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Diritto, animali e consapevolezza della finitezza del percorso di vita

Diritto, animali e consapevolezza della finitezza del percorso di vita

a cura dell’Avv. Salvatore Magra

Si spera con queste considerazioni di aprire un dibattito.

L’ipertrofica produzione legislativa ha, con apparente paradosso, trascurato, quantomeno in una prima fase, il sufficiente ed esaustivo sviluppo della questione se gli animali possano considerarsi, e con quale ampiezza, soggetti di diritto. Progressivamente, è maturata la consapevolezza della necessità di enucleare dei princìpi legislativi, che tenessero conto della necessità di assicurare una sufficiente protezione agli animali, in rapporto alla possibilità di maltrattamenti.

Per un costruttivo approccio in tale materia, è opportuno analizzare le questioni, attraverso una prospettiva di diritto comparato. Da tale angolazione, emergono la possibilità e la necessità di prevedere doveri dell’uomo nei confronti degli animali, come prius necessario per un’evoluzione della qualità della disciplina sugli animali. In tal modo, si procede a un superamento della reificazione dell’essere vivente non umano. Istituti come il mobbing sino stati costruiti a partire dall’etologia, attraverso lo studio del comportamento dei volatili (in particolare dell’etologo Konrad Lorenz), per isolare ed estromettere un soggetto predatore dall’aggregazione. Ciò può suggerire l’idea che a volte gli esseri viventi non umani codificano “di fatto” istituti, poi incorporati nell’ordinamento umano e questo, con ulteriore passaggio logico, suggerisce l’esigenza di proteggere adeguatamente soggetti che, sia pure sul piano dell’istintualità, hanno, per certi aspetti, la possibilità dello sviluppo di una “logica”, da cui anche l’essere umano può apprendere.

E’ condivisibile l’affermazione, secondo cui “L’antropocentrismo etico ha proposto per secoli il monopolio dell’etica da parte dell’uomo. La negazione della possibilità di un’etica diversa ha contribuito incisivamente al processo di destatizzazione del non umano, privato della funzione relazionale che deriva dalla prospettiva etica stessa. Questo assioma, animale senz’etica e dunque escluso dalla formula di protezione dell’etica stessa, è stato contraddetto da voci sporadiche nei secoli. In tempi più recenti, l’affossamento dell’antropocentrismo etico è riproposto con maggior tenacia sia in ragione degli studi della biologia evoluzionistica, sia grazie alla riflessione che si avvale di una visione coniugati va tra scienza ed etica, ovvero tra scienza che produce e che solleva problemi ed elemento etico, il che come noto ha avuto come sbocco gli studi di bioetica” (cfr. “Il difficile binomio animali-diritto: riflessioni”, in http://www.giappichelli.it/stralci/3482915.pdf).

L’uomo ha consapevolezza di dover morire e, secondo una linea di pensiero, si distingue in questo dagli altri esseri viventi. In particolare, lo psicanalista Valerio Albisetti nel suo volume “Da Freud a Dio” (Edizioni Paoline) scrive a pag. 70 “(…) Il piccolo Valerio intuiva, forse sapeva. Osservava gli altri animali della campagna, che non sapevano di dover morire. Finché un giorno, osservando acutamente la morte dei suoi simili, capì che questo saper di dover morire da parte degli esseri umani è il loro vero segreto, la loro vera chiave di lettura per vivere”. Questa prospettiva psicospirituale attua una scissione fra la condizione umana e la condizione non umana,e attribuisce all’uomo una consapevolezza di matrice apparentemente più ampia, rispetto a quella degli altri esseri viventi, attingendo a una opzione intellettualistica, che tiene conto di una certa percezione della realtà, la quale , peraltro, per certi aspetti, potrebbe essere diversa da come ci appare. L’obiezione all’idea che i nostri sensi non consentono di percepire l’intera gamma delle sfumature della realtà viene talvolta sviluppata, attraverso l’argomento, in base a cui possiamo pur sempre amplificare i nostri sensi, attingendo a “protesi esterne”  (ad esempio: microscopi o cannocchiali, per il senso della vista). Peraltro, non è scontato che in questa maniera possa pervenirsi a una visione soddisfacente della realtà esteriore, in quanto affidiamo l’amplificazione dell’apparato sensoriale pur sempre a elementi esterni, rispetto alla nostra struttura organica e mentale. Ciò rende verosimile l’idea che non tutto quel che percepiamo può essere effettivamente corrispondente alla realtà nella sua struttura primigenia. La consapevolezza può avere anche sfaccettature diverse dalla concezione a priori che noi abbiamo del concetto, che d’altronde varia da persona a persona.

