di Chiara Cipolletti

 Massima

L’obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato: esso riguarda precipuamente la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato medesimo e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle lavorazioni.

 Nota esplicativa.

 SOMMARIO – 1. IL CASO DECISO 2. LA QUESTIONE DI DIRITTO 3. LA DECISIONE DELLA CORTE 4. L’ISTITUTO DELLA DELEGA DI FUNZIONI 5. CONCLUSIONI

 Il caso deciso. La Corte Di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza di condanna del rappresentante legale di una srl per omicidio colposo di un lavoratore commesso in violazione delle norme antinfortunistiche.

In particolare, il lavoratore aveva riportato lesioni mortali per il contatto con la linea elettrica aerea nel corso della potatura di alcune piante effettuata a bordo del cestello di un mezzo meccanico.

La Corte d’appello aveva ritenuto responsabile del fatto il rappresentante legale dell’ente, in veste di datore di lavoro, per non aver valutato in modo opportuno i rischi dell’operazione e aver omesso di adottare le adeguate misure tecniche e organizzative; nella specie si contestava allo stesso di aver consentito al dipendente di procedere alla potatura senza preoccuparsi della previa interruzione dell’erogazione di energia elettrica.

A nulla rilevava, a parere della Corte di appello, la presenza di un soggetto espressamente delegato al profilo tecnico-organizzativo dell’ente, stante il residuo obbligo di vigilanza, controllo e intervento sostitutivo inerente alla posizione di garanzia del legale rappresentante come datore di lavoro della società.

Si addebitava, dunque, allo stesso di non essere intervenuto per supplire all’inadempienza del principale obbligato.

Avverso la sentenza d’appello l’imputato proponeva ricorso per Cassazione.

La questione di diritto. Alla Corte di Cassazione il delicato compito di tratteggiare i confini della delega di funzioni e chiarire, in particolare, il contenuto del residuo obbligo di vigilanza che permane in capo al delegante a seguito del trasferimento di funzioni.

La decisione della Corte. Con la sentenza n. 10702 del 19 marzo 2012 la Corte di Cassazione è tornata sul tema, tanto dibattuto, quanto intricato della delega di funzioni, come disciplinata dall’articolo 16 del T.U. sulla sicurezza.

Pur rilevando che tale disciplina è entrata in vigore successivamente al fatto in questione, la Corte sottolinea come da una lato la stessa recepisce orientamenti diffusi nella dottrina e nella prassi e dall’altro appare espressione del principio di razionalità.

Preliminarmente la Suprema Corte chiarisce che nel caso di specie non assume alcun rilievo la questione della rappresentanza legale dell’ente, che costituisce indubbiamente la base per l’individuazione del soggetto garante della sicurezza, soffermandosi invece sui margini dei residui obblighi di garanzia che permangono in capo allo stesso a seguito della delega di funzioni.

In particolare, precisa la Corte, la delega del profilo tecnico-organizzativo non fa in alcun modo venir meno gli obblighi di vigilanza in capo al delegante; occorre tuttavia chiarire quale sia in sostanza il contenuto di tale obbligo.

Secondo la Cassazione la vigilanza in questione è “una vigilanza “alta”, che riguarda “il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato”; tale vigilanza, si esplica mediante i sistemi di controllo e di verifica di cui all’articolo 30 comma 4 del T.U. sulla sicurezza, ovvero attraverso un modello di organizzazione e gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

Tale vigilanza, dunque, non può e non deve necessariamente assumere la forma di un controllo sulla concreta conformazione dei singoli momenti della lavorazione.

Infatti, non solo tale compito è affidato mediante delega al soggetto delegato, ma se così non fosse la delega sarebbe priva di qualsiasi contenuto.

Funzione della delega è quella di trasferire da un soggetto (delegante) ad un altro (delegato) lo svolgimento di determinate compiti e dei poteri necessari per attuarle.

Pertanto, a seguito della delega, l’obbligo di vigilanza non viene meno ma si trasferisce su un piano più “alto”.

