GIUSTIZIA

A cura del dott. Mario Sessa

I delitti di falso rappresentano, all’interno della sistematica penale, un nutrito gruppo di reati che si distinguono per la tutela della funzione pubblica. Il Falso, infatti, ha sempre costituito un bene giuridico di scarsa e dubbia collocazione all’interno della Costituzione, in quanto esso sembra riferirsi ad interessi di matrice sostanziale e processuale. Il diritto penale, come è noto, viene visto come reazione da parte dell’ordinamento alla lesione di diritti fondamentali annientati o messi in pericolo dalla condotta lesiva di un determinato agente. Questa reazione si giustifica se il bene offeso sia di rango pari o superiore a quello che si intende comprimere con la sanzione criminale. Quest’ultima, al di fuori di ogni dubbio, comprime il diritto della libertà di autodeterminazione personale di cui all’art. 13 Cost. In dottrina si sostiene che il bene giuridico deve annoverarsi fra uno di quei diritti tutelati più o meno espressamente dal Costituente, ed in questo senso si giustifica altresì una tutela penale anticipata se i diritti violati riguardano beni-interessi collettivi, pubblici o altri diritti fondamentali. Un esempio può essere dato dai beni cd. Funzione, a cui oggi il legislatore penale dedica sempre maggiore spazio all’interno dei reati di pericolo astratto o di mera condotta. I falsi, dal canto proprio, sono posti dall’ordinamento a tutela della prova penale, anche se l’inquadramento dogmatico di tale bene trova non pochi dissensi. Si pensi che taluni hanno ritenuto i delitti di falso come la più nitida espressione dell’interesse pubblico al buon andamento e all’imparzialità della P.A., posto che i documenti e le fonti di fede privilegiata, menomati dal delitto, possono attenere allo svolgimento del processo così come alla formazione del convincimento dell’autorità giudiziaria, riconosciuti dagli art.24-97 Cost., nonché dall’art.113ss cpc. Orbene, un’autorevole studioso dei delitti di falso precisa che alcuni di questi delitti, specie per la falsità in atti, sono posti a tutela della genuinità dei mezzi di prova[1]. I restanti delitti, invece, attengono all’integrità del documento più che al contenuto della fonte. Si ammette questa impostazione in quanto il diritto penale non potrebbe ancorarsi a beni che non posseggono, nella scala dei valori costituzionali, un apprezzabile carica di lesività, dovendo guardarsi piuttosto a quei delitti che siano dotati anche di una condotta materialmente apprezzabile dal punto di vista naturalistico ed empirico. I principi di materialità ed offensività, infatti, costituiscono i cardini del moderno diritto penale costituzionalmente orientato. Da ciò ne consegue che il delitto non è punibile se non lede o pone in pericolo beni giuridici. In più, esso non deve arrestarsi alla soglia di un “principio di offesa”, che non assurga nemmeno all’inizio di esecuzione del tentativo punibile, disciplinato dall’art. 56 cp. A ciò si aggiunga che il bene su cui và ad incidere il reato deve essere effettivamente esistente al momento del fatto, per cui non è legittima l’incriminazione di fatti che si riferiscono a beni non più presenti o venuti meno per cause del tutto indipendenti dalla condotta dell’agente. A tal fine un rilievo dirimente riveste il principio di idoneità, riconosciuto dal delitto tento e dal reato impossibile di cui all’art.49 cp[2]. Si è sempre affermato che l’idoneità sia un requisito della condotta, in quanto si riferisce all’intrinseca carica di lesività della stessa, cui si aggiunge un nesso causale inequivocabilmente diretto a ledere un determinato bene giuridico. Il nesso eziologico avviato da questa condotta deve essere effettivamente idoneo ed univoco, nel senso che il giudice può escludere, sulla base di una prognosi postuma ex ante ed a base parziale la lesione del bene giuridico cagionata da altri decorsi causali altrettanto idonei allo scopo. Nei delitti di falso, dunque, l’interprete deve selezionare quelle condotte che offendono effettivamente il bene tutelato. A tal proposito si è distinto, in primo luogo, il reato di falso materiale rispetto a quello di falso ideologico. Con il primo il falsificatore modifica il documento da un punto di vista esteriore