La profondità di pensiero dell’Albisetti emerge, ma può aggiungersi che l’istinto di conservazione è presente in ogni essere vivente, ivi comprese le piante e bisogna evitare di debordare la prospettiva in una visione antropocentrica. La consapevolezza di dover morire va adeguatamente ridefinita.

Esiste uno stereotipo di natura razionalista che rappresenta l’animale come privo di soggettività, con la conseguenza che i medesimi sono considerati non in grado di percepire ciò che riguarda la tavola di valori, proprio dell’essere umano.

Ove si abbandoni la visione dell’animale come una sorta di “macchina” ed emerga la sua realtà di essere senziente, si possono percepire con maggior consapevolezza sia le diversità, sia le affinità con il modo di percepire la realtà, non univoca, dell’essere umano. L’idea alla base della concezione dell’animale come un “essere meccanico” sconta l’inconveniente di un pregiudizio antropocentrico.

Una ricostruzione del pensiero di Heidegger[1] implica che la morte è riservata all’uomo, perché un animale può solo “perire”, proprio per l’assenza di comprensione della morte. L’autoconsapevolezza è legata al pensiero, con la conseguente percezione della finitezza della propria vita. Ciò si collega con l’attitudine a esprimere un linguaggio, che è il veicolo, attraverso cui si percepiscono i meccanismi vitali (ma siamo sicuri che gli animali e le piante non posseggano un linguaggio?).

Si potrebbe anche pensare di distinguere fra alcune specie animali e altre, nel senso che in tali soggetti la vita s’identifica con la consapevolezza di sé come “altro”, rispetto al mondo circostante e con la conseguente consapevolezza di una propria identità.

In etologia si è costatato che, quando un animale sente appressarsi il momento della conclusione della vita, si allontana dal branco e sceglie un luogo isolato.

E’ possibile affermare che la percezione della fine della vita negli animali sia presente soprattutto nella fase in cui la morte si approssima, e che la battaglia con la paura della morte si circoscriva alla fase finale dell’esistenza, mentre nell’uomo si protrae per un periodo più lungo.

Si può ulteriormente sviluppare la questione, considerando che un animale soffre immensamente quando perde un essere umano, cui è molto affezionato e pertanto, il medesimo essere percepisce in modo assai intenso un vissuto di perdita.

Gli animali percepiscono il dolore, sia pure con differenza nelle modalità di percezione tra una specie e l’altra.



[1] Cfr. PAGANO, L’uomo senza tempo. Riflessioni antropologiche sulla temporalità nell’epoca dell’accelerazione, Milano, 2011 pag. 69.

Pet Therapy è legge!