La posizione di delegante e delegato sarà, quindi, differenziata: al secondo spetterà il controllo concreto e puntuale delle modalità di svolgimento dei singoli momenti lavorativi, mentre al primo spetterà il controllo sulla “correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato”.

Ne deriva che di tale obbligo non può sicuramente estendersi sino a ricomprendere un controllo sulla gestione concreta dei singoli aspetti lavorativi, come invece aveva ritenuto la Corte di appello in secondo grado.

Per i motivi sopra esposti la Corte annulla la sentenza di secondo grado senza rinvio per non aver commesso il fatto.

L’istituto della delega di funzioni. La delega di funzioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro è un istituto di creazione dottrinale e giurisprudenziale, consistente nel trasferimento di specifici doveri, e delle relative responsabilità, dal titolare ope legis ad un altro soggetto.

Tale istituto ha di recente trovato un esplicito riconoscimento normativo nell’articolo 16 del D.lgs 9 aprile 2008, n. 81 (Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).

Il legislatore, pur autorizzando in linea di principio la delega di funzioni, subordina la stessa al rispetto di una serie di limiti e condizioni di natura formale e sostanziale; tali requisiti costituiscono la cristallizzazione normativa di orientamenti già diffusi in giurisprudenza e devono ritenersi tassativi alla luce del canone di stretta legalità che regola la materia penale.

La disposizione rappresenta un compromesso tra la necessità di garantire all’impresa la libertà di autonomia organizzativa in relazione alla distribuzione dei compiti, ivi compresi gli adempimenti connessi alla tutela della sicurezza dei lavoratori, ed il principio di certezza del diritto, che richiede una chiara individuazione dei soggetti responsabili del rispetto della normativa antinfortunistica.

Gli aspetti maggiormente problematici della disciplina attengono agli effetti della delega di funzioni, rispetto ai quali occorre interrogarsi se la delega comporti o meno uno svuotamento dei doveri di vigilanza in capo al delegante o se, viceversa, determini un esonero parziale da responsabilità dello stesso.

Giova ricordare che due erano gli orientamenti emersi in materia prima della regolamentazione normativa: secondo un primo orientamento (c.d. teoria formale-soggettiva), la delega di funzioni avrebbe rilevanza sotto il profilo squisitamente soggettivo di imputazione del fatto di reato, impedendendo a priori la possibilità di muovere un addebito in termini di colpevolezza nei confronti del delegante; secondo un diverso orientamento (c.d. teoria oggettivistica), invece, la delega inciderebbe direttamente sul piano oggettivo, escludendo la stessa tipicità del fatto omissivo del delegante.

Nel quadro di tale ultimo orientamento la dottrina si era ulteriormente divisa tra quanti ritenevano che la delega avesse il potere di trasferire la qualifica soggettiva di titolare della posizione di garanzia dal delegante al delegato, con conseguente efficacia liberatoria nei confronti del delegante (c.d. teoria funzionale) e quanti sostenevano, invece, che la delega incidesse unicamente sul contenuto della posizione di garanzia, decretando non già il venir meno della posizione originaria, ma solo un suo mutamento in termini qualitativi. Ciò non si tradurrebbe, dunque, in un esonero da responsabilità del garante originario, che rimarrebbe comunque tenuto ad esercitare un’attività residuale di vigilanza sull’operato del soggetto delegato (c.d. teoria formale-oggettiva).

Tale ultima teoria, dominante in dottrina così come in giurisprudenza, appare oggi accolta dallo stesso legislatore, il quale, rispondendo alle diffuse istanze di chiarimento, ha precisato che (art. 16 T.U. 81/2008): “la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al  datore  di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato  delle  funzioni  trasferite.”

Con tale formulazione il legislatore ha inteso far salvo il dovere del datore di lavoro di vigilare sul corretto svolgimento delle funzioni delegate, impedendo che la delega possa consentire un totale svuotamento della posizione di garanzia.

L’impostazione legislativa tradisce un’opzione di fondo a favore della teoria c.d. formale-oggettiva, a mente della quale l’effetto della delega è proprio quello di incidere sui contenuti dell’obbligo di garanzia e non già di determinare un trasferimento tout court della posizione stessa.

