente i 24 mesi qualora ricorrano una delle seguenti condizioni di
legittimazione:

  1. specifiche esigenze previste dai Contratti Collettivi;
  2. esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di
    mancato esercizio da parte della Contrattazione Collettiva, e in ogni caso entro il termine del
    30 aprile 2024;
  3. esigenze sostitutive di altri lavoratori.
    In sintesi, il nuovo provvedimento conferma una “acausalità” del primo contratto a termine sino ai
    12 mesi, riconoscendo stabilmente alla Contrattazione Collettiva il ruolo di individuare i casi in
    riferimento ai quali è, altresì possibile, apporre un termine di durata superiore ai 12 mesi – nonché
    prorogare oltre tale termine ovvero procedere ad un rinnovo contrattuale – fermo restando
    comunque, il riconoscimento della causale sostitutiva. Soltanto in difetto di previsioni da parte della
    Contrattazione opererà, in via subordinata e limitatamente sino al prossimo 30 aprile 2024 la
    clausola di legittimazione generale delle “ragioni tecniche, organizzative e produttive”
    specificamente individuata dalle parti. Resta dunque, al professionista l’onere di verificare caso per
    caso il quadro normativo-contrattuale di riferimento nonché la responsabilità di adoperare il
    contratto a termine per le sue finalità “naturali” al fine di non esporre il datore di lavoro al rischio di
    un contenzioso giudiziale con il lavoratore.
    Mediante il Comunicato Stampa n. 32 del 1° maggio 2023 viene poi finalmente definito, il
    parametro di computo del periodo di prova per i rapporti di lavoro a tempo determinato, sino ad ora
    mai chiaramente esplicitato. E’ stata pertanto statuita una regola univoca di riparametrazione del
    periodo di prova nei contratti a termine anche di breve durata. La nuova disciplina si è poi
    preoccupata di stabilire la durata minima e massima di tale periodo.
    Giova rammentare come, il periodo di prova configura una clausola civilistica prevista all’art. 2096,
    con la quale il datore di lavoro ed il lavoratore subordinano l’assunzione definitiva all’esito positivo
    di un periodo di prova. Benché non sia obbligatorio, la sua funzione è quella di tutelare l’interesse
    reciproco delle parti all’instaurazione del rapporto di lavoro: da un lato il datore di lavoro ha la
    possibilità di verificare l’attitudine professionale del lavoratore – e la sua complessiva idoneità in
    relazione alle mansioni affidate ed al contesto aziendale – dall’altro il lavoratore può valutare la sua
    convenienza a ricoprire quella particolare posizione occupazionale.
    Secondo le più recenti disposizioni dell’ articolo 7 comma 2 del Decreto Trasparenza 2022, nel
    rapporto di lavoro a termine, la prova è stabilita “in misura proporzionale alla durata del contratto
    ed alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego”. Nessun nuovo periodo di prova
    può essere contemplato in caso di rinnovo contrattuale per lo svolgimento delle medesime
    mansioni. Stante il disposto normativo, il Legislatore non si è preoccupato di fornire al contempo un
    parametro utile agli addetti ai lavori per un corretto riproporzionamento di tale periodo sicché, di
    recente l’Esecutivo è intervenuto rivisitando la disciplina sul patto di prova nei contratti a termine
    ed introducendo nuovi parametri di computo.
    Alla luce delle nuove modifiche normative intervenute con il Decreto Lavoro, fatte salve le
    previsioni più favorevoli della Contrattazione Collettiva, la durata del periodo di prova è fissata in
    un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a far data dall’inizio del
    rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni
    e superiore a quindici per i contratti con durata non superiore a sei mesi, e trenta giorni per quelli
    con durata superiore ai sei ed inferiori ai dodici mesi.

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Associazione mafiosa e associazione dedita allo spaccio

Uno sguardo critico sull’annosa questione del concorso di reati

Massimo Autieri*

ABSTRACT

Il lavoro mette in luce il contrasto giurisprudenziale e le distorsioni applicative della giurisdizione di merito, soffermandosi sul rischio di adire interpretazioni estensive del concorso tra reati volte ad ampliare l’ambito di punibilità del reato di associazione finalizzata allo spaccio. Nella specie, si formula l’auspicio che venga scongiurato il rischio di adire interpretazioni tese ad esasperare la funzione repressiva del diritto penale, auspicando l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Cassazione.

The contribution highlights the jurisprudential contrast and the application distortions of the trial judges, focusing on the risk of bringing extensive interpretations of the concurrence of crimes aimed at expanding the scope of punishment of the crime of association aimed at drug dealing. The aim is underlining the risk of resorting to interpretations aimed at exacerbating the repressive function of criminal law will be averted, in the hope of a clarifying intervention of the Grand Chamber of the Supreme Court of Cassation.

Sommario: 1. Note introduttive – 2. Distorsioni applicative del concorso di reati: l’associazione mafiosa e l’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio- 3. Applicabilità della cd. aggravante mafiosa alla associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti – 4. Conclusioni.

1. Note introduttive

Il presente lavoro prende le mosse dall’annosa questione relativa alle distorsioni applicative in punto di concorso di reati, in particolare tra il reato associativo di cui all’articolo 416 bis c.p. e associazione per delinquere ex art. 74 d.P.R. 309/90, offrendo soluzioni alternative a quelle proposte dalla giurisprudenza di merito.

Sul punto concernente la coesistenza delle due associazioni, va subito chiarito che la giurisprudenza di merito, per lo più, ritiene che la differenza sostanziale tra un’associazione di stampo camorristico (416 bis c.p.) e un’associazione dedita al narcotraffico (art. 74 d.P.R. 309/90) stia nel fine programmatico dell’una, certamente più ampio, rispetto all’altra, caratterizzata dall’esclusivo narcotraffico; che ricorra la sola associazione dedita al narcotraffico se il sodalizio nasce e si sviluppa solo allo scopo di operare nel settore degli stupefacenti[1]; ancora, la prevalente giurisprudenza di legittimità sostiene che le due fattispecie associative concorrano solo a condizione che il fine criminoso perseguito dall’associazione camorristica non si esaurisca nel narcotraffico[2]; in ultimo, generalmente in giurisprudenza si afferma che i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi[3].

2. Distorsioni applicative del concorso di reati: l’associazione mafiosa e l’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio

Al fine di fare corretta applicazione dei canoni ermeneutici in materia, occorre, innanzitutto, chiarire e fare buon uso dell’istituto giuridico del principio di specialità e, comunque, di quello di elaborazione dottrinale[4] e giurisprudenziale dell’assorbimento o continenza, pur in presenza di una affermata commistione tra le due entità associative, essendovi sostanziale sovrapposizione di uomini e mezzi con piena condivisione dei profitti provenienti dalla consumazione dei delitti fine. 

Non può certamente negarsi che l’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, fin dalla sua entrata in vigore quale autonoma fattispecie di reato, pongaproblemi relativi alsuo concorso formale con altre fattispecie delittuose di tipo associativo, in particolare con quelle previste dagli articoli 416 e 416 bis c.p.

Invero, non è infrequente imbattersi in dinamiche delinquenziali ove vi sia un unico sodalizio finalizzato alla commissione di delitti di diversa natura, tra cui quelli in materia di stupefacenti e/o che operi avvalendosi del metodo mafioso, anche in quelle in cui sia riscontrabile una pluralità di sodalizi differenti per finalità delittuosa, ma afferenti alla medesima complessa struttura criminosa, elevata a società criminale “madre”.

In questi casi, il rischio di cadere in ipotesi di violazione del ne bis in idem sostanziale e, comunque, di pervenire a un esito sanzionatorio eccessivo, dovrebbe indurre ogni interprete del diritto a un attento esame dei rapporti tra le diverse fattispecie associative e suggerire una certa prudenza nel valutare un concorso formale tra di esse. 

Non vi è dubbio che l’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti mutui la propria struttura dal reato associativo semplice di cui all’art. 416 c.p.: elementi strutturali comuni sono la stabilità del vincolo associativo, la struttura organizzativa e l’indeterminatezza del programma criminoso, ma ne differisce, indubbiamente, in relazione ai reati-fine, al bene giuridico protetto, alla ratio e alle finalità politico-criminali. Infatti, l’art. 74 d.P.R. 309/90 punisce specificamente il traffico di stupefacenti e tutela, oltre l’ordine pubblico, anche la vita e la salute.