pet therapy

EMILIA ROMAGNA, OK AGLI ANIMALI IN OSPEDALE: In data 26 marzo 2013 è stata approvata dall’Assemblea Legislativa della Regione Emilia Romagna la deliberazione legislativa n. 58/2013 intitolata “Modifiche ed integrazioni alla Legge Regionale 17 febbraio 2005 n. 5 (norme a tutela del benessere animale) e alla Legge Regionale 15 febbraio 1994 n. 8 (disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio dell’attività venatoria). In particolare l’art. 4 ter prevede l’accessibilità degli animali d’affezione all’interno delle strutture di cura. La delibera consente, per la prima volta in Italia, di creare la possibilità di concretizzare l’ingresso degli animali d’affezioni (definiti all’art. 1 della delibera in commento quali animali tenuti, o destinati ad esserlo, dall’uomo, per compagnia o affezione, senza fini produttivi o alimentari) all’interno di strutture sanitarie per visitare i pazienti con cui essi hanno un legame d’affezione. Inoltre, vengono dettate disposizioni anche relativamente alla c.d. Pet-terhapy, e cioè il supporto e/o l’integrazione di cure mediche attraverso l’impiego degli animali. La delibera n. 58/13 rappresenta, senza dubbio, una grande novità nell’interpretazione del rapporto uomo – animale. Ovviamente, sarà graduale l’applicazione del dettato normativo così come l’approvazione delle specifiche norme che dettano le regole per la disciplina dell’accesso degli animali nei nosocomi. Certamente questa disposizione si pone sulla scia inaugurata dal Comune di Prato, in Toscana che nell’anno 2011, accogliendo la proposta dell’ Assessore ai Diritti degli Animali ha aperto le porte delle case di riposo e degli ospedali agli animali di affezione per porre fine alle difficili separazioni tra pazienti/ospiti e animali. L’esempio toscano è stato seguito anche dal Tribunale di Varese che, nell’anno 2012 ha sentenziato il via libera all’ingresso di un animale domestico in ospedale durante l’orario di visita del suo padrone in quanto “il sentimento per gli animali costituisce un valore e un interesse garantiti dalla Costituzione” ; questa pronuncia rappresenta il primo precedente nel panorama giuridico italiano. Oggi, la delibera n. 58/13 rappresenta il primo esempio normativo in materia che non solo ammette l’ingresso in strutture sanitarie degli animali d’affezione ma, addirittura prevede lo sviluppo di pratiche di pet-teraphy mirate grazie all’ausilio dei nostri amici animali. Dott.ssa Laura Ori

L’uomo: tra tutti gli animali il più crudele

Camicie scure indosso e tra le braccia i resti di un animale morto: così si è presentata a Puerta del Sol (Madrid) una disciplinata folla di manifestanti della Ong “Uguaglianza per gli animali”.

Centinaia di carcasse di cani, gatti, uccellini, scoiattoli, pesci e maialini sono state esibite in piazza per manifestare contro le cattive condizioni di vita e i maltrattamenti che le bestiole ricevono ogni giorno negli allevamenti e nei laboratori.

Per celebrare i diritti degli animali, l’organizzazione ha scelto simbolicamente il 10 dicembre, giornata internazionale dei diritti dell’uomo. La protesta vuole così, in modo speculare, ricordare anche i diritti degli animali. Lo stesso principio di uguaglianza – affermano gli animalisti – che ci porta a rispettare tutti gli esseri umani va esteso anche agli animali.

Che gli animalisti, però, stiano tranquillamenti: per realizzare la manifestazione non sono stati “maltrattati” animali. Le carcasse sono state infatti recuperate “tra i rifiuti degli allevamenti e delle fattore, dove erano state gettate”, proprio per sottolineare la brutalità dei trattamenti.

In Italia, le associazioni di tutela degli animali si battono ancora oggi contro il massiccio impiego delle pellicce per abiti di moda. L’ultima provocatoria campagna l’ha lanciata, lo scorso gennaio, Vladimir Luxuria: “Il pelo non fa donna”, recitava lo spot.

I dati che, nonostante tutto, ancora ruotano attorno agli allevamenti da pelliccia sono strabilianti e danno l’idea di come il nostro Paese non abbia raggiunto una maturità animalista: quaranta milioni di visoni e volpi vengono allevati al freddo, in piccole gabbie, per essere uccisi a sette mesi di vita. Le linci, volpi, orsi, lupi, cani, gatti, cervi e uccelli le cui pelli sono asservite alla moda sono invece ben sessanta milioni: più della popolazione della stessa Italia (poco più di una pelliccia ad italiano!).

Un altro choccante manifesto veniva esposto sulle strade italiane negli anni ’90. Una piccola volpe si guardava terrorizzata attorno. Capeggiava una scritta: “Questo cucciolo ha perso la mamma. È forse nella tua pelliccia?”.