Se da un lato la disposizione in esame non lascia dubbi sulla persistenza della posizione di garanzia in capo al delegante, dall’altro apre la porta ad una serie di interrogativi in merito all’individuazione del contenuto di tale posizione.

Non appare sul punto del tutto esaustivo l’intervento del legislatore che, pur precisando il caso in cui tale obbligo si intende assolto, ha lasciato all’interprete l’onere di individuare i limiti entro i quali possa e debba espletarsi l’intervento del delegante senza interferire con l’autonomo esercizio delle funzioni trasferite al delegato.

Per vero occorre rilevare che l’odierna formulazione dell’art. 16 rappresenta già un tentativo di puntualizzazione degli obblighi di vigilanza, i quali, prima dell’intervento del d.lgs n. 106/2009 potevano essere espletati “anche” attraverso i sistemi di verifica e di controllo di cui all’art. 30, comma 4, ciò che lasciava trasparire la possibilità di ulteriori e non ben individuate possibilità di adempimento dell’obbligo in questione.

Oggi, invece, come precisa l’articolo 16 del T.U. 81/2008, L’obbligo  di  cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4”.

In tal modo il legislatore ha previsto che l’obbligo di vigilanza possa essere assolto mediante l’ adozione ed efficace attuazione di un modello di organizzazione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

Attraverso la nuova formulazione normativa il legislatore ha pertanto tracciato in maniera più netta i confini dell’obbligo di vigilanza, legando in modo indissolubile la responsabilità penale del singolo alla responsabilità amministrativa dell’ente. Infatti, come ha evidenziato la dottrina, l’adozione e l’efficace attuazione del modello di vigilanza costituiscono non solo un mezzo efficace ai fini dell’esonero da responsabilità dell’ente, ma anche una presunzione legale di adempimento dell’obbligo di vigilanza.

Una presunzione che, sebbene costruita dal legislatore in termini assoluti è stata interpretata dalla dottrina come relativa, suscettibile, pertanto, di essere superata dal sindacato del giudice sull’astratta idoneità del modello organizzativo alla soddisfazione degli obiettivi individuati dalle norme sulla sicurezza e sull’effettiva attuazione dello stesso.

Di conseguenza, il controllo da parte del giudice sul corretto rispetto degli obblighi di vigilanza da parte del datore di lavoro deve articolarsi in due momenti: in primis nella verifica, mediante un giudizio astratto di “razionalità rispetto allo scopo” dell’idoneità del modello al raggiungimento degli obiettivi individuati dalle norme antinfortunistiche, in secundis nell’accertamento di una vigilanza periodica e costante sull’efficace attuazione del modello adottato nel contesto dell’impresa da parte del datore di lavoro.

A tal fine il giudice deve assumere come parametro di riferimento i diversi contesti aziendali, nonché l’evoluzione della scienza e della tecnica nell’individuazione di nuovi strumenti di tutela della sicurezza dei lavoratori.

In questo modo il legislatore, tenuto conto dell’importanza del bene tutelato, ha richiesto un riscontro concreto ed attuale e non solo apparente della vigilanza del datore di lavoro sui modelli organizzativi suddetti.

Il che connota ulteriormente l’obbligo di vigilanza in termini dinamici oltre che sostanziali, ritenendosi insufficiente la mera predisposizione formale e cartacea di un modello organizzativo di prevenzione degli infortuni e tutela della sicurezza.

In ultimo è opportuno soffermarsi su quali siano i limiti entro cui tale obbligo di vigilanza debba essere esercitato, ovvero se tale obbligo debba adempiersi mediante un intervento concreto e diretto da parte del datore di lavoro sulle funzioni del soggetto delegato o se sia limitato ad un obbligo di vigilanza di secondo livello, che si limiti alla verifica della corretta gestione del rischio nella sua interezza, e senza che sia consentito al delegante di intervenire in diretta sostituzione del delegato nei casi di scorretta gestione “operativa” del rischio.

La dottrina e la giurisprudenza hanno costruito l’obbligo in questione in termini di controllo “alto” sull’attuazione del modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure previste, inteso come facoltà di sollecitare eventuali interventi del delegato, procedere alla riorganizzazione della gestione o persino revocare la delega.

