Il rapporto tra motivazione degli atti amministrativi e punteggio  numerico in relazione alle prove scritte del concorso per magistrato ordinario.

 

nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 21 agosto 2012, n. 4580

a cura dell’Avv. Domenico Salvatore Alastra

Sommario: 1. La massima. 2. La normativa di riferimento. 3. Il caso deciso. 4.  Il quesito giuridico. 5. Nota esplicativa. 5.1 La disciplina speciale che regola il concorso in Magistratura e il generale obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi. 5.2 Il dibattito giurisprudenziale sulla idoneità del criterio numerico a costituire motivazione. Cenni. 5.3 La necessità di predeterminare i criteri di giudizio. 5.3.1 La peculiare disciplina in materia di giudizio di non idoneità . 5.4 La non sindacabilità dei tempi di corre­zione. 5.5 La conformità ai principi di diritto comunitario della disciplina di cui all’art. 1, D.Lgs. n. 160/2006. 6. I precedenti giurisprudenziali. 7. Spunti bibliografici. 8. Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 21 agosto 2012, n. 4580: il testo integrale.

 

 

1. La massima

Il concorso per la nomina a magistrato ordinario è sottoposto ad una disciplina pecu­liare che ha recepito il principio, di elaborazione giurisprudenziale, secondo cui l’attri­buzione, ad opera della commissione esaminatrice, del punteggio numerico o della formula “non idoneo” agli elaborati dei candidati costituisce adempimento del gene­rale obbligo di motivazione degli atti amministrativi, di cui all’art. 3 della l.n. 241 del 1990.

La graduazione del dato numerico attribuito agli elaborati che abbiano raggiunto al­meno la sufficienza, al pari dell’indicazione di “non idoneo” per gli elaborati che non abbiano raggiunto il punteggio minimo richiesto per l’ammissione all’esame orale, ri­sponde all’esigenza di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della L. n. 241/1990.

Il giudice non può indebitamente ingerirsi nella valutazione emessa dalla commissione d’esame che è essenzialmente espressione di discrezionalità tecnica,  salvo che siano rilevabili vizi logici, errori di fatto o profili di contraddizione, che rendano apprezzabile un manifesto eccesso di potere. Di conseguenza, non sono accoglibili né la richiesta di un candidato di acquisire agli atti di causa, a scopo comparativo, gli elaborati de­gli altri candidati, né la richiesta di sottoporre gli elaborati medesimi alla valutazione di un consulente tecnico d’ufficio.

I tempi impiegati per la correzione degli elaborati scritti non possono essere sottoposti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.

 

2. La normativa di riferimento

Cost.: art. 97

Trattato istitutivo dell’Unione Europea: artt. 230 – 253 e 255

Costituzione Europea:  art. II-101

L. 7 agosto 1990, n. 241: art.1 comma 1; art. 3.

D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160: art. 1, comma 5.

D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 166: art. 11, comma 5.

 

3. Il caso deciso.

La decisione in commento pone fine alla vicenda giudiziaria iniziata da uno dei parte­cipanti al concorso per esami a 500 posti di magistrato ordinario indetto con decreto del Ministro della Giustizia del 27 febbraio 2008, il quale – avendo riportato, all’esito del­la correzione degli elaborati, il giudizio di non idoneità in tutte e tre le prove scritte – adiva la giustizia amministrativa, chiedendo l’annullamento dei risultati delle prove me­desime, nonché del giudizio negativo da lui riportato in esito alla correzione degli ela­borati, del verbale redatto dalla Commissione nella parte in cui è stato formulato nei suoi riguardi il giudizio di non idoneità, con la conseguente sua mancata ammissione alle prove orali, e del verbale recante la fissazione dei criteri di correzione degli elabo­rati scritti. Il ricorso veniva proposto avanti il T.A.R. per la Sicilia, Sede di Catania, il qua­le, con ordinanza n. 1365 del 29 settembre 2009 accoglieva la domanda cautelare avanzata dal ricorrente, disponendo, che le prove scritte dello stesso, già valutate ne­gativamente, andassero nuovamente corrette ad opera di diversa Sottocommissione, col compito di emettere “una congrua motivazione sui diversi aspetti degli argomenti di ciascuna prova”.

Il convenuto Ministero, nel frattempo, proponeva istanza per regolamento di compe­tenza decisa dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato (con sentenza n. 1703 del 23 marzo 2010), che disponeva la trasmissione del fascicolo processuale al T.A.R. per il La­zio, Sede di Roma. la cui prima sezione, in seguito a riassunzione del processo, con sen­tenza n. 32419 dd. 23 settembre 2010 ha respinto il ricorso. Avverso tale pronuncia il ri­corrente proponeva appello, respinto dalla medesima Sezione Quarta del Consiglio di Stato, con la sentenza in esame.

 

4. Il quesito giuridico

La Quarta Sezione è chiamata a pronunciarsi sulla questione – peraltro, già altre volte esaminata – se le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici di pubblici con­corsi possano essere sottoposte al sindacato giurisdizionale al fine di verificare se il loro contenuto motivazionale costituisca attuazione del generale principio dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, di cui all’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241.

 

5. Nota esplicativa

5.1 La disciplina speciale che regola il concorso in Magistratura e il generale obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi.

Secondo la Sezione, il concorso per la nomina a magistrato ordinario è sottoposto ad una disciplina peculiare, contenuta nel D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160. In particolare, la valutazione delle prove scritte è disciplinata dall’art. 1, comma 5, in base al quale, per essere ammesso alla prova orale, ciascun candidato deve riportare in ciascuno dei tre elabotrati in cui si articola la prova scritta un punteggio pari ad almeno dodici ven­tesimi. Per essere dichiarati idonei, i candidati  devono ottenere in ciascuna delle ma­terie della prova orale un punteggio di almeno sei decimi e un giudizio di sufficienza nel colloquio sulla lingua straniera prescelta, “e comunque una votazione complessiva nelle due prove non inferiore a centootto punti”.

Precisato che “Non sono ammesse frazioni di punto”, la disposizione in esame stabili­sce che l’obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della l. n.241/1990 è adempiuto col solo voto numerico o col solo giudizio di inidoneità. Infatti, all’originario testo del com­ma 5, la legge 30 luglio 2007 n. 111 ha aggiunto l’inciso secondo cui «agli effetti di cui all’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza è motivata con la sola formula “non idoneo”»[1]

La IV Sezione, nella pronuncia in commento, spiega che, in tal modo, “lo stesso legisla­tore si è dunque fatto carico di disciplinare direttamente le incombenze della commis­sione esaminatrice in ordine all’applicazione del principio di ordine generale sulla moti­vazione degli atti amministrativi contenuto nell’art. 3 della L. n. 241 del 1990”, recepen­do l’indirizzo divenuto maggioritario nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, in mate­ria di concorsi pubblici. Infatti, citando un proprio precedente, i consiglieri affermano il pincipio per cui “il punteggio vale motivazione“, in base al quale il dato numerico, consentendo una graduazione dei vari giudizi, rende esplicita una valutazione in ter­mini di sufficienza o di insufficienza, variabile da candidato a candidato.[2] Sia pure in maniera sintetica, quindi, il punteggio permette di stabilire se il candidato abbia superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, “ma dà anche conto della misura dell’apprezzamento riservato dalla commissione esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato.[3]