 

La foto è tratta da Ansa.it

Fonte laleggepertutti  http://www.laleggepertutti.it/19704_madrid-protesta-choc-le-foto

Maltrattamento di animali e custodia cautelare

Il discrimen tra concorso nel reato ed associazione criminale: corse clandestine di cavalli

di Samantha Mendicino

Cass. Pen. sent. n. 7671/2012

Il reato di maltrattamento di animali è un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale è tenuta “per crudeltà”; mentre configura un reato a dolo generico quando la condotta è tenuta “senza necessità” (Cass. Pen., sent. n. 44822/2007).

Ma vi è di più: nel caso di specie (corse clandestine di cavalli) non si trattava di concorso di persone nel reato  ma si configurava una vera e propria associazione per delinquere con tutte le conseguenze del caso.

Si legge nella sentenza che “… dagli esiti delle indagini… era emerso come fosse in atto un’associazione a delinquere finalizzata all’organizzazione di corse clandestine di cavalli e di maltrattamenti di animali, consistiti segnatamente nella sottoposizione degli equini ad addestramenti massacranti, nella somministrazione di farmaci finalizzati al potenziamento muscolare ed in generale all’incremento delle prestazioni fisiche degli animali, ed infine nella stessa partecipazione dei quadrupedi alle gare illecite, obbligando gli animali a correre in condizioni non confacenti alle loro caratteristiche etologiche in guisa da metterne in pericolo l’incolumità…  il tribunale ha ritenuto sussistere il vincolo associativo tendenzialmente stabile e permanente tra diverse persone, di numero superiore a tre, desumibile dall’univoco e ripetitivo modus operandi dei sodali, i quali sottoponevano gli animali a stress psicofisici e fatiche incompatibili con le loro caratteristiche etologiche, sottoponendoli ad allenamenti massacranti, a vere e proprie sevizie – percosse mediante l’uso di bastoni e di caschi da motociclista – nonché ricorrendo al doping sistematico allo scopo di aumentare il rendimento fisico degli animali. Il tutto era finalizzato all’organizzazione di vere e a proprie corse clandestine che si svolgevano secondo un rituale che prevedeva tre diverse fasi: una prima fase ispettiva e di controllo del percorso di gara, rigorosamente sulle pubbliche vie, nell’ambito della quale alcuni soggetti avevano il compito di effettuare dei giri di ricognizione; una seconda fase di raduno presso il luogo di partenza degli spettatori interessati alla gara, i quali perfezionavano le scommesse sul vincitore; infine una terza fase, costituita dalla partenza dei cavalli all’orario prestabilito seguita da un corteo di motocicli disposti ad “U” in modo da accerchiare i quadrupedi e garantire che la gara volgesse al termine”

Dunque, un reato associativo (e non un mero concorso di persone) che vedeva concorrere il reato di maltrattamento di animali con quello di organizzazione di competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l’integrità fisica (art. 544 quinquies, I° co.,c.p.) e di scommesse sulle dette competizioni  (art. 544 quinquies, III° co. c.p.).

Incidenti stradali ed animali randagi

Il perchè del “no” della Cassazione al risarcimento dei danni se il sinistro è causato

da animali randagi

di Samantha Mendicino

Cass. Civ. sent. 7037/2012

Due cani improvvisamente compaiono sulla strada percorsa da un automobilista il quale, per scansarli, dirotta il proprio veicolo e finisce contro il guardrail. Ebbene, gli Ermellini rigettano la richiesta di risarcimento avanzata dalla parte danneggiata atteso che “… non può esigersi un onere di vigilanza nelle 24 ore dell’intero territorio autostradale..” da parte della società Autostrade.

Ed in ordine all’eccezione dell’automobilista relativa alla mancata manutenzione della recinzione stradale, che aveva permesso l’arrivo improvviso dei due randagi sulla strada, la Corte di Cassazione ricorda che  “… in mancanza di prova di omessa manutenzione della recinzione stradale”  vi è caso fortuito.

Tanto perchè è possibile che quei cani possano essere stati abbandonati da terzi: circostanza che è desumibile “… dalla presenza nelle adiacenze di un’area di servizio e dalla mancanza di una via di fuga per gli stessi, fatto imprevedibile ed inevitabile nel suo accadimento repentino non potendosi pretendere un continuo controllo della sede autostradale onde impedirlo”.

