Le somme erogate a titolo di retribuzione e T.F.R. possano essere pignorate e quindi sequestrate oltre i limiti di cui agli artt. 671 e 545 cod. proc. civ. nella forma del pignoramento presso terzi sul conto corrente intestato al dipendente

Cassazione Civile, Sez. Lav., 09 ottobre 2012, n. 17178

di Filomena Agnese Chionna

 

Massima

laddove il creditore procedente notifichi un pignoramento presso il datore di lavoro del suo debitore, non v’è dubbio che le “somme” da questi dovute a titolo di retribuzione rappresentino un credito di lavoro. Viceversa, quando il creditore pignorante sottoponga a pignoramento (id est a sequestro) somme esistenti presso un istituto bancario ove il debitore intrattiene un rapporto di conto corrente e sul quale affluiscono anche le mensilità di stipendio, il credito del debitore che viene pignorato è il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente. Sono, quindi, del tutto irrilevanti le ragioni per le quali quelle “somme” sono state versate su quel conto: il denaro è bene fungibile per eccellenza.

 

Norme di riferimento

artt. 671 e 545 cod. proc. civ..

artt. 1481, 1703, 1834, 1852 c.c.

 

Il fatto

Dando seguito al decreto di sequestro conservativo di beni mobili ed immobili, la cassa di Risparmio, avviava una procedura esecutiva in virtù del decreto menzionato, emesso inaudita altera parte dal giudice del lavoro, ottenuto a garanzia di un credito risarcitorio per i danni conseguenti al comportamento dell’opponente che aveva giustificato la risoluzione del rapporto per licenziamento. Si procedeva al sequestro delle somme giacenti sul c/c, l’opponente proponeva opposizione avverso la procedura esecutiva intrapresa dalla Cassa di Risparmio. Tali somme esistenti sul c/c personale erano stati ricevuti a titolo di stipendio nonchè di trattamento di fine rapporto e somme già accantonate presso il datore di lavoro per alimentare il fondo integrativo previdenziale.

Deduceva che le somme relative a retribuzioni ed a T.F.R. non potessero essere sottoposte a pignoramento se non nei limiti di 1/5 a mente dell’art. 545 cod. proc. civ. e quelle relative alla posizione assicurativa detenuta nel fondo complementare di previdenza fossero del tutto impignorabili ai sensi dell’art. 2117 cod. civ..

Il Tribunale di Pistoia riteneva che le somme accreditate sul c/c del T. a titolo di stipendi e trattamento di fine rapporto in virtù di espressa autorizzazione del dipendente fossero, con tale accredito, fuoriuscite dalla disponibilità del datore di lavoro con la conseguenza che sulle stesse non poteva operare il limite di cui all’art. 545 cod. proc. civ.. Quanto alla somma costituita dagli accantonamenti per alimentare il fondo integrativo previdenziale, riteneva che, mancando una scelta formale del dipendente tra le possibili opzioni di utilizzazione degli accantonamenti, dovendo considerarsi detta somma come ancora integrante un credito esistente presso il datore di lavoro, la stessa, ai sensi dell’art. 545 cod. proc. civ., potesse essere sottoposta a sequestro solo nella misura di 1/5. Accoglieva, così, parzialmente il ricorso. Avverso tale deciione veniva proposto ricorso in Cassazione.

 

Il quesito giuridico

“dica la Suprema Corte se le somme erogate a titolo di retribuzione e T.F.R. possano essere pignorate e quindi sequestrate oltre i limiti di cui agli artt. 671 e 545 cod. proc. civ. nella forma del pignoramento presso terzi sul conto corrente intestato al dipendente, allorchè il datore di lavoro abbia provveduto al pagamento di dette somme mediante accredito su tale conto e sia contestualmente anche il soggetto banca terzo sequestrato e il soggetto creditore sequestrante e il sequestro sia avvenuto contestualmente all’accredito ed al blocco di ogni possibile operazione sul conto o comunque con modalità tali da escludere la disponibilità materiale e giuridica delle stesse da parte del dipendente”.

