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Il fenomeno dell’uomo violento

Riflessioni e spunti a margine del Convegno Oltre il muro (presentazione libro Senza di te non esisterei della collega ed amica Roberta D’Amore – aprile 2018 Sala Valdese Roma) [1]

Avv. Prof. Federica Federici

Quando si tratta di analizzare e parlare di violenza di genere solitamente e principalmente si parla di donne, alle donne e tra donne. Il fenomeno è allarmante e statisticamente le vittime sono donne (in famiglia – originaria o creata o “allargata”, nella coppia, tra ex partners). In realtà il protagonista scomodo e negativo è solitamente e principalmente l’uomo. L’interlocutore quindi su cui lavorare e con cui operare misure preventive e correttivi dovrebbe essere l’uomo. Se non si pone l’uomo al centro di ogni dibattuto o iniziativa, probabilmente tutto diventa poco efficace, se non del tutto inefficace. La differenza tra uomo e donna è elemento noto, a partire dal dato genetico. Dalla difficile accettazione della parità nella diversità traggono origine quasi tutti i conflitti e problemi di ruolo negli ambiti anzidetti.

Il fenomeno tuttavia è eterogeneo e complesso, attraversa scenari diversi per religione, etnia, livello sociale, grado di violenza e della sua (eventuale) escalation. Dalla violenza culturale a quella sessuale, da quella verbale a quella psicologica, da quella familiare a quella lavorativa, da quella affettiva a quella sociale. Certo è che anche l’educazione dei figli maschi è fattore determinante. In Italia tradizione ha voluto che la famiglia restasse a lungo patriarcale, che la donna avesse per decenni ruolo marginale e più debole, così che l’uomo ha ottenuto il potere fin dalla prima società e comunità in cui è cresciuto, mentre la donna è stata educata alla giusta “collocazione” accanto ad un uomo, a procurarsi un buon matrimonio, alla conseguente dipendenza economica, alla connaturata sopportazione dello squilibrio e al dedicarsi alla famiglia e al partner. In questo scenario impari, la donna ha in realtà pian piano fortificato la gestione delle proprie emozioni, la sua empatia col mondo circostante, ha sviluppato un maggior e più profondo rapporto coi figli e ha imparato il sacrificio e l’elaborazione del dolore o del tradimento o della fine di un legame. L’uomo invece ha sempre meno dimostrato di saper gestire conflitti, crisi, separazioni e rabbia. Paradossalmente ha sviluppato un senso di inferiorità e una fragilità inversamente proporzionali al suo potere familiare e sociale. Nei centri antiviolenza si accolgono e sostengono le donne, presso la P.G. e A.G. si assistono le donne, mentre l’uomo non violento, ma che si scopre o inizia ad esserlo, non trova ascolto e aiuto.

La società è divenuta sempre più affetta da psicosi e malafede sociale, così da essere percepita ostile a qualsivoglia percorso per soggetti maltrattanti, violenti, disperati, malati e per gli offenders di ogni natura (non solo sessuale) che volessero o dovessero sentirne o averne bisogno. Siamo certi che quando si parla di violenza alle donne da parte degli uomini, gli uomini si riconoscano in ciò che viene detto? Che comprendano di essere violenti? Che vogliano uscire dal circolo aggressivo, violento e maltrattante? Ci sono uomini che lo sono già, ma anche uomini che iniziano ad esserlo o si scoprono di esserlo.

Eppure gli uomini sono compagni, mariti, ex partners, padri, figli, fratelli, amici, vicini di casa, colleghi, educatori. Nelle dinamiche relazionali la donna è la compagna, moglie, ex partner, madre, figlia, amica, vicina di casa, collega, educatrice. L’educazione di genere è diversa, così come gli incastri delle relazioni a parità di soggetti, ben potendosi incastrare e/o slatentizzare in rapporti diversi. La stessa fine di una relazione o il conflitto viene vissuto diversamente da uomo e donna. Questo anche in virtù dei ruoli diversi che uomo e donna hanno nella società, nell’ambito lavorativo, in famiglia, nella gestione dell’economia familiare, ecc..

Anche le dinamiche di responsabilizzazione sono diverse, comportando spesso una tendenza criminogena e/o violenta fin dall’infanzia maschile rispetto a quella femminile (fisicità vs. celebralità). L’errore da evitare è però quello di generalizzare i contesti e i fatti. Bisogna avere il coraggio – davanti a numeri così allarmanti nel fenomeno del femminicidio e della violenza di genere – di operare delle differenziazioni, di superare il qualunquismo anche per differenziare soluzioni, trattamenti e percorsi. L’uomo violento si svela in diversi e numerosi modi e anche dopo la violenza assume atteggiamenti diversi. Chi rimuove e non ricorda, chi resta violento perché ritorsivo e vendicativo, chi agisce di impeto e di istinto e chi lo è in modo stabile perché soffre la personalità della donna, chi non se ne rende conto e non ne comprende il disvalore, chi è affetto da patologie o disturbi della personalità.

Completamente diversa la violenza della donna sull’uomo, che esula da queste riflessioni sull’uomo violento, ma che necessita dello stesso approccio metodologico ed analisi. E fondamentale non negarne l’esistenza, anche se il dato statistico è sbilanciato, soprattutto perché molti contesti violenti nascono da una base conflittuale che genera sofferenze psicologiche e reazioni a catena, per poi degenerare in contesti lesivi dell’integrità fisica delle vittime.

Le questioni legate al fenomeno quindi sono numerose e diverse: sociali, politiche, economiche, giuridiche e scientifiche e come tali necessitano di un approccio corale, interdisciplinare e trasversale. Se non si studia, conosce e comprende il fenomeno nelle sue differenti dinamiche ed aspetti, anche i più complessi, diventa difficile individuare le soluzioni, che peraltro devono essere sostenibili ed efficaci versando nell’impreciso e non realizzando quella protezione e tutela di cui le donne vittime e gli uomini violenti hanno realmente e concretamente bisogno.


[1] Per la psicologia dell’uomo violento si rinvia ad un lavoro a mia firma L’elemento psicologico nel reato di stalking, Studium Juris, marzo 2013.

Devianza minorile: breve riflessione tra criminogenesi, tendenze criminali e questioni ancora aperte

Dott. Jacopo Scarpellini

La recente morte di un quindicenne napoletano[1], a seguito di una tentata rapina nei confronti di un carabiniere che ha poi sparato al ragazzo, consente di interrogarsi ancora una volta sul  fenomeno della devianza minorile.

Giova preliminarmente precisare che, in ambito criminologico, con riferimento ai minori si è soliti utilizzare il termine “devianza”, al posto di “delinquenza”, in quanto il primo, concettualmente più ampio, abbraccia anche una serie di condotte che esulano dalla violazione di norme penali e quindi dalla commissione di reati, concernendo altresì anche quei comportamenti che infrangono regole sociali, morali o di costume[2].

Per quanto concerne la devianza criminale, inerente quindi la commissione di reati, come noto l’ordinamento italiano prevede per l’imputabilità del minorenne la duplice condizione del compimento del quattordicesimo anno di età (art. 97 c.p.) e dell’accertamento della capacità di intendere e di volere (art. 98 c.p.).

Il codice penale individua dunque due fasce di età rilevanti ai fini dell’imputabilità dei minorenni: la prima riguarda chi al momento del fatto non aveva ancora compiuto 14 anni, il quale non è imputabile ai sensi dell’art. 97 c.p. in considerazione della presunzione assoluta di incapacità di intendere e di volere stabilita dal legislatore.

La seconda fascia di età comprende chi al momento del fatto aveva compiuto 14 anni ma non ancora 18; in tal caso la legge prevede una dichiarazione di imputabilità da operarsi caso per caso a seconda della capacità di intendere e volere dell’agente al momento del fatto.

L’accertamento dell’imputabilità nei confronti del minore ultra quattordicenne deve peraltro svolgersi in concreto, cioè in base alle capacità cognitive e volitive del soggetto al momento della commissione del fatto, al fine di verificare se questi presenta con riferimento al fatto delittuoso “un grado di maturità tale da rendersi conto del suo disvalore sociale[3].

Tale bipartizione in punto di imputabilità si riflette necessariamente anche sulla classificazione delle forme di devianza criminale minorile, idealmente distinguibile ancora una volta tra infraquattordicenni e infradiciottenni.

La devianza degli infraquattordicenni, nell’ambito della c.d. “infanzia penale”[4], può ulteriormente differenziarsi a seconda che il fatto venga commesso nell’infanzia (0-6 anni), nella fanciullezza (6-11 anni) o nella preadolescenza (11-14 anni).

I reati commessi nell’infanzia penale, peraltro, sono per la stragrande maggioranza dei casi ascrivibili alla fascia della preadolescenza[5], periodo che negli ultimi decenni sembra essersi drammaticamente contratto.

La devianza negli infradiciottenni invece corrisponde al periodo dell’adolescenza, momento di sviluppo e transizione dall’infanzia all’età adulta in cui si struttura la personalità dell’individuo.

Ritorna in questo caso il tema dell’accertamento dell’imputabilità, aspetto centrale tanto dal punto di vista processuale, posto che consente o meno la procedibilità nei confronti del minore autore del reato, quanto dal punto di vista del diritto penale (in punto di elemento soggettivo del reato, dato che la capacità di intendere e di volere è condizione necessaria per muovere all’agente un rimprovero personale per il fatto commesso)[6] nonché criminologico poiché permette di cogliere “il grado di percezione che  il minorenne ha avuto del significato dell’atto nell’ambito del contesto sociale in cui lo ha realizzato[7].

Gli studi criminologici in tema di devianza minorile sposano ormai in misura maggioritaria teorie multifattoriali, che considerano fattori genetici, psicopatologici, familiari e sociali come elementi che conducono attraverso un’azione sinergica l’agente verso la commissione di un reato[8].

Ad ogni modo sarebbe un errore pensare che gli insegnamenti di Cesare Lombroso siano definitivamente tramontati, alla luce degli studi che, sempre in un’ottica multifattoriale della criminogenesi, sottolineando l’importanza della genetica e dell’antropologia all’interno della criminologia caldeggiano una società in cui sia possibile valutare “quanto della variabilità genetica individuale sia compatibile con la struttura sociale[9].

Le differenti chiavi di lettura del fenomeno della devianza criminale minorile si possono cogliere altresì attraverso le risposte sociali e di politica criminale che lo stato propone a protezione della incolumità pubblica e per la rieducazione (o meglio educazione) del minore autore di reato[10].

Secondo tale impostazione sono identificabili cinque modelli di giustizia minorile, di seguito brevemente esposti.

Il primo modello, definito “educativo”, considera il giovane deviante un soggetto patologico da curare e rieducare; tale modello è stato aspramente criticato da chi “invitava a considerare i soggetti in età evolutiva non solo esclusivamente sul piano intrapsichico, ma in una dimensione saldata psico-sociale, in cui prevalenti erano le contestualizzazioni offerte dalla famiglia, dalla scuola e dall’ambiente sociale”[11].

Il secondo modello è quello chiamato “deterrente”, con evidenti richiami alla giustizia retributiva che caratterizza l’ordinamento penale per gli adulti. Una concezione del sistema penale minorile di tal fatta era concepita come risposta alle vicende migratorie che riguardavano il nostro paese soprattutto durante gli anni ’80 del secolo scorso.

Il terzo modello viene definito interazionista, in quanto mira a trattare la criminalità giovanile anche tramite strumenti differenti rispetto a quella degli adulti, evitando la stigmatizzazione del minore e conferendo alla pena una dimensione nuova rispetto a quella meramente retributiva.

Il quarto modello è quello della mediazione penale, definito anche modello restitutivo in quanto si propone di “ricucire” la fratture creata dal reato nel tessuto sociale attraverso un percorso di confronto tra vittima e reo che, soprattutto nell’ambito della giustizia minorile si trasforma così in un’occasione per la vittima di contribuire al processo rieducativo del minore.

L’ultimo modello, c.d. sistemico, prende le mosse dal sistema welfare inglese, in cui le contee si occupano in prima battuta delle criticità che avvengono in un determinato contesto sociale.

