IL DANNO DA OCCUPAZIONE ABUSIVA DI IMMOBILE

Cassazione civile, sentenza 29/03/2012, n. 5058

di Maria Luisa Pignatelli

Massima

Il danno evento da occupazione abusiva di un immobile consiste nell’instaurazione di una situazione di godimento diretto sul bene da parte del detentore senza titolo, che ne preclude il godimento diretto e indiretto al titolare. Da ciò si distingue il danno conseguenza in senso patrimoniale che dipende dall’atteggiarsi del godimento del titolare sul bene al momento in cui si verifica l’occupazione e dal verificarsi di situazioni di fatto ostative al godimento e alla percezione di utilità da parte del titolare.

Non vi alcun pregiudizio economicamente risarcibile nel caso in cui il titolare dell’immobile non goda né direttamente né indirettamente dell’immobile oggetto di occupazione.

Diversamente nel caso in cui l’occupazione determini un pregiudizio economico percgè preclude la prosecuzione del godimento diretto o indiretto dià in atto o l’attuazione di un serio e concreto progetto di utilizzazione, il giudice potrà determinare l’ammontare del danno risarcibile anche avvalendosi di presunzioni.

 

Norme di riferimento

Artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697 cc.

 

Il fatto

Tizio, alla morte del padre, cita in giudizio la seconda moglie e il di lei nipote per sentirli condannare al rilascio dell’appartamento, dove la donna continuva ad abitare dopo la morte del compagno, in compagnia del nipote, vantando la presunta titolarità di un diritto di abitazione. Il Tribunale di Arezzo, sezione distaccata di Montechiavari, dichiara, con sentenza non definitiva, l’infondatezza della tesi difensiva, ordinando ai convenuti l’immediato rilascio. Con successiva sentenza definitiva accoglie altresì la richiesta attorea di risarcimento danni per occupazione abusiva, nella misura pari al canone di affitto medio per il periodo corrispondente all’occupazione.

I soccombenti impugnano il capo della sentenza relativo alla condanna al risarcimento danni, ottenendone l’annullamento per difetto della prova del danno da occupazione. Tizio propone ricorso per Cassazione.

 

Il quesito giuridico

Il quesito di diritto che si pone all’attenzione del Giudice di legittimità riguarda la natura del danno da occupazione abusiva, con specificazione dell’onere probatorio.

In breve: il danno da occupazione sine titulo può ritenersi sussistente in re ipsa, esonerando quindi il titolare dell’immobile dall’onere di provare il pregiudizio subito, oppure è una variabile eventuale e dipendente dalla concreta impossibilità di godimento o utilizzo diretto o indiretto del bene che va allegata e dimostrata dal titolare?

 

Nota esplicativa

L’iter decisionale della sentenza che si annota si dipana dall’analisi dei precedenti giurisprudenziali che offrono soluzioni apparentemente contrastanti al quesito di diritto.

La decisione della Corte di appello è frutto dell’applicazione della massima espressa nella sentenza della Cass. civ. n. 378/2005, dove si nega la sussistenza di un danno da occupazione abusiva in re ipsa, occorrendo, invece, dimostrare la sussistenza di un pregiudizio economico conseguente all’impossibilità del godimento e dell’utilizzo del titolare dell’immobile occupato da terzi.

D’altra parte il ricorrente elabora la propria difesa sulla base del principio di diritto espresso nella sentenza n. 10498/2006 della Cass. civ., secondo cui l’occupazione sine titulo è di per sé produttiva di un pregiudizio per il titolare dell’immobile, in quanto ostativa della percezione dei frutti e delle utilità della res a causa dell’illecità situazione di fatto determinata dall’occupante. A questa pronuncia si conformano le successive decisioni in materia, che evidenziano, in relazione al quantum debeatur, la possibilità del giudice di merito di ricorrere ad elementi presuntivi, quale il valore locativo di mercato.

