coppie-di-fatto-unioni-civili A cura della Dott.ssa Alessia Bottoni

Dopo un lungo e acceso dibattito, l’11 Maggio 2016 è stato definitivamente approvato, seppur non ancora pubblicato, il tanto atteso e, aggiungerei, sperato, testo di legge sulle unioni civili e convivenze di fatto.

Già la Corte Costituzionale, con la sentenza 11 giugno 2014 n. 170, aveva evidenziato la necessità di fornire tutela giuridica a quei rapporti di coppia che, in seguito all’attribuzione della rettificazione di sesso ottenuta da uno dei coniugi, perdono quei diritti declinabili all’interno del modello matrimoniale, passando “da una situazione di massima tutela giuridica ad uno stato di assoluta indeterminatezza”.

La stessa Corte, infatti, in conformità con quanto già disposto dagli articoli 8 e 12 della Convenzione EDU che riservano alla normativa nazionale la possibilità di prevedere eventuali forme di tutela per le coppie omosessuali, pur non equiparando l’unione di persone dello stesso sesso al vincolo matrimoniale, auspicava l’introduzione di una “forma alternativa” di tutela per le coppie dello stesso sesso, al fine di tutelare i diritti e gli obblighi della coppia medesima.

Alla luce della nuova legge, può definirsi “unione civile” la formazione sociale (in conformità con gli artt. 2 e 3 Cost.) costituita, mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni, da due persone maggiorenni dello stesso sesso, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale (art. 1, comma 2).

Di fatto, la legge inserisce un nuovo istituto che, seppur diverso dal matrimonio, può di fatto equipararsi a quest’ultimo per l’impegno che le parti reciprocamente assumono e i diritti e gli obblighi che dallo stesso nascono in favore e a carico della coppia.

All’unione civile si estendono, infatti, gran parte delle norme del codice civile applicabili all’unione  matrimoniale, quali, ad esempio, le disposizioni relative ai diritti e agli obblighi nascenti dal matrimonio,  quelle concernenti la responsabilità del coniuge in malafede (art. 129-bis c.c.), quelle riguardanti il regime patrimoniale (artt. 162 e ss. c.c.), le cause impeditive e, altresì, limitatamente agli articoli compatibili, la legge n. 989/1970 in tema di scioglimento.

Il testo di legge in esame, oltre a regolamentare per la prima volta l’unione civile tra persone dello stesso sesso introduce altresì una disciplina delle convivenze di fatto tra persone omosessuali e non, definendo “convivenza di fatto” la stabile unione tra due persone maggiorenni, unite da legami affettivi di coppia ma non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile (art. 1, comma 36).

In seguito all’accertamento della convivenza di fatto tramite la verifica anagrafica, il convivente di fatto assume una serie di diritti, al pari del coniuge, in tema, ad esempio, di trattamento terapeutico e direttive post mortem, casa e impresa familiare, rapporti patrimoniali, danno parentale.

Il punto nodale della nuova normativa è, però, rappresentato dalla sottoscrizione di un “contratto di convivenza” (art. 1, comma 50), con il quale i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune.

Il contratto di convivenza deve essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato, e richiama la disciplina codicistica relativa al regime patrimoniale della comunione dei beni (sez. III, capo IV, titolo VI c.c.).

Cause di risoluzione del contratto di convivenza sono rappresentate dall’accordo delle parti, il recesso unilaterale, la morte di uno dei conviventi, ovvero il matrimonio o l’unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed una terza persona e, qualora il contratto di convivenza preveda il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina altresì lo scioglimento della comunione medesima.

In caso di cessazione della convivenza, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere gli alimenti dall’altro convivente, qualora sussista uno stato di bisogno, e il cui ammontare è determinato in proporzione della durata della convivenza e nella misura prevista dall’art. 438, comma 2 c.c. (art. 1, comma 65).

È chiaro dunque che la nuova normativa, a modesto parere di chi scrive, legittimamente amplia la tutela giuridica alle coppie di fatto, omosessuali e non, valicando, finalmente, il limite posto dal vincolo matrimoniale, con lo specifico intento di attribuire valore “ai fatti” e “all’effettività dei legami”, più che all’accertamento di un determinato status giuridico, in conformità con quanto già enunciato dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo.

La domanda che ora bisogna porsi è: “quale sarà il prossimo passo?”.

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