Alla luce di quanto esposto è innegabile, come riconosciuto in dottrina[5] e giurisprudenza, che vi sia un rapporto di specialità tra le due fattispecie associative, con aggiunta di elementi specializzanti unilaterali per l’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90. In tal caso è da ritenere non configurabile un concorso formale tra i due reati qualora sussistano, nella fattispecie concreta, detti elementi specializzanti, ovvero l’associazione sia dedita esclusivamente al traffico di sostanze stupefacenti.

Maggiori difficoltà si incontrano nel caso in cui si sia in presenza di un’associazione che presenti un programma criminoso “misto”, ovvero dedita non solo al traffico di stupefacenti ma anche ad altre fattispecie delittuose. In tal caso, stante la diversità dei beni giuridici – perché l’art. 74 tutela, oltre l’ordine pubblico, anche la salute e la vita – la giurisprudenza[6] ritiene possibile il concorso formale tra i due reati, rappresentandosi, nel caso di specie, una specialità reciproca per sotto-fattispecie; pertanto i sodali sarebbero punibili per entrambe le ipotesi associative, pur in presenza di un’unica compagine associativa.

In realtà, non si comprende per quale ragione non possa applicarsi anche per questo caso specifico l’art. 15 c.p. che, in virtù del principio di specialità, ritenga prevalente l’art. 74 d.P.R. 309/90, tale da evitare una duplicazione della punizione del soggetto agente partecipe della stessa realtà associativa, salva la possibilità di condannarlo per i singoli reati-fine, cui abbia concorso, evitando cosìla violazione del ne bis in idem sostanziale.  

Anche l’associazione di tipo mafioso e l’associazione per il narcotraffico presentano taluni elementi fondamentali comuni, quali la stabilità del vincolo associativo, la struttura organizzativa, l’indeterminatezza del programma criminoso, ma differiscono, indubbiamente, in relazione al bene giuridico protetto, alla ratio e alle finalità politico-criminali delle due norme, oltre che, sotto il profilo formale, per la differente formulazione normativa delle due fattispecie[7].

In questo caso, secondo la giurisprudenza, le due fattispecie possono, pertanto, concorrere tra loro[8].

Nonostante la Suprema Corte si sia espressa in favore del concorso formale, anche in questo caso tanto nell’ipotesi concreta dell’unico sodalizio dedito al traffico di stupefacenti che ricorra al metodo mafioso, quanto in quella del sottogruppo della stessa associazione di stampo mafioso che si dedichi stabilmente e in via esclusiva alla realizzazione delle attività di cui all’art. 74 T.U. in materia di sostanze stupefacenti  – sembra possa affermarsi tra le due norme un rapporto di specialità.

In particolare, il rapporto tra i due reati associativi, qualificabile in termini di specialità reciproca, può essere dettagliatamente ricostruito nel senso che l’art. 74 d.P.R. 309/90 è speciale quanto alla tipologia delittuosa perseguita (traffico di stupefacenti – specialità per specificazione), ma è aspecifica quanto al metodo di azione (assenza del metodo mafioso), mentre l’art. 416 bis c.p. è speciale quanto al metodo mafioso (specialità per aggiunta), ma è aspecifico con riferimento ai delitti perseguiti.

In tali termini, ritenendo opportuno valutare le singole posizioni di interferenza, qualora risulti costituito un unico sodalizio, in virtù dell’art. 15 c.p., dovrebbe prevalere l’art. 416 bis c.p., per il maggior numero di elementi specializzanti; nella diversa ipotesi in cui si rinvenga la sussistenza di due sodalizi distinti e autonomi, che abbiano tra di loro relazioni, deve valutarsi attentamente la specifica posizione degli appartenenti, giungendo a conclusioni differenti a seconda che questi ultimi svolgano un ruolo in entrambi oppure abbiano aderito soltanto a uno di essi, perché solo nel primo caso sarebbe possibile il concorso formale tra i due reati associativi.

Sarebbe eccessivo ritenere configurabile il concorso formale tra le due associazioni, quella mafiosa e quella dedita ai traffici di stupefacenti, nel caso di fattispecie associative che presentino la medesima struttura organizzativa, perché in tali casi il fatto appare esprimere un disvalore penale sostanzialmente omogeneo[9].

L’opportunità di applicare la disciplina del concorso apparente di norme ai casi di partecipazione a un unico sodalizio a prescindere dalla varietà del programma delittuoso, può giustificarsi attraverso il criterio dell’assorbimento in luogo di quello strutturale, perché si è in presenza di una unitarietà normativo-sociale del fatto associativo; dunque, il disvalore del fatto concreto verrebbe assorbito dalla fattispecie che sanziona il reato più grave.

In presenza di una struttura organizzativa unitaria, per quanto allettante sia la prospettiva del concorso formale in termini repressivi e di deterrenza per l’eccezionale carico sanzionatorio, sembra davvero inopportuna la contestazione di una pluralità di reati associativi in conseguenza della diversa natura dei reati-fine, posto che la pericolosità insita nella struttura organizzativa, che è alla base del programma delittuoso, è già sufficientemente neutralizzata dall’applicazione di una sola delle disposizioni rilevanti. In pratica, il favor per il concorso apparente di norme pare conseguenza necessaria di un’interpretazione delle fattispecie associative che valorizzi come fulcro del disvalore l’elemento strutturale dell’organizzazione, più che la specifica tipologia dello scopo delittuoso[10].      

Pertanto, non è condivisibile la ricostruzione giuridica operata dalla Corte di Cassazione prevalente, che vuole il concorso formale tra il reato associativo di stampo mafioso e il reato associativo dedito al traffico di sostanze stupefacenti, negando il concorso apparente di norme, pur in presenza di una medesima struttura organizzativa di tipo associativo.

La giurisprudenza della Corte riconosce il concorso tra il reato di cui all’articolo 416 bis c.p. e quello di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, ma con riferimento a un contesto associativo tra gruppi federati o sottogruppi nell’ambito di un’organizzazione associativa “madre”, giammai in presenza di un unico sodalizio con similitudine di uomini, mezzi e condivisione di profitti.

In tal senso, il principio dell’assorbimento o consunzione, in luogo di quello di specialità che ha natura logico-strutturale, si configura quale criterio di valore che inevitabilmente assolve la funzione di venire incontro a esigenze di equità e di giustizia sostanziale. Secondo tale principio, in presenza di fatti astrattamente sussumibili sotto più fattispecie incriminatrici (tra le quali non ricorra un rapporto di specialità ex art. 15 c.p.), è consentito ritenere operante un concorso apparente di norme e non un concorso di reati quando la realizzazione di un reato comporti, secondo l’id quod plerumque accidit, la commissione anche dell’altro, di modo che il primo esaurisce in sé l’intero disvalore del fatto. Questo rapporto di compresenza non sfuggirebbe nemmeno al Legislatore, il quale, nel prevedere il trattamento per il reato più grave, fisserebbe una sanzione adeguata a coprire il disvalore del reato meno grave, in ossequio al principio di legalità. Dunque, in base al criterio di consunzione, lex consumens derogat lex consumptae, troverebbe applicazione la sola norma che prevede la pena più grave allo scopo di venire incontro all’esigenza di evitare l’addebito plurimo di un medesimo fatto quando quello meno grave esaurisca il significato antigiuridico in quello più grave, sicché appare evidente l’irragionevole quanto ingiusta duplicità di sanzione in relazione al criterio di proporzione tra fatto illecito e pena quale principio che ispira il nostro ordinamento (ne bis in idem “sostanziale”). 

La prevalente giurisprudenza di legittimità, più volte citata, nell’affermare la sussistenza di un “nuovo organismo criminale” finalizzato al traffico degli stupefacenti “dotato di autonomia strutturale e finalistica oltre che decisionale e organizzativa” ma con una “commistione di uomini e mezzi mutuati dall’organismo originario impegnando e impiegando i sodali storici più affidati ed esperti e mantenendo anche i ruoli a loro affidati” cede il passo a un percorso argomentativo evidentemente illogico e contraddittorio. Invero, non può ragionevolmente esservi organismo criminale contiguo a quello originario con identità di organigramma (uomini e mezzi) che allo stesso tempo acquisisca e conservi autonomia strutturale, finalistica, decisionale e organizzativa, ancor più se al vertice della nuova struttura vi sia la stessa persona; pertanto, da un punto di vista “fattuale”, l’organizzazione criminale non può che essere la medesima, mentre da un punto di vista “normativo – descrittivo” sarebbe da riconoscerne l’unitarietà in base al richiamato principio dell’assorbimento.

Le distorsive prassi applicative della giurisprudenza di merito scelgono di estremizzare tali concetti, tanto da ritenere che impegnare e impiegare gli stessi sodali, quelli storici più fidati ed esperti al fine di rendere sicura la riuscita delle nuove operazioni illecite nel campo degli stupefacenti, equivarrebbe alla possibile configurabilità delle due fattispecie associative pur quando si tratti di un gruppo criminale non sovrapponibile in toto a quello del clan mafioso.

