GIUSTIZIANe bis in idem, alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale 102/2016

A cura dell’avv. Filomena Agnese Chionna

 

QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE:

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 102/2016 si è pronunciata con riferimento alla sollevata questione di legittimità costituzionale riferita agli artt. 187-bis, comma 1, e 187-ter, comma 1, del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, nella parte in cui prevede «Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato» anziché «Salvo che il fatto costituisca reato».

Inoltre, in via subordinata, veniva denunciata una sospettata illegittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede «l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l’imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell’ambito di un procedimento amministrativo per l’applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Cedu e delle Libertà fondamentali e dei relativi Protocolli».

IL CASO IN ESAME:

La questione da cui trae origine la vicenda in esame, attiene un ricorso avverso la condanna di un imputato per il reato previsto dall’art. 184, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 58 del 1998, per abuso di informazioni privilegiate, passata in giudicato, nonché una pronuncia che aveva respinto l’opposizione avverso una sanzione amministrativa pecuniaria inflittale dalla Consob, ai sensi dell’art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998, per il medesimo fatto.

GIURISPRUDENZA CEDU NEL CASO GRANDE STEVENS:

In primo luogo si osserva che in applicazione di un consolidato principio nel noto caso Grande Stevens contro Italia, la Cedu nel 2014, ha affermato, sia la natura penale della sanzione prevista dall’art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998, sia la violazione da parte della Repubblica italiana dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, per avere proceduto in sede penale, nonostante fosse già divenuta definitiva una prima condanna per il medesimo fatto, sia pure diversamente qualificato giuridicamente.

La tematica oggetto di analisi, pone questioni relative al rispetto del ne bis in idem come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in casi di cosiddetto “doppio binario” sanzionatorio, cioè in casi nei quali la legislazione nazionale prevede un doppio livello di tutela, penale e amministrativo.

In particolare, dalla giurisprudenza della Corte EDU è possibile desumere alcuni principi:

il primo riguarda la valutazione della “identità del fatto” , del ne bis in idem.

La Corte europea ritiene che tale valutazione sia da effettuarsi in concreto e non in relazione agli elementi costitutivi dei due illeciti. In particolare, la giurisprudenza europea ravvisa l’identità del fatto quando, da un insieme di circostanze fattuali, due giudizi riguardino lo stesso accusato e in relazione a situazioni inestricabilmente collegate nel tempo e nello spazio.

Il secondo aspetto riguarda la nozione di sanzione penale, da definirsi non in base alla mera qualificazione giuridica da parte della normativa nazionale, ma in base ai cosiddetti “criteri Engel”

Si tratta di tre criteri individuati dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, da esaminare congiuntamente per stabilire se vi sia o meno una imputazione penale: il primo è dato dalla qualificazione giuridica operata dalla legislazione nazionale; il secondo è rappresentato dalla natura della misura (che, ad esempio non deve consistere in mere forme di compensazione pecuniaria per un danno subito, ma deve essere finalizzata alla punizione del fatto per conseguire effetti deterrenti); il terzo è costituito dalla gravità delle conseguenze in cui l’accusato rischia di incorrere. Alla luce di tali criteri, sanzioni qualificate come non aventi natura penale dal diritto nazionale, possono invece essere considerate tali ai fini della applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle relative garanzie.

La suddetta pronuncia censura specificamente l’ordinamento italiano per aver previsto un sistema di “doppio binario” sanzionatorio nel settore degli abusi di mercato.

INAMMISSIBILITA’ DELLE DENUCIATE QUESTIONI DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE

Essa concerne una disposizione, l’art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998, che ha già ricevuto definitiva applicazione dall’autorità amministrativa nel relativo procedimento. Non consentirebbe di evitare la lamentata violazione del ne bis in idem,benché l’imputato sia già stato assoggettato, per gli stessi fatti, a un giudizio amministrativo divenuto definitivo e benché, in considerazione della gravità delle sanzioni amministrative applicate, a tale giudizio debba essere attribuita natura “sostanzialmente” penale, secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Difatti, il divieto di bis in idem prescritto dall’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU verrebbe irrimediabilmente infranto, anziché osservato.

È infatti pacifico, in base alla consolidata giurisprudenza europea, che il divieto di bis in idem ha carattere processuale, e non sostanziale. Esso, in altre parole, permette agli Stati aderenti di punire il medesimo fatto a più titoli, e con diverse sanzioni, ma richiede che ciò avvenga in un unico procedimento o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel rispetto della condizione che non si proceda per uno di essi quando è divenuta definitiva la pronuncia relativa all’altro.

Non può negarsi che un siffatto divieto possa di fatto risolversi in una frustrazione del sistema del doppio binario, nel quale alla diversa natura, penale o amministrativa, della sanzione si collegano normalmente procedimenti anch’essi di natura diversa, ma è chiaro che spetta anzitutto al legislatore stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che tale sistema genera tra l’ordinamento nazionale e la CEDU.

649 C.P.P.

La questione prospettata, infatti, richiede l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen. «nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l’imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto, nell’ambito di un procedimento amministrativo per l’applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali e dei relativi Protocolli».

Si evidenzia che l’accoglimento di una tale questione determinerebbe un’incertezza quanto al tipo di risposta sanzionatoria – amministrativa o penale – che l’ordinamento ricollega al verificarsi di determinati comportamenti, in base alla circostanza aleatoria del procedimento definito più celermente.

Infatti, l’intervento richiesto non determinerebbe una forma di coordinamento, tra i due procedimenti – penale e amministrativo – cosicché la preclusione del secondo procedimento scatterebbe in base al provvedimento divenuto per primo irrevocabile.

La stessa Corte rimettente sottolinea, poi, che l’incertezza e la casualità delle sanzioni applicabili potrebbero a loro volta dar luogo alla violazione di altri principi costituzionali.

187 TER

Parimenti inammissibile è la questione sollevata dalla sezione tributaria della Corte di cassazione, in ordine all’art. 187-ter, comma 1, del d.lgs. n. 58 del 1998, in quanto formulata in maniera dubitativa e perplessa.

Appare chiaro l’orientamento dei giudici di Strasburgo di rimproverare agli organi giurisdizionali la mancata disapplicazione [sic] di un principio (ne bis in idem) che il legislatore nazionale ha introdotto in materia penale ma non nei rapporti tra sanzione amministrativa di natura penale e sanzione penale» e che il principio affermato dalla Corte europea sarebbe «bidirezionale» – nel senso che esso troverebbe applicazione sia nel caso di sanzione amministrativa precedente quella penale, sia nel caso inverso, come quello occorso nella specie, nel quale il giudizio penale si è esaurito prima di quello amministrativo ancora sub iudice.

In tal modo, la Corte rimettente non scioglie i dubbi che essa stessa formula quanto alla compatibilità tra la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e i principi del diritto dell’Unione europea – sia in ordine alla eventuale non applicazione della normativa interna, sia sul possibile contrasto tra l’interpretazione del principio del ne bis in idem prescelta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e quella adottata nell’ordinamento dell’Unione europea, anche in considerazione dei principi delle direttive europee che impongono di verificare l’effettività, l’adeguatezza e la dissuasività delle sanzioni residue.

L’incertezza del petitum, ciò che costituisce ulteriore ragione di inammissibilità della questione sollevata.

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