al fine di modificarne il valore probatorio traendo in inganno l’autorità ricevente. Nel caso del falso ideologico, invece, l’atto è veritiero dl punto di vista documentale sebbene il suo contenuto sia viziato dal punto di vista delle dichiarazioni rese, del contesto in cui esse hanno avuto luogo ovvero dell’autore a cui vengono attribuite.In questo contesto la giurisprudenza ha individuato, quale elemento costitutivo dei reati di falso la cd. Immutatio veri. Con questa espressione di fa riferimento alla modificazione giuridicamente rilevante dell’atto avente efficacia pubblica. Non è detto che essa si riferisca ai soli documenti con valore probatorio legale, posto che il falso può ledere anltresì il libero convincimento del giudice che si esplica per mezzo delle prove. Esso è tutelato in via autonoma dal codice penale all’art.113-115 cpc. L’immutatio veri, in più, presuppone che il falsificatore intervenga sugli elementi dell’atto a cui la legge attribuisce un certo valore ad probationem o ad susbstantiam. Non è detto, infatti, che qualsiasi modificazione del documento sia penalmente rilevante. Non lo è, di sicuro, l’errore di calcolo o materiale, a cui può rettificarsi mediante la correzione di cui all’art.130 cpp. Non lo è nemmeno l’omissione, più o meno volontaria, di aspetti del documento che hanno rilievo accessorio e secondario dal punto di vista del contenuto del documento. La dottrina penalistica ha cura di precisare che i reati di falso deve essere sempre conformi ai principi generali del sistema penale. Ed in tal senso, oltre al principio di offensività, rilevano anche i principi di colpevolezza e proporzialità del reato penale. Sul piano della legge ordinaria, la mera omissione o errore potrebbe essere scriminata ai sensi dell’art.47-49 cp. In special modo quest’ ultima disposizione esclude la punibilità del reato qualora il reato incida di fatto su  un oggetto impossibile per inesistenza dell’azione o inidoneità della condotta. Ebbene, in questo senso il falso privo di efficacia legale predeterminata, ovvero la sua modificazione su aspetti secondari (data, identità delle parti, scarsa leggibilità o dubbia autografia) non può avere efficacia offensiva del bene fede pubblica[3]. Allo stesso modo, l’inidoneità dell’azione può misurarsi sulla base dei parametri previsti per il tentativo punibile di cui agli art.56 cp, che costituisce l’inizio della rilevanza penale di ogni fatto di reato. L’attitudine lesiva del falso pertanto va valutata ex ante, dal punto di vista dell’agente modello, a cui possono aggiungersi le cognizioni specialistiche dell’agente concreto che pone in essere il fatto.In alternativa, il falso può essere valutato in una logica ex post, a base totale o parziale, se il giudice considererà tutte le circostanze conosciute o conoscibili dal falsificatore, anche se ignorate al momento della commissione del reato. Questa impostazione costituisce senza dubbio un approccio metodologico più conforme al principio di offensività. A tal scopo il falso deve essere stato commesso con dolo, cui si aggiunge secondo alcuni autori la coscienza dell’antigiuridicità del reato, che l’art.5 cp richiederebbe di accertare anche nei reati di falso. Al di là di questa problematica, cui si riallacciano principi generali spesso trascurati dalla prassi dei tribunali, ciò che bisogna rilevare è che il fatto potrebbe essere scriminato in presenza di una cuasa di giustificazione, generale o speciale, prevista da qualche settore dell’ordinamento giuridico complessivo.L’antigiuridicità, infatti, è molto rilevante in materia di falsi in quanto si tratta di beni posti a tutela della funzione pubblica, per cui essi sono tutelati in via prevalente rispetto agli altri beni individuali e non sono facilmente giustificabili. Il consenso dell’avente diritto di cui all’art.50 cp tutela ad esempio il principio di libera autodeterminazione del soggetto che può disporre, entro certi limiti, dei suoi beni personali e patrimoniali.In materia di falsi ciò non può assumere rilievo, posto che non è punibile il solo falso ideologico commesso dal privato, a meno che il documento falsificato non abbia rilievo come atto pubblico.A ciò si aggiunga che il singolo perde la disponibilità dei propri