Ed è proprio in quest’ottica che la sentenza odierna qualifica la vigilanza cui è tenuto il datore di lavoro come una vigilanza “alta”, inerente al corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato; diversamente, infatti, un controllo su singoli fatti contingenti non solo frustrerebbe il contenuto della delega, ma esporrebbe il datore di lavoro a censure di imperizia, occupandosi di attività estranee alle sue funzioni.

Infatti, come chiarisce la Suprema Corte, tale vigilanza non deve e non può identificarsi con un’azione di vigilanza sulla concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni”, compito che spetta precipuamente al soggetto delegato, ma deve limitarsi a vigilare sulla “correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato medesimo”.

Conclusioni. In definitiva, la delega, se non comporta l’estinzione dell’originaria posizione di garanzia del delegante cionondimeno comporta la distribuzione degli originari obblighi di garanzia fra soggetti diversi e in relazione a piani differenti. L’obbligo di garanzia del datore di lavoro, pertanto, viene traslato verso l’alto, o, se si vuole, a monte, rimanendo limitato alla complessiva organizzazione aziendale e gestione del rischio, mentre l’obbligo di garanzia del delegato alla sicurezza, sorto in virtù della delegata, viene collocato per così dire a valle, essendo preordinato alla gestione anche materiale dei singoli rischi che vengono in rilievo nella vita dell’impresa.

A parere di chi scrive, la ricostruzione operata dalla Cassazione, se dal punto di vista astratto ha il pregio di far salvo l’ “effetto utile” della delega, che non può non comportare una differenziazione effettiva di funzioni fra delegante e delegato, sembra tuttavia carente sotto il profilo della individuazione specifica delle attività in cui si sostanzierebbe questo tipo di vigilanza “alta”.

È lecito pertanto auspicare un ulteriore chiarimento da parte della Corte sul punto.

Riferimenti normativi

Art. 40 c.p.

Artt. 16, 30 d.lgs n. 81/2008 (c.d. “T.U. sulla sicurezza”).

 Riferimenti bibliografici

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D. PULITANO’, Sicurezza del lavoro: le novità di un decreto poco correttivo, in Dir. pen. proc., 2010, p. 105

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T. PADOVANI, Diritto penale del lavoro. Profili generali, 1983, pp. 61 ss.

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Giurisprudenza conforme

Cassazione penale  sez. IV, 10 giugno 2010, n. 38991

Anche in presenza di una delega di funzioni ad uno o più amministratori (con specifiche attribuzioni in materia di igiene del lavoro), la posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio non viene meno, pur in presenza di una struttura aziendale complessa ed organizzata, con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attingono direttamente la sfera di responsabilità del datore di lavoro.

 Cassazione penale  sez. IV, 06 luglio 2007, n. 37610

Se in una grande azienda esiste una delega di funzioni in tema di sicurezza, il datore non può automaticamente ritenersi “salvo” in caso di incidenti sul lavoro che configurano responsabilità penali. A chi sta al vertice della catena di comando, infatti, spettano comunque le decisioni più importanti e, soprattutto, i poteri di controllo.

 

Cassazione penale  sez. IV, 06 luglio 2007, n. 37610

In materia di violazione della normativa antinfortunistica risponde della contravvenzione di cui all’art. 374, d.P.R. 24 aprile 1995, n. 547, il datore di lavoro che non abbia adottato tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie per assicurare e conservare l’efficienza degli impianti di sicurezza, al fine di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, né può ritenersi sussistente una delega di funzioni idonea a mandare il datore di lavoro esente da responsabilità, quando la violazione attiene alle scelte aziendali di livello più alto relative alla organizzazione delle lavorazioni ovvero a carenze strutturali che attingono direttamente la sfera di responsabilità del medesimo e rispetto alle quali nessuna capacità di intervento può realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza.

