Natura giuridica ed efficacia della D.I.A.

Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5513

a cura della D.ssa Claudia Zangheri Neviani

 

La massima

“Le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela, richiedono a sussistenza di requisiti minimi, in assenza dei quali la d.i.a. deve ritenersi inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate- in quanto prive di titolo abilitativo- agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione.”

 

Il caso

Il comune di Roma ordina la sospensione di lavori edilizi riguardanti l’apposizione di una sbarra elettrificata e di una struttura in profilati metallici, a protezione di alcuni parcheggi, sostenendo l’assenza della denuncia di inizio attività e la mancanza della preventiva richiesta del parere da parte della soprintendenza. Il Tar del Lazio conferma l’ordinanza del comune, mentre il Consiglio di Stato, in oggetto, ritiene solo parzialmente fondata l’impugnativa, distinguendo tra l’apposizione della sbarra elettrificata, che non necessita di alcun titolo edilizio essendo un intervento edilizio libero; e l’apposizione dei profili metallici, per i quali, invece, occorre la denuncia di inizio attività.

 

Quesito da risolvere

La natura giuridica della d.i.a.: titolo abilitativo tacito, o atto privato?

 

Normativa e norma applicabile

Art. 19 L. 241/1990

Art 22 e seg. D.P.R. 380/2001

 

Nota esplicativa

A partire dagli anni novanta del secolo scorso fa ingresso nel nostro ordinamento il principio di semplificazione amministrativa, l’attenzione si sposta in questo modo dalla legittimità dell’azione amministrativa, all’efficacia della stessa. Corollario dell’efficacia è la sempre maggiore richiesta di celerità nell’avvio delle attività commerciali e imprenditoriali, a seguito delle quali il legislatore disciplina la Denuncia di Inizio Attività[1], estesa poi anche all’ambito edilizio. Il privato che abbia depositato la d.i.a. può iniziare i lavori decorso il termine di trenta giorni senza dover attendere un provvedimento autorizzatorio da parte della pubblica amministrazione

La D.I.A. è stata sostituita attualmente dalla S.C.I.A. alla quale si applicano sempre le stesse normative e gli stessi orientamenti espressi durante la vigenza della d.i.a. in quanto è lo stesso legislatore a disciplinare la sostituzione di una all’altra, equiparandole.

Anche la disciplina della scia, come quella della d.i.a, è chiaramente indirizzata nell’ambito delle semplificazioni amministrative, prevedendo che l’autorizzazione amministrativa, è sostituita con la segnalazione fatta dal privato, che intraprende immediatamente l’attività, essendone autorizzato dalla legge stessa, senza neppure dover attendere il decorso dei trenta giorni

Le tesi sulla natura della dia sono due: una minoritaria ritiene che si tratti di un atto pubblico, la seconda maggioritaria, sostiene la natura di atto privato.

 

Tesi atto amministrativo a formazione progressiva.

La tesi minoritaria ritiene che la d.i.a. sia un procedimento a formazione progressiva e complessa, che configura un atto amministrativo tacito, che assume efficacia a seguito del decorso di un determinato periodo di tempo senza che l’amministrazione abbia agito con idonei strumenti inibitori. Essa sarebbe un vero e proprio titolo edilizio in cui la domanda tiene il luogo dell’autorizzazione, si tratta di un titolo abilitativo tacito, in quanto si forma silenziosamente, nel momento in cui si verifica la contestuale presenza di tutti i requisiti richiesti. Per tale tesi la dia non sarebbe uno strumento di liberalizzazione dell’attività, ma una semplificazione procedimentale, che si perfeziona a seguito dell’infruttuoso decorso del termine di trenta giorni, senza che sia stata emanata la dichiarazione negativa da parte della p.a., producendo l’effetto di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale.

I sostenitore di questa tesi si basano in primo luogo sul tenore letterale dell’art. 19 L. 241/1990 in cui si affermava (prima della modifica apportata dalla legge 80/2005) che “l’atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio attività” per cui la dichiarazione del privato altro non è se non l’atto di consenso dell’amministrazione, di cui ne prende non solo il posto, ma anche la natura pubblicistica. Tale tesi si rafforza a seguito dell’emanazione della legge 80/2005 la quale prevede la possibilità di agire in autotutela anche contro la d.i.a., ne consegue che quest’ultima è un atto amministrativo di primo grado, sul quale la p.a. può agire in autotutela, revocandola o annullandola.

Le critiche maggiori affermano che comunque ci sia una netta differenza tra la dia e il silenzio assenso.