Ad ogni modo, quale che sia il modello adottato resta fermo quanto prima sottolineato in merito all’esigenza di un approccio multidisciplinare alla devianza criminale minorile, per una comprensione del fenomeno grazie all’interazione di molteplici professionalità.

Prima di analizzare le tendenze della criminalità minorile in Italia occorre premettere che in campo criminologico, il problema del “numero oscuro” non consente che una rappresentazione parziale dei reati commessi dai minorenni, come del resto per la criminalità degli adulti.

Nonostante ciò è possibile identificare comunque delle macro-aree nelle quali si manifesta la delinquenza minorile[12].

Innanzitutto è possibile identificare una devianza minorile per così dire “fisiologica”, dovuta al conflitto strutturale tra il minore in fase di crescita durante l’adolescenza e il mondo degli adulti; si tratta in questi casi di microcriminalità legata a reati di lieve entità quali furti, danneggiamenti o violazioni del codice della strada.

Accanto a tale criminalità minorile si pongono però altre espressioni di tale fenomeno, di gran lunga più preoccupanti, prima fra tutte la delinquenza legata alla criminalità organizzata.

I minori legati a tale ambiente svolgono perlopiù ruoli marginali all’interno dell’organizzazione; tuttavia, l’iniziazione il minore ai valori della subcultura mafiosa in fasi critiche dello sviluppo quali la preadolescenza o l’adolescenza, consente la fidelizzazione del giovane che potrà in futuro affiliarsi all’organizzazione, grazie alla interiorizzazione dei valori della subcultura criminale.

Ancora, occorre accennare seppur brevemente ai reati commessi da minori stranieri.

In tal caso è necessario distinguere tra i c.d. reati culturalmente motivati e i reati commessi dai minori per il mero sostentamento, la c.d. criminalità dei poveri.

Senza la pretesa di esaurire in tale sede un argomento di notevoli dimensioni, può senz’altro citarsi la definizione che autorevole dottrina ha enucleato per i reati culturalmente motivati, che si concretizzano quando “un comportamento realizzato da un soggetto appartenente a un gruppo culturale di minoranza sia considerato reato dall’ordinamento giuridico del gruppo culturale di maggioranza, e tuttavia all’interno del gruppo culturale del soggetto agente è condonato, o accettato come comportamento normale, o approvato o addirittura incoraggiato o imposto[13].

In sede penale pertanto sarà necessario indagare in merito alla motivazione del reato in capo all’agente, posto che non solo si potrebbe cadere nella fallacia dell’attribuzione di reati culturalmente motivati ad un agente solo perché straniero, ma anche perché è necessario comprendere se una data norma culturale per quanto radicata in un paese sia o meno parte dell’identità culturale di un soggetto[14], soprattutto in un’ottica processuale incentrata sulla strategia difensiva della cultural defense.

È appena il caso di sottolineare tuttavia che la dottrina pare uniforme nel sostenere che il riconoscimento della diversità culturale, lungi dall’essere illimitato, troverà sempre uno “sbarramento” invalicabile costituito dai diritti fondamentali dell’individuo[15].

Da ultimo occorre rammentare quella criminalità giovanile, legata ai ceti medio-alti della popolazione, definita “il malessere del benessere”[16].

Tale forma di criminalità impone nuove forme di indagine in quanto nasce all’interno di nuclei familiari stabili e agiati, lontano da ambienti legati a subculture criminali e da rischi di marginalità o patologia sociale.

Peraltro, in tema di devianza minorile criminale, come è stato efficacemente sottolineato ogni rimedio pare giungere ormai troppo tardi, a causa di un ineliminabile difetto di sincronia temporale[17].

Pur tuttavia occorre indirizzare politiche di intervento in direzioni ben precise, comprendendo che la devianza minorile non è generata dalla società ma si genera nella società, perché il minore “che compie un crimine è quel pezzo della comunità in cui essa recrimina su se stessa, senza riconoscersi come oggetto della recriminazione[18], reiterando così il crimine.

 

[1] Il riferimento è al giovane Ugo Russo, morto a Napoli il 1° marzo 2020.

[2] CORRERA – MARTUCCI, Elementi di criminologia, Padova, 2013, p. 141.

[3] Cfr. Cass., Sez. II, 13 settembre 1991, n. 9265.

[4] CORRERA – MARTUCCI, Elementi di criminologia, cit., p. 143. Col termine “infanzia penale” gli autori intendono riferirsi all’intero arco temporale in cui il minore non è imputabile, ovvero da 0 a 14 anni.

[5] MARTUCCI – CORSA, Fanciulli e devianza penale tra allarmismo e realtà. Fattori psicosociali e ruolo delle appartenenze etniche nei reati degli infraquattordicenni, in Minori e Giustizia, 2005, 4, p. 161.

[6] MARINUCCI -DOLCINI – GATTA, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Milano, 2018, p. 419 ss.

[7] ZAPPALA’ (a cura di), La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, Torino, 2009, p. 22.

[8] CORRERA – MARTUCCI, Elementi di criminologia, cit., p. 157 ss.

[9] CATERA – PAONE, Revisione della letteratura e approfondimenti del rapporto tra criminalità e genetica: “Criminali si nasce o si diventa?”, in Diritto e Giustizia Minorile, Anno I, n. 1 -2012, p. 116.

[10] Sul punto, ESPOSITO, Profili di criminologia minorile, in Diritto e Giustizia Minorile, Anno II, n. 2-3 2013, p. 141 – 147.

[11] Ibidem, p. 143.

[12] CORRERA – MARTUCCI, Elementi di criminologia, cit., p. 159 ss.

[13] BASILE, Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, Milano, 2010, p. 42.

[14] MERZAGORA, Lo straniero a giudizio, tra psicopatologia e diritto, Milano, 2017, p. 145 ss.

[15] Ibidem, p. 20.

[16] CORRERA – MARTUCCI, Elementi di criminologia, cit., p. 161 – 162.

[17] RESTA, L’infanzia ferita, Bari, 1998, p. 75.

[18] Ibidem, p. 79.

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In tema di adescamento di minori

Dott. Emanuele Mascolo

La Legge n. 172/2012, ha introdotto nel nostro ordinamento, l’art. 609undicies.c.p., il quale prevede che “Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600bis, 600ter e 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, 600quinquies, 609bis, 609quater, 609quinquies e 609octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”.

Sul punto ut supra “è bene, richiamare, circa l’adescamento dei minori, la recentissima giurisprudenza”, secondo la quale, “la modalità subdola dell’adescamento di un minore mediante la creazione di un falso profilo sui social networks, tesa ad ottenere prima delle foto spinte e poi instaurare una relazione di fiducia, solo per avere rapporti sessuali completi, esclude la particolare tenuità del fatto.”[1]

Va precisato, per completezza espositiva, che, con la Legge richiamata, l’Italia ha ratificato la Convenzione di Lanzarote, che ha avuto l’obiettivo di contrastare il fenomeno della pedopornografia, quando il reo opera al di fuori del suo Paese di origine.

Viene così introdotto nel nostro ordinamento l’art. 414bis, c.p., rubricato “Istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia”, che punisce con la reclusione da tre a cinque anni chiunque “con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni. Alla stessa pena soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti previsti dal primo comma. Non possono essere invocate, a propria scusa, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume”.

L’istigazione, viene in dottrina definita come “condotta diretta ad eccitare, determinare, alimentare l’altrui risoluzione caratterizzata da una diretta ed immediata attitudine ad influenzare l’altrui volontà” e ciò chiaramente può avvenire in qualsiasi modo e  attraverso qualsiasi mezzo”.[2]

L’istigazione, in concreto, per essere ritenuta idonea al fine dell’induzione a commettere un reato, deve essere sottoposta ad un giudizio logicamente fatto ex ante.

Pertanto, al fine di giungere alla prova della concreta pericolosità dell’agente è necessaria la “continuità temporale tra istigazione e commissione del fatto istigato.”[3]

L’impostazione sistematica e le modifiche apportate al c.p., non sono passate inosservate in dottrina, parte della quale, critica aspramente la scelta del legislatore di porre attenzione e dare rilievo agli atti compiuti con minorenni, poiché la stessa linea di repressione andrebbe utilizzata per la “produzione pornografica con maggiorenni”.[4]

Nella compagine della normativa europea, non va sottaciuta la Direttiva 2011/93/UE, che ha avuto il principale obiettivo “di arginare i frequenti fenomeni di abuso, sfruttamento dei minori, pornografia minorile e adescamento dei minori a fini sessuali, stabilendo norme minime relative alla definizione dei citati reati.”[5]

Alla stregua di tale normativa, si possono comprendere meglio, non solo le definizioni di pornografia minorile e di spettacolo pornografico, ma, si rinvengono delle esimenti in relazione ad alcune condotte di pornografia minorile, quali ad esempio quelle aventi finalità mediche o scientifiche, nonché, la “criminalizzazione di condotte non contemplate nella Decisione quadro 2004/68/GAI, in particolare le nuove forme di abuso e sfruttamento sessuale commesse mediante strumenti informatici, quali l’adescamento online ai fini dell’abuso e la visualizzazione di contenuto pornografico minorile grazia alla webcam e ad Internet.”[6]

Tra queste vi è il grooming, definito come l‘adescamento di un minore ai fini di un incontro a scopi sessuali con l’autore del reato avvenga in presenza o in prossimità del minore sotto forma di atto preparatorio, di un tentativo di commettere i reati di cui alla presente direttiva o come forma speciale di abuso sessuale.

Dal breve excursus normativo a livello internazionale, se ne può desumere che si deve citare la Dichiarazione Finale della Conferenza di Stoccolma, svoltasi nel 1996, che può essere definita la “Carta madre” nella lotta contro lo sfruttamento sessuale dei minori, nella quale, vengono tracciate una serie di linee guida a tutela e prevenzione degli abusi sessuali sui bambini, dal turismo sessuale alla pornografia infantile e viene rimarcato lo sfruttamento e l’abuso sessuale dei minori possa cagionare nei bambini offese tali da pregiudicarne lo sviluppo fisico, psicologico, morale e sociale.

Ne discende il principio sancito secondo cui ogni bambino ha diritto di essere pienamente protetto da tutte le forme di sfruttamento e di abuso sessuale.

La dottrina fa notare che “dalla Dichiarazione finale emerge che le nozioni di abuso e sfruttamento sessuale dei minori abbiano subito una graduale evoluzione parallelamente con il progresso socio-economico-culturale della società; scopo del documento è di evidenziare la necessità di coordinamento e cooperazione tra gli Stati nel garantire la prevenzione, protezione, e recupero del bambino sfruttato o abusato sessualmente.”[7]

Va inoltre menzionata la Conferenza internazionale sulla lotta contro la pornografia infantile su Internet, tenuta a Vienna nel 1999, che contiene le considerazioni e raccomandazioni dirette a una politica di tolleranza zero per la lotta alla pedopornografia, evidenziando altresì la necessità di un’esplicita e decisiva legislazione.

A questo punto, si deve citare, quasi a conclusione del nostro excursus, la Convenzione di Lanzarote del 2007, secondo la quale, “lo sfruttamento sessuale e l’abuso sessuale sono le peggiori forme di violenza contro i bambini.”

Il fenomeno dell’abuso sessuale di bambini in Europa, non è statisticamente certo ma, ricerche e sondaggi non lasciano dubbi circa il fatto che “c’è una notevole discrepanza tra il numero di casi di abuso riferiti alla polizia e ai servizi sociali e la realtà: i bambini spesso trovano difficoltà a riferire di essere stati abusati sessualmente, perché spesso sono violentati da familiari o da conoscenti, o subiscono minacce.”[8]

Preso atto di ciò, durante il Terzo Summit dei Capi di Stato e di Governo del Consiglio d’Europa, svolto a Varsavia il 16-17 maggio 2005, gli Stati membri del COE si sono impegnati ad elaborare nuove misure di contrasto allo sfruttamento e all’abuso sessuale dei minori. In quest’occasione è stato lanciato il programma triennale “L’Europa per e con i bambini”, che contiene una specifica sezione dedicata alla violenza., che prevede l’elaborazione di nuovi strumenti convenzionali tra gli Stati Parte del COE.

