Riflessioni e spunti a margine del Convegno Oltre il muro (presentazione libro Senza di te non esisterei della collega ed amica Roberta D’Amore – aprile 2018 Sala Valdese Roma) [1]

Avv. Prof. Federica Federici

Quando si tratta di analizzare e parlare di violenza di genere solitamente e principalmente si parla di donne, alle donne e tra donne. Il fenomeno è allarmante e statisticamente le vittime sono donne (in famiglia – originaria o creata o “allargata”, nella coppia, tra ex partners). In realtà il protagonista scomodo e negativo è solitamente e principalmente l’uomo. L’interlocutore quindi su cui lavorare e con cui operare misure preventive e correttivi dovrebbe essere l’uomo. Se non si pone l’uomo al centro di ogni dibattuto o iniziativa, probabilmente tutto diventa poco efficace, se non del tutto inefficace. La differenza tra uomo e donna è elemento noto, a partire dal dato genetico. Dalla difficile accettazione della parità nella diversità traggono origine quasi tutti i conflitti e problemi di ruolo negli ambiti anzidetti.

Il fenomeno tuttavia è eterogeneo e complesso, attraversa scenari diversi per religione, etnia, livello sociale, grado di violenza e della sua (eventuale) escalation. Dalla violenza culturale a quella sessuale, da quella verbale a quella psicologica, da quella familiare a quella lavorativa, da quella affettiva a quella sociale. Certo è che anche l’educazione dei figli maschi è fattore determinante. In Italia tradizione ha voluto che la famiglia restasse a lungo patriarcale, che la donna avesse per decenni ruolo marginale e più debole, così che l’uomo ha ottenuto il potere fin dalla prima società e comunità in cui è cresciuto, mentre la donna è stata educata alla giusta “collocazione” accanto ad un uomo, a procurarsi un buon matrimonio, alla conseguente dipendenza economica, alla connaturata sopportazione dello squilibrio e al dedicarsi alla famiglia e al partner. In questo scenario impari, la donna ha in realtà pian piano fortificato la gestione delle proprie emozioni, la sua empatia col mondo circostante, ha sviluppato un maggior e più profondo rapporto coi figli e ha imparato il sacrificio e l’elaborazione del dolore o del tradimento o della fine di un legame. L’uomo invece ha sempre meno dimostrato di saper gestire conflitti, crisi, separazioni e rabbia. Paradossalmente ha sviluppato un senso di inferiorità e una fragilità inversamente proporzionali al suo potere familiare e sociale. Nei centri antiviolenza si accolgono e sostengono le donne, presso la P.G. e A.G. si assistono le donne, mentre l’uomo non violento, ma che si scopre o inizia ad esserlo, non trova ascolto e aiuto.

La società è divenuta sempre più affetta da psicosi e malafede sociale, così da essere percepita ostile a qualsivoglia percorso per soggetti maltrattanti, violenti, disperati, malati e per gli offenders di ogni natura (non solo sessuale) che volessero o dovessero sentirne o averne bisogno. Siamo certi che quando si parla di violenza alle donne da parte degli uomini, gli uomini si riconoscano in ciò che viene detto? Che comprendano di essere violenti? Che vogliano uscire dal circolo aggressivo, violento e maltrattante? Ci sono uomini che lo sono già, ma anche uomini che iniziano ad esserlo o si scoprono di esserlo.

Eppure gli uomini sono compagni, mariti, ex partners, padri, figli, fratelli, amici, vicini di casa, colleghi, educatori. Nelle dinamiche relazionali la donna è la compagna, moglie, ex partner, madre, figlia, amica, vicina di casa, collega, educatrice. L’educazione di genere è diversa, così come gli incastri delle relazioni a parità di soggetti, ben potendosi incastrare e/o slatentizzare in rapporti diversi. La stessa fine di una relazione o il conflitto viene vissuto diversamente da uomo e donna. Questo anche in virtù dei ruoli diversi che uomo e donna hanno nella società, nell’ambito lavorativo, in famiglia, nella gestione dell’economia familiare, ecc..

Anche le dinamiche di responsabilizzazione sono diverse, comportando spesso una tendenza criminogena e/o violenta fin dall’infanzia maschile rispetto a quella femminile (fisicità vs. celebralità). L’errore da evitare è però quello di generalizzare i contesti e i fatti. Bisogna avere il coraggio – davanti a numeri così allarmanti nel fenomeno del femminicidio e della violenza di genere – di operare delle differenziazioni, di superare il qualunquismo anche per differenziare soluzioni, trattamenti e percorsi. L’uomo violento si svela in diversi e numerosi modi e anche dopo la violenza assume atteggiamenti diversi. Chi rimuove e non ricorda, chi resta violento perché ritorsivo e vendicativo, chi agisce di impeto e di istinto e chi lo è in modo stabile perché soffre la personalità della donna, chi non se ne rende conto e non ne comprende il disvalore, chi è affetto da patologie o disturbi della personalità.

Completamente diversa la violenza della donna sull’uomo, che esula da queste riflessioni sull’uomo violento, ma che necessita dello stesso approccio metodologico ed analisi. E fondamentale non negarne l’esistenza, anche se il dato statistico è sbilanciato, soprattutto perché molti contesti violenti nascono da una base conflittuale che genera sofferenze psicologiche e reazioni a catena, per poi degenerare in contesti lesivi dell’integrità fisica delle vittime.

Le questioni legate al fenomeno quindi sono numerose e diverse: sociali, politiche, economiche, giuridiche e scientifiche e come tali necessitano di un approccio corale, interdisciplinare e trasversale. Se non si studia, conosce e comprende il fenomeno nelle sue differenti dinamiche ed aspetti, anche i più complessi, diventa difficile individuare le soluzioni, che peraltro devono essere sostenibili ed efficaci versando nell’impreciso e non realizzando quella protezione e tutela di cui le donne vittime e gli uomini violenti hanno realmente e concretamente bisogno.


[1] Per la psicologia dell’uomo violento si rinvia ad un lavoro a mia firma L’elemento psicologico nel reato di stalking, Studium Juris, marzo 2013.

Di admin

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