Qui la sentenza per esteso.

Non è reato nutrire gli animali randagi

 E’ illegittima l’ordinanza con cui si vieta di sfamare gli animali senza padrone

di Samantha Mendicino

T.A.R. Puglia, sent. n. 525/2012

Questa pronuncia si deve, ancora una volta, all’operato di associazioni animaliste le quali hanno impugnato l’ordinanza sindacale con cui il Primo Cittadino vietava ai cittadini di dar da mangiare agli animali randagi.

La motivazione si basava su una relazione dell’A.S.L. che richiedeva, addirittura, “ il blocco della distribuzione di cibo in ambito urbano, poiché ‘è stato rilevato un aumento dell’imbrattamento del suolo pubblico con conseguente aumentato rischio di trasmissione di infestioni da ecto ed endo parassiti alla popolazione’ ”.

Il giudice amministrativo, tuttavia, ricorda che “spetta proprio all’Asl programmare le limitazioni e il controllo delle nascite attraverso la profilassi non solo degli animali “domestici” ma anche e soprattutto degli animali randagi”

Dunque, tanto a riprova del fatto che la soluzione ai problemi non si rinviene certo nell’utilizzare tecniche (neppure giuridiche) atte a bypassare le proprie responsabilità. C’è chi propone l’eliminazione degli animali in sovrannumero e privi di proprietari, come unica soluzione possibile. Chi vede nei randagi una facile spoglia per la vivisezione… Chi vieta di dar da mangiare ai randagi perchè, in tal modo, l’animale senza forze nè cibo non si accoppia (sig!).

Gli enti pubblici hanno spesso grandi responsabilità nelle politiche di arginamento del randagismo che, di fatto, non esistono.

Ed invece: sussiste una normativa, che prevede la sterilizzazione e re-immissione sul territorio delle femmine degli animali; esistono i finanziamenti, finalizzati a tale scopo; esistono le strutture, che hanno il dovere di mettere in pratica l’una e di utilizzare i fondi.

Dov’è il gap?!?

 

Illegittimo vietare ai cani di entrare nei parchi pubblici

 

Quando e perchè è illegittimo il provvedimento della P.A. che vieta agli animali di entrare nei giardini pubblici

di Samantha Mendicino

T.A.R. PIEMONTE, Sez. II – 18 maggio 2012, n. 593

Ebbene sì: l’ordinanza sindacale con cui si vieta ai cani di entrare nei luoghi pubblici nonostante l’utilizzo, da parte dei rispettivi proprietari, del guinzaglio è illegittima se non esiste “una situazione di effettivo e concreto pericolo per la salute pubblica”, debitamente documentata mediante l’obbligo di istruttoria, che non sia risolvibile mediante l’utilizzo degli ordinari strumenti di cui è dotata la P.A.

L’ordinanza (che è stata impugnata e, successivamente, annullata dal TAR) motivava il detto divieto in base alla mancata raccolta delle deiezioni degli animali, da parte dei proprietari. Dunque, il Sindaco riteneva necessario ordinare il divieto di accesso nell’area verde per evitare possibili rischi alla salute pubblica.

Per il TAR non è così: perchè rientra nei poteri ordinari del Sindaco ” …potenziare il controllo da parte della polizia municipale, sanzionando i trasgressori dell’obbligo predetto”.