Per raggiungere questa finalità è stata creata, tramite delega del CD-PC, nonchè il “Comitato di Esperti sulla protezione dei bambini dallo sfruttamento sessuale e dagli abusi”, che ha svolto uno studio ricognitivo degli strumenti internazionali esistenti.

Gli esiti di tale studio non è confortante, poiché sono emersi numerosi vuoti normativi da colmare e la necessità di costruire uno strumento con carattere vincolante per gli Stati Parte.
La Convenzione è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, è stata aperta alla firma il 25 ottobre 2007 a Lanzarote ed è stata sottoscritta, al momento, da 27 Stati, tutti membri del COE, fra i quali l’Italia, che ha apposto la propria sottoscrizione il 7 novembre 2007.[9]
Possiamo evidenziare a questo punto “molte previsioni sono dedicate alla modifica della normativa penale sostanziale interna e al sistema delle indagini e della procedura penale, con riferimento, in particolare, alla registrazione e raccolta dei dati e al monitoraggio del fenomeno e soprattutto alla cooperazione internazionale per combattere la dimensione transnazionale di certi reati (soprattutto quelli commessi attraverso Internet)[10]

La giurisprudenza di legittimità, nel nostro ordinamento è tornata di recente sul concetto di adescamento, chiarendo inequivocabilmente che “si tratta di reato di mero pericolo indiretto e di mera condotta la cui repressione ha ad oggetto le condotte preparatorie di reati che sono nella mente del reo né’ si richiede che l’adescamento vada a buon fine, tanto che non è nemmeno ammessa la configurabilità del tentativo”.[11]

Altra parte della giurisprudenza, ha recentemente chiarito che “l’articolo 23 della Convenzione, infatti, chiedeva agli Stati aderenti di reprimere le condotte di adescamento realizzate attraverso la proposta di un incontro rivolta da un adulto ad un minore con lo scopo di commettere una serie di reati previsti dalla medesima Convenzione, “quando questo proposito fosse seguito dalla realizzazione di atti materiali idonei ad organizzare l’incontro”. La disposizione convenzionale, pertanto, non richiedeva la criminalizzazione della condotta di adescamento che si fosse arrestata alla mera presa di contatto (diretta al compimento di determinati reati a sfondo sessuale) tra il minore e l’adulto, ma prevedeva un quid pluris integratosi nella realizzazione di atti idonei all’organizzazione dell’incontro finalizzato all’abuso o allo sfruttamento del soggetto vulnerabile. Dovendo optare tra le diverse soluzioni ordinamentali volte a sanzionare le condotte illecite di adescamento di minorenni, gli Stati aderenti avevano dunque scelto di imporre la repressione di quel tipo di condotta a forma libera sostanzialmente assimilabile agli atti idonei, diretti in modo non equivoco alla commissione del reato, che nel nostro ordinamento qualificano la fattispecie del reato tentato. Ne deriva che il legislatore interno avrebbe potuto evitare di introdurre una specifica disposizione volta a criminalizzare il reato di adescamento di minorenni, perchè l’attuazione della disposizione convenzionale discendeva direttamente dall’operatività della clausola estensiva dell’incriminazione di cui all’articolo 56 c.p., in combinato disposto con le fattispecie di parte speciale che già sanzionavano i comportamenti a danno di minore che la Convenzione di Lanzarote si preoccupava di reprimere; cosicchè l’introduzione di una specifica disposizione che ricalcasse la previsione dell’articolo 23 del documento pattizio avrebbe comportato l’inutile duplicazione di un crimine già  esistente. La scelta di introdurre l’articolo 609 undicies è dunque dipesa dall’esplicita volontà del legislatore di reprimere condotte prodromiche non solo al reato consumato, ma anche al reato tentato. Si è scelto di rispondere con la massima severità all’attuale emergenza sociale di contrasto al fenomeno dell’adescamento dei minori – specie quello compiuto via Internet, ormai largamente diffuso per la possibilità agevole di stringere rapporti informatici non protetti con lo scopo di neutralizzare il rischio di un intervento tardivo. Perciò – nel pieno rispetto degli ordinari e leciti rapporti tra normazione interna e sovranazionale per cui la pattuizione convenzionale fissa il nucleo minimo ed essenziale di tutela da accordare ad una data situazione giuridica, ma i singoli Stati aderenti restano liberi di garantire un livello di tutela maggiore tramite la previsione di sanzioni più severe ed incisive per la repressione di comportamenti dannosi per il bene giuridico tutelato – ha ritenuto di anticipare la tutela ad una fase prodromica rispetto al tentativo di compimento di reati sessuali a danno di minori, collocando nell’alveo della responsabilità penale gli atti preparatori all’organizzazione dell’incontro finalizzato al compimento di un reato a sfondo sessuale, sempre che tali atti, circoscritti in un novero specifico di condotte, costituiscano un pericolo per il bene giuridico tutelato e siano dunque idonei a lederlo, se pur in una fase anticipata. La scelta discrezionale compiuta dal legislatore, oltre ad essere pienamente legittima dal punto di vista dei rapporti interordinamentali (si ricordi, a tal proposito, che l’ordinamento americano e quello canadese prevedono una soglia di punibilità ancora più anticipata, punendo qualsiasi condotta che implichi un contatto tra adulto e minore per il compimento di reati sessuali), ha il pregio di reprimere tutte le fasi individuate dalla più recente scienza medico-psichiatrica per descrivere la struttura della manipolazione psicologica posta in essere dall’adescatore per attirare il minorenne e renderlo vittima di reati a sfondo sessuale. Con l’introduzione dell’articolo 609 undicies c.p. infatti, si criminalizzano le condotte di vitctim selection, friendship forming stage, risk assesment stage, exclusivity stage, ossia tutte le condotte attraverso cui l’agente, spinto dal movente sessuale, seleziona la vittima, prende contatti con essa, instaura un rapporto intimo e confidenziale, ne carpisce la fiducia, introduce la tematica sessuale e le rivolge i primi inviti, mentre la fase finale – il c.d. sexual stage con cui l’agente esercita sul minore pressioni finalizzate all’incontro ed inizia concretamente ad organizzarlo – resta ricompresa nell’ambito del tentativo, perchè cronologicamente più vicina alla consumazione del reato a sfondo sessuale di volta in volta considerato, più rischiosa per l’effettiva lesione del bene giuridico tutelato e dunque meritevole di essere criminalizzata in ogni sua forma di manifestazione (purchè idonea e diretta in modo univoco alla commissione del reato) e di subire una sanzione più severa”.[12]

 

[1] C. Cass. Pen., 14 febbraio 2018, n. 7006.

[2] Bricchetti R., Pistorelli L., L’istigazione a pratiche pedofile è un nuovo crimine, in Guida al Diritto, 27 ottobre 2012, n. 43, p. 86.

[3] Bricchetti R., Pistorelli L., op. cit.

[4] Padovani T., Dieci anni di lotta alla pornografia minorile tra realtà virtuale e zone d’ombra, in Guida al Diritto, 03 gennaio 2009, n. 1, p. 12.

[5] Manniello T., Dalla pedopornografia al sexting, le devianze sessuali nell’era informatica, in https://tesi.luiss.it/21611/1/108403_MANNIELLO_TERESA.pdf

[6] Manniello T., op. cit.

[7] Manniello T., op. cit.

[8] Manniello T., op. cit.

[9] www.giustizia.it

[10] Manniello T., op. cit.

[11] C. Cass. Pen., 7 novembre 2018, n. 50139.

[12] C. Cass. Pen., 13 luglio 2018, n. 32170.

Copyright © Associazione culturale non riconosciuta Nuove Frontiere del Diritto Via Guglielmo Petroni, n. 44 00139 Roma, Rappresentante Legale avv. Federica Federici P.I. 12495861002. 
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Convegno gratuito: “I crimini della disperazione ed esasperazione”

 

La Lista Galletti per il Consiglio e le Associazioni

Laboratorio Forense, Azione Legale, Figli negati, Netforpp, Forum Nazionale Antiusura bancaria e Nuove Frontiere per il Diritto Vi invitano al Convegno Gratuito:

I CRIMINI DELLA DISPERAZIONE E DELLA ESASPERAZIONE:

SOCIETA’, ECONOMIA, SCIENZA, DIRITTO E CRONACA A CONFRONTO

 

ROMA, 13 DICEMBRE 2018 – ORE 13.00-16.00

CIRCOLO POLIZIA DI STATO – LUNGOTEVERE FLAMINIO, 79/81 – ROMA

Introduce e Saluti:

Cons. Avv. Antonino Galletti – Tesoriere del COA di Roma – Pres. Azione Legale

Modera

Prof. Avv. Federica Federici – Foro di Roma – Università Internazionale per la Pace – Università eCampus – Presidente Nuove Frontiere del Diritto

RELATORI

EMILIO ORLANDO

Giornalista e scrittore

“Crimini e crisi economica: dall’omicidio suicidio ai reati di prossimità nell’era della new economy”

 

MARINO D’AMORE

Criminologo – Università Unicusano

“Economia e crimine: modelli culturali e sociali”

 

PROF. AVV. FRANCESCO MAZZA

Foro di Roma – Università di Cassino e Lazio Meridionale

“Le nuove forme di criminalità nel tessuto economico”

 

AVV. BARBARA CARRARA

Foro di Roma

“Il fenomeno delle frodi assicurative”

 

AVV. PAOLO VOLTAGGIO

Foro di Roma – Laboratorio Forense

“La legittima difesa: una riforma che divide”

 

Prof. LAURA VOLPINI

Psicologa Forense e Criminologa – Università Unitelma La Sapienza

“Universo femminile: aspettative sociali di performance

e implicazioni psichiche (il suicidio di Alessandra Appiano)”

 

TIZIANA CIAVARDINI

Antropologa, Giornalista e Scrittrice

“Quando la disperazione prende il sopravvento: casi di suicidio/omicidio a livello internazionale”

 

AVV. ANTONIO PULCINI

Foro di Roma – Forum Antiusura bancaria

“Indebitamento del popolo italiano tra usura e stile di vita”

 

DOTT. GIORGIO CECCARELLI

Foro di Roma – Associazione Figli Negati

“Ogni figlio ha il diritto inviolabile di amare due genitori e quattro nonni”

 

AVV. MARIA GRAZIA MASELLA

Foro di Roma – Univ. Internazionale della Pace -Presidente CO.I.M. Consulenti Integrati Matrimoniali

Riflessioni e problematiche sul Diritto di emigrare e sul controllo dei confini statali come diritto alla sicurezza”

 

AVV. LAURA VASSELLI

Foro di Roma

“La patrimonializzazione dei nuovi rapporti e modelli familiari”

Locandina del 13 dicembre 2018

La partecipazione all’evento è subordinata alla prenotazione tramite sito www.nuovefrontierediritto.it o alla mail info@nuovefrontierediritto.it – Coordinatore scientifico: Avv. Federica Federici – L’evento è gratuito e accreditato presso l’Ordine degli Avvocati di Roma per 3 cfu ordinari. Si rilascerà attestato partecipazione anche per i non avvocati.