Il principio per cui il punteggio numerico è sufficiente ad assolvere all’obbligo di moti­vazione trova autorevole affermazione anche nella recente giurisprudenza della Cor­te Costituzionale, la quale lo ha definito come “diritto vivente”.[4] Tale punteggio, a pa­rere della Consulta e dei giudici della IV Sezione, costituisce la modalità in cui viene formulato un giudizio che si pone al termine di un’attività procedimentale in cui l’am­ministrazione – nella specie il Ministero della Giustizia che agisce per il tramite della Commissione esaminatrice – pone in essere un’attività connotata da discrezionalità tecnica. Se – come evidenziato anche da autorevole dottrina – si tratta di un’attività nella quale, da un lato, il comportamento da tenere è stato scelto a priori ed in modo vincolante dal legislatore – in sede di predeterminazione degli interessi pubblici da per­seguire -, dall’altro all’amministrazione spetta soltanto una valutazione, secondo cono­scenze e regole tecniche, dei fatti posti dalla legge a presupposto del suo operato, si pone il problema della individuazione di queste regole e conoscenze. [5]

A parere della citata giurisprudenza, i criteri di valutazione sono quelli contemplati dal­la legge e svolgono il ruolo di specifici parametri ai quali la commissione esaminatrice deve fare riferimento nell’esprimere il punteggio, che – nelle ipotesi in cui sussistano elementi da cui emergano “vizi logici, errori di fatto o profili di contraddizione ictu oculi rilevabili, previo accesso agli atti del procedimento” – può essere sottoposto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, fermo restando che questi non può sostituirsi alla commissione nell’espletamento del’attività di valutazione di cui è stata investita al momento della sua costituzione e del suo successivo insediamento. [6]

La Sezione Quarta, rifacendosi alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, ricono­sce che il principio dell’obbligo di motivazione degli atti amministrativi è stato genera­lizzato nel nostro ordinamento (ad opera della l. n. 241/90), al fine di rendere traspa­rente e controllabile l’operato della Pubblica Amministrazione, in modo da garantirne l’imparzialità, assicurare la parità di trattamento dei cittadini di fronte ad essa, e, dun­que, evitare che la discrezionalità attribuitale dalla legge si trasformi in arbitrio. Ciono­nostante, conformandosi alla propria giurisprudenza, considera tale obbligo adempiu­to attraverso l’utilizzazione del criterio numerico. Infatti, a parere della Sezione detto criterio “(peraltro diffusamente adottato nelle procedure concorsuali ed abilitative) ri­vela una valutazione che, attraverso la graduazione del dato numerico, conduce ad un giudizio di sufficienza o di insufficienza della prova espletata e, nell’ambito di tale giudizio, rende palese l’apprezzamento più o meno elevato che la commissione esa­minatrice ha attribuito all’elaborato oggetto di esame” Di conseguenza non è esatto sostenere che il punteggio indichi soltanto il risultato della valutazione, in quanto esso, rappresenta un giudizio complessivo dell’elaborato, alla luce dei parametri normativi, suscettibile di sindacato in sede giurisdizionale, entro i limiti di cui si è detto.

Inoltre, il criterio numerico permetterebbe all’amministrazione di rispettare il principio del buon andamento dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost., dal momento che – in virtù della sua intrinseca sinteticità – fa sì che le commissioni esaminatrici non siano costrette ad esporre in maniera dettagliata le ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneità, in modo da poter rientrare nei “tempi entro i quali le ope­razioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento” (tempi che sono tanto più risicati, quanto più numerosi sono i partecipanti al concorso), il che equivale ad affermare che il criterio numerico consente il rispetto dei criteri di economicità e di efficacia cui deve essere improntato l’agire amministrativo, ai sensi dell’art. 1, comma 1 della l. n.241/90.

Con tali considerazioni, la Sezione richiama la propria giurisprudenza che attribuisce alle valutazioni delle Commissioni esaminatrici la natura di atti aventi natura mista: da un lato, hanno valore provvediamentale, in quanto decidono sull’ammissione o meno del candidato alla fase successiva della procedura; dall’altro lato hanno valenza di giudizio circa la sufficienza della preparazione del candidato stesso al fine di detta ammissione “estrinsecantesi, per volontà dello stesso legislatore, nel voto, la cui asse­gnazione tradizionalmente nel nostro ordinamento, a partire da quello scolastico (artt. 81 e 82, R.D. n. 1054/1923), è prevista per il conseguimento di una promozione, di una idoneità, di un’abitazione o di una licenza[7]

 

5.2 Il dibattito giurisprudenziale sulla idoneità del criterio numerico a costituire motiva­zione. Cenni.

In antitesi con quanto sostenuto dalla Quarta Sezione si pone un orientamento giuri­sprudenziale, secondo cui, il rispetto del citato art. 3 della L. n. 241 del 1990 imporreb­be che gli atti costiuenti l’esito di procedure concorsuali articolate in prove scritte e orali, debbano essere adeguatamente motivati, in modo che il destinatario sia messo in grado di comprendere le ragioni (positive o negative) che hanno portato l’amministrazione a decidere in un modo piuttosto che un altro. [8]

I fautori di tale orientamento – sviluppatosi particolarmente con riferimento a contro­versie concernenti procedure concorsuali diverse da quella per l’accesso alla magi­stratura – ritengono, dunque, che il voto numerico non sia  idoneo a costituire motiva­zione del giudizio valutativo espresso dalla commissione esaminatrice e debba essere accompagnato da “una formula descrittiva che evidenzi, sia pure sinteticamente, i pregi ed i difetti dell’elaborato”, in modo da saldarsi ai parametri di giudizio fissati ex ante, dalla medesima Commissione. In altri termini, come affermato in alcune pronun­ce, l’onere di motivazione della valutazione delle prove scritte di un concorso pubbli­co non può essere sufficientemente adempiuto con il solo punteggio numerico, e i provvedimenti basati su una siffatta valutazione sono, conseguentemente, illegittimi. Ciò risulta particolarmente evidente se si considera che la valutazione negativa o la concreta graduazione del voto numerico, in caso di giudizio almeno sufficiente, pos­sono dipendere dalle ragioni più disparate. Nelle medesime pronunce si ritiene neces­sario che accanto alla motivazione del singolo giudizio, le commissioni esaminatrici predeterminino, di volta in volta, prima delle prove, i criteri generali di valutazione, al fine di assicurare la parità di trattamento tra i candidati e il loro diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nonché le fondamentali esigenze di trasparenza e di controllabilità dell’operato dell’amministrazione, anche alla luce dei principi del giusto processo, ex art. 111 Cost., e di effettività della tutela giurisdizionale, di cui all’art. 113 Cost. Infatti, qualora i giudizi in esame venissero esclusi dall’operatività dell’obbligo di motivazione, diverrebbe impossibile per il singolo candidato bocciato conoscere e controllare le ra­gioni poste a base del giudizio; gli verrebbe altresi preclusa ogni concreta tutela, visto che il sindacato del giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, in as­senza di una almeno sintetica ma concreta motivazione che illustri il mero dato nume­rico, sarebbe limitato “al solo riscontro di profili estrinseci e formali, quali quelli dell’ente rispetto delle garanzie connesse alla collegialità dell’organo giudicante ed alla sua composizione”. [9]

Un altro orientamento giurisprudenziale – collocandosi in posizione intermedia fra quelli fin qui esaminati – sostiene che, la motivazione extranumerica non è necessaria, in linea di principio; tuttavia, in presenza di circostanze particolari o di determinati elementi emersi nel corso dell’istruttoria, può rendersi necessaria od opportuna una motivazione esplicita, ad esempio nel caso in cui i singoli commissari abbiano espresso valutazioni macroscopicamente diverse sul medesimo elaborato.[10] Di conseguenza, è stato più volte affermato che la questione relativa alla idoneità del punteggio numerico a soddisfare il requisito della motivazione debba essere risolta non in astratto, ma in concreto, nel senso che caso per caso occorre apprezzare se il punteggio numerico consenta al concorrente di ricostruire, anche per relationem, i criteri seguiti dalla Commissione esaminatrice, ad esempio facendo riferimento ai criteri di massima predeterminati dalla stessa o alle glosse apposte sugli elaborati scritti, come si dirà nel paragrafo che segue.

