di Samantha Mendicino

L’imperativo è “non violare le norme imperative”! Ma… quali sono queste norme e, prima ancora, qual è la loro definizione?

Ebbene, il nostro codice in realtà non ci fornisce una nozione delle norme imperative nè ci offre un elenco normativo che enuclei le singole disposizioni da considerare tali. E così, ancora una volta, siamo chiamati a relazionare questa clausola elastica con l’intero sistema di diritto al fine di riempirla con i doverosi e necessari contenuti logico-giuridici[1]. In particolare, nel caso de quo, facendo riferimento al complesso delle disposizioni del codice relative all’invalidità del contratto per contrasto con le norme imperative. Testualmente si riporta l’enunciato dell’art. 1418 c.c.: “Il contratto è nullo quando contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325, l’illiceità della causa (1343), l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’articolo 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 1346. Il contratto altresì è nullo negli altri casi stabiliti dalla legge”.

Ma procediamo con ordine ed iniziamo col dire che una norma è imperativa quando il suo contenuto, consistente nell’imposizione di un precetto positivo o negativo[2], non può essere derogato neppure in base all’accordo delle parti.

Parte della dottrina fornisce questa definizione: “norma imperativa[3] è la norma proibitiva che, sulla base dell’esigenza di protezione di valori morali e sociali e di quelli fondamentali della comunità giuridica, tende non solo a negare efficacia giuridica alla programmazione negoziale ad essa contraria, ma tende più radicalmente a proibire l’azione programmata[4].

E qui, richiamiamo brevemente la differenza dottrinaria tra le norme inderogabili (cogenti ed imperative) e quelle derogabili (dispositive e suppletive): rientrando nelle seconde quelle disposizioni che l’autonomia privata può modificare. Ricordiamo, poi, che nella generalità dei casi le norme pubbliche (come quelle di diritto penale e costituzionale) sono cogenti mentre quelle di diritto privato, per la maggiorparte delle ipotesi, sono derogabili. Tuttavia, l’equazione non è sempre rispettata ecco perchè, soprattutto in diritto privato, occorre saper comprendere quando un divieto od un obbligo risultano imperativi.

Ed a tal proposito, corre in aiuto dello studioso l’indagine sullo spirito della norma: il carattere imperativo di una disposizione è conseguenza della indisponibilità dell’interesse tutelato dalla stessa.

A loro volta, dunque, gli studiosi distinguono le norme inderogabili in senso stretto le quali, non entrando nel merito dell’operazione privata si limtano a stabilire le modalità dal cui rispetto dipende la rilevanza giuridica dell’atto (es. le norme che stabiliscono la forma pubblica ad substantiam); dalle norme imperative che, invece, entrano nel merito dell’operazione privata. E ricordiamo che, sempre seguendo questa parte della dottrina che ha così precisato[5], l’operatività delle norme imperative può essere di due tipi: 1) o la disposizione disciplina i limiti esterni entro cui l’attività del privato deve essere mantenuta sotto pena di nullità (ad exemplum, art. 1346 c.c. secondo cui l’oggetto del contratto deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile ecc.); 2) o la disposizione impone il contenuto che, pertanto, sarà vincolante, di determinati contratti (ad exemplum, art. 1139 c.c., relativo alla sostituzione automatica dlla clausola pattizia con altra…).

L’altro quesito a cui rispondere è: una volta stabilito cosa si intende per norma imperativa e, dunque, identificata, qual è la conseguenza della sua violazione?

Normalmente accade che testualmente venga sancita la invalidità (per lo più in termini di nullità) dell’atto di autonomia privata in ipotesi di violazione della norma imperativa. Ma può anche verificarsi che manchi l’espressa sanzione invalidante ed a questo punto occorrerà identificare l’interesse, pubblico o privato, tutelato dalla norma imperativa e da lì passare a valutare se l’atto sia inficiato da nullità o irregolarità.

Ovviamente, allorquando il negozio è in contrasto con l’ordine pubblico si avrà come conseguenza la nullità dell’atto perchè viene violato un interesse generale ed essenziale dell’ordinamento[6].