Per iscriverti compila il form sottostante






     

    Convegno gratuito: “I reati culturalmente orientati: dai casi di cronaca alla psicosi sociale. Questioni e prospettive giuridiche”

     

    La Lista Galletti per il Consiglio

    assieme alle Associazioni Nuove Frontiere del Diritto, Azione Legale, Netforpp e Laboratorio Forense Vi invitano al convegno gratuito

     

    I REATI CULTURALMENTE ORIENTATI: DAI CASI DI CRONACA ALLA PSICOSI SOCIALE

    QUESTIONI E PROSPETTIVE GIURIDICHE

    ROMA, 13 NOVEMBRE 2018

    ORE 13.00-16.00

    Circolo dell’Aeronautica Militare – Lungotevere Salvo d’Acquisto, 21

    Introduce e Saluti:

    Cons. Avv. Antonino Galletti – Tesoriere del COA di Roma – Pres. Azione Legale

    Modera

    Avv. Federica Federici – Foro di Roma – Università Internazionale della Pace – Università eCampus – Presidente Nuove Frontiere del Diritto

    RELATORI

    EMILIO ORLANDO

    Giornalista e Scrittore

    “L’etnicizzazione dei reati ed i crimini culturalmente orientati”

    AVV. BARBARA CARRARA

    Foro di Roma

    “I delitti di onore”

    Prof. EDMUND UGWU AGBO

    International Bio-research Institute Enugu Nigeria – Università Internazionale della Pace

    “Reati contro le donne nel continente africano: profili giuridici, etici e culturali”

    Avv. SANTAITI MASSIMILIANO

    Foro di Roma

    “Le vittime di reati intenzionali violenti: le lacune legislative a tutela delle stesse”

    AVV. PROF. FRANCESCO MAZZA

    Foro di Roma – Università di Cassino e Lazio Meridionale

    “La violenza di genere: aspetti normativi e lacune legislative”

    AVV. PAOLO VOLTAGGIO

    Foro di Roma – Laboratorio Forense

    “L’accattonaggio e il vivere in strada”

    TIZIANA CIAVARDINI

    Antropologa, Giornalista e Scrittrice

    “Uccidere secondo il Corano. I delitti dell’Islam”

    MARINO D’AMORE

    Università Unicusano

    “I significati mediatici e sociali del Migrante”

    AVV. CATERINA BIAFORA

    Foro di Torino – Consigliere Pari Opportunità COA Torino

    “Violenze culturalmente orientate in ambito familiare, anche nella dimensione europea”

    CONCLUDE Prof. LAURA VOLPINI

    Psicologa Forense – Università La Sapienza Unitelma Roma

    “Il profilo psicologico nei reati di matrice di genere, religiosa, etnico-razziale: tra giudizi e pregiudizi”

     

    L’evento è accreditato presso l’Ordine degli Avvocati e conferisca 1 cfu ordinario. Verranno rilasciati attestati anche ai non avvocati. Per iscriversi mandare mail a info@nuovefrontierediritto.it o compilare il form sottostante.

     

    Per iscrizione Compilare Form:






      Roma 24 novembre 2018: seminario su Indagini difensive (Leonardo Intelligence)

      Si svolgerà il 24 novembre 2018 a partire dalle ore 8.30 a Roma presso la Sala Congressi Novotel Roma-Est il Convegno dal titolo “Indagini difensive. Le nuove indagini difensive e il futuro professionale dell’Investigatore Privato nel nuovo panorama normativo”.

      L’evento è organizzato da Leonardo Intelligence – Associazione di Professionisti del settore Investigazioni e Sicurezza, con il patrocinio di Nuove Frontiere del Diritto e Azione Legale.

      Relatori: A. Pedicone, Stefano Rubeo, Federica Federici, ten. Rabita.

      Il programma qui di seguito.

      indagini-difensive-24ott2018-roma

      http://www.leonardointelligence.it/

       

      Per iscriversi  Compilare Form:






        Manipolazione e suggestione nella verbalizzazione di dichiarazioni

        Manipolazione e suggestione nella verbalizzazione di dichiarazioni [1]

        a cura del Dott. Michelangelo Di Stefano

         

        1. 1.L’assunzione di dichiarazioni nel codice
        2. 2.A.D.R. ( a domanda risponde)
        3. 3.La riproduzione fonografica
        4. 4.Manipolazioni e suggestioni nell’intervista per fini investigativi: il distress

         

         

        1. L’assunzione di dichiarazioni nel codice

        Nella cristallizzazione delle dichiarazioni rese in ambito al procedimento penale, tra gli aspetti che maggiormente assumono rilievo attraverso la fase di “documentazione degli atti[2], vi è quello della c.d. verbalizzazione, intesa nella letteratura quale “ regno assoluto del linguaggio burocratico”[3], ed in particolare la sintesi e trascrizione di dichiarazioni.

        Il codice di procedura penale compendia una serie di “atti tipici di investigazione indiretta[4] che la polizia giudiziaria svolge, ex artt. 350 e 351 c.p.p. tramite l’istituto delle sommarie informazioni, delle dichiarazioni spontanee, delle notizie e delle indicazioni utili assunte dall’indagato[5], nonché da quelle rese dalle persone informate sui fatti e le informazioni da persona imputata in un procedimento connesso[6].

        Altra attività della polizia giudiziaria consiste nel compimento di atti delegati dal pubblico ministero, con particolare riguardo all’effettuazione di interrogatori e di confronti[7]; l’ attività di assunzione di informazioni è analogamente compendiata dal codice quale atto di investigazione diretta del pubblico ministero.[8]

        In ambito difensivo sono, altresì, definiti i colloqui, la ricezione di dichiarazioni e l’assunzione di informazioni nell’interesse dell’assistito da parte del difensore;[9] parallelamente sono disciplinati i servizi di investigazione privata, con la previsione di interviste a persone anche a mezzo di conversazioni telefoniche.[10]

        Una professionale forma di collaborazione giuridica, anche in campo comunicativo, è richiamata dal Codice di procedura penale individuando le figure dei c.d. “esperti”,   i quali, dotati di “specifiche competenze tecniche,[11] sono tenuti a prestare ausilio alla polizia giudiziaria[12] .

         

         

        1. A domanda risponde (A.D.R.)

        La norma, con riguardo alla trascrizione delle dichiarazioni rese nel procedimento, prevede che: “per ogni dichiarazione è indicato se è stata resa spontaneamente o previa domanda e, in tale caso, è riprodotta anche la domanda; se la dichiarazione è stata dettata dal dichiarante, o se questi si è avvalso dell’autorizzazione a consultare note scritte, ne è fatta menzione.”[13].

        Va rilevato, per contro, che nella “pratica di polizia giudiziaria”, per ragioni di speditezza, o per mera consuetudine, si verifica in realtà che diverse domande vengano formulate con l’acronimo “A.D.R.”[14], cioè “a domanda risponde”.

        E’ evidente che, fatto salvo quanto previsto dalla norma, la mancata trascrizione della domanda formulata potrebbe distorcere, a futura memoria, l’intellegibilità semantica dell’atto stesso, compromettendone l’utilizzabilità[15].

        Ciò in quanto il verbale – destinato ad essere analizzato, letto ed interpretato da più soggetti nel contesto del complessivo iter del processo nelle sue fasi – sarà riesaminato, secondo la fisiologica evoluzione del procedimento penale,   anche a notevoli distanze di tempo e, certamente, anche da persone estranee all’originaria verbalizzazione[16].

        L’analitica formulazione della domanda, rispetto allo standardizzato A.D.R.[17]   sarà, quindi,   utile a focalizzare inequivocabilmente il contenuto dell’atto; secondo un’ottica sociolinguistica, poi, la rilettura di un verbale “confezionato” in modo completo sarà anche utile, nello stesso contesto di escussione, per meglio definire gli aspetti salienti di interesse alle indagini, non da ultimo al fine di suggestionare e condizionare il pattern dell’intervistato, così da poter più facilmente individuarne situazioni di disagio, di distress e tentativi di dissimulazione.

         

         

        1. La riproduzione fonografica

        In linea generale, la documentazione degli atti nel codice di procedura penale[18] prevede che “quando il verbale è redatto in forma riassuntiva è effettuata anche la riproduzione fonografica” a cui può “essere aggiunta la riproduzione audiovisiva se assolutamente indispensabile[19]. “Disciplina del tutto particolare è contenuta nell’art. 141 bis c.p.p.[20] – annotano G. Spangher, G. Dean – che ha imposto, a pena di inutilizzabilità, la documentazione integrale, con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva, dell’interrogatorio di persona detenuta a qualsiasi titolo, che non possa svolgersi in udienza. Tale norma si pone come reazione a una prassi giurisprudenziale sempre più propensa a ricorrere alla verbalizzazione riassuntiva[…].”[21]

        E’, quindi, evidente che l’illustrazione di una verbalizzazione complessa nel processo penale debba tenere conto di tutti gli aspetti fonetici e sociolinguistici che potrebbero influenzare l’esatta intellegibilità del reperto e di tutti quei dettagli smarriti del reperto che possono trovare esplicazione para ed extra linguistica[22].

        Detto àmbito trova applicazione, peraltro, tra le best pratices nelle varie forme[23] di colloquio investigativo, attraverso cui il tecnico sarà in grado di condurre, in modo manipolativo, un’intervista rivolta ad evidenziare proprio quegli aspetti smarriti o celati nella situazione comunicativa[24].

         

         

        4.Manipolazioni e suggestioni nell’intervistaper fini investigativi: il distress

        Nel corso dell’interazione sociale per fini investigativi, infatti, l’intento dell’intervistatore è quello di evidenziare anche impercettibili alterazioni del pattern abituale dell’esaminato, con inusuali tratti cinesici e gestuali, ed ancora incremento dello stato d’ansia per l’essere scoperto, che a loro volta evidenziano ulteriori segni di manipolazione dovuti all’attivazione del sistema nervoso simpatico, attraverso cui saranno evidenziate modifiche neurofisiologiche ed elevazione brusca dell’ormone dello stress[25].

        Ciò in quanto vi è una diretta correlazione tra individuo ed ambiente circostante in grado di determinare frequenti interazioni stressorie, che hanno come generica conseguenza uno stato d’ansia.

        In detto contesto i c.d. stressors, cioè alcuni elementi ambientali, particolari esperienze, rapporti interpersonali e situazionali, favoriscono una brusca ed involontaria sollecitazione sull’organismo e subiscono sempre un’elaborazione di tipo cognitivo, da cui dipende generalmente la reazione della persona, e da qui un’alterazione dell’equilibrio tra individuo ed ambiente a cui consegue il disagio detto stress[26].

        Quest’ultima condizione cagiona l’attivazione di un circuito composto da strutture cerebrali e da una ghiandola endocrina, il surrene[27], che determina una repentina secrezione di cortisolo, detto anche l’ ormone dello stress, che tra le tante alterazioni del pattern induce, anche, un aumento della gittata cardiaca e dei valori glicemici[28].

        La condizione di distress[29] è altresì rilevabile attraverso un esame fonologico per via dei microtremori della voce[30], dovuti al minore afflusso di sangue verso le corde vocali così da determinare la tensione dei muscoli striati della laringe inducendo, per contro, un’improvvisa affluenza di sangue in alcune parti del viso[31], ed in maniera peculiare vicino gli occhi.

        Il detective Joe Navarro[32], ha operato per conto del Federal Bureau of Investigation un’analitica classificazione,   individuando quattro domini di analisi, descritti nel distinguo tra ildiscomfort, l’enfasi,   la sincronia e la perception management, attraverso cui è possibile rilevare l’alterazione del pattern nel corso di un colloquio[33].

        Rispetto al profilo di tipo prettamente investigativo, nel corso di un’intervista secondo un approccio psicologico sarà fatto ricorso, invece, ad: “[…] uno strumento operativo “non suggestivo”, in quanto il compito dell’intervistatore è preminentemente quello di saggiare l’attendibilità e la sincerità[34] dell’intervistato, nonché indirizzato ad una ricostruzione oggettiva dei fatti. L’atteggiamento dell’ intervistatore in questo contesto deve essere, quindi, scevro da pregiudizi, mantenendo un profilo di elevata professionalità[35] rivolta ad analizzare dati oggettivi, senza esprimere giudizi e, soprattutto, senza contaminare le informazioni che vengono assunte […][36], ove lo psicologo investigatore è una sorta di archeologo che raccoglie “frammenti sparsi e stabilisc(e)scono un collegamento fra la realtà che non c’è più e la realtà soggettiva del paziente o dell’autore del reato[…]”[37].

         

        [1] Fonte: www.lombardiabeniculturali.it, Rina Fort, soprannominata “la belva di San Gregorio” interrogata dagli uomini della Squadra Mobile di Milano dopo il quadruplice omicidio della moglie e dei figli dell’amante, avvenuto il 29 novembre 1946.

        [2] C.p.p. art. 134. Modalità di documentazione; art. 135. Redazione del verbale; art. 136. Contenuto del verbale; art. 137. Sottoscrizione del verbale; art. 139. Riproduzione fonografica o audiovisiva; art. 140. Modalità di documentazione in casi particolari; art. 141 bis. Modalità di documentazione dell’interrogatorio di persona in stato di detenzione.

