Nota a sentenza Cass. Pen., Sez. III, 11 aprile 2013, n. 16459.
a cura dell’avv. Valeria Rinaldi
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LA MASSIMA
“Può integrare il reato di cui all’art. 674 c.p. la condotta di chi versa o getta rifiuti di vario genere, allorquando sia accertata la loro capacità lesiva nei confronti delle persone che dal getto pericoloso di cose vengono imbrattate, offese nella loro integrità fisica ovvero molestate e turbate nella loro tranquillità”.
Sintesi del caso
Con tale recente pronuncia la Terza Sezione Penale della Suprema Corte provvede alla collocazione all’interno dell’art. 674 c.p. di condotte umane troppo spesso sottovalutate e considerate sic et simpliciter moleste.
La res litigiosa aveva ad oggetto il reato di getto pericoloso di cose, e precisamente di cenere, cicche di sigarette e detersivi corrosivi, da parte di una condomina nel piano sottostante appartenente ad altra condomina del medesimo stabile.
I Giudici di legittimità, attraverso un’interpretazione estensiva della figura incriminatrice di cui all’art. 674 c.p., hanno ritenuto le condotte de quibus idonee a causare nocumento, nonostante sembri che tali azioni non danneggino, almeno non direttamente, le persone, ma esclusivamente le res.
Il fatto trae origine da una declatoria di condanna pronunciata dal Tribunale di Palermo il 2 dicembre 2011 (sent. n. 1032/2011), che aveva sancito la colpevolezza dell’imputata in base agli artt. 81 e 674 del Codice penale per aver, si apprende dal testo del provvedimento giurisdizionale, “arrecato molestie ad una vicina gettando, nel piano sottostante ove si trovava l’appartamento di quest’ultima, rifiuti quali cenere e cicche di sigarette, nonché detersivi corrosivi, quale candeggina”.
Attesa anche la sistematicità dei surriferiti comportamenti lesivi, il Giudice palermitano infliggeva alla prevenuta il pagamento di un’ammenda pari ad Euro 120,00.
Sin dal primo grado di giudizio, quindi, la condotta della donna viene qualificata come penalmente rilevante, ergo punibile.
Senonchè la condomina presentava ricorso in Cassazione.
Al primo motivo di annullamento denunciava inosservanza dell’art. 163 bis delle disp. att. C.p.p., asserendo che competente a decidere avrebbe dovuto essere il Tribunale di Carini, Sezione distaccata del Tribunale di Palermo.
Inammissibile è pure la censura formulata con il secondo motivo di impugnazione, ossia il vizio di motivazione e l’errata lettura delle emergenze istruttorie che, se correttamente valutate, avrebbero indotto il decidente ad approdare a diversa decisione, a detta della ricorrente.
La Suprema Corte, in data 7 febbraio 2013, ha dichiarato il ricorso inammissibile per le ragioni che si esamineranno meglio infra.
A tacer d’altro, la Sez. III della Corte di Cassazione ha ritenuto valida la pronuncia di condanna del Tribunale di Palermo, inquadrando a pieno titolo il comportamento della donna nel raggio operativo della contravvenzione di “getto pericoloso di cose”.
In ultimo, il Giudice nomofilattico ha disposto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di 1.000 Euro da devolversi in favore della Cassa delle Ammende.
Quaestio juris
La questione sottoposta all’esame della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione riguarda il seguente quesito: se integra il reato di getto pericoloso di cose la condotta di chi getti reiteratamente rifiuti e liquidi di vario genere nel balcone sottostante appartenente ad un condomino del proprio stabile, così arrecando a questi disagio, molestia, turbamento.
Da alcuni precedenti giurisprudenziali emerge come la giurisprudenza, pur riconoscendone la lesività, aveva negato qualsivoglia rilevanza penale a quella condotte riconducibili ad oggetti (Cass. Sez. III, 13/04/2010, n. 22032). Correlativamente, si è statuito che lo sbattimento di tappeti così come lo scuotimento di qualche tovaglia non integrano contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., stante l’impossibilità di cagionare imbrattamenti o molestie alle persone (Cass. Sez. I, 15/05/2012, n. 27625).
Tanto, sulla scorta di un’interpretazione puramente letterale della disposizione de qua, che fa espresso riferimento a cose atte ad offendere, imbrattare o molestare “persone”.