 

Tesi dell’atto privato:

Per la dottrina maggioritaria e per la giurisprudenza dei Giudici di Palazzo Spada[2], la dia è un atto formalmente e soggettivamente privato, in quanto non proviene dalla pubblica amministrazione, che ne è al contrario destinataria, né è esplicazione di una potestà amministrativa. La d.i.a consiste quindi in una dichiarazione del privato, a cui la legge riconnette, in presenza di determinati requisiti, effetti tipici. La legittimazione del privato non proviene più, come un tempo dallo schema “norma – potere- effetto”, ma il suo fondamento lo si riscontra direttamente nella legge e quindi nello schema “norma- fatto –effetto”: è la legge stessa che consente al privato di svolgere l’attività dichiarata.

Si sostiene così che le modifiche apportate dalla legge 80/2005, con le quali si consente alla p.a. di agire in autotutela, non modificano la natura di atto privato della d.i.a. Il potere di autotutela, è un potere discrezionale della p.a. che non è obbligata ad esercitarlo, si tratta, quindi, di un potere residuale e suis generis, che, nello specifico, non si configura come un procedimento di secondo grado

Ne consegue che il potere di controllo della p.a. non è diretto all’emanazione di un atto di consenso, ma è una semplice verifica di quanto dichiarato dal privato rispetto ai requisiti richiesti dalla legge, per quella particolare attività.

A ciò si aggiunge che i riferimenti all’autotutela (articoli 21 quinquies e nonies L. 241/90) non devono essere interpretati come un rinvio all’esercizio di un potere di secondo grado in capo alla p.a., ma solo della possibilità, in capo alla stessa, di intervenire, anche successivamente, per arrestare l’attività posta in essere. Ciò è inoltre possibile in quanto la d.i.a essendo solo una dichiarazione del privato non può far maturare in capo al medesimo un affidamento da non poter mettere in discussione decorso il termini di 30 giorni

I Giudici di Palazzo Spada sostengono, inoltre, che la protezione dell’affidamento del provato, a cui sono finalizzati i principi di autotutela, richiedono però la sussistenza di alcuni requisiti indispensabili, in mancanza dei quali la d.i.a. è nulla. Nello specifico si tratta di requisiti soggettivi sanciti dall’art. 22 e di requisiti oggettivi ex art. 23 D.P.R. 380/2001.

 

Giurisprudenza conforme

Natura atto abilitativo tacito

TAR Veneto sez. II, 20 giugno 2003, n. 3405

TAR Veneto 10 settembre 2003, nr 4722

TAR Abruzzo Pescara, 1 settembre 2005 nr 494

TAR Piemonte 19 aprile 2006 nr 1885

Consiglio di Stato sez. VI, 20 ottobre 2004 nr 6910

 

Natura di atto privato

TAR Campania – Napoli 27 gennaio 2006 nr 1131

TAR Marche 3 febbraio 2004 n 58

Consiglio di Stato sez. V, 3856/2006

Consiglio di Stato sez. IV 22 luglio 2005 nr 3916

Consiglio di Stato sez. V 22febbraio 2007 nr 948

Consiglio di Stato sez. VI 15 aprile 2010 nr 2139

 

Bibliografia

Francesco Caringella e luigi Tarantino “Lezioni e sentenze di diritto amministrativo” Dike Giuridica

Francesco Caringella “Manuale di diritto amministrativo” Giuffrè Editore

“La natura giuridica della DIA e la tutela del terzo”

Ennio Moro “La controversa natura giuridica della DIA” www.altalex.com

Roberto Garofoli “Natura della DIA e forme di tutela del terzo

Roberto Garofoli – Giulia Ferrari “Manuale di diritto amministrativo” VII Edizione 2013-2014 Nel Diritto Editore.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 5782 del 2013, proposto dai signori Matteo Maria Placidi e Stefano Massimi, rappresentati e difesi dagli avvocati Luca Di Raimondo e Matteo Di Raimondo, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Savoia, 86;

contro

Roma Capitale, rappresentata e difesa dagli avvocati Rodolfo Murra e Umberto Garofoli e presso i medesimi domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