        [3] P. Bellucci, A onor del vero. Fondamenti di linguistica giudiziaria,Ed. Utet, Torino (2002), pag 81: Bellucci nel richiamare un famoso passo di Calvino aveva precisato “[…] Già Mengaldo, nell’analizzare il passo (1994, pp.277-278), definisce << la celebre parodia calviniana più vera del vero>> e segnala tra le caratteristiche fondamentali del linguaggio burocratico, <<l’essere trasformazione per alzo di registro e ridondanza, si vorrebbe dire traduzione della lingua, diciamo, normale>>.

        [4] L. D’Ambrosio, P.L. Vigna, La pratica di Polizia Giudiziaria, Cedam Editore (1997), pag. 255.

        [5] Art. 350 C.p.p. Sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini: 1. Gli ufficiali di polizia giudiziaria assumono, con le modalità previste dall’articolo 64, sommarie informazioni utili per le investigazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini che non si trovi in stato di arresto o di fermo a norma dell’articolo 384. 2. Prima di assumere le sommarie informazioni, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a nominare un difensore di fiducia e, in difetto, provvede a norma dell’articolo 97 comma 3. 3. Le sommarie informazioni sono assunte con la necessaria assistenza del difensore, al quale la polizia giudiziaria dà tempestivo avviso. Il difensore ha l’obbligo di presenziare al compimento dell’atto. 4. Se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la polizia giudiziaria richiede al pubblico ministero di provvedere a norma dell’articolo 97, comma 4. 5. Sul luogo o nell’immediatezza del fatto, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono, anche senza la presenza del difensore, assumere dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, anche se arrestata in flagranza o fermata a norma dell’articolo 384, notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini. 6. Delle notizie e delle indicazioni assunte senza l’assistenza del difensore sul luogo o nell’immediatezza del fatto a norma del comma 5 è vietata ogni documentazione e utilizzazione. 7. La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è consentita la utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto dall’articolo 503 comma 3.

        [6]Art. 351 C.p.p. Altre sommarie informazioni: 1. La polizia giudiziaria assume sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. Si applicano le disposizioni del secondo e terzo periodo del comma 1 dell’articolo 362. 1-bis. All’assunzione di informazioni da persona imputata in un procedimento connesso ovvero da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall’articolo 371 comma 2 lettera b), procede un ufficiale di polizia giudiziaria. La persona predetta, se priva del difensore, è avvisata che è assistita da un difensore di ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia. Il difensore deve essere tempestivamente avvisato e ha diritto di assistere all’atto.

        [7]Art. 370 C.p.p. Atti diretti e atti delegati: 1. Il pubblico ministero compie personalmente ogni attività di indagine. Può avvalersi della polizia giudiziaria per il compimento di attività di indagine e di atti specificamente delegati, ivi compresi gli interrogatori ed i confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà, con l’assistenza necessaria del difensore. 2. Quando procede a norma del comma 1, la polizia giudiziaria osserva le disposizioni degli articoli 364, 365 e 373. 3. Per singoli atti da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il pubblico ministero, qualora non ritenga di procedere personalmente, può delegare, secondo la rispettiva competenza per materia, il pubblico ministero presso il tribunale del luogo. 4. Quando ricorrono ragioni di urgenza o altri gravi motivi, il pubblico ministero delegato a norma del comma 3 ha facoltà di procedere di propria iniziativa anche agli atti che a seguito dello svolgimento di quelli specificamente delegati appaiono necessari ai fini delle indagini.

        [8]Art. 362. Assunzione di informazioni. “ 1. Il pubblico ministero assume informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. Alle persone già sentite dal difensore o dal suo sostituto non possono essere chieste informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date. Si applicano le disposizioni degli articoli 197, 197-bis, 198, 199, 200, 201, 202 e 203”.

        [9] C.p.p., Titolo VI bis, INVESTIGAZIONI DIFENSIVE, Art. 391-bis. – (Colloquio, ricezione di dichiarazioni e assunzione di informazioni da parte del difensore). – 1. Salve le incompatibilita’ previste dall’articolo 197, comma 1, lettere c) e d), per acquisire notizie il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici possono conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attivita’ investigativa. In questo caso, l’acquisizione delle notizie avviene attraverso un colloquio non documentato. 2. Il difensore o il sostituto possono inoltre chiedere alle persone di cui al comma 1 una dichiarazione scritta ovvero di rendere informazioni da documentare secondo le modalita’ previste dall’articolo 391-ter.3. In ogni caso, il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici avvertono le persone indicate nel comma 1: a) della propria qualita’ e dello scopo del colloquio; b) se intendono semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalita’ e la forma di documentazione; c) dell’obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; d) della facolta’ di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date; f) delle responsabilita’ penali conseguenti alla falsa dichiarazione.4. Alle persone gia’ sentite dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero non possono essere richieste notizie sulle domande formulate o sulle risposte date. 5. Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da una persona sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato, e’ dato avviso, almeno ventiquattro ore prima, al suo difensore la cui presenza e’ necessaria. Se la persona e’ priva di difensore, il giudice, su richiesta del difensore che procede alle investigazioni, dispone la nomina di un difensore di ufficio ai sensi dell’articolo 97. 6. Le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte in violazione di una delle disposizioni di cui ai commi precedenti non possono essere utilizzate. La violazione di tali disposizioni costituisce illecito disciplinare ed e’ comunicata dal giudice che procede all’organo titolare del potere disciplinare. 7. Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da persona detenuta, il difensore deve munirsi di specifica autorizzazione del giudice che procede nei confronti della stessa, sentiti il suo difensore ed il pubblico ministero. Prima dell’esercizio dell’azione penale l’autorizzazione e’ data dal giudice per le indagini preliminari. Durante l’esecuzione della pena provvede il magistrato di sorveglianza. 8. All’assunzione di informazioni non possono assistere la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e le altre parti private. 9. Il difensore o il sostituto interrompono l’assunzione di informazioni da parte della persona non imputata ovvero della persona non sottoposta ad indagini, qualora essa renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reita’ a suo carico. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. 10. Quando la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attivita’ investigativa abbia esercitato la facolta’ di cui alla lettera d) del comma 3, il pubblico ministero, su richiesta del difensore, ne dispone l’audizione che fissa entro sette giorni dalla richiesta medesima. Tale disposizione non si applica nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento e nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate in un diverso procedimento nelle ipotesi previste dall’articolo 210. L’audizione si svolge alla presenza del difensore che per primo formula le domande. Anche con riferimento alle informazioni richieste dal difensore si applicano le disposizioni dell’articolo 362. 11. Il difensore, in alternativa all’audizione di cui al comma 10, puo’ chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza o all’esame della persona che abbia esercitato la facolta’ di cui alla lettera d) del comma 3, anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 392, comma 1.

        [10] Decreto Ministeriale 1 dicembre 2010, n. 269. Art. 5 Qualita’ dei servizi di investigazione privata e di informazione commerciale: “[…] Per lo svolgimento delle attivita’ di cui ai punti da a.I), a.II), a.III) e a.IV) i soggetti autorizzati possono, tra l’altro, svolgere, anche a mezzo di propri collaboratori segnalati ai sensi dell’articolo 259 del Regolamento d’esecuzione TULPS: attivita’ di osservazione statica e dinamica (c.d. pedinamento) anche a mezzo di strumenti elettronici, ripresa video/fotografica, sopralluogo, raccolta di informazioni estratte da documenti di libero accesso anche in pubblici registri, interviste a persone anche a mezzo di conversazioni telefoniche […]”.

        [11]Art. 348 C.p.p. Assicurazione delle fonti di prova: “1. Anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la polizia giudiziaria continua a svolgere le funzioni indicate nell’articolo 55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole. 2. Al fine indicato nel comma 1, procede, fra l’altro: a) alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi; b) alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti; c) al compimento degli atti indicati negli articoli seguenti. 3. Dopo l’intervento del pubblico ministero, la polizia giudiziaria compie gli atti ad essa specificamente delegati a norma dell’articolo 370, esegue le direttive del pubblico ministero ed inoltre svolge di propria iniziativa, informandone prontamente il pubblico ministero, tutte le altre attività di indagine per accertare i reati ovvero richieste da elementi successivamente emersi e assicura le nuove fonti di prova. 4. La polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera.”.

        [12] Altre figure dotate di particolare competenza tecnica, che svolgono esperimenti giudiziali nel processo,   sono i periti ( art. 221 c.pp.) ed i consulenti tecnici (art.225 c.p.p.)

        [13] art. 136 II comma c.p.p.

        [14] P. Bellucci, A onor del vero. Fondamenti di linguistica giudiziaria, cit., pagg.115-116: “ La modulistica esemplificativa offerta dal diffusissimo manuale di pratica giudiziaria di D’Ambrosio, Vigna 2003 è spesso precisata da annotazioni fondamentali del tipo: Occorre indicare se le dichiarazioni dell’indagato sono state rese spontaneamente o previa domanda. In tal caso è riprodotta anche la domanda. Occorre poi attestare se la dichiarazione è stata dettata dal dichiarante e se questi si è avvalso dell’autorizzazione a consultare note scritte. La norma citata sembra prendere atto di una constatazione scontata forse non solo per il linguista: sappiamo tutti quanto la domanda condizioni la risposta e quali legami profondi correlino l’una all’altra nella sequenzialità di un’interazione linguistica di tipo dialogico. Fra coloro che ne hanno maggior consapevolezza ed esperienza diretta ci sono, appunto, gli operatori del diritto: non di rado una gran parte della loro abilità professionale si traduce proprio nella capacità di porre le domande ‘giuste’ al momento ‘giusto’ e nella ‘giusta’ forma. Sacrosantamente, gli atti del dibattimento devono riprodurre fedelmente l’intero dialogo.[…]”.

        [15] Ibidem, “ In proposito, cfr. anche Gnisci, 2001: Una risposta ha senso ed esiste sempre in relazione ad una domanda […] Nel momento in cui viene fornita una risposta, il soggetto produce un contenuto semantico in risposta al contenuto semantico della richiesta. Ne deriva che le diverse risposte e i criteri che le generano possono essere definiti solo dopo aver fatto chiarezza sulle domande stesse e sui possibili nessi che legano le risposte alle domande (pag. 87) […]”.

        [16] M. Di Stefano, B. Fiammella, Profiling: tecniche e colloqui investigativi. Appunti d’indagine, Altalex editore, Montecatini Terme (2013), pag. 73.

        [17] P. Bellucci, A onor del vero. Fondamenti di linguistica giudiziaria, cit.,   pag. 145: “ […] Quando le esigenze sono ben esplicitate, si trova sempre la risposta adeguata, ma certo non è la sigla A.D.R. che può continuare a farsi carico di queste funzioni: il linguista vi si oppone proprio dal punto di vista pragmatico. Infatti, uno dei problemi constatati in ambito giudiziario è l’esigenza di limitare la polisemia intrinseca del linguaggio e così invece la si estende in modo innaturale. A.D.R. significa, appunto, che c’è stata una domanda – quale? chi l’ha fatta? come l’ha posta? – da cui discende quella risposta. Come si possono aprire e risolvere addirittura questioni procedurali – come quella relativa alle domande suggestive che abbiamo visto nell’esempio 18 – su domande che sono ‘sparite’ dal verbale? […]”.

        [18] Titolo III. Documentazione degli atti.

        [19] Art. 134 commi 3 e 4; art. 139 c.p.p.

        [20] Art. 141-bis c.p.p. Modalità di documentazione dell’interrogatorio di persona in stato di detenzione: “1. Ogni interrogatorio di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, e che non si svolga in udienza, deve essere documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia, ovvero della consulenza tecnica. Dell’interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti”.

        [21] G. Spangher, G. Dean, Nuovo trattato di procedura penale. Soggetti e atti, editore Utet giuridica, Milano (2008), pag. 20.

