di Antonella Martucci

 

1)       Oggi l’abuso del diritto è inteso come il comportamento del soggetto che esercita i diritti attribuiti dalla legge o da un contratto per uno scopo diverso da quello per cui gli sono stati attribuiti. Si crea, in questo caso una scissione tra il dato formale per cui il comportamento è consentito dalla legge, ed il dato funzionale per cui le finalità del soggetto entrano in conflitto con il fine principe, che, solo, giustifica la creazione del diritto, e con essa, la meritevolezza della sua tutela da parte del ordinamento.

2)       Gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto – ricostruiti attraverso l’apporto dottrinario e giurisprudenziale – sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte.

3)       La dottrina distingue l’abuso del diritto dall’eccesso di diritto. In particolare, detta dottrina ritiene che, mentre nell’ipotesi dell’abuso del diritto il soggetto non viola limiti imposti dalla legge, ma li utilizza per scopi diversi da quelli previsti, nell’ipotesi di eccesso di diritto il soggetto viola limiti esterni realizzando fattispecie illegittime. Al riguardo, si rileva un certo parallelismo tra il diritto amministrativo, in quanto l’eccesso di diritto va a configurare un’ipotesi di violazione di legge, mentre l’abuso del diritto corrisponderebbe ad un eccesso di potere.

4)       La definizione nonché l’esistenza dell’abuso del diritto non è stata sempre pacifica nel nostro ordinamento, ma oggetto di una profonda discussione dottrinale e giurisprudenziale. Al riguardo, è rilevante evidenziare che nel nostro codice civile non esiste una norma che sanzioni a livello generale l’abuso del diritto. Sul punto è opportuno precisare che sino agli anni ’30 l’abuso del diritto era considerato un concetto di carattere etico-morale, e, conseguentemente, una sua eventuale violazione non comportava conseguenze giuridiche. Ed, infatti, tale tipo di contesto culturale congiuntamente alla convinzione che l’inserimento di una tale norma avrebbe comportato un’eccessiva discrezionalità in capo ai giudici, impedì che nel progetto definitivo del codice civile fosse introdotta detta norma di carattere generale sull’abuso del diritto. Nell’attuale codice civile vi è solo una norma riconducibile all’abuso del diritto, l’art. 833 c.c., relativa al divieto di atti emulativi, intesi come atti che hanno il solo fine di molestare l’altrui diritto senza produrre alcun vantaggio. Su tale norma si sono formati nel tempo varie teorie: la prima tesi asseriva che proprio la presenza nel codice civile dell’art. 833, norma speciale, faceva escludere  la sussiste dell’abuso del diritto come principio generale; una seconda tesi contrapposta affermava, invece, che proprio dal suddetto articolo era possibile, in via interpretativa, ricavare il principio generale dell’abuso del diritto, e, nel criticare la prima tesi, asseriva che la stessa giurisprudenza aveva dato all’art. 833 c.c. un’interpretazione ridotta, in quanto perché vi fossero atti emulativi la giurisprudenza indicava la necessità di un primo requisito di tipo oggettivo, consistente nell’assenza di utilità, ma anche di un secondo requisito di tipo soggettivo, l’intenzione di ledere.

5)       Successivamente, alle due tesi innanzi illustrate si è aggiunta una terza teoria dell’attuale dottrina che, attraverso l’art. 2 cost. e gli artt. 1175- 1375 c.c., ricollega l’abuso del diritto alla buona fede di tipo oggettivo. In altri termini, il dovere di comportarsi con lealtà e correttezza farebbe sorgere il divieto di abuso del diritto. A tale tesi si è accordata poi anche la giurisprudenza, che ha utilizzato detto principio sia in campo sostanziale che processuale. Vari esempi di tipo esemplificativo: la exceptio doli generalis, che attiene al dolo esistente al momento di cui è iniziata l’azione processuale intrapresa al solo scopo di arrecare pregiudizio alla controparte, qualora sussistano elementi di carattere oggettivo da cui rilevare che il soggetto ha agito in violazione del principio di buona fede, in contrasto con le finalità collegata al diritto di cui è titolare. Il divieto di parcellizzare le pretese giudiziarie relative a diritti unitari, in riferimento all’ipotesi in cui il frazionamento delle pretese giudiziarie incida in modo pregiudizievole e peggiorativo sulla posizione del debitore, attraverso sia un aggravio delle spese processuale, che  un prolungamento del vincolo coattivo per liberarsi dell’obbligazione nella sua interezza, ove il credito azionato è nei suoi confronti solo pro quota. In tal caso, inoltre, il frazionamento può incidere sulla competenza giurisdizionale spostandola verso il basso, risultando, per ciò solo, in violazione del principio del giusto processo. Nel diritto del lavoro, abuso dei poteri del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori subordinati. Nelle concessione abusive di credito, società che sopravvivono solo attraverso finanziamenti abusivi, in quanto altrimenti sarebbero fuori dalla legge e dal mercato. Inoltre, nel nostro ordinamento, in materia fiscale, sulla spinta del diritto comunitario, si è sviluppato un profondo dibattito sul concetto fiscale di abuso del diritto, che ha condotto la giurisprudenza ad affermare la sussistenza di un generale principio antielusivo. 

6)       Inoltre, si è di recente sviluppata in dottrina la teoria sull’abuso del diritto contrattuale. Vi sono due ipotesi: la prima di tipo unilaterale, quando vi è abuso della libertà contrattuale che la parte negozialmente forte esercita sulla parte debole, generando un assetto d’interessi squilibrato e contrario alla buona fede contrattuale. Esempi: clausole vessatorie, clausole che stabiliscono interessi usurai, l’abuso di dipendenza economica nella subfornitura. La seconda ipotesi è di tipo bilaterale, quando un contratto lecito e vincolate per le parti diventa pregiudizievole per i terzi. Al riguardo diverse tesi: secondo alcuna dottrina il contratto non è meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. Altra dottrina ritiene che in questo caso il contratto è contrario a norme imperative, ordine pubblico e buon costume.

7)       In conclusione, dire che dalle varie ipotesi di applicazione dell’abuso del diritto si rileva che anche detto principio è un criterio di selezione, a cui l’ordinamento ricollega il rifiuto  alla tutela di interessi, diritti e poteri, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, e quindi, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva.

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