Il ripudio di un’interpretazione meramente letterale in sede di esegesi delle norme penali è ormai un dato acquisito e consolidato: se l’interpretazione ha l’arduo compito di colmare il divario che esiste tra norma e realtà, allora non può non prediligersi un’interpretazione cd. evolutiva, quindi adeguata, attualizzata ed estensiva, purchè sorretta da un fondamento ermeneutico controllabile e non sconfinante nell’interpretazione analogica, da sempre rinnegata (art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale).
Proprio nella sentenza in commento, si è data un’interpretazione estensiva della figura incriminatrice prevista e sanzionata dall’ art. 674 c.p.
Inoltre, il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte, e racchiuso in massima, è sintonico con l’orientamento più recente emerso in ordine all’applicazione del reato di getto pericoloso di cose al fenomeno della propagazione di onde elettromagnetiche. Invero, dall’operare nei soli casi di trasgressione delle prescrizioni imposte dalla legge o dalla Pubblica Amministrazione, la pluricitata contravvenzione ha finito per ergersi a baluardo a tutela della pubblica incolumità, comprensiva della pubblica tranquillità; essa implica, come noto, il dovere primordiale delle autorità di evitare che vengano in essere (o rimuoverle) cause di disturbo, fonti di preoccupazione e situazioni di allarme per la generalità dei consociati.
Infine, il Supremo Consesso bene ha fatto a sussumere la condotta incriminata nell’ambito dell’art. 674 c.p., mostrando di non ritenere corretto collocarla tra le maglie dell’art. 660 c.p. né tra quelle del più recente 612 bis c.p.
Normativa di riferimento
Art. 81 c.p.: “Concorso Formale. Reato continuato. È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge.
Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.
Nei casi preveduti da quest’articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti.
Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave”.
Art. 674 c.p.: “Getto pericoloso di cose. Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a 206 euro”.
Art. 12 Disposizione sulla legge in generale: “Interpretazione della legge.
Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”.
Art. 14 Disposizione sulla legge in generale: “Applicazione delle leggi penali ed eccezionali. Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati (Cost. 25; c.p. 2)”.
Art. 660 c.p.: “Molestia o disturbo alle persone. Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516”.
Art. 612 bis c.p.: “Atti persecutori. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.
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Nota esplicativa
“Aprite una scuola, chiuderete un carcere” scriveva Giovanni Bovio.
Questo a sottolineare che la correlazione tra maleducazione e reità è più intensa di quanto si pensi. Non è un caso che, oggi come ieri, il termine “maleducato” reca con sé un giudizio negativo non solo sul soggetto che è o si atteggia come tale, ma anche sulle capacità educative di chi lo ha allevato.
Proprio il dilagare di atteggiamenti scortesi, sgarbati, ineleganti, insolenti, oltraggiosi, volgari spinge la Suprema Corte a fare da “maestra di vita” in tutti quei casi, si badi bene, in cui detti comportamenti risultino offensivi di beni/interessi giuridicamente salvaguardati, o li mettano a repentaglio.
Si ponga mente, fra tutte, ad una illuminante pronuncia in tema di reato di ingiuria nella quale i Giudici di legittimità hanno sottolineato come “oggi e’ invalso il costume, oramai diffuso, di avvalersi di inaccettabili linguaggi, usati anche da personaggi molto in vista, negli ambienti più disparati. Ma si tratta di un malcostume che deve essere contenuto per la salvaguardia di corretti rapporti tra i consociati, che debbono essere improntati ad un minimo di rispetto e di civiltà, requisiti ai quali non e’ possibile rinunciare” (Cass. Pen., 1/03/2005, n. 7568).
Rispetto e civiltà quali requisiti irrinunciabili, dunque.
Pertanto, se quello della modificazione in peius dei rapporti sociali interattivi è un dato inconfutabile, non può dirsi che, dal punto di vista del diritto, sia incontrovertibile.
Ebbene, la sentenza esaminanda si apprezza, in primo luogo, per l’aver riconosciuto rilevanza penale a molestie che non soltanto affliggono l’individuo, ma, di più, lo danneggiano e, secondariamente, per il rigore punitivo mostrato verso comportamenti che normalmente non travalicano le porte dei tribunali civili.