atti, su cui non può avere nessun rileivo il consenso scriminante se questi documenti sono stati già acquisiti alla mano pubblica. I reati di falso, infatti, presuppongono il principio di competenza del pubblico ufficiale che falsifica i documenti con efficacia probatoria. Il privato può presentare all’interno del processo ogni atto in suo possesso, ma non per questo tali atti assumono un’efficacia probatoria determinata. Per altro verso, l’art.50 cp presume un diritto disponibile, così come sembra indirettamente confermato dagli art.5 ss cc, che pongono quali limiti alla disponibilità del diritto i principi generali dell’ordine pubblico, al cui interno può confluire la fede dei reati di falso[4]. Sulla base di queste argomentazioni la giurisprudenza ha enucleato alcune figure, di dubbia utilità pratica, al cui interno il reato di falso è del tutto irrilevante,Ciò può avvenire perchè il falsificatore ha “immutato” in maniera grossolana il contenuto del documento in modo che anche il più sprovveduto dei destinatari può accorgersi della falsità dell’atto.Accanto al cd. Falso grossolano, poi, si sono enucleati il falso innocuo e quello inutile, a seconda che la falsificazione non incida sulla parte dell’atto avente efficacia probatoria, oppure su quella parte che possiede una qualche validità legale ma non nel settore o nella materia in cui viene speso il documento falsificato[5].Il falso consentito, invece, costituisce la figura di più recente emersione. Dogmaticamente esso viene collocato nella cause di giustificazione non codificate, a cui parte della dottrina riconosce validità in quanto il principio di legalità non opera in maniera di cause di non punibilità. Di ciò si trova conferma nell’art.14 Preleggi, che autorizzano un ampio uso dell’analogia legis e iuris.In più, questo particolare falso si commette sulla base di un mandato, di una procura o di una particolare autorizzazione con cui il soggetto titolare del documento attribuisce ad un terzo l’incarico di riempire il documento, spendendo eventualmente le sue generalità.In linea generale il giudice dovrebbe essere in grado di risalire al vero autore del documento, posto che la falsificazione non esclude l’accertamento giudiziale, anche nei casi di prove legali o precostituite. Per altro versol la casistica è piena di casi in cui il sottoscrittore del documento non coincide con il soggetto che lo ha compilato o formato. Orbene, se si ritiene che l’art. 50 cp possa operare in questa materia, allora la giustificazione opererà in senso oggettivo sia per l’autore materiale che per il mandante della falsificazione. Le cause di giustificazione, infatti, operano a prescindere dall’elemento soggettivo del reato e si estendono a tutti coloro che hanno partecipato alla commissione del fatto, anche se in via marginale ed esecutiva. Il falso consentito in questi casi viene tollerato da parte dell’ordinamento, fermo restando le eventuali conseguenze risarcitorie nei confronti dei soggetti che abbiano erroneamente creduto di contrattare o conseguire un documento proveniente “ da altri”. Nel caso in cui, però, il falsificatore abusi dell’autorizzazione concessagli, riempiendo in maniera abusiva il documento nelle parti o nel modo per cui non era stato abilitato dal dominus, allora non è da escludersi la punibilità per effetto delle norme che disciplinano il falso in atto pubblico o in pubblici documenti da cui scaturiscono concessioni, autorizzazioni e certificati.



[1]Carnelutti, la teoria del falso, Padova, 1935

[2]Fra i sostenitori della cd. Teoria realistica del reato si ricordi l’opinione di Neppi Modona e M.Gallo, citata anche da Fiore in Manuale di diritto penale, Parte Generale, Utet , 2013

[3]Marinucci Dolcini, Trattato di diritto penale, parte speciale, dei delitti di falsità in atti, 2010

[4]Codice penale commentato, a cura di Marinucci Dolcini, sub art.50, 2012

[5]Cassazione penale, sez. V, 33214/2012; si segnala altresì la cospicua applicazione delle categorie del falso innocuo e inutile nel settore degli appalti pubblici al fine di scriminare le condotte dei candidati all’aggiudicazione che non siano in regola con l’allegazione di alcuni oneri formali.

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