La Suprema Corte dirime il contrasto tra i due filoni giurisprudenziali testè richiamati affermando che una corretta esegesi della massima del 2005 consente di elidere ogni contrasto con il chiaro orientamento successivamente consolidatosi. Ed infatti la sentenza del 2005 pone l’accento sull’impossibilità di far coincidere il danno con l’evento dell’occupazione abusiva che lo ha determinato, trattandosi invece di un danno conseguenza che si risolva in una concreta lesione del patrimonio del titolare dell’immobile. Con ciò la Suprema Corte ha inteso distinguere il danno evento dal danno conseguenza, precisando che il titolare dell’immobile non può pretendere il risarcimento per il sol fatto che un terzo lo abbia occupato senza titolo, ma dovrà allegare le conseguenze dell’occupazione abusiva economicamente pregiudizievoli.

Tirando le fila del discorso, è doveroso discernere il danno evento, consistente nell’instaurazione sul bene di una situazione di diretto godimento dell’occupante che preclude la possibilità al titolarne di goderne direttamente o indirettamente, dal danno conseguenza, coincidente con il pregiudizio economico arrecato al titolare per effetto dell’occupazione.

Il danno coseguenza, in particolare, è in correlazione con l’atteggiarsi del rapporto con la res che il titolare aveva prima dell’occupazione. Così nel caso in cui il titolare era nel possesso dell’immobile, utilizzato per lo svolgimento di un’attività o per uso abitativo, l’occupazione abusiva ne determinerà una sicura perdita patrimoniale derivante dall’impossibilità di proseguirne l’utilizzo. Diversamente se non vi era godimento diretto o indiretto (oggetto di locazione) e neppure vi era un concreto progetto di prossima utilizzazione, l’occupazione abusiva non arrecherà alcun pregiudizio economico, in termini di lucro cessante.

Applicando le suesposte coordinate interpretative al caso in esame, la Suprema Corte ritiene che la sentenza di secondo grado sia da cassare, in quanto ha fatto cattiva applicazione del suddetto principio di diritto: alla morte del padre di Tizio, la permanenza nell’appartamento della compagna e del nipote del de cuius hanno determinato un’evidente violazione del diritto di godimento di Tizio, coabitante, che non poteva godere prienamente dei 5/6 dell’immobile ricevuti in eredità.

Quanto alla determinazione del quantum, la Corte convalida il ricorso al metodo presuntivo, con utilizzo del parametro del canone locativo medio.

 

Pronunce conformi e/o difformi

Cass.  civ. n. 378/2005;

Cass. civ. n. 10498/2006; Cass. civ. n. 3251/2008; Cass. civ. n. 20617/2009; Cass. civ. n. 24437/2009; Cass. civ. n. 3223/2011.

 

Sentenza

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. Con sentenza non definitiva in data 10 ottobre 2000 il Tribunale di Arezzo, Sezione Distaccata di Montevarchi, decidendo sulla lite insorta, alla morte di S.D., tra S.F. e A.G. (rispettivamente figlio e seconda moglie del defunto), in ordine al godimento dell’appartamento sito in via della (OMISSIS), dichiarava che nè A. G., nè il di lei nipote D.S.M., pure convenuto in giudizio e che con la prima era andata a convivere, avevano diritto di abitare nell’appartamento.

p.1.1. Con sentenza definitiva del 9 marzo 2004 il Tribunale di Arezzo accoglieva la domanda di risarcimento danni di S. F. e, basandosi sulla c.t.u. accertativa dell’indennità di occupazione (equiparata al canone di affitto medio per un appartamento di tale tipologia), condannava gli occupanti abusivi al pagamento della somma di Euro 25.802,74 in ragione di Euro 518,10 al mese per il periodo tra il 18 gennaio 1997 (data del decesso di S.D.) e il 10 ottobre 2000 (data di riconsegna delle chiavi).

p.1.2. Detta decisione, gravata da impugnazione della A. e del D.S., era riformata con sentenza in data 15 luglio 2009 dalla Corte di appello di Firenze che rigettava la domanda di risarcimento del danno, compensando interamente tra le parti le spese dei due gradi, salvo quelle di c.t.u. che lasciava a carico della parte attrice.

p.1.3. Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.F., svolgendo tre motivi.

p.2. Hanno resistito con controricorso la A. ed il D. S..

p.3. Il ricorso, previa redazione di relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., veniva avviato alla trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376380-bis e 375 c.p.c., ma, nell’adunanza del 21 ottobre 2010, in vista della quale parte ricorrente depositava memoria, il Collegio, non condividendo le conclusioni della relazione, che erano state nel senso del rigetto del ricorso, disponeva la rimessione del ricorso alla Sezione per la trattazione in pubblica udienza.