Si legge nella sentenza “… Dal testo dell’ordinanza impugnata si evince che il Comune di Crodo considera la presenza dei cani nelle aree verdi un rischio di natura igienica per la salute dei cittadini, oltre che un problema per il decoro della cittadina a causa delle deiezioni degli animali, non raccolte dai proprietari. Pertanto il Comune si limita ad affermare che la presenza degli animali potrebbe avere conseguenze dannose per la salubrità dei cittadini. Non essendovi dati o accertamenti medico-veterinari a supportare la decisione del comune di vietare l’accesso dei cani alle aree verdi, tale ordinanza appare viziata da eccesso di potere per carenza di adeguata istruttoria. Dall’esame degli atti di causa non è dato rinvenire, infatti, idonea istruttoria volta a sostenere la decisione di adottare un’ordinanza quale quella impugnata… L’unico obbligo imposto dalla legge nella conduzione dei cani è quello di condurli al guinzaglio con l’obbligo di idonea museruola, quando si trovano nelle vie o in altri luoghi pubblici ( art. 83 D.P.R. n. 320 del 1954). L’esercizio del potere di ordinanza sindacale non può prescindere dalla sussistenza di una situazione di effettivo e concreto pericolo per la salute pubblica, la quale non sia fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, debitamente motivata a seguito di approfondita istruttoria. E’ pertanto illegittima l’ordinanza che vieti l’accesso ai cani, anche se al guinzaglio, in tutte le aree verdi pubbliche, in ragione del rischio sanitario derivante dalla mancata raccolta delle deiezioni da parte dei proprietari: a prescindere dalle carenze istruttorie, la situazione risulta infatti agevolmente fronteggiabile attraverso il controllo della polizia municipale…”

Tentativo di uccisione di animale: comminata multa di 10.000 euro

di Samantha Mendicino

La proprietaria di un piccolo cocker pensava di farla franca. Aveva pensato davvero a tutto tranne che… all’intervento del “caso fortuito”. Era stata capace di legare in modo sicuro il proprio cane ad una specie di asta, incastrandola poi ben benino all’interno del cassonetto dei rifiuti: il cane non avrebbe avuto modo nè di liberarsi nè di evitare il peggio: entrare nel meccanismo tritarifiuti del camion della nettezza urbana. Reati contestati: art. 544 bis c.p. (uccisione di animale) ed art. 56 c.p. (delitto tentato). La denuncia è partita dalla Lega Difesa del Cane che, tra l’altro, si è anche costituita parte civile.

La donna è stata condannata dal Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, ad 1 mese e 10 giorni di reclusione: pena convertita in una multa di 10.000 euro (in virtù dell’oblazione).

Il caso fortuito, questa volta, assume le vesti di un giovane che, dopo esserci accorto del fatto e dopo aver liberato il cane, ha testimoniato sino alla fine quanto visto.  Un esempio lampante di quanto sia importante la responsabilità civica di ogni cittadino: siamo tutti chiamati a tenere sempre gli occhi ben aperti ed a non aver timore di dire la verità nè di perseverare nelle scelte giuste.

 

Il rapporto tra art. 544 ter c.p. ed art. 727 c.p.

5) Il rapporto tra l’art. 544 ter/I° co. c.p.

e

l’art. 727/II° co. c.p.

di Samantha Mendicino

Ricordiamo che mentre l’art. 544 ter, I° co., c.p. stabilisce che è punibile chi sottopone un animale a “comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche” (applicando al reo la multa o la reclusione); invece, l’art. 727, II° co., c.p., dispone che è punibile chi “detiene gli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze” (applicando, però, l’ammenda o l’arresto, trattandosi in questo caso di contravvenzione[8]).

Dunque, il problema di compatibilità e/o di mero coordinamento tra le due suddette norme dipende dalla difficoltà pratica di saper distinguere quando una o più azioni siano qualificabili come atti capaci a sottoporre gli animali a lavori, fatiche ecc. “insopportabili per le loro caratteristiche etologiche” oppure come atti capaci di detenerli “in condizioni incompatibili con la loro natura”. E le ricadute pratiche nella qualificiazione del fatto non sono certo di poco conto, considerato che nella prima ipotesi siamo dinanzi ad un delitto mentre nel secondo caso si tratta di contravvenzione, con tutte le conseguenze di legge.