        [22]M. Di Stefano, Sociologia della comunicazione come strumento d’indagine, Altalex quotidiano d’informazione giuridica, del 17 aprile 2013: “[…]“ Nella sociolinguistica particolare rilievo assumono, infatti: la situazione comunicativa[22], che descrive l’ insieme di circostanze in cui viene prodotto un atto linguistico; la tassonomia dei componenti che delinea il contesto ambientale, scena, parlante, mittente, ascoltatore, destinatario, scopi risultati, scopi fini, forma del messaggio, contenuto del messaggio, chiave, canali di comunicazione, forme di parlate, norme di interazione, norme di interpretazione; ed all’interno della situazione comunicativa di particolare importanza sono alcuni elementi riconducibili agli interlocutori, come lo status (cioè la posizione assunta all’interno di una struttura sociale), il ruolo sociale (cioè l’insieme di ciò che ci si aspetta da un certo status) ed il ruolo comunicativo assunto da uno dei partecipanti nel corso della interazione verbale.Ed ancora, nel corso dell’interazione alcuni dettagli, come gli indicatori di relazione (la mimica,   il contatto e la prossemica), gli indicatori si struttura (convenzionali, i turni) e di contenuto (postura, gesti e movimenti cinesici), assumono particolare significatività in quei contesti culturali e geografici, ove è più diffuso il rispetto della distanza sociale tra i conversanti e dove, gestualità, mimica facciale e postura, sono molto descrittivi in ambito criminale, consentendo di investigarne più approfonditamente gli aspetti interattivi […]”.

        [23] Come nel caso dell’interrogatorio di tipo classico, seguendo uno dei modelli criminologici fissati dall’F.B.I. secondo la classificazione operata dallo Special Agent Joe Navarro; o attraverso un approccio di interrogatorio di tipo psicologico o, ancora, secondo un protocollo di tipo tecnologico ove è fatto ricorso all’utilizzo di apparecchiature più o meno sofisticate d’ausilio all’intervistatore, come la poligrafo, il voice stress analyzere le telecamere a rilevazione termica.

        [24] A. Musso A., G. Muzzo, O. Gadoni, Il linguaggio segreto del corpo. Il significato dei gesti e dei comportamenti umani nella relazione con gli altri, Jackson libri, Milano (2000).

        [25] M. Snyder, The self-monitoring of expressive behavior. Journal of Personality and Social Psychology, (1974).

        [26] M. Di Stefano, B. Fiammella, Profiling: tecniche e colloqui investigativi. Appunti d’indagine, cit., pagg. 65-86.

        [27] Asse ipotalamo-ipofisi-surrene.

        [28] Il cortisolo è un ormone prodotto dalle cellule della fascicolata del surrene in risposta all’ormone ipofisario ACTH. L’ACTH è dunque il precursore del cortisolo. Il cortisolo viene spesso definito “ormone dello stress” perché la sua produzione aumenta, appunto, in condizioni di stress psico-fisico severo e, nel caso di interesse alla presente disamina, nel caso di manipolazione di risposta ad un questionario. Con la sua azione, quest’ormone tende ad inibire le funzioni corporee non indispensabili nel breve periodo, garantendo il massimo sostegno agli organi vitali. Per detta ragione il cortisolo determina, tra l’altro, un aumento della gittata cardiaca e dei valori glicemici.

        [29]www.nienteansia.it: “ […] il rapporto individuo/ambiente è soggetto a frequenti interazioni di tipo stressorio, le quali possono provocare come conseguenza l’ansia. Gli stressors, ovvero gli elementi ambientali (intesi anche come situazioni, esperienze o persone) che producono una sollecitazione sull’organismo, subiscono sempre un’elaborazione di tipo cognitivo, dalla quale dipende in gran parte la reazione della persona. L’ansia deriva da queste elaborazioni, per esempio nel caso in cui la persona percepisca il pericolo come reale e desideri liberarsene. Lo stress in sostanza è la prima sollecitazione che l’organismo subisce quando vi è un cambiamento nell’equilibrio tra organismo e ambiente. L’ansia è una sua possibile conseguenza. Lo stress può essere di due tipi: eustress(eu: in greco, buono, bello) o distress (dis: cattivo, morboso). L’eustress, o stress buono, è quello indispensabile alla vita, che si manifesta sotto forma di stimolazioni ambientali costruttive ed interessanti. Un esempio può essere una promozione lavorativa, la quale attribuisce maggiori responsabilità ma anche maggiori soddisfazioni. Il distress è invece lo stress cattivo, quello che provoca grossi scompensi emotivi e fisici difficilmente risolvibili. Un esempio può essere un licenziamento inaspettato, oppure un intervento chirurgico […]”.

        [30] M. Di Stefano, B. Fiammella, Profiling: tecniche e colloqui investigativi. Appunti d’indagine, cit., pag. 84 “[…] Il Voice Stress Analyzer, al contrario, è un apparato del tutto asettico, assolutamente non invasivo, ed utile a misurare lo stress indotto da cambiamenti dovuti a microtremori della voce nel caso di insincerità. Lo strumento può essere impiegato, all’insaputa dell’interessato, anche attraverso un flusso di dati fonici, come una telefonata o una comunicazione radio, ed utilizzabile per valutare reperti fonici a disposizione. Alcune aziende stanno testando a livello commerciale un toolutilizzabile sul web per integrare i sistemi di comunicazione VoIP, così da rivelare possibili menzogne in tempo reale […]”.

        [31]Ibidem, “[…]Attraverso le telecamere di rilevazione termicaè, infine, possibile evidenziare improvvise affluenze di sangue in alcune parti del viso, ed in maniera peculiare vicino gli occhi. L’afflusso è facilmente percepibile da un’ottica termo sensibile, evidenziando i picchi di calore che verranno analizzati al computer[…]”.

        [32] R. Schafer and Joe Navarro, Advanced Interviewing Techniques: Proven Strategies for Law Enforcement, Military, and Security Personnel, Charles C. Thomas Publisher; 1th edition (2004).

        [33] M. Di Stefano, B. Fiammella, Profiling: tecniche e colloqui investigativi. Appunti d’indagine, cit., pagg. 75-78 “[…]“[…] La condizione di disagio, odiscomfort, di una persona nel contesto di un’intervista è uno dei principali indizi utili a rilevare tentativi di manipolazione della risposta; il soggetto consapevole che le sue dichiarazioni potrebbero essere compromettenti, nel tentativo di mascherare o dissimulare il contenuto delle stesse, dovrà avviare un processo cognitivo importante, concentrandosi sulle risposte da rendere, così accrescendo il proprio stato di stress e di disagio nel contesto comunicativo. Il livello di discomfort, secondo Navarro, può essere valutato attraverso l’attenta osservazione e tramite la valutazione del mirroring. Le situazioni di particolare disagio, denotano alcune manifestazioni a livello psicologico, di facile osservazione, utili a rilevare immediatamente il discomfort; ciò avviene ad esempio notando un’accelerazione degli atti respiratori e del battito cardiaco, alterazioni cutanee, come la c.d. “pelle d’oca”, e dei peli corporei, sudorazione eccessiva, particolare colorito del viso, tosse improvvisa, tremore della voce.   Ancor più evidente è la situazione di disagio attraverso segnali di tipo paralinguistico ed extralinguistico: come la presenza di tratti prosodici che alterano il pattern abituale del linguaggio con pause prolungate, cambi frequenti di intonazione e di ritmo; ed ancora di aspetti cinesici che evidenziano inequivocabilmente stati di nervosismo e di imbarazzo: frequenti cambi di postura, irrequietezza degli arti, movimenti nervosi delle mani e delle dita, il continuare a spostare oggetti presenti nell’ambiente, toccarsi ripetutamente accessori d’abbigliamento, cinture, anelli, catenine, orologi, le tasche di un abito, muovere e smontare penne, un portachiavi, aprire ripetutamente il display di un cellulare, sfregarsi la fronte, toccarsi il collo ed il volto ripetutamente, guardare l’ora.   Anche il continuo movimento delle palpebre, il mantenere gli occhi chiusi mentre vengono formulate domande che recano disagio all’intervistato, l’incapacità di fissare l’altro con lo sguardo, seguitando a fissare un determinata focale, sono significativi del discomfort.   Il disagio è di sovente evidenziato anche dalla distanza che l’intervistatore mantiene, alle volte cercando di insidiare l’altro soggetto invadendo il suo limite prossemico, anche infastidendolo con banali contatti fisici. Può succedere, al contrario, che l’intervistato reagisca al self control dell’intervistatore con atteggiamenti gelidi e di immobilismo, il cd. flash frozeneffect, o con gesti cinesici di “chiusura”, come tenere le mani conserte o accavallare le gambe. In antitesi al discomfort, quando un intervistato si trova a proprio agio evidenzia uno stato di mirroring, cioè tendente a riflettere il comportamento e gli atteggiamenti dell’altro soggetto presente nel contesto comunicativo. Mirroring che trova riscontro nella postura del corpo, nella mimica, nel saper replicare le espressività dell’intervistatore. Il concetto di riflessione richiama ancora un altro dettaglio di interesse investigativo, quellodell’enfasi: due soggetti parlatori tendono, in modo inconsapevole, a coinvolgere nel contesto comunicativo alcuni comportamenti non verbali attraverso cui è espressa la loro enfasi. Infatti, così come il disagio, l’enfasi è rappresentata da movimenti cinesici, posture, mimica, che accompagnano il repertorio linguistico del soggetto nel corso dell’intervista. L’enfasi coinvolge il parlatore anche con espressioni variopinte ed incisive, come ad esempio elevare il timbro di voce e battere i pugni sul tavolo, ridurre le distanze prossemiche, accentuare con lo sguardo il contenuto delle argomentazioni, accompagnandole con i gesti delle mani. L’intervistatore riesce abbastanza facilmente a cogliere gli stati di enfasi del parlatore, interpretandone il reale coinvolgimento ed i tentativi di dissimulazione. Parallelamente all’enfasi Navarro identifica un altro parametro valutativo, quello dellasincronia tra i soggetti coinvolti nella comunicazione, attraverso cui è possibile denotare l’armonia e la concordanza del contesto. Armonia che si rileva dalla semplicità con cui i parlatori riescono a modulare la loro “faccia”, adattandosi agevolmente ad espressioni di “potere” o “solidarietà” dell’altro.   La condizione di agio può trovare riscontro anche nel timbro di voce che l’intervistato riesce a modulare in modo appropriato nel contesto del colloquio, senza farsi sopraffare e senza – al tempo stesso – alterare i ruoli dell’intervista; nonché valutando la qualità del repertorio linguistico utilizzato nel contesto, modificando ed adattando i vari item linguistici alle reali esigenze della situazione comunicativa.   La sincronia non va intesa solo in relazione ai soggetti parlatori, ma anche, e soprattutto, con riguardo agli eventi[33], alla collocazione temporale del contesto comunicativo ed a quella spaziale. L’ultimo “dominio”che Navarro ritiene di interesse all’investigatore nel corso del colloquio, è quello dellaperception management: in alcuni contesti l’intervistato è in grado di gestire la percezione, riuscendo a manipolare il rapporto relazionale, ed influenzare l’intervistatore con attagliate menzogne. Il meccanismo di gestione della percezione è uno strumento di sovente utilizzato dagli psicopatici che riescono, in particolar modo attraverso il linguaggio non verbale, ad influenzare abilmente il contesto comunicativo: ad esempio mantenendo un atteggiamento di “apertura”, così da palesare all’altro interlocutore il proprio comfort assumendo posizioni comode; o di riflessione automatica ad atteggiamenti di pressione dell’altro, in modo di invertire la situazione di disagio. La manipolazione della percezione può avvenire anche alterando il proprio aspetto esteriore; ad esempio mostrando un vestire particolarmente accurato o, per contro, trasandato; presentarsi con la barba incolta, elettrizzare ed arruffare poco prima dell’incontro i capelli, sfregare gli occhi ed alterare la dilatazione pupillare; simulare dipendenze da alcool, ecc.[…].