In vista della pubblica udienza parte ricorrente ha depositato memoria.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento agli artt. 2043 e 2056 c.c. in relazione agli artt. 1223 e 1226 c.c. circa la valutazione e liquidazione del risarcimento del danno, nonchè in relazione all’art. 2697 c.c. onere della prova.

Ci si duole della decisione impugnata là dove, in riforma della sentenza di primo grado, ha escluso che il S. avesse dato prova dell’esistenza di un danno risarcibile.

In particolare, la decisione impugnata, dopo avere osservato che, in ragione della sentenza parziale sull’accertamento dell’illegittimità dell’occupazione abitativa da parte degli appellanti risultava ormai accertata con effetto di cosa giudicata e che, pertanto, la materia del contendere era limitata all’accertamento della sussistenza di un diritto al risarcimento del danno in capo al S., correlato alla durata dell’occupazione, ha osservato che “sarebbe stato preciso onere di esso S. dimostrare che la mancata disponibilità totale dell’appartamento gli aveva procurato un lucro cessante (per mancata percezione di canone locativo o per perdita di vantaggiose occasioni di vendita) ovvero un danno emergente (per esborsi di somme a titolo di canone per conduzione d diverso appartamento)”.

Ha dichiarato, quindi, di assumere a criterio di giudizio il principio espresso da questa Corte, secondo cui anche nel caso di occupazione sine titulo di un immobile, il danno non può ritenersi in re ipsa, sicchè, ai fini del risarcimento, occorre che il danneggiato fornisca la prova di una effettiva lesione del suo patrimonio, consistente, per esempio, nel non aver potuto dare in locazione il bene, nel non aver potuto utilizzarlo direttamente e tempestivamente, nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente, o in altre analoghe situazioni pregiudizievoli (Cass. n. 378 del 2005).

Dopo di che ha osservato quanto segue: “Risulta, invero, pacifico che egli cioè il S. ha abitato nell’appartamento ereditato, prima con la seconda moglie del padre di lei ed il di lei nipote e poi da solo (come si desume dalla sua comparsa di costituzione in appello, la sua residenza è appunto indicata in (OMISSIS))”.

Ha, quindi concluso che “manca, pertanto, ogni prova di un concreto pregiudizio economico”.

p.1.2. La critica alla decisione impugnata viene argomentata invocando il principio di diritto affermato da Cass. n. 10498 del 2006 (nonchè altre precedenti ad essa conformi), secondo cui “In caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. La determinazione del risarcimento del danno ben può essere, in tal caso, operata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, con riferimento al c.d. danno figurativo e, quindi, con riguardo al valore locativo del bene usurpato”.

Si invoca, inoltre, Cass. n. 20617 del 2009, là dove ha ribadito che, secondo “il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno del proprietario usurpato è in re ipsa, raccordandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus ed all’impossibilità per costui di conseguire l’utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. La determinazione del risarcimento ben può essere determinata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, facendo riferimento al cosiddetto danno figurativo, e, quindi, con riguardo al valore locativo del cespite usurpato”. Si sottolinea, inoltre, che nello stesso senso si è espressa Cass. n. 24437 del 2009.

p.1.3. Il Collegio osserva che il motivo è ammissibile ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1 al contrario di quanto eccepito dai resistenti: invero, già la giurisprudenza citata dal ricorrente evidenzia che la sentenza impugnata ha citato un precedente che si colloca, almeno a stare a quanto dicono le massime, in un panorama che sembra, all’apparenza, come si vedrà, ispirarsi a principi diversi.