5.3 La necessità di predeterminare i criteri di giudizio.

I consiglieri, nella pronuncia in commento – coerentemente con l’orientamento dive­nuto maggioritario nella giurisprudenza del Consiglio di Stato – ritengono che il giudizio numerico è sufficiente ad assolvere l’obbligo di motivazione e che, perciò, il suo impie­go è legittimo a condizione che sia preceduto dalla fissazione di criteri generali di va­lutazione degli elaborati ad opera della Commissione esaminatrice, riunita in seduta plenaria (come è avvenuto nel caso di specie, in cui la Commissione ha reso noti – nei verbali che accompagnano le operazioni di correzione – i criteri così prestabiliti vinco­lanti per le varie Sottocommissioni incaricate della valutazione degli elaborati. [11]

Tradizionalmente, si ritiene che tali criteri si articolino in “tre punti fondamentali, assolu­tamente congruenti, intrinsecamente esaustivi per le esigenze della valutazione me­desima e immuni da qualsivoglia vizio logico-giuridico”:

a)     correttezza formale e linguistica dell’elaborato;

b)     capacità di inquadramento dogmatico e sistematico della questione trattata rispetto ai principi generali che disciplinano la materia;

c)     capacità di procedere all’analisi delle specifiche questioni e di proporre una soluzione logicamente argomentata.[12]

L’esigenza di una predeterminazione dei criteri di valutazione è stata avvertita anche da quella parte di giurisprudenza che – come si è visto – reputa che l’utilizzo del solo punteggio numerico non integri gli estremi di una sufficiente motivazione, al punto da affermare la necessità che essi siano formulati in maniera puntuale e rigorosa. Infatti, tale rigidità – accompagnata, preferibilmente, dall’apposizione sull’elaborato scritto oggetto di valutazione di segni di correzioni e glosse – permetterebbe ai candidati, specie a quelli che abbiano riportato un giudizio negativo, di disporre di elementi di fatto, attraverso cui ricostruire agevolmente l’iter logico valutativo operato dalla Com­missione sul loro elaborato, e quindi, le ragioni che hanno condotto al giudizio da que­sta espresso. Coerentemente, si è giunti ad affermare che, in omaggio al principio di trasparenza, è necessario garantire la possibilità di un sindacato della ragionevolezza, della coerenza e della logicità delle stesse valutazioni concorsuali, e che, pertanto, le Commissioni hanno l’obbligo di “rendere percepibile l’iter logico seguito nell’attribuzio­ne del punteggio, se non attraverso diffuse alterazioni verbali relative al contenuto delle prove, quanto meno mediante taluni elementi” – ivi compresi i segni grafici di correzione – “che concorrono ad integrare e chiarire la valenza del punteggio, ester­nando la ragione dell’apprezzamento sinteticamente espresso con l’indicazione nu­merica”. [13] In tal modo, verrebbe assicurato al candidato il diritto di conoscere gli erro­ri, le inesattezze o le lacune in cui la Commissione ritiene sia incorso e gli si consente di valutare concretamente la fruibilità di un ricorso giurisdizionale. Questo aspetto risulte­rebbe di grande utilità anche nell’ottica di deflazione del contenzioso in materia di pubblici concorsi, in quanto, consentendo una trasparente e consapevole pondera­zione sull’opportunità di adire le vie giudiziarie, eviterebbe la proposizione di ricorsi cd. “al buio”. [14]

 

 5.4 La peculiare disciplina in materia di giudizio di non idoneità .

Per l’ipotesi in cui l’autore dell’elaborato non abbia raggiunto la soglia minima prevista per l’ammissione alla prova orale, il citato comma 5 dell art. 1, del D.Lgs. n. 160/2006 non prevede che il punteggio sia graduato, bensì che venga utilizzata la formula “non idoneo”, sì da omologare tutte le ipotesi di insufficienza, indipendentemente dalla sua gravità. A parere della Quarta Sezione, ciò corrisponde ad una precisa scelta del legi­slatore del 2006, finalizzata a mettere le commisioni esaminatrici – di volta in volta chia­mate a gestire la fase di selezione dei futuri magistrati ordinari – in grado di soddisfare le medesime esigenze di economicità e di efficacia dell’azione amministrativa, di cui si è detto più sopra. Infatti, detto giudizio non abbisogna di ulteriori specificazioni o espli­citazioni, in quanto appare adatto a riassumere il fatto oggettivo che il candidato non ha raggiunto nei suoi elaborati la soglia minima per essere ammesso a sostenere la prova orale, determinata alla stregua dei criteri prefissati dalla commissione.

Va precisato che, in giurisprudenza, non vi è unanimità di consensi sulla scelta termino­logica operata dal legislatore appena descritta. Infatti, in alcune pronunce si è ritenu­to che «la formula “non idoneo” appare criptica ed è certamente inadeguata a mani­festare la valutazione negativa compiuta dalla commissione esaminatrice circa la ini­doneità del candidato» dal momento che non esprime alcuna valutazione, né nume­rica né extra numeica. [15]

Come si è accennato, i giudici di Palazzo Spada, rifacendosi alla loro stessa giurispru­denza, ritenuto che, nell’ambito di una procedura concorsuale, la selezione dei candi­dati idonei è basata sulla verifica della preparazione e delle conoscenze dimostrate, considerano la valutazione espressa dalla commissione d’esame come espressione di discrezionalità tecnica, e, per ciò, generalmente non sindacabile dal giudice, salvo che sia rilevato un eccesso di potere desunto da vizi logici, errori di fatto o profili di contraddizione ictu oculi rilevabili. [16] Da ciò consegue che il giudice amministrativo non può accogliere né la richiesta di acquisire agli atti di causa, a scopo comparati­vo, gli elaborati degli altri candidati, presentatagli dal candidato valutato come “non idoneo”, né la richiesta di sottoporre detti elaborati – unitamente a quelli dello stesso ri­corrente – alla valutazione di un consulente tecnico d’ufficio, al fine di confutare il giu­dizio della commissione giudicatrice del concorso, come avvenuto nel caso deciso dalla sentenza in commento.

