img_3532L’emblematica figura dell’ausilio penalmente rilevante: mera “agevolazione” o concorso nel reato?

A cura della dott.ssa Giusy Marigliano

 

L’art. 378 c.p. saggia la disciplina del noto reato di favoreggiamento personale, preposto alla salvaguardia dell’interesse dell’amministrazione della giustizia al regolare e corretto espletamento delle investigazioni propedeutiche ad un determinato procedimento penale.[1] Trattasi di un delitto comune , come tale realizzabile da un quisque de populo, il cui accento cade sull’ambito oggettivo di operatività concretantesi nella condotta del soggetto agente volta ad aiutare <<taluno ad eludere le investigazioni dell’autorità, o a sottrarsi alle ricerca di questa>>. Da sempre dottrina e giurisprudenza maggioritarie sostengono che la nozione di aiuto vada interpretata nel senso della sufficienza ed idoneità di un’azione ad agevolare colui che ha commesso un precedente reato, non essendo necessario che gli atti posti in essere dal “favoreggiatore” si traducano in un concreto apporto impeditivo delle ricerche condotte dalle autorità all’uopo preposte. La mera messa in pericolo del bene giuridico, tutelato dall’ordinamento penale, facoltizza il rimprovero sanzionatorio nei confronti di chi realizza un siffatto comportamento con naturale anticipazione della soglia di punibilità. Così ragionando affiora una netta incompatibilità di tipo strutturale tra la fattispecie in commento e lo schema generale delineato all’art. 56 c.p. Poiché, traducendo nei termini suddetti il concetto di “aiuto”, l’ applicazione del modulo del delitto tentato sortirebbe quale effetto quello di anticipare ulteriormente la soglia di punibilità. Sganciata, da qualsivoglia riferimento in termini di concreta offensività, la fattispecie criminosa de qua si porrebbe in pieno contrasto con i capisaldi della Carta Costituzionale, quali il principio di legalità e di personalità dell’illecito penale (rispettivamente agli artt. 1c.p. e 27 Cost. ).[2] Alla luce di quanto sin qui sostenuto, risulta chiara la posizione minoritaria assunta da coloro che ricercano nella fattispecie di favoreggiamento un effettivo contributo in termini di miglioramento della posizione dell’aiutato.[3] Il limite di una tale soluzione si rinviene, a ben vedere, nello stesso dato positivo . Il legislatore, soffermandosi solo sulla condotta agevolatrice e non avanzando alcun riferimento circa l’evento, effettua una chiara scelta di politica criminale a favore di una fattispecie di pericolo a forma libera. In tal modo l’attività ermeneutica appare in parte imbrigliata, dovendosi intendere la nozione di aiuto in commento quale atto e/o atti idonei e diretti in modo non equivoco alla messa in pericolo del bene “Amministrazione della Giustizia”. Pertanto, affinché tale delitto non venga in concreto svuotato della sua capacità sanzionatoria, è necessario procedere nel senso su indicato quale orientamento ad oggi prevalente. Da quanto sin qui brevemente evidenziato affiora la portata omnicomprensiva del termine “aiuto”, teso ad abbracciare qualsiasi condotta purché elusiva od ostacolativa delle investigazioni dell’Autorità. Ed è proprio in virtù di un concetto così elastico e flessibile che la giurisprudenza di legittimità è pervenuta a sussumervi quelle condotte di mera interferenza mediante le quali l’agente si limiti a rendere maggiormente difficoltose le indagini in corso oppure si spinga a realizzare veri e propri atti di pressione psicologica, volti a far ritrattare le accuse formulate a carico di colui che si vuole “aiutare”.[4] A tal proposito, la dottrina è intervenuta, nell’intento di delimitare la portata oggettiva dell’art. 378 c.p., sul profilo semantico dei verbi <<eludere>> e <<sottrarsi>>. Nella prima ipotesi si suole indicare un’attività impeditiva del regolare svolgimento delle ricerche e, pertanto, preclusiva del risultato a cui le stesse sono dirette secondo l’ id quod plerumque accidit. La seconda voce, invece, fa riferimento ad una condotta volta a vanificare qualsivoglia legale forma di coercizione personale, quali fermo, arresto o cattura.   