Non solo: in senso conforme a Cass. n. 10498 del 2006 si sono espresse Cass. n. 3251 del 2008 e più di recente Cass. n. 3251 del 2008 e Cass. n. 3223 del 2011.

Ancora più di recente nella stessa logica ermeneutica si è statuito che “In caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il pregiudizio subito dall’avente titolo è in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dalla mancata percezione di un reddito immobiliare. La determinazione del risarcimento del danno può essere pertanto operata dal giudice, sulla base di elementi presuntivi semplici, con riferimento al valore locativo di mercato del bene, avvalendosi anche, in difetto di un principio di tassati vita dei mezzi di prova, di accertamenti peritali svolti in altro procedimento, quali possono essere le stime relative al valore dell’immobile elaborate, con finalità d’interesse collettivo, nell’ambito di procedure concorsuali” (così Cass. n. 24100 del 2011).

Il Collegio osserva che, in realtà la sentenza impugnata ha fatto applicazione del principio di diritto enunciato da Cass. n. 378 del 2005 in modo erroneo.

Va rilevato che solo all’apparenza il detto principio contrasta con la giurisprudenza appena ricordata (e con quella citata nel ricorso ed anteriore a Cass. n. 10498 del 2006).

Il contrasto è apparente, perchè, pur affermando Cass. n. 378 del 2005 che il danno da occupazione abusiva non è in re ipsa, essa non si pone in contrasto con il consistente filone di giurisprudenza che ancora oggi afferma che un danno in re ipsa si configura.

Il contrasto è solo formale, perchè in realtà sia Cass. n. 378 del 2005 sia l’altro orientamento sono perfettamente consonanti.

La massima ufficiale di Cass. n. 378 del 2005 risulta così espressa:

“Il danno da occupazione abusiva di immobile (nella specie, terreno privato) non può ritenersi sussistente in re ipsa e coincidente con l’evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 cod. civ., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicchè il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto ad esempio locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo peraltro pur sempre avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti”.

In tal modo la sentenza, assumendo le condivisibili premesse teoriche circa la necessità di distinguere il c.d. danno evento da quello conseguenza, successivamente ribadite con la loro autorevolezza dalle sentenze delle Sezioni Unite con le quattro sentenza gemelle nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008, ha voluto rimarcare che il danno non può ritenersi in re ipsa nel senso che il danneggiato non può ottenerne il riconoscimento per il sol fatto che vi sia stata l’occupazione abusiva.

La sentenza ha voluto così sottolineare, proprio nella logica del danno conseguenza, che spetta al danneggiato (come traspare dalla motivazione ma ancora prima dallo stesso principio di diritto) allegare le situazioni fattuali dimostrative dell’esistenza del danno conseguenza.

Ma anche l’orientamento apparentemente opposto non sembra negare tale necessità, quando adombra il ricorso a criteri di normalità dell’individuazione dell’uso di cui il titolare del diritto è stato privato; così facendo, infatti, si riferisce a danni conseguenza e facendo riferimento a criteri di normalità non sembra prescindere dagli oneri di allegazione e prova, questi ultimi pur sulla base di presunzioni.

p.1.4. In realtà, occorre intendersi sulla identificazione del danno evento da occupazione senza titolo: esso è certamente rappresentato dall’instaurarsi sul bene di una situazione di godimento diretto dell’occupante, che preclude il godimento diretto del titolare e nel contempo non gli permette di goderlo indirettamente, cioè conferendone il godimento, cioè la detenzione, ad altri. E’ questo l’evento che si configura come danno evento, cioè come lesione della situazione vantata sull’immobile dal titolare.

Altra cosa è il danno conseguenza in senso patrimoniale. Esso naturalmente dipende dall’atteggi arsi del godimento del titolare sul bene al momento in cui si verifica l’occupazione e successivamente dal verificarsi di situazioni che, se l’occupazione non esistesse, consentirebbero la fruizione di utilità al titolare del bene.