        [34] Il colloquio tecnico in ambito psicologico può anche trovare ulteriore riscontro attraverso l’acquisizione di un “saggio grafico”, sotteso ad individuare possibili elementi grafici caratteristici dell’insincerità. Si richiama al riguardo R. Saudek, Psicologia della scrittura, cit. pag. 174-175 […] Sappiamo che l’interpretazione psicologica di qualsiasi grafia è impossibile fino a che non si è stabilito se essa è rapida o lenta. Abbiamo […] accertato che le forme ad arco […] si verificano solo in grafie lente; quindi per scoprire il significato essenziale delle arcate, dobbiamo prima di tutto chiederci a quali cause è dovuta la lentezza, oggi che è di moda lo stile rapido, e a quale di queste cause possiamo attribuire le responsabilità delle arcate […] Uno dei motivi più importanti[…] è lo sforzo cosciente compiuto durante l’esecuzione. A questo punto dobbiamo chiederci se questo sforzo viene fatto per rendere lo scritto più chiaro o più confuso. Solo due di tutte le possibili cause di lentezze giustificano la presenza contemporanea di arcate: prima tra tutte, il desiderio da parte dello scrivente di rendere il suo scritto più interessante o la mancanza di lucidità, di logica, di costanza e di solidità. […] Tutte le grafie, nelle quali abbiamo rilevato la presenza di arcate, riflettono mancanza di sincerità[…] In una grafia lenta le arcate sono sempre indice di insincerità e sono sempre accompagnate da altre caratteristiche dello stesso significato; in grafie rapide le arcate non sono invece accompagnate da altri indici dello stesso significato; si possono quindi considerare o come imitazione della grafia di altre persone […].

        [35] C.d. professional interviewer.

        [36] M. Di Stefano, B. Fiammella, Profiling: tecniche e colloqui investigativi. Appunti d’indagine, cit., pag. 78.

        [37] G. Gulotta, Breviario di psicologia investigativa, Giuffrè Editore, Milano (2008).

        Convegno gratuito – Diritto e Rete: stato dell’arte in materia di Investigazioni, Intercettazioni, Intelligence e Cybersecurity

                 

        L’Associazione Nuove Frontiere del Diritto con la Primiceri Editore

        Vi invitano al Convegno gratuito

        “Diritto e Rete: stato dell’arte in materia di Investigazioni, Intercettazioni, Intelligence ”

        Roma – Corte d’appello Civile Via Varisco 3/5 – Sala Unità di Italia

        24 Novembre 2017 – ore 10,30-15,30

         

        Introduce e indirizzo di saluto

        Avv. Antonino Galletti

        Consigliere Tesoriere COA Roma e Presidente Azione Legale

         

        Moderano

        Avv. Federica Federici (Foro di Roma)

        Università eCampus – Federico II di Napoli

        Avv. Rosy Grandinetti (Foro di Lamezia Terme)

        Ass. Nuove Frontiere Diritto

        Relatori

         Barbara Carfagna (Giornalista RAI) 

         

        Dott. Eugenio Albamonte

        Presidente ANM

         

        Avv. Paolo Galdieri

        Avvocato – Docente di Informatica Giuridica – LUISS Guido Carli Roma

        “Direttiva Nis: cybersecurity  e responsabilità giuridica”

         

        Dott. Michelangelo Di Stefano

        Componente esecutivo centrale International Police Association ITALIA

         “Evoluzione e stato dell’arte del captatore informatico.  DDL Giustizia,  impiego dei trojan e criticità”

         

        Dott. Marino D’Amore

        Criminologo e Dottorando di ricerca Università Unicusano

        “Internet e democrazia mediatica: tutti possiamo comunicare”

        Dott. Roberto Mandolini

        Maresciallo Capo  – Arma dei Carabinieri

        “La gogna mediatica sui social media nella società odierna e le sue vittime”

        Prof. Marco Mayer

        Docente Luiss Guido Carli

        “Polizia di prevenzione e rivoluzione digitale”

         

        Prof. Maria Romana Allegri

        Ricercatrice di Istituzioni di diritto pubblico

        Professoressa aggregata di Diritto pubblico, dell’informazione e della comunicazione presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale (CoRiS) de La Sapienza – Università di Roma

        “La responsabilità civile e penale degli ISP (con particolare riferimento ai social network)”

         

        Prof. Elisabetta Zuanelli

        Ordinario di Comunicazione digitale Macroarea Economia, Dipartimento di Management e Diritto Università degli Studi di Roma, “Tor Vergata” Presidente CReSEC

        “Cybersecurity e privacy tra norme europee e prospettive internazionali: il caso dell’informazione economico-finanziaria”

         

        Prof. Edmund Agbo

        Professor of International Criminal Law, Director of Research in Digital Forensics, International Bio- esearch Institute, Ugwogo Nike, Enugu Nigeria, Professore and Co-ordinator of International Bioethics Programme Pontificia Athenaeum “Regina Apostolorum” Rome, IBI Centre.

        Cyberdemocrazia: Privacy, Sicurezza  Pubblica, Investigazione e Intercettazione nelle Legislazione Nigeriana”

         Nel corso del Convegno verranno premiati Alti Funzionari distinti per meriti appartenenti al Governo e alla Polizia della Nigeria da parte dell’Associazione NFD e del Presidente IPA – International Police Association

        Avv. Rocco Lotierzo

        Foro di Roma

        “Il diritto di essere dimenticati dalla Rete”

        Coordinatore scientifico: Avv. Federica Federici

         

        L’evento è gratuito è accreditato presso l’Ordine degli Avvocati di Roma con n. 3 crediti formativi ordinari. Sarà rilasciato attestato partecipazione anche ai partecipanti non Avvocati.

        L’evento sarà trasmesso in streaming su AracneTV. La partecipazione all’evento è subordinata alla prenotazione inviando mail a info@nuovefrontierediritto.it con Nome, Cognome, eventuale Foro appartenenza e Numero Tessera o  compilando il form sottostante.

        locandina federica 2017 novembre






           

           

           

                         

          L’omicidio dell’Appia: un pasticcio storico

          femminicidioDa “Quaderni Romani” a cura dell’avv. Luciano Randazzo e della dott.ssa Angela Allegria

          Chi uccise Luciana, la mora dell’Appia Pignatelli? Estate del 1987, la città di Roma è vuota.

          Le ferie sono arrivate prepotenti, lasciando pochi romani alle prese con il caldo torrido, temperato soltanto dal frizzante ponentino che domina sulle serate romane, specialmente al Gianicolo. Scarse anche le notizie, la politica ed il palazzo sono in ferie, l’attività parlamentare sospesa, tutto tace, dorme. Le giornate scorrono sonnolente. La cronaca di Roma è scarna, priva persino delle notizie pruriginose, quelle che tengono alta l’attenzione dei lettori. Ma qualcosa irrompe sulle pagine della cronaca romana. Il quotidiano l’Unita pubblica il 9 luglio un articolo che suscita subito l’interesse dei lettori, soprattutto attira l’attenzione della Questura di Roma, anzi del funzionario di turno della squadra mobile. Uno sconosciuto, dal nome di Antonio Nalli, forse ancora vivo nel ricordo di qualche anziano poliziotto, confessa un omicidio davanti all’incredulo dirigente del Commissariato di Tivoli. Consumato a seguito di una rapina, avvenuta circa trent’anni prima, in via Appia Pignatelli, località Torraccia, esattamente il 21 giugno 1958. Vittima tale Luciana Monti di anni 27, soprannominata nell’ambiente malavitoso del tempo la mora dell’Appia Pignatelli. Ma chi era la Mora dell’Appia Pignatelli? Era una prostituta romana e viveva nel quartiere Trastevere. La classica battona, secondo la colorita terminologia gergale. Una prostituta stanziale, che aveva scelto quale luogo di lavoro, per ricevere i clienti occasionali, una squallida ed improvvisata alcova, posta vicino ai ruderi romani della tomba di Cecilia Metella, sull’Appia Pignatelli appunto.

          Il degrado sociale di quei tempi non provava rispetto neppure per le vestigia romane. Anzi la loro lontananza dal centro cittadino, e la loro ubicazione in zone isolate, poco frequentate, ne facevano luoghi ideali per consumare amplessi frettolosi e prezzolati. Allora iniziava quel degrado urbano che avrebbe trovato oggi i consequenziali epigoni. Fu un omicidio truculento, secondo le cronache del tempo, che quotidianamente si rincorrevano per soddisfare la curiosità morbosa dei lettori. Gli omicidi di donne, e di prostitute in particolare, destavano la curiosità morbosa tipica di quella società chiusa, gretta ed ipocritamente cattolica. La descrizione dei particolari raccapriccianti superava l’interesse per lo sviluppo delle indagini. Quel corpo martoriato dalle coltellate, inferte con ferocia inaudita, venne identificato per quello di Luciana Monti, di anni 27, giacente supina in una sterpaglia presso il mausoleo di Cecilia Metella. Un paradosso storico, applicazione della teoria del contrappasso, “contra patiri” di senechiana memoria. Anche Cecilia, nobildonna romana, sposa di Cornelio Nepote, secondo quanto riferisce lo stesso Cicerone, ebbe una relazione extraconiugale con Columella e venne considerata dalla morigerata società romana una donna di facili costumi. Due donne, due diverse tradizioni, due scelte di vita difformi, l’amore prezzolato per Luciana e l’amore profano per Cecilia, ma in entrambi i casi vittime d’una società che bolla l’amore come peccaminoso.

          La mora era l’appellativo dato da clienti e frequentatori di via Appia, i così detti puttanieri, ed era molto bella. Una bellezza prorompente, come voleva quel modello femminile importato dai costumi americani e che oramai si stava radicando nelle nostre tradizioni. Abitava nel vecchio quartiere romano di Trastevere, che in quegli anni non era quello che oggi noi conosciamo: allegro, festaiolo, frequentato dagli amanti della movida notturna, dai sistematici cercatori di trattorie tipiche a tutti i costi (che oggi tra l’altro non esistono più). Oggi si trovano lì delle ridicole imitazioni, rifacimenti di osterie per irretire i nuovi barbari, i turisti, i cittadini non romani. Ma un tempo Trastevere era il centro del malaffare quotidiano, quello che oggi s’è spostato nelle borgate. Il trasteverino nell’immaginario era il classico bullo romano, arrogante, presuntuoso, progenitore del moderno coatto, ben descritto da Carlo Verdone. Un malavitoso dedito a piccoli furti, piccole truffe e prestiti usurai. Non c’era il commercio in grande stile di droghe, era in buona sostanza un mondo atavico, piccolo e forse anche semplice. Le vecchie sale cinematografiche, come il Cinema America, erano il centro del divertimento, soprattutto domenicale. Richiamavano torme di persone: dagli impiegati con le famiglie, che trascorrevano qualche ora in serenità, alle cameriere che cercavano l’evasione, per sognare una vita migliore e l’immancabile amore passionale, come insegnava la filmografia del tempo tramite Amedeo Nazzari ed Ivonne Sanson, gli eroi ideali. Coppie di giovani che approfittando del buio in sala cercavano un po’ di intimità negata dal loro povero quotidiano, tra sospiri, fumo denso che quasi si tagliava e baci appassionati. Così Luciana Monti ogni mattina si recava al lavoro sulla via Appia, accompagnata dal suo amante e protettore, lo squallido Antonio Del Sere. Era separata dal marito Luciano Cossu. L’istituto del divorzio era ancora lontano per quell’Italia, conformista ed eccessivamente cattolica. Il cadavere venne trovato da due sue colleghe che battevano nella zona, era in posizione supina adagiato su un giaciglio improvvisato, immerso in una pozza di sangue, a seguito di quattro coltellate inferte con una violenza inaudita.

          Sicuramente un omicidio derivato da una rapina. La borsetta era aperta e mancavano dei soldi, alcuni modesti gioielli e la fede nuziale che la povera Luciana portava al dito: forse una patetica forma di difesa dai malintenzionati. Mancava anche il suo orologio, di poco valore. Le indagini in un primo momento si focalizzarono su di un biondino con una maglietta a strisce bianche e celesti, con il quale era stata vista appartarsi. Successivamente si accertò che il giorno dell’omicidio la vittima si era appartata con due uomini, ma di quest’ultimo non si seppe mai nulla, se ne persero subito le tracce e nessuno indagò approfonditamente, come in genere accadeva a quei tempi. Neppure si riuscì stabilire l’ora esatta della morte rispetto all’ora del rinvenimento del cadavere, le 14 pomeridiane. Antonio del Sere, il suo protettore ed amante, venne subito imputato (non esisteva ancora proceduralmente la figura dell’indagato). Ma la sua posizione venne presto archiviata: quel giorno si era avvicinato al luogo del delitto, ma avendo visto un trambusto era fuggito per la paura. Questo era l’amore che provava per la sua Luciana. Ma la dichiarazione fu sufficiente a porlo in libertà. Certo gli investigatori del tempo erano proprio impreparati, per non dire superficiali, in materia d’indagini per gli omicidi, oppure sollecitati ad indagare solo su casi eclatanti e mediatici come nel 1953 era stato per la morte di Wilma Montesi. Tutti coloro che vennero imputati per l’omicidio della mora vennero prosciolti. Nessuno venne rinviato a giudizio, e l’autore o gli autori materiali del delitto non furono identificati. Le indagini, come spesso accadeva a quei tempi, furono superficiali, inconsistenti e limitate, soprattutto celeri, troppo celeri.