L’effetto deterrente che ne deriva è enorme.
Venendo al particulare, vien subito da dire che il ricorso della donna autrice del getto di rifiuti e di detersivi corrosivi nel sottostante balcone di una sua condomina aveva ad oggetto due motivi di doglianza.
Con il primo la ricorrente denunciava l’inosservanza dell’art. 163 bis disp. att. c.p.p., ritenendo che a decidere avrebbe dovuto essere non già il Tribunale di Palermo, bensì la Sezione distaccata del Tribunale di Carini.
Il secondo motivo di gravame, invece, aveva ad oggetto il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso, a dire della ricorrente, il giudice di prime cure a seguito di un’errata lettura delle emergenze istruttorie.
Ciò posto, il giudice della nomofilichia ha “liquidato” la prima censura dichiarandola “totalmente priva di pregio”, poiché, da orientamento ormai maggioritario e consolidato della giurisprudenza di legittimità, “le sezioni distaccate, sia del Tribunale, che della Corte di Appello, non possono essere considerati uffici autonomi, ma costituiscono semplici articolazioni dall’unico ufficio da cui dipendono; di tal chè la violazione dei criteri di attribuzione degli affari tra sede principale e sede distaccata non dà luogo a nullità né e ipotizzabile alcun conflitto di competenza tra di esse (ex multis, Cass. 12/12/06, n. 42172)”.
Meritevole di approfondimento è quanto dedotto con il secondo motivo di impugnazione.
Vero è che la Cassazione oppone all’esame di tale seconda censura il barrage costituito dal proprio giudizio di sola legittimità, essendole precluso un nuovo esame estimativo nonché un’analisi rivalutativa degli elementi istruttori di primo grado; sul punto, richiama il principio secondo cui “esula dai poteri di questa Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 2/7/1997, n. 6402)”.
Cionondimeno, in punto di controllo sulla motivazione della sentenza di primo grado, la Suprema Corte non ravvisa alcun vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità.
Condivide, pertanto, sia la tesi accusatoria che l’affermazione di colpevolezza della prevenuta, così pervenendo ad una conferma della gravata sentenza di condanna.
E’ parso quindi corretto l’inquadramento del comportamento della donna nell’alveo del reato di getto pericoloso di cose.
Si tratta di una contravvenzione posta all’interno della Sezione II del Codice penale, dedicata alle contravvenzioni concernenti l’incolumità pubblica, e Capo 1, titolato “Delle contravvenzioni concernenti l’incolumità delle persone nei luoghi di pubblico transito o nelle abitazioni”.
Ultroneo, ma non inutile, ricordare come il bene della pubblica incolumità sia comprensivo anche di quello della pubblica tranquillità. E’ bene immateriale, ma che discende dal valore attribuito e dalla dignità riconosciuta alla persona umana, posta al centro della nostra Carta Costituzionale e dello stesso Codice penale.
E’ risalente nel tempo l’idea che la fattispecie in esame configuri un “reato di mero pericolo in quanto non è necessaria la verifica in concreto dell’esistenza di un danno” (Cass. Sez. I, 23/10/1986, n. 11680); sicchè è sufficiente a perfezionare l’illecito la semplice propensione, desunta da regole di esperienza e/o scientifiche, della res ad arrecare un’offesa secondo quanto indicato nell’art. 674 c.p. (Cass. Sez. VI, 11/04/1990, n.5312).
Nello stesso solco s’inseriscono altre decisioni della Cassazione (Cass. n. 11680 del 1986, n. 447 del 1994, n. 12428 del 1994, n. 11868 del 1995, n. 3919 del 1995, n. 3531 del 1998); ed anche in tempi più recenti la Corte ha continuato a delineare il carattere di illecito di pericolo di tale figura criminosa: “La fattispecie di cui all’art. 674 c.p.non richiede per la sua configurabilità il verificarsi di un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente il semplice realizzarsi di una situazione di pericolo di offesa al bene che la norma intende tutelare, ricomprendendosi nella stessa anche la alterazione superficiale del bene” (Cass. Sez. III, 22/12/2005, n. 46846).
Permanendo sul terreno dell’elemento materiale, ad integrare la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. è necessario un lancio (o un versamento, se trattasi di sostanze liquide) delle cose da loco ad locum, proprio come nel caso di specie (Cass. Sez. VI, 2/10/1985, n. 8449; nonché Cass. 26/01/1995).