 

Testo della sentenza

 CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE – SENTENZA 19 marzo 2012, n.10702 – Pres. Marzano – est. Blaiotta

 Motivi della decisione

1. A seguito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Aosta ha adottato pronunzia assolutoria nei confronti dell’imputata in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di F.G. . La pronunzia è stata riformata dalla Corte d’appello di Torino che ha affermato la penale responsabilità dell’imputata e la ha altresì condannata al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili.

All’imputata, nella veste di legale rappresentante della Monte Bianco arti e servizi Srl, è stato mosso l’addebito di aver consentito che il dipendente F. procedesse al taglio di alcune piante a bordo del cestello di un mezzo meccanico denominato ‘ragno’, senza l’adozione delle necessarie precauzioni, con la conseguenza che il lavoratore veniva a contatto con la linea elettrica a media tensione che si trovava nei pressi, riportandone lesioni letali. Alla donna è stato in particolare mosso l’addebito di non aver adeguatamente valutato il rischio, di non aver adottato misure tecniche ed organizzative appropriate e di non aver in particolare adottato la precauzione risolutiva costituita dalla interruzione temporanea della erogazione dell’energia elettrica nel corso della lavorazione.

2. Ricorre per cassazione l’imputata deducendo diversi motivi.

Si lamenta che erroneamente è stata attribuita all’imputata la veste di legale rappresentante della società e quindi di datore di lavoro. Si è tratto argomento dell’art. 20 dello statuto sociale che attribuisce la legale rappresentanza al consigliere delegato nominato. In realtà l’imputata non aveva ricevuto alcuna delega esterna che riguardasse la rappresentanza dell’ente; bensì solo, ai sensi dell’articolo 8 dello statuto, una delega interna relativa alla gestione amministrativa in senso stretto.

In ogni caso, si è trascurato che il richiamato art. 8 dell’atto costitutivo della società conteneva una formale delega nei confronti di M..S. , relativa gli aspetti operativi della gestione, comprensivi della sicurezza del lavoro. Tale delega corrispondeva ai requisiti di legge ed era quindi idonea a determinare l’esonero da responsabilità per l’imputata.

La pronunzia è altresì censurabile quando attribuisce profili di colpa insussistenti. La ricorrente era in condizione di fare giustificatamente affidamento sulla altrui capacità gestionale, aveva competenze esclusivamente amministrative e contabili; e non era quindi in grado, in ogni caso, di apprezzare l’adeguatezza del piano operativo di sicurezza relativo ai lavori che si eseguivano.

Oggetto di censura è pure il giudizio afferente al nesso causale. La stessa sentenza di merito riconosce che il giorno dell’infortunio il lavoratore rimasto folgorato spostò arbitrariamente l’autocestello da una zona all’altra dell’area condominiale, invece di attendere l’arrivo del S. che avrebbe dovuto procedere personalmente allo spostamento. Se dunque l’avvio dei lavori ebbe luogo prima del previsto, ne consegue che se anche la ricorrente avesse programmato di chiedere l’interruzione dell’erogazione dell’energia elettrica, tale richiesta sarebbe stata formulata solo in un momento successivo a quello in cui avvenne l’infortunio mortale. Ne consegue l’irrilevanza dell’omissione addebitata ai fini della causazione dell’evento.

Si censura, infine la condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, sebbene esse non avessero proposto impugnazione avverso la pronunzia assolutoria.

3. Il ricorso è fondato.

Nel caso in esame non assume decisivo rilievo il tema della legate rappresentanza dell’ente quale base per l’individuazione della figura del garante della sicurezza e della conseguente sfera di responsabilità. Si tratta piuttosto di comprendere se, accanto all’indiscussa responsabilità del S. , separatamente giudicato, cui era demandata la gestione dei profili operativi della società, possa configurarsi pure quella dell’imputata. La risposta a tale cruciale interrogativo è stata correttamente data dal primo giudice che ha chiaramente posto in luce l’esistenza di valida delega, da parte dell’ente al S. , della parte ‘tecnico-operativa’ mentre alla M. era delegata la ‘parte amministrativa’. Il S. aveva anche presentato alla ASL la dichiarazione inerente allo svolgimento dei compiti prevenzionistici ed all’assunzione dei compiti inerenti al servizio di prevenzione e protezione. La delega trova rituale fonte nell’atto costitutivo della s.r.l.. Il tribunale ne ha tratto la lineare conseguenza che unico destinatario della disciplina antinfortunistica fosse lo stesso S. ; anche in considerazione del fatto che la M. non risultava avesse in alcuna guisa esercitato funzioni afferenti alla sicurezza o comunque operative.