Appare allora evidente il disallineamento logico di simili argomentazioni in ordine all’applicazione del principio dell’assorbimento.

Tanto a fondamento del ragionamento che gli interessi programmatici di natura delinquenziale s’incentrino nell’ambito di un’unica compagine associativa;  pertanto, avendosi sul piano “fattuale” un’unica struttura organizzativa, al fine di evitare una duplice condanna per l’esistenza sul piano “giuridico” di due diverse associazioni criminali, sarà possibile evocare il principio dell’assorbimento per il quale, pur non essendovi piena identità di bene giuridico tutelato ma comunque uniformità degli scopi prevalenti perseguiti dalle norme concorrenti, secondo cui lo scopo della norma che prevede il reato minore sia chiaramente assorbito da quella relativa al reato più grave inglobandone il disvalore sociale e il significato antigiuridico. Così, argomentando, apparirà irragionevole la duplicità di sanzione in relazione al principio di proporzione tra fatto illecito e pena secondo un criterio di normalità e giustizia sociale che ispira il nostro ordinamento giuridico, e sarà possibile applicare la sola pena per il reato più grave.

3. Applicabilità della cd. aggravante mafiosa alla associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. 

A questo punto, non è un fuor d’opera trattare della problematica relativa all’applicabilità della aggravante mafiosa all’associazione dedita al narcotraffico.

L’aggravante mafiosa di cui all’art. 416 bis 1 c.p.  in relazione al reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti non dovrebbe – diversamente da quanto avviene nella prassi giurisprudenziale – avere riconoscimento, per essere elemento essenziale del concorrente reato di associazione mafiosa e per essere stata contestata quale aggravante dei singoli reati di cessione di stupefacenti, configurandosi, in tal guisa, una violazione del ne bis in idem sostanziale.

Il metodo mafioso e l’agevolazione mafiosa sono elementi tipici del reato di cui all’art. 416 bis c.p.;  pertanto la partecipazione alla concorrente associazione dedita al narcotraffico – quando espressiva di tali connotazioni – presenterebbe modalità dell’azione insite nella partecipazione al reato di associazione mafiosa che ne assorbirebbe l’intero disvalore sociale; diversamente opinando, il soggetto sconterebbe più volte un medesimo “fatto” configurato dal Legislatore nella duplice veste di elemento essenziale del reato associativo di stampo mafioso e quale elemento accidentale di ogni delitto che dell’atteggiamento mafioso si avvale per la sua consumazione o per agevolare l’associazione mafiosa.

Sarebbe logico quanto opportuno convenire, nei casi di concorso formale tra i reati di associazione per delinquere di stampo mafiosa e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, quando espressive del “medesimo contesto associativo”, che l’aggravante ex art. 7 L. 203/91 non possa sussistere con riferimento al reato di cui all’articolo 74 d.P.R. 309/90, invocandosi ancora una volta il principio dell’assorbimento o consunzione.

Invero, se il sodalizio è “unico” (identità di persone e mezzi) e ha tra le sue finalità anche l’illecito traffico di stupefacenti è di palmare evidenza che i sodali, predisponendo una struttura organizzativa per operare anche nel settore degli stupefacenti, altro non fanno che perseguire il comune programma da tutti condiviso e l’adesione al quale integra la condotta di partecipazione con le modalità di quella mafiosa.

In giurisprudenza, si tende a  valorizzare un criterio di giudizio che implica una consequenzialità automatica (ai limiti dell’imputazione oggettiva) quando si lega l’aggravante mafiosa, sotto il profilo del metodo e dell’agevolazione, al reato associativo dedito al narcotraffico per il semplice dato di appartenere anche all’associazione camorristica, secondo un ragionamento per il quale far parte di un’associazione mafiosa implicherebbe un’inevitabile espressione mafiosa in ogni delitto-fine si volesse consumare.

4. Conclusioni

In conclusione, se appare fondato l’assunto per il quale il contesto ambientale e l’appartenenza a un’associazione mafiosa implichino inevitabilmente un portato mafioso in ogni delitto-fine si voglia consumare (al di là di un criterio di imputazione oggettiva che in violazione del principio di colpevolezza comunque si contesta), allora bisognerebbe disconoscere l’aggravante mafiosa per l’associazione dedita al narcotraffico perché condotta “assorbita” in quella di partecipazione nel reato di stampo camorristico (essendone qui elemento strutturale),  non potendosi duplicare una contestazione per un medesimo “fatto” stante il richiamato principio del ne bis in idem sostanziale.

Pertanto, è pienamente condivisibile la massima secondo la quale “La circostanza aggravante di cui all’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, nelle due differenti forme dell’impiego del metodo mafioso nella commissione del reato e della finalità di agevolare, con il delitto posto in essere, l’attività dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, è configurabile anche con riferimento al reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990”[11]. Tuttavia, bisognerebbe escluderne il portato proprio per l’ipotesi in cui una data persona appartenga a un “unico sodalizio” che sul piano giuridico si configuri sotto il duplice assetto di associazione mafiosa e associazione dedita al narcotraffico; diversamente opinando, evidente sarebbe la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale.

L’aggravante mafiosa di cui all’art. 416 bis 1 c.p., sotto altro ragionamento, è da considerare incompatibile con il reato associativo dedito al traffico di sostanze stupefacenti anche per essere quest’ultimo un particolare reato di natura permanente. Il metodo mafioso e l’agevolazione mafiosa quando costantemente esistenti in un’organizzazione anche specializzata nel traffico di stupefacenti non potranno che qualificare come mafiosa quell’associazione ai sensi dell’art. 416 bis c.p. per il principio di specialità; diversamente, al di fuori di ipotesi associative il metodo mafioso e l’agevolazione mafiosa, quali circostanze aggravanti, connoteranno qualsivoglia reato sotto il diverso profilo della modalità della condotta (metodo mafioso) o dei motivi a delinquere (agevolazione mafiosa), ma riferiti al singolo episodio criminoso e nel momento in cui esso si perfeziona.

Il ragionamento valorizza il medesimo elemento sotto un duplice aspetto: il metodo mafioso e l’agevolazione mafiosa, quando rapportati a un’entità associativa con programma delittuoso indeterminato, incidono sulla struttura del reato stesso; invece, quando rapportati a qualsiasi altro reato, anche permanente ma non di tipo associativo, incidono sotto l’aspetto circostanziale. In particolare, il rapporto tra i due reati associativi, qualificabile in termini di specialità reciproca, può essere dettagliatamente ricostruito nel senso che l’art. 74 d.P.R. 309/90 è speciale quanto alla tipologia delittuosa perseguita (traffico di stupefacenti – specialitàper specificazione) ma è aspecifica quanto al metodo di azione (assenza del metodo mafioso), mentre l’art. 416 bis c.p. è speciale quanto al metodo mafioso (specialità per aggiunta) ma è aspecifico con riferimento ai delitti perseguiti[12]. Pertanto, dovrebbe prevalere la sola norma che punisce l’associazione mafiosa (mostrando una specialità per aggiunta) ogni qualvolta vi sia un unico sodalizio espressivo di ambedue le realtà associative, in ossequio al principio del ne bis in idem sostanziale.

Tale ricostruzione che vuole l’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 c.p. riferita ai singoli reati fine non connotati dal pactum sceleris e dal programma delittuoso indeterminato, offre una soluzione, dunque, in armonia con il principio di proporzione del trattamento sanzionatorio, evitando di punire un medesimo soggetto per il medesimo fatto più volte, oltre che di osservanza al principio di stretta legalità.