Sotto il profilo dell’elemento psicologico dell’illecito, detto lancio o versamento dev’essere cosciente e volontario.
Non v’è dubbio, infatti, che l’elemento psicologico dbba ammantare anche il comportamento del contravventore: l’antigiuridicità della condotta, non differentemente da ciò che avviene nei delitti, dev’essere accertata indagando il legame psichico che unisce l’autore al fatto di reato (Cass. Sez. I, 14/02/1986, n. 1476). Sulla scorta di quanto innanzi, si è argomentato che “non hanno alcuna rilevanza i motivi e il fine perseguiti dal soggetto, essendo soltanto necessario che la realizzazione della condotta sia attribuibile all’agente quantomeno sotto il profilo del comportamento colposo” (Cass. Sez. I, 30/08/1996, n. 8148. Vedasi anche Cass. n. 12428 del 1994, n. 714 del 1993, n. 5312 del 1990).
Si è altresì avuto modo di precisare la natura istantanea, ma che può divenire permanente, del reato ex art. 674 c.p., avendo cura di precisare, però, che il carattere continuativo della condotta ivi sanzionata “non si identifica con la ripetitività giornaliera delle emissioni moleste, essendo sufficiente che esse si protraggano, senza interruzioni di rilevante entità, per un apprezzabile lasso di tempo a cagione della duratura condotta colpevole del soggetto agente” (Cass. Sez. III, 27/01/2012, n. 19637).
Rebus sic stantibus, non sorprende che la Suprema Corte abbia collocato nell’ambito della pluricitata norma la condotta di versamento di cenere, mozziconi di sigarette e di candeggina.
Irrevocabile in dubbio è la intrinseca pericolosità di rifiuti di tal tipo e di una sostanza ossidante come la candeggina, soprattutto se gettati/versati in maniera reiterata nel tempo.
Al riguardo, la giurisprudenza aveva già avuto modo di affermare che l’attitudine della res gettata o versata a cagionare effetti dannosi non necessariamente dev’essere accertata mediante una perizia, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su elementi probatori di varia natura, comprese le dichiarazioni testimoniali rese da chi abbia percepito gli effetti di tali condotte (Cass. Sez. III, sent. del 30/01/1998).
Parimenti evidente è il nocumento che da siffatta condotta può derivare non soltanto nei confronti della persona abitante al piano sottostante e attinta dall’imbrattamento, ma anche nei confronti di altri condomini e finanche di passanti, qualora la quantità e la composizione delle sostanze versate sia tale da comportare un concreto rischio negativo per la loro incolumità; l’illecito in questione, come sopra lumeggiato, è posto a tutela della incolumità delle persone che si trovano nelle “abitazioni” ed anche nei “luoghi di pubblico transito”.
L’alternativa rappresentata dalla riconduzione dei fatti contestati nel reato, anch’esso contravvenzionale, di cui all’art. 660 c.p. (“Molestia o disturbo alle persone”) non sarebbe risultata corretta.
Anzitutto, è reato di natura plurioffensiva, posto a tutela dell’ordine pubblico e della quiete privata; tuttavia, quest’ultima riceve una protezione soltanto riflessa, a differenza del già visto getto pericoloso di cose (Cass. Sez. I, 22/02/2011, n. 10983).
Più nello specifico, il reato di molestia o disturbo alle persone punisce la petulante azione di disturbo arrecata alla persona offesa e/o alle sue attività, ponendola in una situazione di forte disagio; un’azione, insomma, “di arrogante invadenza e di intromissione continua ed inopportuna nell’altrui sfera di libertà” (Cass. Sez. I, 24/11/2011, n. 6908).
Tale fattispecie criminosa, inoltre, deve perfezionarsi in un “luogo pubblico o aperto al pubblico”, a mente di quanto legislativamente scolpito.
Si tratta, perciò, di una molestia ben diversa da quella oggetto dell’art. 674 c.p., consistente in un’azione pressante, ripetitiva, indiscreta ed impertinente, quindi idonea ad interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone.
Qualora, le molestie condominiali, per intensità e gravità, provochino a danno dei condomini uno degli eventi alternativamente previsti dall’art. 612 bis c.p., potrebbero ritenersi integrati gli estremi del delitto di atti persecutori.