A fronte di tale lineare disamina del caso, conforme ai più consolidati principi nella materia ed aderente ad acquisizioni fattuali di univoco significato, la sentenza impugnata fa leva precipuamente sulla veste di legale rappresentante e configura la responsabilità per violazione dell’obbligo di vigilanza in ordine all’organizzazione del cantiere. Si assume che si riscontra assoluta inerzia della donna rispetto ai residui obblighi di vigilanza controllo ed intervento sostitutivo inerenti alla sua posizione di garanzia come datore di lavoro, posizione non venuta meno per effetto dell’attribuzione al S. della gestione della sicurezza del lavoro, ma solo modificatasi nei suoi contenuti obbligatori’. In particolare si addebita all’imputata il totale disinteresse rispetto al problema della sicurezza del cantiere, non essendosi accorta delle lacune nella gestione della prevenzione del rischio derivante dalla possibile interferenza della linea elettrica aerea con le operazioni di taglio delle piante; e di conseguenza di non aver potuto intervenire per sopperire, con iniziativa propria, all’inadempienza dell’obbligato principale.

Tale apprezzamento è censurabile. Occorre rammentare che la delega di funzioni è ora disciplinata precipuamente dall’art. 16 del T.U. sulla sicurezza. Essa non è consentita per la valutazione dei rischi e l’elaborazione del documento sulla sicurezza, nonché per la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi. Inoltre, la delega non esclude l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.

Sebbene la disciplina sia successiva al fatto in esame, essa propone enunciazioni che in parte recepiscono diffusi orientamenti della prassi e della dottrina; ed in parte sembrano essere espressione del principio di razionalità.

Il tema della vigilanza presenta particolare interesse; anche perché in passato si è discusso se una delega piena determinasse il venir meno dell’obbligo di vigilanza e, soprattutto, se in ogni caso essa, implicando solo un ruolo di sorveglianza, determinasse il permanere di una posizione di garanzia.

Pare che queste incertezze siano fugate dalla nuova normativa che colma una lacuna di quella precedente e, come si è accennato, recepisce opinioni condivise da questa Corte ed accreditate già nel passato sia in dottrina che in giurisprudenza. Va dunque ribadito che la delega di cui si discute non fa venir meno l’obbligo di vigilanza. Tuttavia, come il richiamato art. 16 chiarisce, si parla qui di una vigilanza ‘alta’, che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato; e che si attua anche attraverso i sistemi di verifica e controllo previsti dall’articolo 30 comma 4, che a sua volta disciplina il modello di organizzazione e gestione idoneo ad avere efficacia esimente dalla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Tale rinvio costituisce una norma assai rilevante, che introduce nel sistema della responsabilità penale un importante frammento del sistema di responsabilità degli enti; e rende al contempo più chiara la reale natura dell’obbligo di vigilanza. Ciò che maggiormente interesse è che la vigilanza, quale che ne sia l’esatta estensione, di certo non può identificarsi con un’azione di vigilanza sulla concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni che la legge affida, appunto, al garante. Se così non fosse, l’istituto della delega si svuoterebbe di qualsiasi significato. La delega ha senso se il delegante (perché non sa, perché non può, perché non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui demanda i pertinenti poteri: al delegato vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo. Ne consegue che l’obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato. Esso riguarda, come si è accennato, precipuamente la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato medesimo e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle lavorazioni. Dunque, erra certamente la Corte d’appello quando ipotizza un dovere di vigilanza esteso sino a controllare personalmente la gestione di aspetti contingenti delle singole lavorazioni.

Da quanto precede discende che, non esistendo la posizione di garanzia che fonda l’imputazione della condotta omissiva ex art. 40 capoverso cod. pen., la sentenza va annullata senza rinvio per non aver commesso il fatto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto.

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