Riferimenti bibliografici

Albanese F., Caruso A., La Russa I., Panella S.M., Morace C., Saruci L., Legislazione antimafia e sistema del doppio binario. Analisi della normativa penale, processuale e penitenziaria, Reggio Calabria, 2009, in part. L. SARUCI, Il sistema del doppio binario nell’ambito delle indagini preliminari, 268 ss. e 295 ss.; Amato G., Configurabilità del concorso tra associazione finalizzata al traffico di stupefacente e associazione di tipo mafioso, Nota a Cass., Sez. IV Pen. (Pres. A. Morgigni, Rel.-est. C. G. Brusco), sentenza 20 marzo 2008, n. 12349, in Cass. pen., 2008, 4294-4296; Antolisei F., Manuale di diritto penale. Parte Generale, Milano, XVI ed. 2003; De Vero G., Tutela dell’ordine pubblico e reati associativi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, n. 1, 93; Fiandaca G., Musco E.., Diritto penale. Parte Generale, Bologna, VIII ed. 2019; Insolera G., Spangher G., Della Ragione L., I reati in materia di stupefacenti, fattispecie monosoggettive. Criminalità organizzata. Profili processuali, Milano, 2019; Maiello V., voce Pubblica intimidazione, in Enc. Dir., Vol. XXVII, Milano 1988, 912; Mutti F., L’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope, in Insolera G. (a cura di), Le sostanze stupefacenti, Torino, 1992; Palazzo F. C., Consumo e traffico degli stupefacenti, Padova, Ed. II, 1994; Spagnolo G., L’associazione di tipo mafioso, Padova, 1990; Pelissero M., Associazione di tipo mafioso e scambio elettorale politico-mafioso, in AAvv., Reati contro la Personaltà dello Stato e l’Ordine pubblico, in Pelissero M. (a cura di), i Torino, ed. I, 2010; Mantovani F., Diritto Penale, Padova, X ed. 2017; Marinucci G.- Dolcini E., Manuale di diritto Penale, Milano, VI ed. 2017; Serra G., Le Sezioni Unite e il concorso apparente di norme, tra considerazioni tradizionali e nuovi spunti interpretativi, in Dir. pen. cont., 2017, n. 11, 173-185.

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*Avvocato penalista presso il Foro di Napoli. Cultore della materia di diritto penale presso l’Università degli studi di Napoli “Parthenope”, cattedra dei Proff. Alberto De Vita e Fabrizio Rippa. Docente dir. pen. a.c. Link Campus University Roma. Patrocinante in Cassazione.

[1] Cfr. Cass., Sez. Un. Pen. (Pres. V. Carbone, Rel-est. G. Marasca), sentenza 13 gennaio 2009 (ud. 25 settembre 2008), n. 1149, in dejure.it

[2] Cfr. Cass., Sez. IV Pen. (Pres. C. Citterio, Rel.-est. M. Ricciarelli), sentenza 8 gennaio 2016 (ud. 29 ottobre 2015), n. 563, in dejure.it.

[3] Cfr., ex plurimis, Cass. Sez. II Pen., (pres. De Santis Annamaria, rel-est Tutinelli Vincenzo, sentenza 25 novembre 2011 n. 44888 in dejure.it; Cass. sez. II pen, sentenza 30 gennaio 2008 (ud. 30 gennaio 2008), n. 17746 in dejure.it.

[4] Vedi F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte Speciale, volume II, Milano, ed. 2016, p. 247 ss; G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte Speciale, Bologna, VIII ed. 2019, pp. 463 ss.

[5] In tal senso cfr. F. C. Palazzo, Consumo e traffico degli stupefacenti, Padova, Ed. II Cedam, 1994,  p 33ss; cfr. P. Mutti, L’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope, in G. Insolera (a cura di), Le sostanze stupefacenti, Torino, 1992, 272.

[6] Tra tutte, Cass., SS. UU. Pen., sentenza 13 gennaio 2009, n. 1149, cit.

[7] Sul tema, cfr. G. Amato, Configurabilità del concorso tra associazione finalizzata al traffico di stupefacente e associazione di tipo mafioso, in Cass. pen., 2008, 4294-4296.

[8] Cfr. Cass., Sez. I Pen. (Pres Di Lauro, Rel-est Scino), sent. 21 gennaio 2010 n. 17702, CED, Rv 247059; Cass., Sez. IV Pen. (Pres. A. Morgigni, Rel.-est. C. G. Brusco), sentenza 20 marzo 2008, 12349, CED Rv 239298.

[9] F. Albanese, G. Caruso, I. La Russa, C. Morace, S.M. Panella, L. Saruci, in Legislazione antimafia e sistema del doppio binario. Analisi della normativa penale, processuale e penitenziaria, Reggio Calabria, 2009, in part. L. Saruci, Il sistema del doppio binario nell’ambito delle indagini preliminari, 268 ss. e 295 ss.  

[10] Sul punto, cfr. G. Insolera, G. Spangher, L. Della Ragione, I reati in materia di stupefacenti, fattispecie monosoggettive. Criminalità organizzata. Profili processuali, Milano, 2019, 483.

[11] Cfr. Cass., Sez. VI Pen. (P.M. in proc. Corso), 30 ottobre 2013 (udienza 30 ottobre 2013), sentenza n. 462013 in C.E.D. Cass., n. 258163; Cass., Sez. Un. pen., 22 giugno 2017, n. 41588, La Marca, con nota di G. Serra, Le Sezioni Unite e il concorso apparente di norme, tra considerazioni tradizionali e nuovi spunti interpretativi, in Dir. pen. cont., 2017, n. 11, 173-185.

[12] Sul punto vedi, in dottrina, M. Pelissero, Associazione di tipo mafioso e scambio elettorale politico-mafioso, in Id. (a cura di), Reati contro la Personaltà dello Stato e l’Ordine pubblico, Torino, I ed. 2010, pp. 299ss; F. Mantovani, Diritto Penale, Padova, X ed. 2017, 469; G. Marinucci- E. Dolcini, Manuale di diritto Penale, Milano, VI ed. 2017, 521ss. 

Le WH questions della Mediazione familiare

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Le WH questions della Mediazione familiare

Avv. Angela Allegria

Ricordo più lezioni sulle Wh questions, sia allorché il prof. di inglese introduceva la spiegazione dei pronomi interrogativi, sia ogni volta che si parlava di come scrivere un buon pezzo giornalistico. Adesso, mi chiedo, perché non provare a spiegare cosa è la mediazione familiare attraverso poche, semplici, domande?
Proviamo!

What?

Cosa è la mediazione familiare?

Secondo la definizione fornita dal Forum Europeo dei Centri di formazione alla mediazione familiare, la Mediazione familiare è “il processo nel quale un terzo con una preparazione specifica è sollecitato dalle parti a intervenire per affrontare le questioni conflittuali connesse con la riorganizzazione familiare in vista o a seguito della separazione coniugale, nel rispetto del quadro legislativo esistente in ogni paese”.

When?

Quando si svolge?

Di solito si rivolgono al mediatore familiare coppie che si vogliono separare, ma si può ricorrere alla mediazione familiare anche ogniqualvolta c’è un problema di comunicazione all’interno della famiglia.

 Where?

Dove si svolge?

Il mediatore familiare è un libero professionista. La mediazione familiare si svolge nel suo studio, attorno ad un tavolo rotondo che garantisce la parità di ciascuna persona. L’assenza di spigoli vuol significare la possibilità di rendere effettivo un dialogo circolare con la consapevolezza che le due persone che adiscono la mediazione e il mediatore formano una equipe che ha il compito di affrontare i problemi comunicativi e giungere a soluzioni consapevoli e durature.

 Why?

Perché ricorrere alla mediazione familiare?

Esistono tre buone ragioni per accostarsi alla mediazione:

  • A Livello individuale, una buona mediazione aumenta la propria autostima e la stima dell’altro, favorendo un approccio più reattivo alle problematiche comunicative che si presentano sia in famiglia che nel lavoro, a scuola o con le Istituzioni.
  • A Livello relazionale, fornisce lo spunto per conoscere di più se stessi e gli altri e valutare soluzioni diverse e condivise riguardo problematiche comuni.
  • A Livello pratico, un buon accordo, che sarà rispettato dalle parti, permette di recuperare tempo, energie e di non disperdere risorse.

Who?

Chi si può rivolgere al mediatore familiare?

I coniugi, i compagni, gli ex coniugi, i genitori, i fratelli e le sorelle, i suocere e le nuore, i suoceri e i generi, i cugini, i parenti e qualunque persona abbia problemi di comunicazione con un parente.

Chi è il mediatore familiare?

Il mediatore familiare è un facilitatore della comunicazione, ha il ruolo di guida, di mentore e conduce l’attenzione dalle posizioni iniziali ai veri bisogni, a ciò che è veramente importante per le parti.
Ha il compito di portare i membri della coppia a trovare da sé le basi di un accordo durevole e mutuamente accettabile tenendo conto dei bisogni di ciascun componente della famiglia e particolarmente di quelli dei figli in uno spirito di corresponsabilità ed uguaglianza dei ruoli genitoriali.
È obiettivo, neutrale, dedica lo stesso tempo ad entrambe le parti, favorisce la comunicazione, tiene conto non del passato ma del presente in prospettiva del futuro.

How?

Come si svolge la mediazione familiare?