A parere della Sezione, i giudizi numerici attribuiti a ciascun candidato sono reciproca­mente indipendententi ed autonomi, dal momento che il giudizio reso in favore di un concorrente dipende dalla valutazione delle sue prove, senza tenere conto di errori o imperfezioni commesse da un altro candidato nei propri elaborati. Di conseguenza, la diversità dei giudizi tra i candidati non integra il vizio di disparità di trattamento, il quale si può considerare sussistente solo se le situazioni di base poste a raffronto, pur essendo identiche o totalmente assimilabili, vengano trattate o regolate in maniera differente.[17]

Tenendo conto del carattere peculiare della disciplina del concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria, la Sezione ritiene che la Commissione non è tenuta ad apporre sugli elaborati glosse, segni di correzione o altro, dal momento che svolge un’attività a carattere valutativo e non didattico, “e che le prove di esame in questione si colloca­no nell’ambito di un procedimento preordinato all’accertamento di un determinato tipo di idoneità, e formano oggetto di un giudizio che è frutto della valutazione tecni­co-discrezionale, da parte della Commissione, di una serie di elementi complessi, su­scettibili di vario apprezzamento e comunque riconducibili a discrezionalità tecnica.” Così argomentando, i giudici della Quarta Sezione si conformano al filone giurispru­denziale che interpreta l’esplicito richiamo all’art. 3 della L. n. 241/90, contenuto nel quinto comma dell’art. 1, D.Lgs. n. 160/2006, (in seguito alla modifica introdotta dal­l’art. 1, comma 2, della L. n. 111/2007), come la manifestazione evidente della volontà del legislatore di attribuire al giudizio espresso dalla Commissione esaminatrice in ordi­ne alla inidoneità delle candidato, la valenza di vera e propria motivazione di un provvedimento amministrativo.[18]

I consiglieri, contrariamente a quanto prospettato dall’appellante, ritengono che il comma 5 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 160/2006 non introduca nell’ordinamento un tratta­mento deteriore e ingiustificatamente discriminatorio in danno dei candidati al con­corso per magistrato ordinario, rispetto ai partecipanti al concorso notarile, le cui operazioni di correzione sono disciplinate dall’art. 11 del D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 166, il cui comma 5 prevede espressamente che “il giudizio di non idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione“.[19] Infatti, Il diverso procedimento di valutazione ed, in particolare, le diverse modalità di esternazione deriva da “scelte che il legislatore ha assunto nel legittimo esercizio della sua discrezionalità”, dato che il concorso notarile consiste, da un lato, in una selezione finalizzata alla copertura dei posti vacanti nell’organizzazione  burocratica di pubblici ufficiali predisposta dal Ministero della Giustizia e, dall’altro, in una contestuale abilitazione all’esercizio dell’attività libero professionale con funzioni di sostituto di imposta, mentre il concorso in magistratura prelude all’instaurazione di un rapporto di servizio esclusivamente pubblicistico.

 

 5.5 La non sindacabilità dei tempi di correzione.

La IV Sezione, conformandosi alla sentenza di primo grado e ad un consolidato orien­tamento giurisprudenziale, dalla configurazione dell’attività svolta dalle commissioni esaminatrici come espressione di discrezionalità tecnica, fa discendere la conclusione che i “tempi impiegati per la correzione degli elaborati scritti non sono sindacabili in sede di legittimità” poiché – di norma – è difficile sia determinare e mettere a confron­to la quantità di tempo ed attenzione che la Commissione ha dedicato a ciascun candidato (rectius, alla disamina dei suoi elaborati), sia individuare quanto detta at­tenzione possa incidere sulla valutazione  finale riportata dal candidato. [20]

Inoltre, a parere dei consiglieri, ai tempi medi impiegati non può essere riconosciuta la capacità di inficiare la validità dell’intero procedimento valutativo, dal momento che “la congruità del tempo impiegato va valutata anche con riferimento alla consistenza degli elaborati ed alle problematiche di correzione dagli stessi emergenti”.

 

5.5 La conformità ai principi di diritto comunitario della disciplina di cui all’art. 1, D.Lgs. n. 160/2006

Il ricorrente, nel caso di specie lamenta, che la più volte citata norma del comma 5 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 160/2006, contrasta con le norme che il Trattato istitutivo dell’U­nione Europea dedica alla motivazione degli atti comunitari, (in particolare gli artt. da 230 a 253 e 255, che disciplinano l’emanazione degli atti da parte delle istituzioni del­l’UE) e con l’art. II-101 della Costiuzione Europea che sancisce il diritto di ogni persona “a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione“.[21]

La Sezione, nel respingere il motivo non esaminato dai giudici di primo grado e ripro­posto in appello, precisa che le disposizioni invocate dal ricorrente “si riferiscono, co­munque, all’attività amministrativa posta in essere dagli organi dell’Unione”, e non pos­sono essere considerate né come standards di motivazione cui tutti gli Stati membri siano tenuti ad adeguarsi, né come criteri cui le Commissioni esaminatrici debbano adeguare la propria attività, posta in essere nell’ambito della disciplina del pubblico impiego nel contesto del diritto interno di ciascuno Stato. Tale conclusione si giustifica, in primo luogo, perchè la disciplina appositamente dettata per il concorso per magi­strato ordinario prevede come requisito di accesso la cittadinanza italiana (cfr. art. 2, comma 2, lett. a del D.Lgs. n. 160 del 2006) e, in secondo luogo perchè “nella materia di cui trattasi l’Italia, a’ sensi dell’art. 11 Cost., non ha acconsentito ad alcuna limitazio­ne della propria sovranità (e, conseguentemente, della propria competenza legislati­va) in favore dell’Unione Europea.”

Infine, secondo la Sezione, la disciplina contenuta nell’art.1, comma 5, del D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160, non costituisce “violazione dei diritti fondamentali della Convenzio­ne Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva nell’ordinamento italiano per effetto della L. 4 agosto 1955, n. 848 e successi­ve integrazioni, nonché dei suoi protocolli aggiuntivi” dal momento che costituisce estrinsecazione della potestà legislativa, che – ai sensi dell’art. 117 Cost., primo comma – “è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”e, per ciò, in maniera conforme a quanto stabilisce il terzo comma dell’art. 6 del Trattato isti­tutivo dell’Unione Europea, secondo cui “i diritti fondamentali, garantiti dalla Conven­zione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e ri­sultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali“.

 

6. I precedenti giurisprudenziali.

Conformi: – T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 28 luglio 2011, n. 4142; – C.Cost., 8 giugno 2011, n. 175; – Cons. St., Sez. IV, 17 dicembre 2010, n. 5792; – Cass. S.U., 21 giugno 2010, n. 14893; – C. Cost. Sent. 30 gennaio 2009, n. 20; – Cons. St. Sez. IV, 5 marzo 2008, n. 924.

 

Difformi: – Cons. St., Sez. V, 11 maggio del 2010, n. 2819; – Cons. Stato, Sez. V, 1 settem­bre 2009 n. 5145; – T.A.R. Lombardia ordd. 8 Aprile 2010, nn. 218, 219, 220 e 221, e ord. 6 aprile 2010, n. 217; – T.A.R. Trento, ord. 5 maggio 2008, n. 31; – Cons. St., Sez. VI, 17 feb­braio 2004, n. 659;- Cons. St., Sez. IV, 20 novembre 2000, n.6160; – Tar Lombardia, Sez. III, ord. 29 dicembre 1999, n.110

 

7. Spunti bibliografici

Caringella F. Corso di diritto amministrativo. VI ed. Milano. 2011. pagg. 1927-1944

Caringella, F. Manuale di Diritto Amministrativo, IV ed. Roma. 2011. pagg. 1352-1382.

Casetta, E. Manuale di Diritto Amministrativo, VIII ed. Milano. 2006. pagg. 351-354 e 438 – 448.