per la riforma della sentenza del t.a.r. lazio – roma, sezione i quater, n. 03993/2013, resa tra le parti, concernente sospensione di lavori edilizi e rimozione o demolizione di opere abusivamente realizzate;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 60 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 settembre 2013 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Di Raimondo e Murra;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. I quater, n. 3993/13 del 18.4.2013 (che non risulta notificata), è stato respinto il ricorso proposto dai signori Matteo Maria Placidi e Stefano Massimi avverso le determinazioni dirigenziali nn. prot. 54763 del 18.9.2012 e 2117 del 29.10.2012, recanti – rispettivamente – ordine di sospensione dei lavori e di demolizione delle opere realizzate. Dette opere erano individuate nella “realizzazione in epoca pregressa di una struttura in profilati metallici a copertura di un’area da utilizzare come parcheggio”, nonché nell’apposizione, a delimitazione dell’accesso all’area interessata, di una “barra elettrica”, con ulteriore realizzazione di un “impianto luce e allaccio elettrico ad un modulo di cantiere ivi ubicato”.

Nella citata sentenza, la ravvisata infondatezza del ricorso era, sinteticamente, ricondotta alle seguenti ragioni:

– assenza di qualsiasi titolo abilitativo per le opere realizzate;

– inefficacia delle denunce di inizio attività (DIA), in precedenza presentate, che non abilitavano all’effettuazione degli interventi nelle stesse previsti, tenuto conto dei vincoli gravanti sull’area (zona N di PRG; verde e servizi pubblici di livello locale; vincolo paesaggistico “Valle del Tevere”, imposto con DGR della Regione Lazio n. 5580 del 27.10.1998; vincolo archeologico e paesistico in base alla variante del PRG denominata “Piano delle Certezze”, adottata con delibera di C.C. n. 92 del 29.5.1997);

– non coincidenza fra i lavori contestati e quelli descritti nelle DIA;

– assenza di parere autorizzativo dell’Ente preposto;

– barra elettrica “non…opportunamente rappresentata e…dettagliatamente descritta, come previsto dagli articoli 22 e 23 T.U. dell’Edilizia”.

Avverso la predetta sentenza è stato proposto l’atto di appello in esame (n. 5782/13, notificato il 24.7.2013), in base alle ragioni difensive di seguito riportate:

A – Con riferimento alla sentenza appellata:

– carenza di motivazione e di istruttoria; travisamento dei fatti; illegittimità manifesta;

B – con riferimento alle determinazioni dirigenziali impugnate:

1) violazione dell’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 16 della legge della Regione Lazio n. 15/2008; eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti; illogicità manifesta, non potendosi definire come “intervento” edilizio l’apposizione di una barra elettrificata per l’accesso al parcheggio, tenuto conto della già esistente recinzione e di due cancelli;

2) violazione degli articoli 22 e seguenti del d.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per carenza di istruttoria, indeterminatezza, illogicità ed ingiustizia manifeste, in quanto la struttura in profilati metallici, a chiusura del parcheggio, non sarebbe stata priva di titolo edilizio, in considerazione di denunce di inizio attività, al riguardo presentate nel 2003 e nel 2004: circostanza, quella appena indicata, che avrebbe imposto al Comune di fornire adeguata motivazione, in ordine all’interesse pubblico sottostante all’emanazione degli atti impugnati, essendo comunque necessario che questi ultimi fossero preceduti da un atto di autotutela dell’Amministrazione.

Il parere della Soprintendenza, inoltre, non sarebbe stato necessario, in quanto non richiesto per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e restauro conservativo, ovvero per interventi che non alterassero “lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”. Non avrebbe trovato applicazione, pertanto, l’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004 ed in ogni caso non risulta che l’Amministrazione abbia indetto, come avrebbe dovuto fare, apposita conferenza di servizi, ex art. 23, c. 4, T.U.E., adottato con d.P.R. n. 380/2001.

E’ stata segnalata, ad ogni modo, l’avvenuta presentazione, in data 28.6.2013, di istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica alla Regione Lazio, ex. art. 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42/2004;

3) ancora violazione dell’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 16 della legge regionale n. 15/2008, non corrispondendo la sanzione demolitoria alla tipologia degli interventi effettuati, non identificabili come trasformazioni o modificazioni “sine titulo”

Il Comune di Roma, costituitosi in giudizio, resisteva formalmente all’accoglimento dell’impugnativa.