Sotto il primo aspetto è palese che, per effetto del danno evento da occupazione, diversa è la situazione del titolare che godeva direttamente dell’immobile svolgendovi un’attività e che, dunque, vede preclusa la continuazione di tale possibilità, da quella del titolare che non svolgeva alcuna attività sull’immobile, cioè non esercitava un godimento diretto su di esso e nemmeno lo godeva indirettamente, cioè riscuotendo un’utilità economica da un terzo (ad esempio, un conduttore), cioè frutti civili, oppure soddisfaceva un’esigenza affettiva o amicale (come nel caso di utilizzazione gratuita da parte di un figlio o di un amico).

E’ proprio in relazione all’atteggiarsi del godimento al momento dell’occupazione altrui che, per il suo protrarsi, potrà emergere o meno un danno conseguenza in relazione all’esistenza o meno di una privazione della facoltà di godimento com’era in atto: a seconda dei casi si potrà dare l’esistenza di un danno emergente, come tale suscettibile di valutazione economica secondo le circostanze del caso. Ed il titolare dovrà allegarlo.

Se invece un godimento diretto non vi era e nemmeno ve n’era uno indiretto fonte di utilità, come nel caso in cui venga occupato un terreno che il titolare del diritto su di esso si limitava a godere a distanza senza svolgervi alcuna attività e lasciandolo inutilizzato (ad esempio incolto), allora non si configurerà danno conseguenza per effetto della privazione. La situazione del godimento del titolare resta, infatti, immutata ed egli non riceve danno conseguenza per effetto della privazione del godimento com’era.

Semmai, non diversamente da come potrebbe riceverlo anche il titolare che goda direttamente del bene, in questo caso, si potrà verificare un danno derivante dalla impossibilità di realizzare una modalità di godimento diretto che era stata programmata prima del’occupazione (come se si era divisato di realizzare una certa attività sul bene) o una modalità di godimento indiretto che si presenti (come nel caso in cui un terzo presenti un’offerta locativa, che non possa essere soddisfatta per l’occupazione del bene): in tali casi si tratterà di danno da lucro cessante e parimenti la situazione determinativa del danno andrà allegata e dimostrata.

La stessa Cass. n. 378 del 2005 adombra anche in motivazione naturaliter l’uso di presunzioni proprio nei sensi indicati.

p.1.5. Ora, nel caso di specie va considerato che l’occupazione senza titolo dell’immobile non è stata totale, ma parziale, essendosi verificata in una situazione nella quale il S. godeva, prima di acquisire la titolarità iure hereditatis del bene (per una quota di 5/6 si legge nel ricorso) dell’appartamento in via diretta non già in via esclusiva, bensì congiuntamente alla seconda moglie del de cuius. L’occupazione si è risolta, sotto il profilo del danno evento, nella permanenza della convivenza della medesima contro la volontà del S. e nell’instaurarsi di un godimento nuovo sempre invito il S. da parte del D.S..

Essi hanno determinato l’impossibilità del S. di godere direttamente dell’intero bene o, meglio dei 5/6 a lui spettanti. Se la A. ed il S. avessero cessato dall’occupazione abusiva, detto godimento, in quanto situazione fattuale già in atto, si sarebbe potuto naturaliter estrinsecare in via esclusiva e si tratta di una possibilità che è stata negata al S..

Si tratta di danno conseguenza in senso patrimoniale evidenziato da una situazione fattuale che la stessa sentenza ha affermato (sia pure per escludere un danno non patrimoniale da disagio di forzata convivenza; non è chiaro a che cosa essa si sia voluta riferire dicendo che dopo un cero momento l’appartamento vene goduto da solo dal S.: se ci si è riferiti al momento del rilascio evidentemente a partire da esso il danno cessò): infatti, la preclusione della possibilità di godimento diretto pieno del bene che sia concretamente in essere o concretamente esercitabile, secondo le circostanze del caso (come nella specie), è privazione di un’utilità patrimoniale e risulta dimostrata da detta situazione.