La mediazione familiare è un percorso di 10 o 12 incontri. È rivolta alla coppia, in fase di separazione (o che ha problemi di comunicazione), che vuole far emergere i suoi veri bisogni e quelli dei figli. Si tratta di una mediazione centrata sulla famiglia, un percorso che apre la storia delle coppie a nuove letture, tenendo presente che si può non essere più marito e moglie, ma si resta sempre genitori.

La riforma del congedo di paternità e del congedo parentale per i genitori lavoratori dipendenti alla luce del d.lgs. n.105/2022 e della nota dell’INL n.9550 del 6 settembre 2022

Avv. Annunziata Staffieri

Lo scorso 13 agosto, in un’ottica di parità di genere e di condivisione dei carichi familiari fra uomo e donna, è entrato in vigore il decreto legislativo 30 giugno 2022, n.105 con il quale è stata recepita la direttiva UE 2019/1158 del Parlamento e del Consiglio, del 20 giugno 2019, finalizzata ad assicurare il giusto equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i caregiver familiari, che ha abrogato la direttiva 2010/18/UE.
Con l’indicato decreto sono stati ampliati i diritti e le tutele in precedenza riconosciuti dal D.lgs. n.151/2001 (cd Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) a tali categorie di soggetti, introducendo novità non solo in tema di maternità, di congedo straordinario e di permessi di cui all’art. 33 della legge n.104/92, ma anche in materia di congedo di paternità obbligatorio e di congedo parentale per genitori lavoratori dipendenti.
Successivamente, sia l’INPS, con il messaggio n. 3066 /2022 e n. 3096/2022, che l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota 9550 del 6 settembre 2022, hanno passato in rassegna le principali novità introdotte dalla riforma in oggetto.
Ma che cos’è il congedo di paternità?
Il congedo di paternità , com’è noto, è una conquista recente: si tratta di un istituto introdotto nel nostro ordinamento, in via sperimentale, soltanto dieci anni fa dall’art. 4, comma 24, lettera a) della legge 28 giugno 2012, n.92, sotto la spinta della direttiva europea 2010/18/UE, con il fine precipuo di riconoscere, ai dipendenti (inizialmente solo a quelli privati) che diventano padri o che adottano o ottengono in affidamento un bambino, il diritto di astenersi obbligatoriamente dal lavoro, godendo di una indennità giornaliera, totalmente a carico dell’INPS, pari al 100% della retribuzione.
Il suddetto congedo obbligatorio era inizialmente pari ad una sola giornata di astensione dal lavoro, che poteva essere fruita dal lavoratore, anche in maniera frazionata, entro i cinque mesi dalla nascita del bambino o dall’ingresso dello stesso in famiglia (in caso di affidamento o adozione).
Successivamente, i giorni di congedo obbligatorio passarono a due, con la legge di stabilità 2015 in riferimento agli anni 2016 e 2017, e poi ulteriormente incrementati fino a cinque con la legge di bilancio 2019.
L’art. 1-comma 342- della legge n.160/2020 (legge di bilancio 2020) ha poi sancito l’ulteriore incremento fino a sette giorni di congedo obbligatorio per l’anno 2020.
A partire dal 2021, infine, i giorni di congedo obbligatorio sono stati elevati a dieci (legge di bilancio 2021). Tuttavia, a seguito dell’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di bilancio 2022), dal 1° gennaio 2022, il congedo in parola è stato reso “strutturale” e non più sperimentale. È stato pertanto sancito in maniera definitiva, senza più scadenze e senza più necessità di rinnovi annuali, il diritto per il neo papà (biologico, affidatario o adottivo) di poter fruire dei giorni di congedo entro i primi 5 mesi di vita del bambino o dall’ingresso dello stesso in famiglia, anche in maniera non continuativa, interamente retribuiti.
Quali le novità previste in materia dal citato D.lgs. n. 105/2022?
La prima novità è l’introduzione nel cd Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.lgs. del 26 marzo 2001, n.151) del nuovo art. 27-bis, con il quale è stata confermata la durata del congedo in parola; alla luce di questa disposizione normativa il padre lavoratore, in caso di nascita (ma anche di morte perinatale), adozione e affidamento, potrà astenersi dal lavoro fino a dieci giorni lavorativi, non frazionabili a ore, fruibili anche in via continuativa e indennizzati al 100% della retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto e immediatamente precedente a quello in cui ha avuto inizio il periodo di congedo di paternità.
Rispetto alla disciplina pregressa sono state introdotte tre ulteriori grandi novità in materia:

