di Samantha Mendicino

 

Il richiamo al principio della buona fede pare essere un lietmotive del nostro ordinamento in tema di rapporti giuridici e/o di esercizio di diritti o poteri dei privati: lo individuiamo nel codice civile[1] e lo ritroviamo anche nelle leggi speciali[2]. Ma, in concreto: cos’è la buona fede?

Partendo dal suo concetto di base, ricordiamo che secondo l’art. 1147/I co. cc (in materia di possesso ma riferibile anche alla invalidità contrattuale che fa salvi i beni acquistati dal terzo in buona fede) “E’ possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto. La buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave. La buona fede e presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto“. Dunque, già identifichiamo una buona fede in senso soggettivo, intesa come “ignoranza di ledere l’altrui diritto senza dolo o colpa grave” ed una buona fede in senso oggettivo, nota più generalmente come correttezza, che individua e richiama le regole di comportamento. L’obbligo di buona fede-correttezza è un autonomo dovere giuridico ed una specificazione degli inderogabili doveri di solidarietà sociale ex art 2 Cost.

La sua finalità principale è quella di rappresentare una formula di chiusura dell’ordinamento giuridico: a tal proposito, nel richiamare il contenuto di Spigolature nel n. 1 della rivista (in tema di clausole generiche e/o elastiche[3]) ricordiamo qui brevemente che anche la buona fede fa parte di quelle clausole di salvezza che evitano che l’applicazione rigida e formale della legge si trasformi in ingiustizia sostanziale secondo il noto brocardo summum ius summa iniuria.

Dunque, abbiamo precisato che la buona fede intesa come clausola generale è la buona fede oggettiva e, dunque, essa è sinonimo di correttezza. Oggi, però, la buona fede da strumento di valutazione del comportamento[4] delle parti (in conformità al regolamento negoziale) è divenuta essa stessa fonte di obbligazioni ulteriori, e non pattuiti, per le parti contrattuali. Essa non sarebbe, dunque, espressione del generale principio del neminem ledere  (art. 2043 c.c.) bensì fonte di obblighi di protezione (rectius obblighi ulteriori rispetto alla prestazione) che nascono in occasione dell’incontro delle parti contrattuali.  Da questo ragionamento ben si può comprendere la differenza tra la buona fede e la diligenza: mentre quest’ultima impone l’adempimento degli obblighi inseriti nel contratto, indicando la “misura del dovere” (cioè il contenuto del comportamento che il debitore deve assumere); la buon fede  richiede l’adempimento di quei doveri che, sebbene non cristallizzati nel contratto, risultano per il nostro ordinamento doverosi.

Ed ancora, sottolineaiamo un’altra differenza: quella tra la buona fede ed equità. La prima è una clausola generale mentre la seconda può essere definita come la giustizia del caso concreto. Ciò anche se è stato osservato che il confine tra esse è evanescente: il giudice nell’applicare la buona fede o l’equità, in termini concreti, compie operazioni simili[5].

Ma tornando ad approfondirne il significato, si intende evidenziare che la circostanza che la buona fede abbia assunto una notevole importanza ai giorni attuali è il frutto di una conquista avvenuta mediante una lenta e lunga evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale che possiamo sinteticamente ripercorrere al fine di poter meglio comprendere l’attuale portata di questa clausola generale.

Si è già detto che originariamente il suo concetto coincideva con la nozione di correttezza e, dunque, la buona fede rappresentava (ed anche oggi rappresenta) uno strumento di valutazione dei comportamenti.

Ma non passa molto tempo e la prima tappa evolutiva vede la buona fede trasformata, in ossequio all’art. 2 Cost., a strumento di integrazione degli obblighi contrattuali: dunque, è in virtù della buona fede che le parti del contratto sono tenute non solo ad eseguire ciò che è contrattualmente previsto ed, in via integrativa, i comportamenti imposti dalla legge, dagli usi e/ dall’equità ma anche ad assumere quelle condotte solidali (ex art. 2 cost.) che risultano rispettose degli interessi della controparte.