Ne consegue che la Corte d’Appello avrebbe dovuto riconoscerla esistente e, quindi, provvedere alla aestimatio del relativo danno, se del caso facendo applicazione di criteri equitativi di liquidazione, come potrebbe essere – trattandosi del modo normale di utilizzazione indiretta redditizia del bene e, quindi, equivalente al concreto utilizzo diretto precluso – l’individuazione del corrispettivo della locazione dell’immobile da parte del proprietario a terzi con permanenza del suo godimento diretto nell’immobile congiuntamente a quello del conduttore, se del caso tramite individuazione degli spazi o vani disponibili dal medesimo in via esclusiva e di quelli ad uso promiscuo. Invero, il carattere abusivo dell’occupazione, quando determina la privazione del godimento diretto in essere o di quello che è certo vi sarebbe stato ed è stato precluso, risolvendosi nella perdita di un’utilitas, è stimabile economicamente e può essere commisurata a quanto si sarebbe potuto lucrare attraverso la concessione a titolo oneroso del godimento del bene.

Solo nel caso di occupazione in situazione di mancanza di godimento diretto e di mancanza di dimostrazione di un progetto di godimento diretto che non si è potuto realizzare per l’occupazione, questo criterio di liquidazione non è possibile, ma non lo è perchè la situazione di danno emergente in questo caso non esiste.

Semmai, se si dimostri che alcuno avrebbe preso in locazione l’immobile e che, dunque, è rimasto precluso un utilizzo indiretto, si potrà dare un danno da lucro cessante.

La sentenza impugnata dev’essere dunque cassata ed il giudice di rinvio deciderà applicando i principi appena indicati e, dunque, a far tempo dal momento in cui la volontà di far cessare l’occupazione sentenza titolo è stata manifestata dal S. e fino al rilascio provvederà a liquidare il danno patrimoniale considerando che è stato negato il godimento diretto di almeno i 5/6 dell’immobile al medesimo.

p.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento agli artt. 20432055 e 2059 c.c. circa il danno patrimoniale ed extrapatrimoniale.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha affermato non essere liquidabile un danno non patrimoniale, scaturente dalla forzata convivenza, in assenza di appello in punto di liquidazione del solo danno patrimoniale. Assume in contrario senso il ricorrente che il giudice di primo grado, accogliendo la domanda di risarcimento del danno, non aveva fatto alcuna differenziazione in ordine alla natura del danno, per cui egli non aveva alcuna ragione di dolersi della predetta decisione.

p.2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 336 c.p.c., n. 6, norma che costituisce il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione.

Infatti, non si fornisce l’indicazione specifica degli atti sui quali si fonda.

Al riguardo sarebbe stato necessario precisare, riproducendolo, il tenore della domanda in primo grado, al fine di evidenziare se si era chiesto anche il danno non patrimoniale. Sarebbe stato necessario, inoltre, riprodurre la parte della sentenza di primo grado che ad avviso del S. non avrebbe differenziato il danno patrimoniale e quello non patrimoniale. A pagina 12 del ricorso si riproduce un passo della motivazione di essa che non contiene alcunchè al riguardo, dato che si riferisce al momento precedente la determinazione del danno.

L’art. 366 c.p.c., n. 6 avrebbe anche richiesto l’indicazione del se e dove la citazione introduttiva di primo grado e la sentenza di primo grado siano stati prodotti (anche agli effetti di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) in questa sede di legittimità (si vedano Cass. sez. un. nn. 28547 del 208, n. 7161 del 2010 e n. 22726 del 2011).

p.3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento agli artt. 91 e 92 c.p.c. circa la compensazione delle spese relative ad entrambi i gradi del giudizio.

Il motivo è assorbito, in ragione della caducazione della statuizione sulle spese per effetto della sua cassazione in accoglimento del primo motivo.

p.4. Conclusivamente, la sentenza è cassata in accoglimento del primo motivo con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata in relazione. Dichiara inammissibile il secondo. Assorbito il terzo. Rinvia ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese del procedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 23 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2012

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