Invero, atti definibili come “persecutori”, e che dunque travalicano la soglia dei normali e tollerabili dissidi condominiali, possono essere compiuti anche da vicini di casa o da condomini che vivono all’interno del medesimo stabile. Sicchè, introdotta la norma incriminatrice di cui all’art. 612-bis c.p., a mezzo di uno dei tanti “pacchetti sicurezza” emanati per fronteggiare situazioni avvertito allarme sociale (D.L. n. 11 del 23 febbraio 2009), la giurisprudenza ha dovuto prendere atto che le condotte di stalking possono rilevare anche nel contesto condominiale.
Di recente la Cassazione si è espressa specificamente sullo stalking in condominio, argomentando quanto segue: “l’offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turba di per sé ogni altra che faccia parte dello stesso genere”. E “se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionalmente destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genere all’evidenza turbamento in entrambe” (Cass. Sez. V, 25/05/2011, n. 20895).
Ma la vicenda che ci occupa ha scansato tale figura criminosa attese le peculiarità che caratterizzano il delitto di atti persecutori.
In apicibus, l’art. 612 bis è incastonato tra i delitti contro la persona, e specificamente tra quelli a protezione della libertà morale.
E’ reato di danno, consumandosi con l’offesa attuale al bene giuridico tutelato: deve, cioè, trattarsi di comportamenti assillanti ed invasivi della vita altrui, tali da produrre un effetto destabilizzante della serenità, dell’equilibrio psicologico della vittima, sulla sua vita di relazione (Cass. Sez. V, 2/05/2011, n. 16864. Si vedano anche Cass. Sez. V, 26/07/2011, n. 29872 e 18/06/2012, n. 24135). Non è stata accolta, difatti, la versione della Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati che configurava lo stalking come reato di pericolo concreto, in quanto ciò avrebbe comportato un’eccessiva estensione del raggio operativo della norma, col rischio di incriminare fatti concretamente inoffensivi.
I beni superindividuali e immateriali sono, di regola, affidati a fattispecie di pericolo (come quello di cui all’art. 674 c.p.), le quali assicurano un’anticipazione, più o meno marcata, della soglia di punibilità, senza dover attendere la diminuizione o la distruzione del bene/interesso protetto.
Ha natura di reato necessariamente abituale, perfezionandosi solo se i comportamenti si succedono in scansione seriale; sul punto, si è precisato che “è sufficiente una condotta ripetuta una seconda volta o più volte con insistenza” (Cass. Sez. V, 17/02/2010, n. 6417) e nella persistenza, ovviamente, dell’elemento intenzionale (Cass. Sez. I, 8/03/2011, n. 9117).
Ancora, lo stalking è costruito come reato di evento.
In particolare, il legislatore del 2009 ha mostrato di non voler recepire ontologiche strutture offensive, bensì ha dotato la norma de qua di estrema elasticità, tanto da sollevare forti dubbi sulla sua compatibilità con i principi di tassatività e determinatezza della fattispecie penale. Così ha previsto tre eventi naturalistici (tra loro alternativi) che attengono ai tre possibili ambiti di aggressione della vittima, id est il piano psicologico, il piano fisico-biologico e quello della libertà di autodeterminazione. (Trib. Catanzaro, Sez. II, sent. del 16/09/2010).
Pertanto, affinchè lo stillicidio persecutorio venga assoggettato al maglio della sanzione penale, occorre ingenerare nella vittima un perdurante stato d’ansia o di paura ovvero un sentimento di timore fondato per sé o per persone vicine o costringerla a modificare le proprie abitudini di vita.
Alla luce delle riflessioni che precedono, i fatti di causa sono stati attratti nell’orbita gravitazionale dell’art. 674 del Codice penale.
Attraverso un’interpretazione estensiva, si è riconosciuto che il reato di getto pericoloso di cose ben può avere ad oggetto diretto le res ed in via indiretta riguardare persone. D’altronde, in tal senso si era già espresso il Supremo Consesso in tempi non remoti (Cass. Sez. III, 27/09/2006, n. 35885).