Secondo alcuni autori, tale reato è configurabile solo se vi siano gli estremi di un procedimento penale in fieri; secondo altri è sufficiente la mera possibilità che siano intraprese delle investigazioni. Trattandosi di una fattispecie di pericolo non rileva l’effettiva lesione, bensì la potenziale pregiudicabilità del bene-interesse protetto dalla norma in questione. [5] Dall’attento esame del co. 1, della norma oggetto di analisi, emerge, poi, la peculiare essenza del suddetto reato la cui esistenza è intimamente connessa alla prova certa della sussistenza di una precedente fattispecie criminosa; la quale si atteggia a sua volta in termini di presupposto di fatto del reato di favoreggiamento personale. Siffatto aspetto vanta delle rilevanti ricadute nei rapporti con i casi di concorso di persone nel medesimo reato. La formulazione dell’art. 378 c.p. sembra, prima facie,affetta da una pericolosa contraddizione che avvince contestualmente il presupposto di cui sopra e la clausola di salvaguardia mediante cui il legislatore provvede ad escludere l’operatività della disciplina di cui agli artt. 110 ss. c.p. Il  vulnus si individuerebbe nella confusione che la stessa norma, sotto il profilo letterale, genera non chiarendo le relazioni soggettive circa il reato presupposto e quello presupponente.  La stessa norma soffermandosi in modo pressoché esclusivo sul dato cronologico, non consente di discernere in via immediata il ruolo che il “favoreggiatore” assume con riguardo al reato precedentemente commesso. Così ragionando un interprete distratto potrebbe essere tratto in inganno e indotto all’indebita considerazione che l’agente, della fattispecie delineata all’art. 378 c.p., possa essere autore anche dell’illecito presupposto con il limite che non si realizzi un caso di concorso di persone nel medesimo reato. A ben vedere una simile soluzione andrebbe a rendere maggiormente caotica l’interpretazione della fattispecie in commento con impiego arbitrario dei canoni ermeneutici tradizionalmente adoperati da ogni operatore giuridico. Alla luce di tale ordine di considerazioni risulta più confacente quell’elaborazione che assume quale parametro risolutivo proprio la clausola di riserva; leggendo l’inciso <<dopo che fu commesso un delitto>> mediante siffatta clausola si perviene ad una lineare conclusione : l’agente del reato di favoreggiamento personale non può mai assumere lo status di partecipe di un reato di tipo associativo, ossia di colui che apporta un contributo causale alla realizzazione dell’altrui azione criminosa attraverso una condotta atipica rispetto alla fattispecie descritta dalla norma incriminatrice di parte speciale, né tantomeno può essere qualificato quale autore di una tale tipologia di reati, intendendosi a tal proposito colui che con dominio finalistico pone in essere materialmente l’attività esecutiva del reato.[6] La locuzione <<fuori dei casi di concorso>> mira, pertanto, a precisare che l’aiuto di cui all’art. 378 c.p. si concreterà solo allorquando il soggetto agente non risulti inserito in via tendenzialmente stabile e duratura all’interno della compagine associativa, rispetto alla quale ha prestato sia pur implicitamente il suo consenso al pactum sceleris. Secondo un’autorevole voce dottrinaria si esulerebbe dalla fattispecie in esame, per sconfinare in un caso di concorso nella realizzazione di un reato diverso, laddove si partecipi moralmente o materialmente al reato presupposto.[7]Generalmente, la partecipazione comporta in via alternativa o cumulativa un’attività di promozione, organizzazione, direzione e/o agevolazione; quest’ultima figura dà luogo ad un contributo di tipo materiale volto alla preparazione del reato oppure alla sua agevole realizzazione nella fase esecutiva e come tale si contrappone all’apporto di tipo morale, incarnato dalle sagome dell’istigatore e del determinatore le quali rafforzano o fanno sorgere in terzi il proposito criminoso. Salvo che la legge disponga diversamente, si tratta di ipotesi non perseguibili penalmente se non sfociano in un determinato reato poiché non raggiungono quel minimo di lesività richiesto dall’ordinamento ai fini dell’irrogazione di una sanzione. Tutt’al più quivi, tenuto debitamente in conto della pericolosità del soggetto, è possibile procedere applicando una misura di sicurezza (art. 115 c.p. ). La giurisprudenza rintraccia il discrimen tra reato di favoreggiamento e concorso nei reati presupposti nel fattore temporale. Si procede asserendo l’avvenuta realizzazione e consumazione di questi, così da rilevare solamente ab externo senza alcun tipo di ricaduta sui profili costitutivi delineati nell’art. 378 c. p. è pur possibile secondo tale orientamento che gli imputati si siano accordati sulla cooperazione ancor prima che l’esecuzione del delitto presupposto avesse inizio. In tal caso gli stessi agendo quali concorrenti palesano un’implicita volontà atta a dar vita ad un vero e proprio sodalizio criminoso escludendo ab origine l’operatività della disciplina più favorevole in materia di favoreggiamento.[8] Altro elemento, volto a corroborare la presenza di un vincolo associativo  e rintracciato nella prassi giudiziaria, è dato dall’interazione organica e sistematica tra gli associati. Tale aspetto letto quale elemento costitutivo del medesimo sodalizio(reato fine) fa sì che la condotta agevolatrice si traduca in un reato mezzo attraverso cui depistare le indagini della polizia volte a reprimere l’attività dell’associazione e a perseguirne i partecipi. Trattasi di un’attività tipicamente servente nelle associazioni di stampo mafioso così come saggiate all’art. 416-bis c.p.  