Non solo: il contenuto della buona fede, ben presto, dimostra  la sua naturale propensione a rappresentare il  limite all’esercizio del diritto del singolo a garanzia della funzione allo stesso diritto attribuito dalla legge. Da qui discende il collegamento tra la buona fede ed il generale divieto dell’abuso del diritto con tutte le sue applicazioni (tra cui l’exceptio doli generalis[6]). In breve: anche quando alcuni comportamenti ricevono l’avallo normativo da parte dell’ordinamento, ciò non toglie che essi possano essere vietati funzionalmente. E ciò accade quando questi siano posti in essere per fini fraudolenti o capricciosi che sviano la funzione inizialmente attribuita loro dalla legge: ciò che sul piano formale è un diritto/potere della parte, secondo la legge, diviene sul piano sostanziale un abuso dello stesso diritto/potere[7].

Sul piano sanzionatorio la violazione della buona fede, in tutte le suesposte accezioni, prevede il rimedio del risarcimento del danno (sub specie di responsabilità contrattuale o extracontrattuale) oppure, nei casi più gravi, della risoluzione per inadempimento, oppure ancora, l’applicazione dell’exceptio doli generalis contro l’azione che rappresenti esercizio abusivo del diritto.

Tuttavia di recente, la giurisprudenza, soprattutto in materia di contratti del consumatore, ha prospettato la possibilità che la buona fede (elevata a mezzo di controllo dell’autonomia negoziale) assurga a vera e propria regola di validità del contratto. E’ evidente che da questa premessa ne deriverebbe, sul piano sanzionatorio, che alla sua violazione fa seguito la nullità virtuale della stipulazione (art. 1418 c.c.): tanto quale conseguenza della violazione della norma imperativa che impone condotte corrette in sede di stipulazione.  C’è da precisare, però, che tale interpretazione è stata utilizzata in materia di contratti di intermediazione finanziaria da quella parte di giurisprudenza che ha intravisto nella omissione degli obblighi informativi (che l’intermediario finanziario deve assolvere in favore del risparmiatore/investitotre) un comportamento contrario a buona fede a tal punto da inficiare la validità stessa dei contratti conclusi[8] (punibili con la loro nullità).

Non appare un fuor d’opera il menzionare, infine, che la necessità del rispetto della clausola della buona fede si è estesa altresì all’attività amministrativa, iure privatorum o autoritativa. Si richiama, a tal uopo, la sentenza pronuciata dal Consiglio di Stato n. 3536/2008 in cui si verteva di un contenzioso ove la P.A. veniva accusata di aver indotto in errore il privato in buona fede: “… nel rispetto dei principi fondamentali fissati dall’art. 97 della Costituzione, l’amministrazione è tenuta ad improntare la sua azione non solo agli specifici principi di legalità, imparzialità e buon andamento, ma anche al principio generale di comportamento secondo buona fede, cui corrisponde … l’onere di sopportare le conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento che abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo affidamento[9]



[1] Ex multis: 1) artt. 1175 c.c., in materia di obbligazione: ” Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”; 2) art. 1328 c.c., in materia di revoca della proposta contrattuale, ” La proposta può essere revocata finché il contratto non sia concluso. Tuttavia, se l’accettante ne ha intrapreso in buona fede l’esecuzione prima di avere notizia della revoca, il proponente è tenuto a indennizzarlo delle spese e delle perdite subìte per l’iniziata esecuzione del contratto…”; 3) art. 1337 c.c., in materia di responsabilità precontrattuale, “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede“; 4) art. 1358 c.c., contratti sottoposti a condizione, “colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede onde conservare integre le ragioni dell’altra parte“; 5) art. 1366 c.c., in tema di interpretazione, “il contratto deve essere interpretato secondo buona fede“; 6) art. 1375 c.c., in materia contrattuale,: “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede“; 7) art. 1460 c.c., in tema di eccezione d’inadempimento, “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria , salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze , il rifiuto è contrario alla buona fede

[2] Codice del consumo, D. Lgs. n. 206/2005, art. 33, in materia di vessatorietà delle clausole contenute nei contratti del consumatore, “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto…”; il cd. Statuto del contribuente, L. n. 212/2000, art. 10, in materia di rapporti tra Fisco e contribuente, “i rapporti tra contribuente ed amministrazione sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede e che non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato ad indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorchè successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni ed errori dell’amministrazione; ecc.