Giova infine precisare che vale ad integrare la contravvenzione dell’art. 674 c.p. anche una semplice situazione di fastidio o disturbo, tale essendo la molestia; mentre, laddove si dovesse dimostrare la causazione di una malattia nel corpo o nella mente, risulterebbe consumato il diverso delitto di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.). Rileva, in proposito, una pronuncia della Cassazione, a mente della quale un’alterazione superficiale del bene può perfezionare il reato in esame (Cass. Sez. III, 22/12/2005, n. 46846).
In effetti, il gettare cenere e cicche di sigarette se in via astratta appare condotta innocua, non può dirsi che sia in concreto inoffensiva.
A tacer d’altro, la pregevolezza della sentenza esaminata si coglie sia nell’aver sfruttato a pieno le potenzialità del reato di getto pericoloso di cose, tanto da elevarlo a norma di contrasto di nocumenti più o meno seri e gravi che menomino il potere di godimento del titolare di un diritto, turbandone il modo di vivere quotidiano, sia nell’aver severamente punito condotte che spesso vengono reputate come contrarie alle sole regole di comportamento osservate dalla maggioranza delle persone educate, civili e di buon senso in un dato momento storico.
L’interprete non potrà sfuggire al monito che da tale decisione deriva. E così il comune cittadino destinatario dei precetti penali.
Dottrina
In passato, la dottrina non riteneva configurabile il reato di cui all’art. 674 c.p. qualora la condotta posta in essere avesse ad oggetto le sole cose.
Ciò derivava dalla presa d’atto che la norma si riferisce espressi verbis all’offesa, all’imbrattamento o alla molestia delle sole “persone”.
La disposizione scontava un’interpretazione squisitamente letterale, che, in tutta evidenza, restringeva il perimetro dell’area delle condotte penalmente rilevanti.
In prosieguo di tempo, il risultato dell’esegesi della surriferita norma ha iniziato non più a corrispondere, bensì a risultare più ampio rispetto ai possibili significati letterali del testo nonché più coerente con la ratio che ispira ed anima il reato di getto pericoloso di cose.
Come noto, anche l’interpretazione estensiva è operazione genuinamente interpretativa, e consiste nell’attribuire ad un termine o ad un sintagma un significato più espanso di quello che appare prima facie dalla dizione letterale della norma incriminatrice, così inglobando nella stessa anche fattispecie che si trovano in una “zona di penombra”, ossia marginali rispetto al nucleo di certezza della norma.
Pertanto, si è riconosciuta la lesività di quelle molestie che, sebbene non tocchino direttamente la persona, possono comunque ripercuotersi su di essa, sulle sue abitudini di vita, sulla sua salute.
Oggi, ancor di più, la contravvenzione prevista all’art. 674 c.p ha assunto un ruolo di supplenza nella tutela dell’ambiente e della salute umana rispetto all’inquinamento atmosferico.
Dobbiamo amaramente constatare l’assenza di una politica ambientale nel nostro Paese.
Il caso dell’ILVA di Taranto, ormai caso nazionale, è lì a ricordarcelo.
Proprio all’art. 674 c.p. si è guardato per capire se fosse possibile (o meno) ricomprendervi il fenomeno dell’elettrosmog generato da elettrodotti ad alta tensione.
Il contrasto si è polarizzato tra coloro secondo i quali i termini “getta” e “cose” non consentono l’estensione dell’ambito applicativo della fattispecie de qua alla propagazione di onde elettromagnetiche, avendosi, diversamente, un’interpetazione in malam partem della norma incriminatrice, e coloro i quali, interpretando estensivamente la norma, includono tra le “cose” anche le res incorporales e ricomprendono nel verbo “gettare” i verbi “emettere”, “produrre” e “generare”.
Ordunque, la dottrina maggioritaria predilige un’interpretazione adeguata, attualizzata ed estensiva delle norme penali.
Così, dottrina prima e giurisprudenza poi hanno allargato il raggio applicativo della norma in esame, sottolineando la primaria importanza di tale contravvenzione contro la pubblica incolumità: il termine “cose” è suscettibile di esprimere una vasta gamma di significati, dall’ente materiale esistente in rerum natura alle energie dotate di corporeità; si pensi che è possibile esperire tutela possessoria sulle onde elettromagnetiche, essendo le stesse suscettibili di valutazione economica. Inoltre, il “getto” racchiude in sé verbi che meglio si attagliano alle onde elettromagnetiche e che sono nient’altro che sinonimi del verbo “gettare”.