È d’uopo, poi, sottolineare come tale ultima ipotesi sia stata presa in considerazione dal legislatore quale elemento specializzante nell’art.  378 c. p. ove al co. 2 delinea quale circostanza aggravante il verificarsi del reato presupposto nelle forme di cui all’art. 416-bis c.p. In tal caso data la perfetta coincidenza tra gli elementi costitutivi essenziali delle due ipotesi criminose non potrà disquisirsi di autonoma figura di reato, bensì di mero fattore volto ad aggravare la fattispecie di cui al co. 1. Una simile previsione tende ad escludere ancora una volta la possibilità che il “favoreggiatore” assuma lo status di partecipe, in virtù dell’incompatibilità saggiata nello stesso dato letterale.[9] Da quanto precede risulta palese che il favoreggiamento personale possa assumere rilievo con riguardo ai reati associativi purché in termini di apporto agli stessi del tutto occasionale ed episodico. Si pensi a colui che prestando il suo aiuto in via non continuativa si rende autore di reati rientranti nel programma del sodalizio criminoso pur senza assumerne lo status di partecipe.[10] Una nota giurisprudenza maturata nel 2005, procedendo con un’interpretazione restrittiva della locuzione “partecipe”, giunge a considerare operativa la disciplina sul concorso di persone anche a quei casi in cui un soggetto pur non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell’affectio societatis necessario fornisca un contributo consapevole , concreto ed effettivo. Si dà, così, vita alla figura del “concorrente esterno” il cui intervento temporaneo od occasionale deve comunque essere funzionale alla conservazione o rafforzamento delle capacità operative dell’associazione.[11] Una simile rilevanza causale va , inoltre, vagliata attraverso un apprezzamento svolto ex post mediante cui si provi l’elevata credibilità razionale dell’ipotesi formulata e non la mera probabilità della lesione del bene giuridico protetto, la quale conseguirebbe ad una valutazione ex ante del contributo su riferito. La breve analisi sin qui svolta del reato di favoreggiamento personale, in particolare con riguardo al suo ambito di operatività oggettivo fondato sulla locuzione “aiuto”, induce chi scrive a rintracciare  una profonda aporia nell’art. 378 c. p. Se da un lato la voluntas legis è intervenuta chiaramente recidendo i rapporti con la disciplina in tema di concorso di persone attraverso l’inserimento di una clausola di riserva ad hoc,dall’altro l’intento della giurisprudenza di reprimere ad ampio raggio e in modo capillare qualsivoglia manifestazione  del fenomeno associativo determina la riemersione pratica del problema. La creazione di una figura nuova quale il “concorrente esterno” non fa altro che rendere applicabile la disciplina di cui agli artt. 110 ss. c. p. consentendo così di eludere il dato normativo. Il carattere temporaneo ed occasionale dell’apporto dell’extraneus al sodalizio non è altro che un palliativo volto a gettare il fumo negli occhi di chi attentamente interpreta il dato positivo. Così ,argomentando si palesa forse come eccessiva una siffatta innovazione giurisprudenziale, che in concreto attua una proliferazione polisemica della figura di autore di un reato. A ben vedere, una flessibile applicazione della fattispecie di cui all’art. 378 c. p. consentirebbe di pervenire al medesimo risultato senza incappare nella moltiplicazione di significati di cui sopra e soprattutto ovviando all’indebita violazione che del dettato normativo viene in tal modo realizzata. Il necessario distacco dalle ipotesi associative e l’elemento cronologico che caratterizza l’esaurimento del reato presupposto già di per sé e in modo implicito consentono di individuare gli estremi di un contributo episodico ed occasionale, senza ricorrere a nuove e pericolose sagome.



[1]Pulitanò, Il favoreggiamento personale tra diritto e processo penale, Milano, 1984;

[2]Dinacci, Favoreggiamento personale,in Coppi (a cura di), I delitti contro l’amministrazione della giustizia, Torino, 1996; Cass., Sez. I, 14.4.2010;

[3]Pulitanò, ibidem;

[4]Cass., Sez. II, 11.12.1988;

[5]Dinacci, ibidem; Cass., Sez. VI, 8. 3. 2007;

[6]Dolcini e Della Bella, sub art. 110, in Comm. Crespi,Forti e Zuccalà, 417.

[7]Pisa, Favoreggiamento personale e reale,in Digesto pen., V,Torino, 1991, 163;

[8]Cass., Sez. VI, 19.4.1990;

[9]Cass., Sez. II, 13.6.2007;

[10]Cass., Sez. VI, 8.10.2008;

[11]Cass., Sez. Un., 12.7.2005 (meglio nota come sentenza Mannino).

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