Consales, B.Laperuta, L. Compendio di Diritto Amministrativo, III ed. Santarcangelo di Romagna (RN). 2010, pagg. 193-198

 

8. Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 21 agosto 2012, n. 4580: il testo inte­grale.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

sentenza

sul ricorso numero di registro generale 1170 del 2011, proposto da :S.C., rappresentato e difeso dall’Avv. A.T. , con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. A.M, via…

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, costituitosi in giudizio, rap­presentata difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi,12; commissione esaminatrice del concorso a 500 posti il ma­gistrato ordinario, Micali Norma;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sez. I, n. 32419 dd. 23 settembre 2010, resa tra le parti e concernente esclusione dalle prove orali del concorso a n. 500 posti di magi­strato ordinario;

Vsti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2012 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante S.C. l’Avv. A.T. e per l’appellato Ministero della Giustizia l’Avvocato del­lo Stato Daniela Giacobbe;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1. Il dott. C.S. ha preso parte, nei giorni 19, 20 e 21 novembre 2008, alle prove scritte del concorso per esami a 500 posti di magistrato ordinario indetto con de­creto del Ministro della Giustizia dd. 27 febbraio 2008, riportando, in esito alla cor­rezione degli elaborati, il giudizio di non idoneità in tutte le tre prove scritte.

In dipendenza di ciò, con ricorso proposto sub R.G. R.G. 2152 del 2009 innanzi al T.A.R. per la Sicilia, Sede di Catania, il S. ha chiesto l’annullamento dei risultati del­le prove scritte del concorso medesimo, nonché del giudizio negativo da lui riporta­to in esito alla correzione degli elaborati, del verbale n. 158 del 2009 nella parte in cui è stato formulato nei suoi riguardi il giudizio di “non idoneo” nelle prove scritte predette, con la conseguente sua mancata ammissione alle prove orali, e del ver­bale recante la fissazione dei criteri di correzione degli elaborati scritti.

Avverso tali atti il S. ha dedotto i seguenti ordini di censure:

1) carenza assoluta di motivazione; secondo il S. il giudizio di non idoneità espres­so dalla Commissione nei suoi confronti non sarebbe supportato da alcuna motiva­zione, né consentirebbe la graduazione del giudizio medesimo, rendendo impossi­bile comprendere le ragioni della valutazione effettuata, a differenza di quanto in­vece previsto con riferimento al concorso notarile, rispetto al quale si verifichereb­be una ingiustificata disparità di trattamento;

2) disparità di trattamento, avuto riguardo ad un’asserita differenza di metro di giudizio utilizzato nel valutare gli elaborati di altri candidati giudicati idonei;

3) esiguità del tempo impiegato dalla Commissione di esame per la correzione del­le prove scritte ed eccesso di potere, laddove il medesimo S., dopo aver rimarcato la complessità delle operazioni di correzione delle prove scritte, ha evidenziato l’in­sufficienza del tempo a tal fine utilizzato.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia sostenendo, con articolate con­trodeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con motivi aggiunti di ricorso, il S., nel replicare alle argomentazioni svolte dalla controparte, ha ulteriormente sviluppato i motivi di censura già dedotti mediante l’atto introduttivo del giudizio, ulteriormente argomentando ed eccependo l’illegitti­mità costituzionale dell’art. 1, comma 5, del D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160.

Con ordinanza n. 1365 dd. 29 settembre 2009 la Sezione III dell’adito T.A.R. ha ac­colto la domanda cautelare avanzata dal S., “considerato che l’onere di motivazio­ne della valutazione delle prove scritte di un concorso pubblico non può essere suf­ficientemente adempiuto con il solo punteggio numerico (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 1 settembre 2009 n. 5145), e che i provvedimenti impugnati appaiono quindi illegitti­mi, con la conseguente necessità che le prove scritte del ricorrente, già valutate negativamente, vadano nuovamente corrette ad opera di diversa Sottocommissio­ne, che dovrà emettere una congrua motivazione sui diversi aspetti degli argomen­ti di ciascuna prova”.

1.2. Peraltro, in data 5 ottobre 2009 è stato notificato al S. da parte del Ministero della Giustizia, a’ sensi dell’allora vigente art. 31 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, ricorso per regolamento di competenza affermando la competenza territoriale della sede di Roma del T.A.R. per il Lazio.

Alla Camera di Consiglio del 27 ottobre 2009 convocata dal T.A.R. il S. ha presenta­to memoria, con la quale ha dichiarato di non aderire all’indicazione di tale sede.

Con sentenza n. 2088 dd. 20 dicembre 2009 la medesima Sez. III dell’adito T.A.R. ha evidenziato che “il comma 5 del art. 31 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 dispo­ne che, nel caso in cui non tutte le parti siano d’accordo sulla remissione del ricor­so ad altro T.A.R., “il Presidente fissa immediatamente la camera di consiglio per la sommaria delibazione del regolamento di competenza proposto”, e qualora il colle­gio, sentiti i difensori delle parti, non rilevi la manifesta infondatezza del regola­mento di competenza, “dispone che gli atti siano immediatamente trasmessi al Consiglio di Stato”. A tal fine, è da rilevare che il ricorso per il regolamento della competenza in esame non è manifestamente infondato, atteso che con il ricorso principale è stata impugnata l’esclusione dalla fase orale di un concorso su base nazionale, i cui effetti non sembrano circoscritti ad una determinata zona del terri­torio”.

In dipendenza di ciò, quindi, l’adito T.A.R. ha disposto la trasmissione degli atti al Consiglio di Stato, per la decisione del regolamento di competenza.

1.3. Nel conseguente procedimento R.G. 53 del 2010 instaurato presso questa stessa Sezione il S., con atto depositato il 18 gennaio 2010, ha dichiarato “di aderi­re alla competenza territoriale indicata nel ricorso per regolamento di competenza” e ha chiesto a questo giudice di “conseguentemente disporre la trasmissione d’uffi­cio del ricorso al predetto TAR del Lazio, senza alcuna statuizione sulle spese”.

Con sentenza n. 1703 dd. 23 marzo 2010 la Sezione ha pertanto dichiarato impro­cedibile il regolamento di competenza e ha disposto la trasmissione del fascicolo processuale al T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, ma ha anche rilevato che l’adesio­ne prestata dal S. all’invio del proprio ricorso per competenza al T.A.R. per il Lazio era intervenuta soltanto in sede di giudizio sul regolamento anzidetto e che tale circostanza imponeva pertanto al giudice del regolamento medesimo di emettere una pronuncia al riguardo; in dipendenza di ciò, avendo il comportamento del S. medesimo “comportato la necessaria instaurazione di … (un’)inutile fase proces­suale”, ha condannato questi al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro 1.500,00.-(millecinquecento/00).

1.4. Dopo la riassunzione del processo innanzi alla Sez. I del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, le parti hanno depositato ulteriori memorie a sostegno delle rispetti­ve tesi.

1.5. Con sentenza n. 32419 dd. 23 settembre 2010 la Sezione I del T.A.R. per il La­zio ha respinto il ricorso del S., compensando integralmente tra le parti le spese del giudizio.

2.1. Con l’appello in epigrafe il S. chiede ora la riforma di tale sentenza.

L’appellante ripropone sostanzialmente le censure già da lui ampiamente dedotte nel primo grado di giudizio, rimarcando peraltro che nella sentenza impugnata non sono state trattate le censure da lui dedotte in ordine all’asserita violazione delle norme di fonte comunitaria sulla trasparenza dell’azione amministrativa, né è stata data risposta alla sua richiesta istruttoria di prelevare qualcuna delle prove scritte dei concorrenti ammessi all’esame orale, al fine di estrarne copia e di confrontarne il contenuto con i propri elaborati, previa eventuale nomina di un consulente tecni­co d’ufficio.

Lo stesso appellante ha inoltre particolarmente insistito sulla questione di legittimi­tà costituzionale dell’art. 1, comma 5, del D.Lgs. 5 aprile 2006, n.160.

2.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Ministero della Giustizia, replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione dell’appello.