  • è stata introdotto il diritto per il lavoratore padre (padre biologico, affidatario e adottivo) di poter godere del congedo anche prima della nascita del bambino, potendo lo stesso chiedere al proprio datore di lavoro di poterne fruire anche 2 mesi prima della data presunta del parto e fino a 5 mesi dopo la nascita del bambino;
  • in caso di parto plurimo il numero di giorni raddoppia per le nascite, gli affidamenti e le adozioni a decorrere dal 13 agosto 2022, cosa che non era prevista in precedenza;
  • potranno fruire del congedo anche i dipendenti pubblici, finora di fatto esclusi da tale beneficio.
    Giova rammentare che il permesso in esame si configura come un diritto “autonomo” del padre lavoratore, “indipendente”, “ulteriore” e ”aggiuntivo” non solo rispetto al congedo di maternità spettante alla lavoratrice madre (esso viene infatti riconosciuto al padre lavoratore anche nel caso in cui quest’ultimo fruisca del congedo di paternità alternativo ex art. 28 del dlgs n. 151/2001) ma anche rispetto all’ulteriore giorno (1) di congedo di paternità “facoltativo”, anch’esso da fruire, anche in via non continuativa, entro i cinque mesi successivi alla nascita del bambino o all’ingresso dello stesso in famiglia.
    In quest’ultimo caso va precisato, tuttavia, che il congedo facoltativo è da considerarsi “alternativo” al congedo obbligatorio di maternità (la ex astensione obbligatoria dal lavoro); ne consegue che esso può essere fruito dal padre solo nei casi previsti dall’art. 28 del T.U., vale a dire soltanto in caso di morte, grave infermità della madre o di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, in alternativa al congedo di maternità.
    In conclusione, il congedo di paternità ‘obbligatorio’ è sì compatibile con la fruizione del congedo di paternità ‘alternativo’, ma non potrà essere utilizzato, per ovvie ragioni, nelle stesse giornate.
    Inoltre il congedo in parola, come precisato dall’INPS con i messaggi 3066/2022 e 3096/2022 e dalla INL con la nota prot n. 9550 del 06.09.2022, può essere fruito anche durante il congedo di maternità della madre lavoratrice (la cd. astensione obbligatoria).
    Giova rammentare che quando si parla di dieci giorni di congedo si fa riferimento ai giorni lavorativi e non ai giorni di effettivo lavoro (sarà conteggiato, ad esempio, anche il sabato e via discorrendo).
    Il datore di lavoro che rifiuti o ostacoli la fruizione del suddetto congedo è punito con la sanzione amministrativa compresa tra 516 e 2.582 euro. Inoltre una simile condotta potrà precludere al datore il conseguimento della certificazione della parità di genere (prevista dalla legge n.162/2021) o di analoghe certificazioni previste dalle Regioni e dalle Province autonome nei rispettivi ordinamenti, impedendo allo stesso di accedere a tutta una serie di benefici quali ad esempio:
  • per le aziende virtuose uno sconto del 1% sui contributi fino a 50mila euro annui;
  • un punteggio premiale per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici;
  • punteggio alto nei bandi di gara per l’acquisizione di beni e forniture.
    Ricordiamo, inoltre, che il padre lavoratore che fruisca del congedo di cui agli articoli 27-bis e 28, per la durata del congedo stesso e fino al compimento di 1 anno di età del bambino non potrà essere licenziato.
    Il licenziamento ugualmente intimato dal datore di lavoro durante il periodo “protetto” è da considerarsi radicalmente nullo; tale tipo di nullità è sanzionata con la tutela più favorevole al lavoratore: la tutela reintegratoria forte (sia per i vecchi che per i nuovi assunti), con il diritto per il dipendente ad essere reintegrato nel posto di lavoro, con tutte le conseguenze di legge.
    Tuttavia il legislatore prevede quattro deroghe al divieto in parola.
    Il divieto di licenziamento, infatti, non opera in caso di:
    -colpa grave del padre lavoratore (come nel caso delle lavoratrici madri), costituente giusta causa di licenziamento;
    -cessazione definitiva dell’attività aziendale;
    -scadenza lavoro a termine;
    -esito negativo del patto di prova.
    Inoltre, durante il periodo protetto il lavoratore non può essere sospeso dal lavoro, esclusa l’ipotesi di chiusura dell’attività aziendale o del reparto in cui il dipendente era addetto, a condizione che il reparto abbia autonomia funzionale.
    La violazione delle disposizioni relative al divieto di licenziamento è punita con la sanzione amministrativa compresa tra 1.032 a 2.582 euro.
    Il divieto di licenziamento della lavoratrice madre o del lavoratore padre fino a un anno di vita del bambino, non preclude, tuttavia, la possibilità per gli stessi di rassegnare le dimissioni o di risolvere consensualmente il proprio rapporto di lavoro in tale arco temporale.
    In tal caso si ricorda che, ai sensi dell’art. 55, co. 4, del d.lgs. n. 151/2001, la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice madre o dal lavoratore padre durante i primi tre anni di vita del bambino devono essere convalidate dal Servizio Ispettivo dell’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente.
    Al riguardo si rammenta che lo scorso 23 maggio l’INL, a seguito della cessazione dello stato di emergenza da COVID-19, ha modificato la procedura della convalida ritenendo non più utilizzabile il modello di richiesta online di convalida delle dimissioni/risoluzioni consensuali, in sostituzione del colloquio “de visu” della lavoratrice madre o del lavoratore padre con il funzionario dell’ITL.
    Al momento è possibile effettuare il colloquio di convalida con il personale dell’ITL anche da “remoto”, mediante la presentazione di un apposito modello di richiesta disponibile “online” sul sito dell’INL.
    Tale istanza dovrà essere compilata e sottoscritta dall’interessata/o e trasmessa all’ITL competente per territorio (individuato in base al luogo di lavoro o di residenza del lavoratore o della lavoratrice interessati) mediante posta elettronica, allegando copia di un documento di identità e della lettera di dimissioni/risoluzione consensuale presentata al datore di lavoro, debitamente firmata e datata.
    Ricevuta l’istanza, il servizio ispettivo avvierà il procedimento di convalida che dovrà concludersi entro il termine di 45 giorni.
    In merito alla convalida delle dimissioni del lavoratore padre, l’INL (nota prot.n. 749 del 25 settembre 2020) ha chiarito che essa “va sempre effettuata, a prescindere dalla fruizione del congedo di paternità, avendo cura di verbalizzare una dichiarazione del lavoratore secondo cui il datore di lavoro è a conoscenza della propria situazione familiare anche in virtù di comunicazioni o richieste di diverso tenore”.
    In caso di dimissioni rassegnate durante il periodo protetto, al padre lavoratore dovrà essere riconosciuta dall’INPS l’indennità NASPI, con conseguente obbligo per l’azienda di pagare il “ticket NASPI”.
    Ma vi è di più.
    Sempre in tema di convalida di dimissioni del lavoratore padre l’INL (nota prot.n. 896 del 26 ottobre 2020) ha chiarito che il padre lavoratore, fruitore del congedo di paternità, che si dimetta durante il periodo protetto non è tenuto al preavviso ed ha diritto a percepire la relativa indennità sostitutiva di preavviso.
    Qualora invece il padre lavoratore si dimetta durante il periodo protetto senza aver fruito del congedo di paternità, allora egli sarà esonerato dal preavviso ma non avrà diritto alla relativa indennità sostitutiva.
    Ai fini dell’esonero dal preavviso, l’INL ricorda che conta il fatto che il datore di lavoro sia a conoscenza della situazione familiare del lavoratore anche in occasione della presentazione delle dimissioni, allorquando il dipendente ne parli al datore di lavoro per motivare il mancato rispetto del periodo di preavviso.
    Per l’esercizio del diritto i padri lavoratori, come chiarito dall’INPS con il messaggio n.3066/2022, a partire dallo scorso 13 agosto possono chiedere di fruire del congedo secondo le nuove regole dettate dal decreto legislativo n.105/2022, regolarizzando poi la fruizione mediante la presentazione della domanda in via telematica all’INPS non appena saranno accessibili i nuovi applicativi; il lavoratore dovrà comunicare in forma scritta al proprio datore di lavoro i giorni in cui intende fruire del permesso obbligatorio osservando, comunque, un preavviso non inferiore ai cinque giorni.
    La forma scritta della comunicazione può essere sostituita dall’utilizzo del sistema informativo aziendale per la richiesta e la gestione delle assenze, ove presente.
    Con il decreto in esame sono state introdotte novità anche in relazione al congedo parentale per i genitori lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati.
    Il congedo parentale.
    Per “congedo parentale” si intende quel periodo di astensione “facoltativa” dal lavoro, retribuito al 30% della retribuzione media globale giornaliera, che segue il congedo di maternità.
    Quali sono le novità previste in materia dal decreto n.105/2022?
    In breve la norma prevede:
    1) l’allungamento fino ai 12 anni di vita del figlio (e non più 6) del termine per poter fruire del congedo parentale;
    2) a ciascun genitore viene riconosciuta la possibilità, fino al 12° anno di età del figlio (e non più 6), di astenersi dal lavoro per un periodo di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore, indennizzati al 30% della retribuzione media globale giornaliera.
    Dunque, esemplificando il caso di due genitori:
    a) alla madre spetta un periodo di 3 mesi retribuiti al 30% (non trasferibili all’altro genitore) fino al dodicesimo anno di vita del figlio, ovvero dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o di affidamento;
    b) al padre spetta un periodo di 3 mesi retribuiti al 30% (non trasferibili all’altro genitore) fino al dodicesimo anno di vita del figlio, ovvero dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o di affidamento;
    3) i genitori, in alternativa tra loro, hanno il diritto a un ulteriore periodo aggiuntivo di congedo parentale della durata complessiva di 3 mesi, nel limite massimo complessivo di 9 mesi (in luogo di 6).
    In sintesi, tre mesi per la mamma, tre mesi per il papà e tre ulteriori mesi a scelta tra i due genitori.
    Concludendo, a decorrere dal 13 agosto viene innalzato a 9 mesi (e non più 6, come invece previsto dalla disciplina pregressa) il periodo massimo che può essere fruito dai genitori a titolo di congedo parentale; dunque tre mesi in più rispetto al passato indennizzati al 30% della retribuzione media globale giornaliera, restando tuttavia invariati i limiti massimi individuali di entrambi i genitori previsti dall’art. 32 del d.lgs. n.151/2001.
    Inoltre per i periodi di congedo parentale ulteriori ai 9 mesi, fino al dodicesimo anno di vita del bambino o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento, l’indennità pari al 30% della retribuzione media globale giornaliera, è dovuta a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria.
    Si ricorda inoltre che i genitori di minori con handicap, in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4 della legge n.104/92, hanno diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del figlio, ad una indennità pari al 30% della retribuzione media globale giornaliera per tutto il periodo di prolungamento.
    In caso di nucleo “monofamiliare” o di “affido esclusivo”, il periodo di congedo parentale sale a 11 mesi (rispetto ai 10 mesi precedenti), continuativi o frazionati; in tal caso al “genitore solo” saranno remunerati 9 mesi al 30% della retribuzione globale giornaliera (e non più 6 come in passato).
    Inoltre, in caso di affido esclusivo del figlio l’altro genitore perderà il diritto al congedo non ancora utilizzato.
    L’INL con la nota 9550 dello scorso 6 settembre precisa che i periodi di assenza per congedo parentale, nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all’interno degli stessi, mentre in caso di fruizione intervallata dovrà esservi rientro al lavoro da parte del padre o della madre.
    La grande novità introdotta dal decreto 105/2022 è rappresentata dal fatto che i periodi di congedo parentale sono computati, rispetto al passato, nell’anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi, tredicesima mensilità o gratifica natalizia, eccezion fatta per gli emolumenti accessori collegati all’effettiva presenza in servizio del dipendente, salvo eventuali discipline di maggior favore della contrattazione collettiva.
    Di conseguenza, a seguito della riforma in esame, il lavoratore in caso di fruizione del permesso in parola, percepirà una retribuzione leggermente più alta rispetto al passato.
    Inoltre si ricorda che:
    in sostituzione del congedo parentale e per una sola volta, il dipendente potrà chiedere la trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a part- time, con riduzione dell’orario di lavoro non superiore al 50%.
    viene riconosciuto ai dipendenti con figli fino a 12 anni di età (senza limiti di età per i genitori di figli disabili) il diritto di precedenza nella concessione del lavoro agile.
    Conclusioni.
    Nonostante l’introduzione della nuova disciplina, l’Italia resta comunque nelle retrovie in materia di tutela della genitorialità rispetto agli altri paesi.
    In Spagna, ad esempio, a decorrere dal 1 gennaio 2021 entrambi i genitori, in caso di nascita o di adozione o di affidamento, possono godere di 16 settimane di congedo, remunerato al 100% della retribuzione.
    Di queste 16 settimane, le prime 6 vanno fruite fruite obbligatoriamente da entrambi i genitori mentre le successive 10 (sempre indennizzate al 100%) sono volontarie e quindi i genitori potranno decidere se utilizzarle a tempo pieno o part time oppure condividerle tra di loro, con effetti positivi sulla condivisione dei compiti genitoriali.
    In Finlandia, dallo scorso 4 settembre, a entrambi i genitori sono concessi fino a 160 giorni di congedo, con la possibilità di trasferirne 63 all’altro genitore (o a chi si prenda cura del figlio), senza che la legge faccia riferimento al sesso del genitore né tanto meno al fatto che essi siano biologici, adottivi o affidatari.
    Concludendo, la recente riforma italiana è certamente da apprezzare ma è solo un primo timido passo in avanti verso la parità di genere, finalizzato a ridurre il gender pay gap e la disoccupazione femminile.

