N.B. La correzione di seguito riportata completa la soluzione numero 1. Pertanto le due soluzioni vanno lette congiuntamente

A cura del dott. Luca Marzullo

Individuati i casi in cui la P.A. ha l’obbligo di provvedere, tratti il candidato delle conseguenze dell’inadempimento , dei rimedi  esperibili e dell’eventuale risarcimento del danno.

 

La traccia richiedeva al candidato di affrontare il delicato tema dell’inerzia dell’amministrazione e dei rimedi esperibili.

L’ampiezza della traccia e, quindi, del suo svolgimento, poteva consigliare di individuare un filo conduttore attraverso il quale esaminare i profili richiesti. In quest’ottica, si poteva principiare dall’inerzia della pubblica amministrazione e del suo significato. Il processo di semplificazione e di liberalizzazione, infatti, ha consentito che nei procedimenti ad istanza di parte la pubblica amministrazione soddisfi il suo obbligo a provvedere semplicemente attraverso il comportamento inerte, al quale viene dunque riconosciuto il valore di silenzio significativo.

In quest’opera di semplificazione o liberalizzazione a controllo successivo, dunque, è stato generalizzato il meccanismo del silenzio assenso ed è stata prevista come eccezionale l’ipotesi di un silenzio diniego.

Delineato dall’esterno il contenuto dell’obbligo a provvedere, il candidato poteva quindi esaminare il contenuto di tale obbligo ricavabile, salvo alcune specificazioni dall’art. 20 della l. 241 allorché per materie che si potrebbero definire “sensibili” il legislatore impone che l’istruttoria provvedimentale si concluda con l’adozione di un provvedimento espresso.

È, quindi, con riferimento a tale ipotesi che si delinea l’obbligo a provvedere della pubblica amministrazione e della necessità di tutela avverso l’inerzia della medesima che a buon titolo può essere qualificata inadempimento.

In tal senso il candidato, richiamata l’origine storica del cd. rito avverso il silenzio e della necessità di inquadrarlo in un primo momento nel modello delle azioni costitutive (silenzio rifiuto), poteva, anzitutto, inserire l’azione avverso il silenzio nel più ampio panorama del sistema delle azioni.

Dopo una rapida disamina dei requisiti previsti dall’azione, ci si poteva soffermare sulla possibilità di chiedere la condanna all’adozione di un provvedimento espresso (azione di adempimento), espunta dal progetto iniziale, ma che nuova linfa potrebbe trovare dall’art. 34, c. 2, lett. c, analizzando quindi il rapporto tra azioni.

Si poteva, dunque legare tale ipotesi alla possibilità del giudice di conoscere della fondatezza della pretesa (in ipotesi vincolate o senza margine di discrezionalità) e della preventiva nomina del commissario.

Il cumulo di azioni andava analizzato, indubbiamente, con riferimento all’azione di condanna al risarcimento del danno da ritardo – questa sicuramente cumulabile in sede di azione avverso il silenzio.

A proposito del danno da ritardo, il candidato poteva analizzarne la consistenza e, in particolare, la sua risarcibilità per il mero fatto del ritardo ovvero se implichi pur sempre la lesione di un interesse sostanziale.

Proceduralmente le due azioni sono cumulabili, ma la peculiarità del rito consente al giudice la scissione fra decisione della azione avverso il silenzio e risarcitoria, la quale può essere proposta anche allorché si impugni con motivi aggiunti il provvedimento sopravvenuto (con contestuale conversione del rito).

Poteva essere interessante concludere l’elaborato con due questioni problematiche.

La prima legislativamente risolta: l’assoggettabilità all’azione avverso il silenzio della contestazione del procedimento avviato con scia. Il secondo della possibilità di riscontrare un obbligo a provvedere anche in caso di istanza di autotutela (inevitabile, in tal caso, un riferimento all’illegittimità comunitaria).

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