A tal proposito pare essere condiviso l’orientamento per cui si deve procedere all’imputazione ex art. 544 ter c.p. quando gli atti di costrizione posti in essere dal reo procurino all’animale un danno per piegarlo ed obbligarlo a comportamenti contrari alla sua natura e, pertanto, insopportabili; invece, si deve procedere all’imputazione ex art. 727 c.p. quando la condotta è già di per sè produttiva di nocumento a carico dell’animale, come nei casi in cui lo si lascia privo di acqua/cibo o con acqua/cibo insufficiente; o quando si utilizza sull’animale un collare troppo stretto o una catena troppo corta che ne impedisce i movimenti; oppure, quando l’animale è detenuto in uno spazio e/o gabbia e/o luogo inappropriato (buio/freddo/angusto ecc.); oppure allorquando c’è scarsa cura dell’igiene o, ancora, quando lo si lascia alle intemperie senza prevedere una cuccia e/o un riparo ecc.

 

[8]  Il fatto punito, poichè è una contravvenzione, si configura sia che sia commesso con dolo sia che, invece, l’imputato abbia agito con colpa

I concetti di trascuratezza e di negligenza

4) Cosa si intende per “maltrattamento” in senso omnicomprensivo:

i concetti di trascuratezza e negligenza

di Samantha Mendicino

Ebbene sì: non è necessario che un animale sia sottoposto a sevizie o a lesioni macroscopiche perchè si possa parlare di maltrattamento. Anche il proprietario dell’animale che lascia il cane senza la cuccia o riparo nel proprio terreno è reo di maltrattamento. anche il proprietario del cane che lo relega su un balcone per mesi interi (se non per l’intera vita, se nessuno interviene) è reo di maltrattamento. E l’espressione di questo principio merita un capitolo a se stante perchè sia chiaro che il maltrattamento è un reato che può realizzarsi sotto molteplici forme: con atti di crudeltà veri e propri, con lo sfruttamento dell’animale, con il suo abbandono in strada ecc. ma anche per trascuratezza o negligenza.

Un cane dimenticato a guardianìa di un terreno senza prestargli cura quotidiana; un animale malnutrito oppure affetto da malattia e non curato. Anche queste sono ipotesi che rappresentano una forma di maltrattamento ai danni dell’animale.

Ed oggi questo orientamento è pienamente condiviso anche dalla giurisprudenza, grazie all’avallo avuto dalla famosa sentenza della cassazione del 2011 e, precisamente, Cass. Pen., sent. n. 18892/2011. Il caso pratico trattato nel corso del giudizio è il seguente: un cane viene “smarrito” ma il suo proprietario se ne disinteressa: non sporge denuncia, non lo cerca. Per la Cassazione, però, il proprietario avrebbe dovuto adoperarsi per ritrovare il proprio cucciolo (tra l’altro in possesso di microchip) denunciandone in primis la scomparsa. Non agendo in tal modo -comportamento che, invece, sarebbe stato logico attendersi da parte di chi ha smarrito il proprio beniamino- è evidente che non di smarrimento si è trattato ma di vero e proprio abbandono. Questa sentenza, dunque, rappresenta una perla nel mare magnum delle pronunce concernenti gli animali e concerne non i maltrattamenti in senso tecnico ma l’abbandono (che rientra nel concetto lato di maltrattamento).

Si legge: “La nozione di abbandono enunciata dal primo comma dell’art. 727 c.p. postula una condotta ad ampio raggio che include anche la colpa intesa come indifferenza o inerzia nella ricerca immediata dell’animale come senso di trascuratezza o di disinteresse verso qualcuno o qualcosa, o anche mancanza d’attenzioneIl concetto della trascuratezza, intesa come vera e propria indifferenza verso l’altrui sorte, evoca quindi l’elemento della colpa che, pari al dolo, rientra tra gli elementi costitutivi del reato“.

Dunque, il contenuto di questa pronuncia riappacifica il cielo e la terra, applicando al significato del termine “abbandono”, stabilito dalla legge, tutte le sfaccettature che questo comportamento può assumere: l’incuria, la trascuratezza in breve il disinteresse verso l’animale e le sue sorti. Si legge ancora: “Il concetto di abbandono come delineato dall’art.727 c. p. non implica affatto l’incrudelimento verso l’animale o l’inflizione di sofferenze gratuite, ma molto più semplicemente quella trascuratezza o disinteresse che rappresentano una della variabili possibili in aggiunta al distacco volontario vero e proprio