POPPER A.I. (ARTIFICIAL INTELLIGENCE) “VENTO IN POPPER !” IL LIBRO “LA TAVOLA DELLE PROVE LEGALI” (NEU ROMA 2021)

POPPER A.I. (ARTIFICIAL INTELLIGENCE) “VENTO IN POPPER !” IL LIBRO “LA TAVOLA DELLE PROVE LEGALI” (NEU ROMA 2021) è un saggio collettaneo, curato dal Giudice Gennaro Francione, per la messa al bando dell’indiziario per un processo scientifico basato su prove forti secondo la metodologia di Karl Popper Su un idea del Giudice Ferdinando Imposimato Francione elabora con una serie di Magistrati, Avvocati, Scienziati, Criminologi, Psicologi, addetti ai lavori etc. la costruzione di una tavola per la valutazione secondo protocolli rigorosi delle prove da parte dei giudici. Solo l’avvento del Giudice Scienziato che sostituisca il giudice romanziere può attuare una reale Giustizia Giusta. In questo video la SUMMA DEL “PROGETTO MOV.RIN.GIU PER LA RIVOLUZIONE COPERNICANA DELLA GIUSTIZIA” Popper! Fiat iustitia et pereat mundus!”

Lo potete vedere su

Ps. Il Giudice Francione ringrazia sempre tutti i coautori e in particolare il Maestro Informatico Antonio Broi per la messa a punto di questo video.

Decreto Trasparenza: i nuovi obblighi informativi e la diffida “obbligatoria” ex art. 13 dlgs n.124/2004