Valorizzando “l’intenzione del legislatore” (art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale), si è persino fatta rientrare nella contravvenzione dell’art. 674 la diffusione di polveri nell’atmosfera, trattandosi di “versamento di cose”.
La duttilità e adattabilità di certe norme del Codice penale al reale è straordinaria.
Complice anche una giurisprudenza che non si lascia mai cogliere impreparata.
Precedenti conformi e difformi
Conformi: Cass. Pen., Sez. III, 27/09/2006, n. 35885; Cass. Pen., Sez. III, 24/10/2007, n. 44815.
Difformi: Cass. Pen., Sez. III, 13/04/2010, n. 22032; Cass. Pen. Sez. I, 15/05/2012, n. 27625.
Spunti bibliografici
Francesco Caringella, Francesca Della Valle, Michele De Palma, Manuale di Diritto penale, DIKE editrice, sec. Edizione.
Testo della Sentenza
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 7 febbraio – 11 aprile 2013, n. 16459
(Presidente Squassoni – Relatore Gazzara)
Ritenuto di fatto
Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 2/12/2011, ha dichiarato R.I. colpevole dei reato di cui agli artt. 81 cpv e 674 cod. pen. per avere arrecato molestie a S.S., in quanto abitante nello stesso stabile, aveva gettato nel piano sottostante ove si trovava l’appartamento di quest’ultima, rifiuti, quali cenere e cicche di sigarette, nonché detersivi corrosivi, quale candeggina, e la ha condannata alla pena di euro Euro 120,00 di ammenda.
Propone ricorso per cassazione la prevenuta personalmente, con i seguenti motivi;
– inosservanza dell’art. 163 bis disp. att. cod. proc. pen., visto che competente a decidere avrebbe dovuto essere il Tribunale di Carini, sezione distaccata del Tribunale centrale di Palermo;
– vizio di motivazione ed errata lettura delle emergenze istruttorie che se correttamente valutate, avrebbero indotto il decidente a ritenere la insussistenza di prova in ordine alla concretizzazione dei reato contestato ed alla ascrivibilità di esso in capo alla prevenuta.
Considerato in diritto.
Il ricorso è inammissibile.
L’argomentazione motivazionale, adottata dal decidente in relazione alla concretizzazione del reato in contestazione e alla ascrivibilità di esso in capo alla prevenuta, si palesa logica e corretta.
Preliminarmente, va rilevato come dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la impugnata pronuncia, emerga in maniera dei tutto evidente, che il giudice è pervenuto alla affermazione di colpevolezza della prevenuta a seguito di una esaustiva valutazione della piattaforma probatoria, i cui elementi, confermativi della tesi accusatoria, sono stati puntualmente richiamati dal decidente (deposizioni S., P. e L.).
Con il primo motivo di annullamento si eccepisce la inosservanza dell’art. 163 bis, disp. att., cod. proc, pen., in quanto competente a decidere avrebbe dovuto essere il Tribunale di Carini, sezione distaccata dei Tribunale di Palermo e non il Tribunale centrale.
La censura è totalmente priva di pregio, perché, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, le sezioni distaccate, sia del Tribunale, che della Corte di Appello, non possono essere considerati uffici autonomi, ma costituiscono semplici articolazioni dall’unico ufficio da cui dipendono; di tal chè la violazione dei criteri di attribuzione degli affari tra sede principale e sede distaccata non dà luogo a nullità, né e ipotizzabile alcun conflitto di competenza tra di esse (ex multts Cass. 12/12/06, n. 42172).
Di poi, inammissibile è da ritenere la censura formulata con il secondo motivo di impugnazione, in quanto con essa si tende ad una analisi rivalutativa delle emergenze istruttorie, sulle quali al giudice di legittimità è precluso procedere a nuovo esame estimativo: in tema di controllo sulla motivazione a questa Corte è normativamente inibita la possibilità, non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione, mediante un raffronto tra l’appartato argomentativo, che la sorregge, ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno.
Va richiamato sul punto il principio secondo il quale esula dai poteri di questa Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U.2/7/1997, 6402).
Tenuto conto della sentenza dei 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la I. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la stessa, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., deve, altresì, essere condannata al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativarnente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00.