[3] Spigolature, Nuove frontiere del diritto, n. 1, pag. 303 e ss. Disponibile su www.nuovefrontierediritto.it

[4] Non dimentichiamo che mentre la violazione di norme inderogabili concernenti la validità comporta la nullità dell’atto; invece, la violazione di norme inderogabili concernenti il comportamento comporta una responsabilità di tipo risarcitorio. Ex multis ricordiamo Cass. Civ. SS.UU., sent. n. 26724/2007 in tema di responsabilità dell’intermediatore finanziario, secondo cui ”  la violazione dei doveri di informazione del cliente e del divieto di effettuare operazioni in conflitto di interesse con il cliente o inadeguate al profilo patrimoniale del cliente stesso, posti dalla legge a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, non danno luogo ad una nullità del contratto di intermediazione finanziaria per violazione di norme imperative. Le suddette violazioni, se realizzate nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto, danno luogo a responsabilità precontrattuale con conseguente obbligo di risarcimento del danno; se riguardano, invece, le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto, danno luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento (o inesatto adempimento), con la conseguente possibilità di risoluzione del contratto stesso, oltre agli obblighi risarcitori secondo i principi generali in tema di inadempimento contrattuale(dal sito www.cortedicassazione.it e, precisamente, http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniUnite/SchedaNews.asp?ID=1841). Oppure: Cass. Civ, ord. n. 3683 del 16 febbraio 2007, nota di SCODITTI, Regole di comportamento e regole di validità nei contratti su strumenti finanziari: la questione alle sezioni unite in Foro Italiano I, 2007,  2093.

[5] SACCO R., Il contratto,  in Tratt. Dir. Civ., diretto da Vassalli, vol. IV, Torino, 1975, pag. 798 e ss.

[6] Alcuni esempi: – nell’ambito dell’aumento del capitale sociale, qualora esso sia finalizzato all’estromissione di uno o più soci; – nell’ambito del contratto autonomo di garanzia, qualora il creditore, dopo aver già ricevuto il pagamento dal debitore principale, maliziosamente pretenda (essendogli consentito dalla legge, in base alla regola della autonomia dei relativi rapporti) l’adempimento anche dal garante “a prima richiesta” (il quale avrà salva la possibilità di regresso nei riguardi del garantito) ecc. Ancora: – la L. 192/1998, sulla disciplina della subfornitura nelle attività produttive, che fa espresso riferimento al divieto di abuso dello stato di dipendenza economica nella quale si trova una impresa cliente o fornitrice nei confronti di un’altra impresa; – l’ipotesi di doppia alienazione immobiliare; Il detto principio esiste anche in diritto tributario: Il giudice comunitario ha affermato il principio dell’abuso del diritto in materia tributaria secondo cui: non possono trarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un risparmio fiscale” (Cass., sez. trib, sent. n. 22932/2005 e di pari tenore: Cass. sez. trib., sentt. n. 21221/2006 e n. 20398/2005)

[7] L’orientamento giurisprudenziale e dottrinario moderno ammettono l’esistenza nel nostro sistema giuridico del divieto dell’abuso del diritto che, altro non sarebbe, se non una categoria generale nella quale far rientrare ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela per essere stato esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge. Esempi tipici sono: – l’abuso della cosa da parte del creditore pignoratizio; – il divieto di concorrenza sleale (art 2598 c.c.); – la minaccia di far valere un diritto (art 1438 c.c.); – l’abuso della potestà genitoriale ecc.

[8] Non si dimentichi, tuttavia, che -al di là dei contrasti di vedute in merito- resta regola immanente nel nostro ordinamento giuridico la distinzione tra norme di comportamento, la cui violazione dà origine a responsabilità aprendo la strada anche al rimedio della risoluzione, e norme di validità dei contratti, la cui violazione incide sulla genesi del contratto determinandone la nullità. Ciò si precisa perchè è la stessa giurisprudenza (proprio in tema di obblighi di informazione gravanti sugli intermediari finanziari nella prestazione dei servizi di investimento) a ribadire tale distinzione

[9] Si possono leggere in materia anche: – Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1441/2012, in materia di correttezza nella negoziazione precontrattuale della P.A.; – Cons. Stato, sez. V, sent. n. 3384/2007, in materia di correttezza negli appalti della P.A.; – Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 6190/2006 ecc.

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