Avv. Annunziata Staffieri*

Oggi sabato 13 agosto entra in vigore il tanto contestato d.lgs. n.104/2022, icasticamente battezzato “Decreto Trasparenza”. Cosa cambia a seguito dell’entrata in vigore di tale provvedimento?Sono due le principali novità introdotte dalla normativa: recependo la direttiva UE 2019/1152, relativa a condizioni trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea, il decreto ha non solo inciso sulla gestione del rapporto di lavoro introducendo novità in merito al periodo di prova, alla formazione obbligatoria, alla prevedibilità minima dell’orario di lavoro, ai sistemi automatizzati e via discorrendo, ma ha anche implementato significativamente gli obblighi informativi a carico del datore di lavoro.Sotto quest’ultimo aspetto, il decreto Trasparenza ha appesantito gli obblighi informativi a carico del datore di lavoro rispetto alla disciplina “quo ante” recata dal d.lgs. n. 152/1997, suscitando aspre critiche da parte degli operatori del settore, considerate l’estrema complessità dei nuovi adempimenti e la ristrettezza dei termini previsti dal citato decreto; tant’è che l’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha chiesto al Ministro del Lavoro il rinvio dei termini di entrata in vigore della nuova disciplina.Nonostante le numerose richieste, tuttavia, non vi è stato alcun rinvio sicché il decreto trasparenza, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 29 luglio 2022, entra in vigore oggi 13 agosto, al termine del periodo di “vacatio legis”. Va però detto che l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la circolare n. 4 dello scorso 10 agosto scritta a quattro mani con il Ministero del Welfare, nel fornire i primi chiarimenti in relazione alle modalità di assolvimento dei nuovi obblighi informativi introdotti dal decreto in esame, ha alleggerito il carico degli adempimenti e snellito notevolmente il contenuto della lettera di assunzione. Quali sono i contratti di lavoro interessati dal nuovo decreto?Eccone un elenco:1) contratto di lavoro subordinato, anche quello agricolo, a tempo indeterminato, a termine e anche part time;2) contratto di lavoro somministrato;3) contratto di lavoro intermittente;4) rapporto di collaborazione con prestazione prevalentemente personale e continuativa organizzata dal committente;5) contratto di collaborazione coordinata e continuata;6) contratto di prestazione occasionale;7) contratti dei lavoratori marittimi e della pesca, fatta salva la legislazione speciale vigente in materia;8) contratti dei lavoratori domestici.Quali sono, invece, i contratti esclusi?Tale disciplina non trova applicazione nei confronti dei rapporti di seguito indicati:a) rapporti di lavoro autonomi disciplinati nel titolo III del libro V del codice civile e dal decreto legislativo 28 febbraio 2021, n.38;b) rapporti di lavoro a tempo predeterminato ed effettivo di durata pari o inferiore a una media di tre ore a settimana per quattro settimane consecutive;c) rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale;d) rapporti di collaborazione prestati nell’impresa del coniuge del datore di lavoro dai parenti e dagli affini non oltre il terzo grado, che siano con lui conviventi;e) rapporti di lavoro del personale dipendente di pubbliche amministrazioni in servizio all’estero.Quali informazioni vanno comunicate al lavoratore?In base alle nuove disposizioni normative il datore di lavoro pubblico o privato, oppure il committente, dovranno comunicare per iscritto gli “elementi essenziali del rapporto di lavoro”, vale a dire:1) le identità delle parti del rapporto di lavoro, comprese quelle dei co-datori di cui all’articolo 30, comma 4-ter e 31, commi 3-bis e 3-ter, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;2) il luogo di lavoro: in mancanza di un luogo fisso o predominante, il datore di lavoro comunica che il lavoratore è occupato in luoghi diversi o è libero di determinare il proprio luogo di lavoro;3) la sede oppure il domicilio del datore di lavoro;4) l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore;5) la data di inizio del rapporto di lavoro;6) la tipologia del rapporto di lavoro precisando, in caso di rapporto a tempo determinato, la data di conclusione o la durata dello stesso;7) nel caso di lavoratori assunti tramite agenzia di somministrazione del lavoro, l’identità delle imprese utilizzatrici, non appena questa è nota;8) la durata e le condizioni del periodo di prova, se previsto;9) il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore di lavoro, se prevista;l0) la durata del congedo per ferie e degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore o, se ciò non può essere indicato all’atto dell’informazione, le modalità di determinazione e di fruizione degli stessi;11) la procedura, la forma e i termini del preavviso in caso di recesso del datore (licenziamento) o del lavoratore (dimissioni);12) l’importo iniziale della retribuzione o comunque il compenso e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo e delle modalità di pagamento;13) la programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in parte prevedibile; 14) se il rapporto di lavoro è caratterizzato da modalità organizzative in parte o interamente imprevedibili e non prevede, pertanto, un orario normale di lavoro programmato, in tal caso il datore di lavoro informa il lavoratore relativamente: a) alla variabilità della programmazione di lavoro, all’ammontare minimo delle ore retribuite garantite e alla retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta alle ore garantite; b) alle ore e ai giorni di riferimento in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni lavorative; c) al periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell’inizio della prestazione lavorativa e, ove ciò sia consentito dalla tipologia contrattuale in uso e sia stato pattuito, il termine entro cui il datore di lavoro può annullare l’incarico;15) il contratto collettivo, anche aziendale, applicato al rapporto di lavoro, con l’indicazione delle parti che lo hanno sottoscritto;16) gli enti e gli istituti che ricevono i contributi previdenziali e assicurativi dovuti dal datore di lavoro e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso;17) ulteriori obblighi informativi, previsti dall’art. 1 del d.lgs. n.152/1997, qualora le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro siano organizzate mediante l’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.In quest’ultimo caso giova rammentare che il datore di lavoro, o il committente, deve informare il lavoratore circa l’eventuale utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati atti a fornire indicazioni inerenti alla gestione del rapporto di lavoro nonché alla sorveglianza, alla valutazione delle prestazioni e all’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori.Fermo restando quanto previsto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (legge n.300/70), tali disposizioni si riferiscono anche a tutte le tipologie di lavoro gestite tramite app o mediante sistemi automatizzati (si pensi ad esempio alla piattaforma di food delivery).In tali ipotesi, i lavoratori sono destinatari di ulteriori tutele, da esercitare direttamente o per il tramite dei propri rappresentanti sindacali. Da quando decorrono i nuovi obblighi informativi?La circolare dell’INL è chiara al riguardo: essi decorrono da oggi 13 agosto. Pertanto i nuovi obblighi si applicheranno solo ai rapporti instaurati da tale data. Tuttavia, per espressa previsione del decreto trasparenza, la nuova disciplina trova applicazione a tutti i rapporti di lavoro già instaurati alla data del 1° agosto u.s.Proprio in riferimento ai rapporti già instaurati alla data del 1° agosto, i lavoratori hanno diritto di chiedere per iscritto un’integrazione delle informazioni in loro possesso e i datori di lavoro, o i committenti, saranno tenuti a riscontrare tale richiesta entro 60 e non più entro 30 giorni come previsto dalla versione iniziale del decreto.Analogo diritto di integrazione viene riconosciuto anche ai lavoratori assunti dopo la pubblicazione del decreto Trasparenza sulla Gazzetta Ufficiale ma prima della sua entrata in vigore, cioè durante il periodo a cavallo tra il 1° e il 12 agosto: anche tali lavoratori, così come i loro colleghi con rapporti già in essere alla data del 1° agosto, avranno pertanto il diritto di chiedere l’integrazione delle informazioni relative al proprio rapporto di lavoro e il datore o il committente dovranno riscontrare tale richiesta anche in questo caso, naturalmente sempre entro il termine tassativo dei 60 giorni.Come va assolto il nuovo obbligo informativo?Tale obbligo informativo è assolto nel momento in cui il datore di lavoro consegna al lavoratore, all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro e prima dell’inizio della prestazione lavorativa, alternativamente: – il contratto individuale di lavoro, redatto per iscritto o in un’apposita informativa; – copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro.Nell’indicata circolare l’INL apre alla possibilità di ottemperare a tali obblighi informativi mediante rinvio, relativamente alla sola disciplina di dettaglio, al CCNL applicato o ad altri documenti aziendali (es. regolamenti interni). Giova tuttavia ricordare che tale semplificazione è consentita solo ove i contratti collettivi, o le altre policy aziendali, vengano consegnati contestualmente all’assunzione o messi a disposizione secondo la prassi aziendale (ad esempio mediante la bacheca aziendale, oppure mediante e-mail personale fornita dal lavoratore o anche mediante e-mail o intranet aziendale).Sono valide sia le informazioni cartacee che quelle elettroniche e tutte devono essere rese accessibili al lavoratore e conservate dall’azienda: sarà infatti cura del datore di lavoro verificare che la comunicazione sia stata non solo ricevuta ma anche letta dal lavoratore, conservando tale prova per la durata di 5 anni dall’instaurazione del rapporto di lavoro (e non più i 10 anni invece previsti dalla versione originaria del decreto).I dati mancanti dovranno essere forniti per iscritto al lavoratore entro 7 giorni successivi all’inizio del rapporto di lavoro, eccezion fatta per le informazioni indicate alle lettere g), i), m), q) e r) di cui al novellato art. 1 del DLGS n.157/2017 (ad esempio quelle relative al CCNL, alle ferie e al preavviso) che potranno essere fornite entro il termine di 30 giorni dall’assunzione. Nel caso di recesso datoriale (licenziamento) prima della scadenza del termine di un mese dalla data di inizio del rapporto lavorativo, la consegna dell’informativa al lavoratore deve avvenire al momento dell’estinzione del rapporto, sempre che tale obbligo non sia stato già adempiuto in precedenza.Quali sanzioni sono previste per chi non adempie?Nei confronti di chi non adempie, oppure lo fa in modo solo parziale, saranno comminate pesanti sanzioni da parte degli organi ispettivi.Sotto il profilo sanzionatorio, infatti, la violazione di tale obbligo informativo comporta l’applicazione da parte degli ispettori di una sanzione amministrativa pecuniaria che va dai 250 ai 1.500 euro per ciascun lavoratore, così come previsto dall’art. 19, comma 2, del Dlgs n. 276/2003.Come ricordato dall’INL nell’indicata circolare n.4/2022, tale sanzione è comminabile solo nel momento in cui siano decorsi i termini previsti dal decreto trasparenza per l’integrazione delle informazioni, quindi 7 o 30 giorni a seconda del tipo di informazione mancante.Si ricorda che tale regime sanzionatorio, disciplinato dalla legge n.689/81, è soggetto a diffida obbligatoria ex art. 13 del d.lgs. n.124/2004 (da non confondere con il diverso istituto della diffida accertativa), trattandosi di una violazione sanabile.Com’è noto, la diffida in esame è un istituto deflattivo del contenzioso in virtù del quale gli accertatori prescrivono al trasgressore, oppure all’eventuale obbligato in solido, la corretta tenuta di specifiche condotte imposte dalla legge (nel caso di specie l’adempimento dei nuovi obblighi informativi), con la possibilità, comunque, che la spontanea adesione a quanto prescritto con la diffida comporta l’applicazione di una sanzione di miglior favore. La diffida in esame viene detta “obbligatoria” perché costituisce appunto un vincolo per il personale ispettivo: essa infatti rappresenta una condizione di procedibilità dell’azione sanzionatoria degli illeciti amministrativi in materia di lavoro e di legislazione sociale (Ministero del Lavoro, circolare n. 24/2004).Ne consegue che l’adozione di un provvedimento di contestazione/notificazione di una violazione sanabile, come quella in esame, se non viene preceduta dalla diffida ex art. 13, Dlgs n. 124/2004, risulta di fatto inficiata da un vizio di carattere procedimentale che si ripercuote pertanto sulla legittimità del provvedimento medesimo (Ministero del Lavoro, circolare n.9/2006).Dunque l’ispettore del lavoro provvederà a diffidare il trasgressore, o l’eventuale obbligato in solido, a sanare la violazione riscontrata e a quel punto l’azienda avrà a disposizione 30 giorni per mettersi in regola.In conclusione, la condotta sanante dovrà essere posta in essere entro e non oltre il termine di 30 giorni dalla data di notifica del verbale conclusivo degli accertamenti ispettivi. Solo a seguito dell’effettiva ottemperanza alla diffida il trasgressore, o l’eventuale obbligato in solido, viene ammesso al pagamento della sanzione “in misura minima” nei successivi 15 giorni, a seguito dei quali il procedimento sanzionatorio si estingue, benché solo limitatamente alle inosservanze oggetto di diffida (vedi circolare Ministero del Lavoro 9 dicembre 2010, n. 41). Giova rammentare che è preclusa la possibilità di ricorrere avverso la diffida in esame, considerato che tale atto, non essendo definitivo, non è immediatamente lesivo della sfera giuridica del trasgressore o dell’eventuale obbligato in solido.Inoltre, l’adozione della diffida in commento interrompe i termini per:la contestazione e notificazione degli illeciti amministrativi, fino alla scadenza del termine per la regolarizzazione e per il pagamento della sanzione minima;la presentazione di scritti ricorsi e/o scritti difensivi ex art. 18, legge n. 689/81 e art. 17 del Dlgs n. 12472004.In caso di mancata ottemperanza alla diffida obbligatoria, ovvero in caso di mancato pagamento della sanzione in misura ridotta entro il termine di 45 giorni dalla notifica del verbale unico, automaticamente e senza la necessità di un nuovo ulteriore verbale ispettivo l’azienda può ancora sanare la violazione pagando, entro i successivi 60 giorni, la misura ”ridotta” pari al doppio del minimo oppure pari ad un terzo del massimo (quindi 500 euro nel caso in esame), con conseguente estinzione del procedimento sanzionatorio.In conclusione, se non si è adempiuto alla diffida obbligatoria oppure non si è provveduto al pagamento della sanzione nella misura minima entro 45 giorni dalla notifica del verbale conclusivo degli accertamenti, è ancora possibile pagare la sanzione ridotta, ex art. 16 della legge n.689/81, entro 105 giorni dalla notifica del verbale unico.Viceversa, in caso di mancata ottemperanza alla diffida anche entro tale ampio termine, l’ispettore dovrà procedere a presentare il rapporto ex art.17, legge n.689/81, al Dirigente dell’ITL competente per territorio per l’adozione e notificazione della successiva ordinanza- ingiunzione.

*avvocato- capo processo ITL Viterbo


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