Ma quando, ad esempio, il negozio è in contrasto con la lettera della norma imperativa senza, però, che i suoi effetti contrastino con l’interesse sotteso alla detta norma, si avrà un contratto irregolare[7]: vale a dire un contratto valido dal punto di vista civilistico anche se comportante altre conseguenze quali una sanzione accessoria. Questo perchè se rimane salvo, da un punto di vista sostanziale, l’interesse generale e fondamentale sotteso alla norma imperativa, l’effetto di invalidare completamente il negozio appare una sanzione eccessiva rispetto alla portata della violazione[8].

L’esempio tipico è quello del contratto di acquisto degli alloggi di edilizia popolare che è posto validamente in essere se l’acquirente ha certi requisiti stabiliti ex lege. Nel caso in cui il soggetto che acquista  l’immobile non è in possesso dei detti requisiti, il contratto sarà nullo perchè sarà stato violato l’interesse pubblico, generale e fondamentale tutelato dalla norma (la ratio di queste norme imperative è, difatto, quella di garantire il diritto fondamentale dell’abitazione a chi non ha mezzi di sostentamento sufficienti per poterselo permettere). Invece, se il contratto di acquisto sarà inficiato dalla violazione di altra norma imperativa, come può essere il contrasto con una norma tributaria, allora la sanzione sarà l’irregolarità del negozio (che comporta l’applicazione di sanzione tributaria) ma con la salvezza degli effetti civili.

Altro aspetto da non dimenticare è la differenza (a dire il vero assai risalente nel tempo) tra contratto illegale e contratto illecito: avremo la prima ipotesi di invalidità nei casi di contrasto del contenuto del negozio con la norma imperativa; ci troveremo di fronte alla seconda ipotesi nei casi specifici di contrasto della causa o del motivo comune alle parti con norma  imperativa, buon costume o ordine pubblico (rappresentanti interesi di natura pubblica e/o generali). Dunque, in linea generale parleremo di illegalità quando il giudizio dell’ordinamento ricade sul contenuto del negozio mentre tratteremo di illiceità quando il medesimo giudizio di contrarietà verte sulla causa. Le conseguenze applicative, tuttavia, sono identiche: de plano viene sancita la nullità del negozio giuridico e ove le prestazioni siano state già adempiute si potrà agire per la restituzione dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.. A titolo esemplificativo, è illegale: – un negozio privo della forma ad substantiam; – il conferimento di un incarico della P.A. per corrispondenza; – la violazione di una norma tributaria ecc.

E’ illecito: – il contratto di meretricio; – il contratto di vendita di organi; – il contratto con cui un pubblico ufficiale baratta l’adempimento della propria funzione ad un corrispettivo; – il contratto in frode alla legge ecc.

Infine, non dimentichiamoci del contratto immorale che coincide col contratto illecito, nello specifico, contrario al buon costume. Ma attenzione: in quest’ultimo caso ricordiamo che è sancita l’irripetibilità di quanto prestato in virtù del negozio immorale (art. 2035 c.c.) in base al famoso brocardo in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis


[1] In A. ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, pag. 120 si rileva che proprio la mancanza di una nozione legale della norma imperativa fa sì che diventi compito dell’interprete ricavarne la relativa nozione dall’intero sistema giuridico

[2] Rectius: obbligo o divieto

[3] Ed ancora: secondo C.M. BIANCA, G. PATTI, S. PATTI, Lessico di diritto civile, Milano, 1995, pag. 393, l’imperatività della norma giuridica consiste nella sua necessaria cogenza o inderogabilità

[4] RUSSO, Norma imperativa, norma cogente,norma inderogabile, norma indisponibile, norma dispositiva, norma suppletiva in Rivista di diritto civile, 2001, pag. 585 e ss.

[5] F. CARINGELLA, L. BUFFONI, Manuale di diritto civile, Roma, 2009, pag. 20 e ss.

[6] R. TOMMASINI, Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, pag. 879 e ss.

[7] V. ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato, Milano, 2001, pag. 748 e ss.

[8] sulla irregolarità e non illegittimità del contratto contrario a norme imperative laddove l’effetto del negozio non sia contrario all’interesse tutelato dalla norma si legge in C.M.BIANCA, Diritto Civile, 3, Il contratto, Milano, 1987, pag. 572

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