          L’indagine doveva chiuderai subito, l’estate romana che era alle porte non doveva essere turbata dalla morte di una povera prostituta trasteverina. Quella festa de Noantri, la festa del quartiere di Trastevere, non doveva essere rovinata dal ricordo di una morta ammazzata. Di Luciana Monti di anni 27, prostituta abituale schedata, non se ne parlò più. L’oblio prese il sopravvento e tutti dimenticarono. Ma un mercoledì di luglio del 1987, quando erano trascorsi oltre trenta anni dall’omicidio, il quotidiano L’Unità pubblicava un articolo a firma di Giuliano Capecelatro, che riportava una dettagliata confessione dell’omicidio nei confronti di una donna avvenuto circa trenta anni prima. Le dichiarazioni confessorie ad uno stupito dirigente del locale Commissariato riguardavano la morte di Luciana Monti, prostituta detta la mora della Appia Pigatelli, e venivano rese da Antonio Nalli, un degente presso la Casa di Cura per malattie mentali Divina Provvidenza. Quelle dichiarazioni in un primo momento apparvero inattendibili, perché rese da un soggetto schizofrenico, un disturbato mentale, ma soprattutto perché rilasciate a distanza di sette giorni dalla pubblicazione sullo stesso quotidiano di un inchiesta proprio sull’omicidio Monti di tanti anni prima. Le circostanze che colpirono gli inquirenti della polizia giudiziaria furono l’estrema precisione e puntualità, nonchè la coincidenza con quanto dichiarato dai testimoni sentiti all’epoca del fatto. Quel giorno, il 21 giugno 1958, il Nalli insieme al suo amico biondino era andato sulla via Appia, e si erano entrambi appartati con Luciana la mora per consumare un rapporto sessuale. Il biondino aveva con se’ una macchina fotografica, elemento questo che non venne preso in considerazione dagli investigatori, se approfondito avrebbe potuto portare al un percorso diverso.

          Perché un cliente andava ad un incontro con una prostituta recando con se’ una macchina fotografica? Per quale motivo il rapporto sessuale doveva essere consumato in tre? Molto inusuale. Forse un fotografo dilettante a caccia di scene particolari da fotografare per poi rivendere al mercato illegale delle foto porno fatte in casa? La rapina fu effettivamente il movente dell’Omicidio? Nessuna risposta a queste domante. Chi confessava il delitto era un malato psichiatrico, un manovale perennemente disoccupato, che a causa della disperazione, del malessere e di un alcolismo conclamato, era diventato un malato mentale e con gravi disturbi del comportamento. Un povero diavolo che preso dal rimorso per quel l’omicidio di trenta anni prima, e dopo la morte del suo amico biondino, esecutore materiale, peraltro morto un anno prima, aveva deciso di parlare per purgarsi l’anima. Il rimorso lo aveva corroso. La Polizia romana riapriva le indagini sulla spinta delle dichiarazioni, cercando di trovare validi riscontri probatori. Poi non si seppe più nulla. Anche in questo caso la povera Luciana Monti, prostituta abituale, venne ancora dimenticata. Stava nascendo l’Italia craxiana, l’Italia del “Made in Italy”,del falso benessere e degli sprechi e delle vicende che poi avrebbero portato all’attuale crisi. Di li a poco sarebbe nata Tangentopoli, seppellendo sempre di più le vicende che a nessuno interessavano. Le cronache narrano che qualcuno lascerebbe spesso un fiore sulla tomba di Luciana, forse l’unico modo sincero per ricordarla.

          La decapitata del lago, tra malagiustizia e malainformazione

          femminicidiDa “Quaderni Romani” a cura dell’avv. Luciano Randazzo e della dott.ssa Angela Allegria

          Sulla Città Eterna piovono quotidianamente critiche, eppure non c’è essere umano che non desidererebbe vivere a Roma. E il suo fascino, a volte cinico ed inquietante, te la fa odiare e amare a morte. Su quest’ultimo aspetto chi frequenta tribunali, caserme, ospedali ed obitori si sofferma soprattutto d’estate. “Ma va a morì ammazzato!”, grida l’anima vera e indemoniata del romano di rione e di borgata. E anche la signora dalle dita secche acquista un tono letterario tutto suo particolare, una sorta d’identità romana. Ne volete una prova? Credo bastino una decina di storie, tutte vere. Ma andiamo con ordine. È il 10 luglio del 1955. Il caldo torrido, insopportabile, avvolge Roma. La città è ormai vuota. Le poche persone girovagano senza una precisa meta. Cercano un po’ di refrigerio serale sul Lungotevere, al Gianicolo dove spadroneggia il ponentino, quel gradevole vento romano immortalato dalle canzoni popolari.

          La guerra è roba di un decennio prima, e ormai il rito della villeggiatura al mare ha contagiato le famiglie romane. Soprattutto quelle di estrazione medio-impiegatizia, complice quel benessere economico che sta invadendo l’Italia, facendo dimenticare le disgrazie di un conflitto che per i ragazzi è quasi un lontano ricordo. Roma non è immune alla corsa al godimento estivo. Quell’agognata villeggiatura nelle località turistiche. La vacanza è una scelta di vita, una forma di distinzione sociale al pari della televisione, che trasmette i suoi programmi e ci fa sentire partecipi. Due personaggi, il professor Cutolo, e padre Mariano con la sua ascetica barba, intrattengono i fortunati possessori della scatola magica. L’Italia è benpensante, tranquilla e serena, non vuole problemi è curiosa tra le cose frivole. Il divertimento semplice viene prima di tutto: cinema, arene estive, sale da ballo modeste e alla portata della povera gente, vengono prese d’assalto. Del resto è estate. Poi c’è la messa domenicale, il pranzo familiare con le immancabili pastarelle, quel cinema pomeridiano che diventa un rito alla portata di tutti.

          Il 10 luglio, due amici decidono di trascorrere una giornata diversa, una gita al lago di Castel Gandolfo, località amena e tranquilla alle porte di Roma, dove i Papi, non a caso, vi risiedono d’estate. Così i due affittano una barchetta, iniziano la traversata a remi del lago, sognando semplici mete vacanziere che mai potranno permettersi: uno è sagrestano e l’altro un povero meccanico. Ad un certo punto uno dei due fa accostare la barca, ed inizia a percorrere un sentiero boscoso per soddisfare un impellente bisogno fisiologico. È alla ricerca di un posto lontano da sguardi indiscreti, poiché il luogo è meta ambita di coppiette clandestine, e non solo, in cerca di intimità.

          Ma uno spettacolo raccapricciante gli si para davanti. Un corpo nudo di donna con una pelle di colore latteo, già in stato di decomposizione. Un tanfo insopportabile, il corpo è coperto da una copia del quotidiano romano “Il Messaggero” del 5 luglio, e poi vermi ed insetti coprofagi. Il cadavere era smembrato, successivamente verrà accertato che alla sventurata le erano state asportate le ovaie. Ma la scena era ancora più macabra, perché il corpo era privo della testa. Non venne mai ritrovata. Il cadavere ha un segno distintivo, che risulterà utile per la successiva individuazione: un orologio da polso marca Zeus, molto in voga a quei tempi. Nello sconcerto generale iniziano le indagini, difficili per le tecniche di allora, ma semplici per l’individuazione del movente: un terribile omicidio, come in seguito verrà acclarato. Nell’incertezza generale e, come al solito, su pressione dei media, emerge che il caso era troppo particolare per i canoni del tempo. Quell’orribile omicidio suscitava i pruriti della gente, la curiosità morbosa: un’esecuzione con decapitazione e asportazione delle ovaie. La gente dell’epoca, i lettori, non erano pronti a tanta efferatezza.

          Vengono fermate molte persone. Tutti quelli che in un modo o nell’altro si trovarono sulla scena del crimine. Dal posteggiatore al proprietario di un ristorante limitrofo al lago. Però non venne mai chiarito per quale motivo i due amici, che avevano rinvenuto il cadavere, soltanto il 12 luglio denunciarono il fatto all’Autorità giudiziaria. Giustificarono il ritardo sostenendo di aver avuto timore, giustificazione banale e priva di logica, ma che venne accettata dagli investigatori. Le cronache giudiziarie riempirono le pagine dei quotidiani. Troppo appetibile questo caso che fa scatenare la fantasia popolare. Ognuno cerca di dare una soluzione al delitto e, come nelle partite di calcio, si diventa esperti, strateghi.

          Molte maghe e cartomanti gareggiano tra loro per dare un nome alla vittima: la pubblicità in questi casi non guasta. Il circo mediatico giudiziario si mise in moto anche allora. La vittima con molta difficoltà venne identificata in Maria Antonietta Longo, detta Ninetta, una ragazza trentenne nata a Mascalucia, un paesino della provincia di Catania. Lavorava come cameriera presso la famiglia di un medico romano. Era una servetta, come venivano definite quelle ragazze che lavoravano presso la famiglie del ceto medio, che rappresentavano un vero status symbol per i costumi sociali del tempo. Erano ragazze di estrazione sociale povera, che venivano dal profondo sud italiano o dal Polesine (il delta del Po dal versante veneto), attratte dal miraggio di un futuro benessere, dal desiderio di una sistemazione con matrimonio col classico bravo ragazzo con il posto fisso. Venivano a lavorare come domestiche nelle grandi città, e Roma era quella più ambita, lasciando i loro paesi poveri, degradati, desolati. In buona sostanza come le moderne e attuali badanti, povere e piene di speranza: Ninetta era una di loro. Era uscita da casa, avvisando i suoi padroni, il 5 luglio portava con sé una valigia piena di vestiti, di biancheria nuova e con una cospicua somma di denaro che aveva ritirato dal suo libretto postale, i suoi risparmi. Una lettera spedita alla sorella, per informarla che aveva conosciuto l’amore, forse un imminente matrimonio. Il sogno forse si stava per realizzare. Sogno infranto il 5 luglio 1955, data presunta della sua morte. Anche il presunto fidanzato venne arrestato, e successivamente rimesso in libertà.

          Le indagini portarono ad un nulla di fatto, vennero archiviate in maniera troppo frettolosa. Si doveva far dimenticare questo omicidio che avrebbe rotto equilibri sociali che si andavano consolidando. La gente parla, mormora, potrebbe deviare dalla pace cattolica e dalla spensieratezza semplice del momento. Una società cattolica professante, che faceva della famiglia il punto centrale della sua esistenza, e che male avrebbe tollerato gli aspetti oscuri dell’omicidio di una povera servetta. Ne sarebbe stata troppo impressionata. Molte furono le ipotesi circa l’omicidio: un aborto non riuscito, un maniaco, un amante deluso. Tutti aspetti contrari al senso del pudore che doveva avvolgere l’Italietta.

          Il delitto non venne mai chiarito. Nel corso degli anni Cinquanta ci furono altri omicidi di donne, altrettanto macabri, e non vennero mai risolti. Della povera Ninetta rimane oggi soltanto un corpo martoriato ed una testa mozzata mai trovata. Anche il suo ricordo è svanito nel nulla. E il suo sogno? Distrutto insieme alla sua povera e giovane esistenza. Anche all’epoca il corto circuito tra stampa, politica e giustizia influenzò le indagini come la diffusione delle notizie: eravamo una democrazia ancora troppo giovane, sosteneva qualcuno. Tutto sempre troppo sbilanciato, e l’uomo della strada sempre lì, in attesa di una giustizia giusta, di una libertà d’informazione, di una politica generale meno bigotta e vicina alla gente.