2.3. L’appellante, a sua volta, ha replicato puntualmente agli argomenti difensivi del Ministero, insistendo per la riforma della sentenza impugnata.

3. Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2012 la causa è stata trattenuta per la de­cisione.

4.1. Tutto ciò doverosamente premesso, l’appello in epigrafe va respinto.

4.2. Il Collegio, nell’evidenziare che l’appello del S. si incentra sulla ben nota que­stione – già più volte affrontata sia in primo grado che da questo giudice d’appello – della sindacabilità in sede giurisdizionale delle valutazioni espresse dalle Commis­sioni giudicatrici di pubblici concorsi anche con riferimento al contenuto motivazio­nale delle valutazioni medesime rispetto al principio di ordine generale contenuto nell’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, evidenzia da subito che per il concorso per la nomina a magistrato ordinario l’art. 1, comma 5, del D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160 ha introdotto una disciplina peculiare, stabilendo che “sono ammessi alla pro­va orale i candidati che ottengono non meno di dodici ventesimi di punti in ciascu­na delle materie della prova scritta. Conseguono l’idoneità i candidati che ottengo­no non meno di sei decimi in ciascuna delle materie della prova orale di cui al com­ma 4, lettere da a) a l), e un giudizio di sufficienza nel colloquio sulla lingua stra­niera prescelta, e comunque una votazione complessiva nelle due prove non infe­riore a centootto punti. Non sono ammesse frazioni di punto. Agli effetti di cui al­l’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in cia­scuna delle prove scritte e orali e’ motivato con l’indicazione del solo punteggio nu­merico, mentre l’ insufficienza è motivata con la sola formula “non idoneo””.

Come ben si vede, lo stesso legislatore si è dunque fatto carico di disciplinare diret­tamente le incombenze della commissione esaminatrice in ordine all’applicazione del principio di ordine generale sulla motivazione degli atti amministrativi contenu­to nell’art. 3 della L. n. 241 del 1990, stabilendo, da un lato, la sufficienza dell’indi­cazione del solo punteggio numerico al fine di soddisfare l’obbligo della motivazio­ne medesima nelle ipotesi in cui l’elaborato sia giudicato almeno sufficiente, e dal­l’altro la sufficienza dell’indicazione di “non idoneo” se la valutazione dell’elaborato non raggiunge il punteggio minimo richiesto per l’ammissione all’esame orale.

A ben vedere, il contenuto della disciplina in esame recepisce la giurisprudenza as­solutamente maggioritaria formatasi nella materia di cui trattasi.

Anche di recente, infatti, questa stessa Sezione ha avuto modo di affermare che è ius receptum il principio per cui “il punteggio vale motivazione”, atteso che già nel­la varietà della graduazione attraverso la quale si manifesta, il punteggio esterna una valutazione che, sia pure in modo sintetico, si traduce in un giudizio di suffi­cienza o di insufficienza, a sua volta variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24 gennaio 2012 n. 305).

E’ stato – altresì – precisato che tale principio giurisprudenziale è “diritto vivente” e che postula per la sua validità la circostanza che la Commissione giudicatrice fissi previamente criteri generali di valutazione e di attribuzione del punteggio (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 12 dicembre 2011 n. 6491).

A tale riguardo non va sottaciuto che il principio della sufficienza del punteggio nu­merico al fine di soddisfare le esigenze affermate nel “sistema” dall’art. 3 della L. n. 241 del 1990 è stato definito “diritto vivente” da Corte Cost., 30 gennaio 2009 n. 20 e 15 giugno 2011 n. 175, rilevando espressamente che:

a) quando il criterio prescelto dal legislatore per la valutazione delle prove scritte nell’esame è quello del punteggio numerico, costituente la modalità di formulazio­ne del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, con indica­zione del punteggio complessivo utile per l’ammissione all’esame orale, tale pun­teggio, già nella varietà della graduazione attraverso la quale si manifesta, esterna una valutazione che, sia pure in modo sintetico, si traduce in un giudizio di suffi­cienza o di insufficienza, a sua volta variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce se quest’ultimo ha supera­to o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma dà anche conto della misura dell’apprezzamento riservato dalla commissione esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato;

b) il punteggio espresso deve trovare specifici parametri di riferimento nei criteri di valutazione contemplati dalla legge ed è soggetto a controllo da parte del giudice amministrativo, che, pur non potendo sostituire il proprio giudizio a quello della commissione esaminatrice, può tuttavia sindacarlo, nei casi in cui sussistano ele­menti in grado di porre in evidenza vizi logici, errori di fatto o profili di contraddizio­ne ictu oculi rilevabili, previo accesso agli atti del procedimento;

c) se è vero che la motivazione è diretta a rendere trasparente e controllabile l’e­sercizio della discrezionalità amministrativa, garantendo così l’imparzialità della pubblica amministrazione, nonché la parità di trattamento dei cittadini di fronte ad essa, non è tuttavia esatto che il criterio del punteggio numerico sia inidoneo a co­stituire motivazione del giudizio valutativo espresso dalla commissione esaminatri­ce: tale criterio (peraltro diffusamente adottato nelle procedure concorsuali ed abi­litative) rivela una valutazione che, attraverso la graduazione del dato numerico, conduce ad un giudizio di sufficienza o di insufficienza della prova espletata e, nel­l’ambito di tale giudizio, rende palese l’apprezzamento più o meno elevato che la commissione esaminatrice ha attribuito all’elaborato oggetto di esame. Pertanto, non è sostenibile che il punteggio indichi soltanto il risultato della valutazione. Esso, in realtà, si traduce in un giudizio complessivo dell’elaborato, alla luce dei pa­rametri normativi, suscettibile di sindacato in sede giurisdizionale, nei limiti indivi­duati dalla giurisprudenza amministrativa;

d) il criterio numerico risponde ad esigenze di buon andamento dell’azione ammini­strativa (art. 97, comma 1, Cost.), che rendono non esigibile una dettagliata espo­sizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneità, avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazio­ni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia al numero dei partecipanti alle prove;

e) il criterio numerico non contrasta con il dovere di motivazione di cui all’art. 3 della L. n. 241 del 1990, in quanto, fermo restando che il criterio del punteggio nu­merico è idoneo ad esprimere un giudizio sufficientemente motivato, il medesimo art. 3, comma 1, va coordinato con l’art. 1, comma 1, della medesima L. n. 241 del 1990, in forza del quale l’attività amministrativa è retta – tra gli altri – da criteri di economicità e di efficacia, che giustificano la scelta del modulo valutativo adottato dal legislatore.