Premesso quanto sopra – e rilevata, in via preliminare, l’irrilevanza della censura di difetto di motivazione della sentenza appellata, essendo tale ipotetico vizio assorbito dall’effetto devolutivo dell’appello (che comporta integrale rivalutazione delle questioni controverse in tale sede riproposte, con modifica o integrazione della motivazione ove necessario: cfr. in tal senso Cons. St., sez. IV, Cons. St., sez. IV, 19.9.2012, n. 4974 e 20.12.2005, n. 7201; Cons. St., sez. V, 17.9.2012, n. 4915, 13.2.2009, n. 824 e 19.11.2009, n. 7259; Cons. St., sez. VI, 25.9.2009, n. 5797 e 24.2.2009, n. 1081; Cons. St., sez. III, 10.4.2012, n. 2057) – il Collegio ritiene che l’impugnativa in esame sia solo parzialmente fondata.

Per quanto riguarda infatti, in primo luogo, l’installazione di una barra elettrificata, retrostante al cancello esistente di accesso al parcheggio, con impianto luce e allacci elettrici, appare condivisibile la tesi, secondo cui si tratterebbe di interventi corrispondenti ad “attività edilizia libera”, disciplinata dall’art. 6 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia). Ai sensi del comma 1, lettera a) della citata norma non richiedono, infatti, alcun titolo abilitativo – fatte salve specifiche prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali o altre disposizioni, fra cui quelle dettate a tutela dei beni culturali ed il paesaggio – gli interventi di manutenzione ordinaria, che l’art. 3 del medesimo d.P.R. n. 380/2001 definisce come “interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie a mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”.

Ad avviso del Collegio, l’elettrificazione di un cancello esistente, o l’apposizione (come nel caso di specie) di un barra mobile, integrativa delle funzioni del medesimo cancello e dalle caratteristiche estetiche non invasive, così come l’installazione di un sistema di illuminazione, rientravano nella nozione di manutenzione ordinaria sopra specificata e non risultavano suscettibili di incidere su valori paesaggistici protetti, salvo prescrizioni particolarmente restrittive, non evidenziate nella situazione in esame.

A diverse conclusioni si deve pervenire, invece, per quanto riguarda la struttura in profilati metallici, destinata secondo la parte appellante ad assicurare l’ombreggiatura e la protezione del sottostante parcheggio. Tale struttura, come evidenziato dalla documentazione fotografica in atti, appariva per dimensioni e caratteristiche di sicuro e non indifferente impatto visivo sull’area protetta, con evidente necessità di apposito titolo abilitativo.

A tale riguardo gli appellanti sottolineano l’avvenuta presentazione, da svariati anni, di due denunce di inizio attività, in presenza delle quali le installazioni di cui trattasi non avrebbero potuto ritenersi abusive, con conseguente necessità che l’Amministrazione procedesse – prima di emettere eventuali provvedimenti repressivi – a rimuovere il predetto titolo abilitativo, tacitamente formatosi, in via di autotutela. L’ordine di demolizione impugnato, in quanto privo di qualsiasi riferimento al riguardo, sarebbe stato quindi illegittimo.

Il Collegio non condivide tale prospettazione.

In materia di denuncia di inizio attività (DIA), come disciplinata dall’art. 22 del d.P.R.6.6.2001, n. 380, in effetti, sussistono tuttora diversi indirizzi giurisprudenziali, che investono sia la natura giuridica dell’istituto, sia gli effetti del decorso del termine, che consente al dichiarante di effettuare gli interventi edilizi oggetto di denuncia (in alcune pronunce, in particolare, si ravvisa in esito alla procedura in questione la formazione di un provvedimento tacito, abilitativo dell’intervento: cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 5.4.2007, n. 1550; Cons. St., sez. IV, 12.3.2009, n. 1474 e 25.11.2008, n. 5811; Cons. St., sez. II, 28.5.2010, parere n. 1990; in altre decisioni si identifica la DIA come atto privato di autocertificazione, che pur non costituendo espressione di potestà pubblicistica resta oggetto di poteri di controllo ed inibitori, anche dopo la scadenza del predetto termine, sempre comunque nel rispetto degli articoli quinquies e nonies della legge n. 241/1990: cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 9.2.2009, n. 717 e 14.11.2012, n. 5751); le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela, tuttavia, richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali la DIA deve ritenersi inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate – in quanto prive di titolo abilitativo – agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione.

Detti requisiti sono precisati, oltre che nell’art. 22 sotto il profilo oggettivo, nell’art. 23 del citato d.P.R. n. 380/2001: al comma n. 1 di quest’ultimo, per quanto riguarda le modalità della domanda ed i requisiti soggettivi richiesti per la relativa presentazione, e nel comma 4 in presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la cui tutela non competa, come nel caso di specie, all’Amministrazione comunale. E’ poi chiarito al comma 5 del medesimo articolo 23 che, per comprovare il carattere non abusivo delle opere realizzate, gli interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche “gli atti di assenso eventualmente necessari”.