A sua volta, questo giudice denota che:

1) nella specie il “sistema” di valutazione contemplato dall’art. 1, comma 5, del D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160 è rigorosamente coerente con il surriferito postulato giurisprudenziale, che richiede, agli effetti della legittimità della sufficienza del giu­dizio numerico, la previa fissazione di criteri di giudizio da parte della commissione esaminatrice; nel caso di specie è incontestato che tali criteri sono stati fissati dalla commissione nel suo plenum e resi vincolanti per le vaie sottocommissioni prepo­ste alla valutazione degli elaborati; tali criteri sono riassumibili nei seguenti tre punti fondamentali, assolutamente congruenti, intrinsecamente esaustivi per le esigenze della valutazione medesima e immuni da qualsivoglia vizio logico-­giuridico: a) correttezza formale e linguistica dell’elaborato; b) capacità di inqua­dramento dogmatico e sistematico della questione trattata rispetto ai principi ge­nerali che disciplinano la materia; c) capacità di procedere all’analisi delle specifi­che questioni e di proporre una soluzione logicamente argomentata;

2) la circostanza per cui, nel medesimo comma 5, il legislatore non ha previsto una graduazione del punteggio per l’ipotesi in cui non sia stata raggiunta dall’autore dell’elaborato la soglia minima prevista per l’ammissione alla prova orale, ma la sola attribuzione del giudizio (omologante per tutte le ipotesi, più o meno gravi, di insufficienza) di “non idoneo” risponde anch’essa all’esigenza di economicità e di efficacia dell’azione amministrativa contemplata dal predetto art. 1, comma 1, del­la L. n. 241 del 1990, essendo ex se rilevante ed esaustivo nell’applicazione dei cri­teri di valutazione previamente fissati dalla commissione esaminatrice il fatto og­gettivo del mancato raggiungimento da parte del candidato della soglia minimale per l’accesso alla prova orale, non essendo pertanto necessaria una puntuale valu­tazione dell’entità dell’insufficienza riportata dal candidato medesimo; ossia, detto altrimenti, e come già correttamente evidenziato dal giudice di primo grado, il giu­dizio di inidoneità contiene in sé, implicitamente e manifestamente, una valutazio­ne di insufficienza della prova concorsuale, che, in via del tutto inutile, dovrebbe essere ulteriormente esplicitato;

3) l’estrema puntualità dei surriferiti assunti del giudice delle leggi, affermati in epoca recente in due sue puntuali sentenze, rende all’evidenza inaccoglibile la ri­chiesta dell’appellante di una nuova remissione della medesima questione con rife­rimento all’espressa recezione degli assunti medesimi nel contesto del predetto art. 1, comma 5, del D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160;

4) come rilevato dallo stesso giudice delle leggi, la valutazione espressa dalla com­missione d’esame è essenzialmente espressione di discrezionalità tecnica, in ordi­ne alla quale il giudice non può indebitamente ingerirsi (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 20 gennaio 2010 n. 275), salve le anzidette ipotesi – qui assolutamente non comprovate – di vizi logici, errori di fatto o profili di contraddizione ictu oculi rilevabili, che rendano apprezzabile un manifesto eccesso di potere (cfr. al riguardo Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2007 n. 2781); in ogni caso, l’affermata insindacabilità della discrezionalità tecnica della commissione esaminatrice rende inaccoglibile la richiesta del S. di acquisire agli atti di causa, a scopo comparativo, gli elaborati degli altri candidati, e men che meno la sottoposizione degli elaborati medesimi unitamente a quelli dello stesso S. alla valutazione di un consulente tecnico d’ufficio (cfr. ibidem, anche per il caso dell’acquisizione agli atti di causa di pareri pro veritate al fine di confutare il giudizio della commissione giudicatrice del concorso, non essendo in via generale consentito al giudice della legittimità sovrapporre alle determinazioni adottate dalle commissioni concorsuali il parere reso da un soggetto terzo, quale che sia la sua qualifica professionale ed il livello di conoscenze e di esperienze acquisite nella materia di cui trattasi); senza sottacere – da ultimo, e come già ben rilevato dal giudice di primo grado – che il vizio di disparità di trattamento postula l’identità o la totale assimilabilità delle situazioni di base poste a raffronto (cfr. al riguardo, tra le tante e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. IV,12 febbraio 2010 n. 805) ed  essendo in tal senso irrilevante, in genere, per il candidato il giudizio reso in favore di altro concorrente, laddove la valutazione delle prove di quest’ultimo non abbia tenuto conto di errori o imperfezioni commesse dal primo.

Va ancora soggiunto che, pur considerando la peculiarità della disciplina del con­corso per l’accesso alla magistratura ordinaria, neppure può fondatamente argo­mentarsi che la Commissione fosse tenuta ad apporre sugli elaborati glosse, segni di correzione o altro, posto che – come ben rimarcato dal giudice di primo grado – l’attività della commissione di concorso è di carattere valutativo e non didattico, e che le prove di esame in questione si collocano nell’ambito di un procedimento preordinato all’accertamento di un determinato tipo di idoneità, e formano oggetto di un giudizio che è frutto della valutazione tecnico-discrezionale, da parte della Commissione, di una serie di elementi complessi, suscettibili di vario apprezzamen­to e, come detto innanzi, comunque riconducibili a discrezionalità tecnica.

Né risulta convenientemente invocabile, al fine di sostenere l’esistenza di un’ingiu­stificata discriminazione nell’ordinamento in danno dei candidati al concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria, la diversa disciplina dettata dall’art. 11, com­ma 5, del D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 166 relativo alla correzione delle prove scritte del concorso per notaio, laddove testualmente dispone che “il giudizio di non ido­neità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione”.

Il Collegio concorda sul punto con le notazioni di fondo formulate al riguardo dal giudice di primo grado, non solo non essendo tale richiamo in grado di connotare in senso giuridicamente pregnante l’eccezione di illegittimità costituzionale proposta dall’appellante, ma in considerazione della circostanza che la rilevata diversità del procedimento di valutazione, con peculiare riguardo alle modalità di esternazione del giudizio, si fonda su scelte che il legislatore ha assunto nel legittimo esercizio della sua discrezionalità, anche e soprattutto a fronte della diversità della selezione e della peculiarità della professione notarile, essendo il notaio sia un pubblico uffi­ciale, sia un libero professionista con funzioni di sostituto d’imposta e incardinato in una organizzazione burocratica predisposta dal Ministero della Giustizia, con la conseguenza che il concorso notarile riflette questa duplicità di ruoli, consistendo in una selezione finalizzata alla copertura dei posti vacanti e in una contestuale abilitazione all’esercizio dell’attività, che viene riconosciuta ai vincitori a’ sensi del R.D. 22 dicembre 1932, n. 1728, laddove tramite il concorso in magistratura si ac­cede ad un rapporto di servizio esclusivamente pubblicistico.

Con riguardo all’ulteriore profilo di censura con il quale il S. ha dedotto la non ade­guatezza dei tempi di correzione degli elaborati, va condivisa, in quanto fondata su giurisprudenza ormai consolidata, l’affermazione del giudice di primo grado, secon­do la quale i tempi impiegati per la correzione degli elaborati scritti non sono sin­dacabili in sede di legittimità, posto che – di norma – non è possibile stabilire quali e quanti candidati abbiano fruito di maggiore o minore attenzione da parte della Commissione e se, quindi, la relativa censura infici in concreto il giudizio del singo­lo candidato (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 9 settembre 2009 n. 5406), tenendo conto – altresì – che la congruità del tempo impiegato va valutata anche con riferimento alla consistenza degli elaborati ed alle problematiche di correzione dagli stessi emergenti, con la conseguenza che ai tempi medi impiegati non può ri­conoscersi alcun decisivo rilievo inficiante il procedimento valutativo.

Da ultimo, per quanto segnatamente attiene all’ordine di censure già dedotto in pri­mo grado dal S. e fondato sull’asserita violazione dei principi di diritto comunitario rica­vati dal Trattato istitutivo dell’Unione Europea (cfr., in particolare, gli artt. 230 – 253 e 255 del medesimo, concernenti la motivazione degli atti comunitari) nonché, soprat­tutto, sull’art. II-101 della Costituzione Europea ( “ogni persona ha diritto a che le que­stioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termi­ne ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione”), va evidenziato che, in effetti, la sentenza impugnata non ha disaminato tale motivo di ricorso.