E’ vero che il ricordato quarto comma dell’art. 23 prevede la convocazione, da parte del Comune, di una conferenza di servizi, quando non risulti allegato alla DIA il “parere favorevole del soggetto preposto alla tutela” del bene (con inefficacia della stessa DIA in caso di esito non favorevole della conferenza), ma la formulazione della norma indica chiaramente che detto parere debba essere stato quanto meno richiesto, benchè non ancora ottenuto. L’assenza di tale fondamentale adempimento – per un’istanza che deve riguardare interventi “conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente” – non può non ritenersi ostativa dell’efficacia della medesima DIA alla scadenza del termine, in astratto previsto per l’esecuzione delle opere oggetto della domanda: non a caso, il comma 6 dell’art. 22 del più volte citato d.P.R. n. 380/2001 subordina la realizzazione degli interventi edilizi, per gli immobili vincolati, al “preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative” (con evidente riferimento alla non decorrenza del termine, previsto per l’inizio dei lavori, in assenza di detti pareri o autorizzazioni).

Nella situazione in esame, gli interessati hanno documentato l’avvenuta presentazione di istanza di accertamento di compatibilità paesistica alla Regione Lazio il 28.6.2013 e, quindi, successivamente all’emissione dell’ordine di demolizione impugnato (da considerare assorbente rispetto al precedente ordine di sospensione dei lavori).

Detta istanza non può considerarsi, tuttavia, oggetto del presente giudizio, pur potendo la stessa risultare prodromica ad una procedura di sanatoria, incidente sull’esecutività, ma non anche sulla legittimità della sanzione, da valutare – quest’ultima – in base ai presupposti di fatto e di diritto, sussistenti alla data della relativa emanazione. In tale ottica, l’ordine di demolizione impugnato appare emesso, per quanto riguarda la struttura in profilati metallici, in conformità alle disposizioni legislative, di cui nel secondo ordine di censure si prospettava la violazione (articoli 10, 22 e 23 del d.P.R. n. 380/2001, legge della Regione Lazio n. 15/2008). Ugualmente infondate appaiono le argomentazioni, che nel medesimo ordine di censure vengono riferite alla riconducibilità delle installazioni di cui trattasi ad interventi non incidenti sullo stato dei luoghi, tanto da non richiedere l’intervento dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Come già in precedenza chiarito, infatti, dette installazioni presentano caratteristiche di visibilità e stabilità, tali da produrre l’effettiva trasformazione di un’area in precedenza inedificata, con conseguente non rispondenza dell’intervento a finalità meramente manutentive o conservative dell’assetto esistente, tali da escludere il necessario apprezzamento di detta Autorità. Considerazioni analoghe inducono a respingere anche il terzo ed ultimo motivo di gravame, riferito alla natura della sanzione: fermo restando, infatti, che l’inefficacia della DIA lascia comunque aperta la qualificazione dell’intervento (non effettuato su opere preesistenti, ma in area non edificata e soggetta a regime vincolistico), va comunque ricordato come – anche per le opere soggette a DIA, specificate nel citato art. 22 del d.P.R. n. 380/2001 – l’art. 37 del medesimo d.P.R. preveda la rimessa in pristino stato dei luoghi, in presenza di interventi effettuati su immobili vincolati.

Il Collegio ritiene pertanto, conclusivamente, che l’appello in esame possa essere accolto solo nei limiti in precedenza specificati, ovvero con esclusivo riferimento al primo ordine di censure, riferito alla installazione della barra di accesso al parcheggio (fatti salvi, per le altre opere contestate, gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, in esito alla procedura autorizzativa avviata a sanatoria); quanto alle spese giudiziali, infine, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto del solo parziale accoglimento delle tesi difensive dell’appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie in parte il ricorso in appello indicato in epigrafe, nei termini specificati in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla la determinazione dirigenziale n. 2117 del 29.10.2012, nella parte riferita ad “apposizione di una barra elettrica a delimitazione dell’accesso”, nonché ad “impianto luce e allaccio elettrico ad un modulo di cantiere”; compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 settembre 2013 con l’intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Vito Carella, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Bernhard Lageder, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 20/11/2013

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO

 



[1] Che diverrà “dichiarazione di inizio attività” ed infine “segnalazione di inizio attività”

[2] Consiglio di Stato se. V 3586/2006 ha aderito alla tesi della natura privatistica della d.i.a.

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