Lo stesso, tuttavia, va respinto in quanto le disposizioni invocate dal S. si riferiscono, co­munque, all’attività amministrativa posta in essere dagli organi dell’Unione, le quali ol­tre a tutto non prefigurano standards appositi di motivazione cogenti per gli Stati membri, e men che meno per l’attività da essi posta nell’ambito della disciplina del pubblico impiego nel contesto del loro diritto interno, risultando assorbente in tal senso la notazione che, per accedere al concorso per magistrato ordinario, è indispensabile il requisito della cittadinanza italiana (cfr. art. 2, comma 2, lett. a del D.Lgs. n. 160 del 2006), e che nella materia di cui trattasi l’Italia, a’ sensi dell’art. 11 Cost., non ha accon­sentito ad alcuna limitazione della propria sovranità (e, conseguentemente, della pro­pria competenza legislativa) in favore dell’Unione Europea.

Va anche soggiunto, per completezza, che, se è vero che, in forza del combinato disposto della nuova formulazione dell’art. 6, commi 2 e 3, del Trattato istitutivo dell’Unione Europea conseguente dalle modifiche apportate con il Trattato di Lisbo­na, “l’Unione aderisce alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti del­l’uomo e delle libertà fondamentali” , che “i diritti fondamentali, garantiti dalla Con­venzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamen­tali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali” e che, a’ sensi dell’art. 117, pri­mo comma, Cost., come sostituito dall’art. 3 della L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3, “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costitu­zione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi in­ternazionali”, nessuna violazione dei diritti fondamentali della predetta Convenzio­ne Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva nell’ordinamento italiano per effetto della L. 4 agosto 1955, n. 848 e successive integrazioni, nonché dei suoi protocolli aggiuntivi, può ragionevolmente ravvisarsi nella disciplina contenuta nell’art.1, comma 5, del D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160, che razionalmente, per quanto sopra detto, attribuisce al punteggio nume­rico ed al giudizio di inidoneità valore di motivazione.

5. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono essere integral­mente compensati tra le parti.

Va peraltro dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 e successive modifiche corrisposto per il presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pro­nunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.

Dichiara irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 e successive modifiche corrisposto per il presente grado di giudizio

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

 

 

 



[1]             Fonte www.normattiva.it

[2]             Cfr. Cons. St., Sez. IV, 24 gennaio 2012, n. 305.

[3]             Così, espressamente, C. Cost., sent. 30 gennaio 2009, n. 20.

[4]             Cfr. C. Cost., sent. n. 20/2009, cit. e C. Cost., sent. 15 giugno 2011 n. 175.

[5]             Cfr. Casetta, E. Manuale di Diritto Amministrativo. citato infra, sub Spunti bibliografici, pagg. 351-354..

[6]             Cfr. Cons. St., Sez. IV, 17 gennaio 2006, n. 176.

[7]             Cfr. Cons. St. Sez. IV, 5 marzo 2008, n. 924.

[8]           Cfr., ad esempio, Cons. St., Sez. V, 11 maggio del 2010, n. 2819.

[9]             Cfr. Tar Lombardia, Sez. III, ord. 29 dicembre 1999, n.110, che ha altresì precisato che “la sottra­zione di una categoria di atti all’obbligo di motivazione appare confliggente sia con il principio di imparzialità (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso in forma solo numerica) sia con il principio di buon andamento dell’amministrazione, che, in un ordinamento modernamente democratico, si traduce nella piena trasparenza dell’azione amministrativa”; ed ha aggiunto che “le esigenze di snellezza e speditezza del procedimento amministrativo, pure riconducibili al principio di buon andamento ex art. 97 Cost.” non “possono essere ritenute prevalenti rispetto all’esigenza di assicurare il più corretto rapporto tra cittadini e amministrazione pubblica, essendo invece diversamente adottabile attraverso l’applicazione del principio dell’obbligo di motivazione ragionevole e proporzionato ai richiamati obiettivi di trasparenza e di tutela.”

[10]            Cfr. Cons. St., Sez.V, 1 settembre 2009, n. 5145.

[11]            Tale principio ricalca quanto stabilito nell’art. 12 del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 che contiene il “Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi.” Per comodità del lettore si riporta il testo dell’art. 12 :

Art. 12. Trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali

            1. Le commissioni esaminatrici, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le modalità di valutazione delle prove  concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di  assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove. Esse, immediatamente prima dell’inizio di ciascuna prova orale, determinano i quesiti da porre ai singoli candidati per ciascuna delle materie di esame. Tali quesiti sono proposti a ciascun candidato previa estrazione a sorte.

            2. Nei concorsi per titoli ed esami il risultato della valutazione dei titoli deve essere reso noto agli interessati prima dell’effettuazione delle prove orali.

3. I candidati hanno facoltà di esercitare il diritto di accesso agli atti del procedimento concorsuale ai sensi degli articoli 1 e 2 del decreto del Presidente della Repubblica 23 giugno 1992, n. 352, con le modalità ivi previste.

[12]            Cfr. Cons. St., Sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6491.

[13]            Così Cons. St., Sez. VI, 30 aprile 2003, n. 2331.

[14]            Cfr. Cons. St., Sez. VI, 17 febbraio 2004, n. 659.

[15]            Cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 2331/03, cit. che espone i profili di irrazionalità e conseguente conta­rietà all’art. 3 Cost. della disciplina in esame.

[16]            Cfr. Cons. St., Sez. IV, 20 gennaio 2010 n. 275 e  Cons. St., sez. IV, 30 maggio 2007 n. 2781

[17]            Cfr. Cons. St., Sez. IV,12 febbraio 2010 n. 805.

[18]            Cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 924/2008, cit.

[19]            L ‘art. 11, D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 166 così disciplina la correzione delle prove scritte del con­corso notarile:

1. La sottocommissione di cui all’articolo 10 procede, collegialmente  e nella medesima seduta, alla lettura dei temi di ciascun candidato,  al fine di esprimere un giudizio complessivo di idonei­tà per l’ammissione alla prova orale.

2. Salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissio­ne deli­bera a maggioranza se il candidato merita l’idoneità.

3. Il giudizio di idoneità comporta l’attribuzione del voto minimo di trentacinque punti a ciascu­na delle tre prove scritte.

4. In caso di idoneità, la sottocommissione assegna, in base ai voti di ciascun commissa­rio, il punteggio complessivo da attribuire a ciascuna prova scritta fino ad un massimo di punti cin­quanta. A tale fine, ciascun commissario dispone di un voto da zero a tre punti.

5. Il giudizio di non idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motiva­zione.

6. Il segretario annota la votazione complessiva o la motivazione, facendola risultare dal proces­so verbale, per ciascun elaborato.

7. Nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insuf­ficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell’articolo 10, comma 2, la sotto­commissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elabo­rati suc­cessivi.

[20]            Cfr. Cons. St., Sez. IV, 9 settembre 2009 n. 5406; Cons. St., Sez. IV, 1 febbraio 2001, n.367; Cons. St., Sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2915.

[21]            L’art. II-101 della Costituzione Europea sancisce in capo al cittadino dell’Unioone il diritto ad una buona amministrazione, nei termini seguenti:

“1. Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’U­nione.

2. Tale diritto comprende in particolare:

a) il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adot­tato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio;

b) il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei le­gittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale;

c) l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

3. Ogni persona ha diritto al risarcimento da parte dell’Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi genera­li comuni agli ordinamenti degli Stati membri.

4. Ogni persona può rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue della Costitu­zione e deve ricevere una risposta nella stessa lingua.

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