 

“dica la Suprema Corte se l’autorizzazione all’accredito sul proprio conto corrente delle future retribuzioni possa costituire un valido atto di disposizione delle stesse o dei futuri compensi ed emolumenti dovuti in conseguenza del rapporto di lavoro anche a titolo di TFR, idoneo a determinare la confusione con il patrimonio del dipendente e ad escludere l’applicazione degli artt. 671 e 545 c.p.c. ove lo stesso datore di lavoro proceda in via esecutiva sulle somme accreditate sul conto medesimo ovvero se tale autorizzazione, ove riconosciutane detta idoneità, debba considerarsi invece consenso affetto da nullità ex art. 1418 c.c. per contrasto con norme imperative in quanto costituente rinuncia al godimento dei 4/5 di tali emolumenti futuri e quindi ad un diritto ancora inesistente”.

 

“Dica la Suprema Corte se, in corretta applicazione dei criteri ermeneutici fissati dal codice civile negli artt. 1362, 1364, 1365, 1366, l’autorizzazione all’accredito sul proprio conto corrente delle future retribuzioni data dal dipendente al datore di lavoro in occasione della assunzione con la contestuale stipula di un contratto di conto corrente presso il datore di lavoro e acquiescenza all’accredito delle retribuzioni, possa ritenersi ricomprendere emolumenti diversi dalle retribuzioni o da liquidarsi a rapporto cessato”.

 

Orientamento della Cassazione

Secondo una prassi la banca, al momento dell’assunzione di ogni dipendente, sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato, procedeva all’apertura di un conto corrente per consentire il pagamento dello stipendio mediante accredito sullo stesso dello stipendio, conto corrente con condizioni particolari, diverse da quelle applicate alla clientela.

ll contratto di conto corrente bancario previsto dall’art. 1852 cod. civ. rappresenta un negozio innominato misto, avente natura complessa, alla cui costituzione e disciplina concorrono plurimi e distinti schemi negoziali, i quali si fondono in ragione dell’unitarietà della causa. Per un verso, assume rilievo preminente nella sua struttura l’impegno della banca, riconducibile al rapporto di mandato, espressamente richiamato dall’art. 1856 cod. civ. che estende ad essa la responsabilità del mandatario prevista dall’art. 1703 c.c., in forza del quale si accolla l’obbligo di agire con diligenza eseguendo pagamenti ovvero riscuotendo crediti su ordine del cliente, fornendo in sostanza un servizio di cassa di cui è tenuta, nel contempo, a compiere fedele e regolare annotazione sul conto corrente. Per altro verso, consente il deposito del risparmio del correntista, ed impegna quindi la banca alla restituzione delle somme ivi confluite. Contiene altresì elementi tipici della delegazione, ovvero degli altri contratti tipici, identificabili con riferimento alle singole operazioni bancarie in esso confluite, le cui norme si applicano all’occorrenza. In prospettiva correlata alla sua prima e senz’altro preminente funzione, tipica del mandato, la banca assume, pertanto, in qualità di mandataria, un obbligo di facere, consistente nel registrare correttamente sul conto le operazioni eseguite su ordine del correntista, che si concreta, laddove si accerti che talune di esse non siano riferibili a sue precise istruzioni, l’obbligo di eliminarle, ricostituendo la posizione contabile corretta senza considerarle. Se ciò non avviene, la banca contravviene a preciso obbligo contrattuale e deve rispondere del conseguente illecito compiuto (cfr. Cass. n. 5843 del 10 marzo 2010). Il descritto assetto è, allora, evidentemente significativo dell’esistenza di una formale regolamentazione dei rapporti tra le parti.

La particolarità di tale regolamentazione consiste nel fatto che  le reciproche annotazioni a debito ed a credito del cliente vengono sommate algebricamente in modo tale che in ogni momento è possibile verificare il risultato della sommatoria attraverso il saldo che viene annotato in una terza colonna che completa il risultato tipico del conto corrente.

Va, infatti, ritenuto che qualora le somme dovute per crediti di lavoro siano già affluite sul conto corrente o sul deposito bancario del debitore esecutato non si applicano le limitazioni al pignoramento previste dall’art. 545 cod. proc. civ..

Ond’è che, laddove il creditore procedente notifichi un pignoramento presso il datore di lavoro del suo debitore, non v’è dubbio che le  “somme” da questi dovute a titolo di retribuzione rappresentino un credito di lavoro. Viceversa, quando il creditore pignorante sottoponga a pignoramento (id est a sequestro) somme esistenti presso un istituto bancario ove il debitore intrattiene un rapporto di conto corrente e sul quale affluiscono anche le mensilità di stipendio, il credito del debitore che viene pignorato è il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente. Sono, quindi, del tutto irrilevanti le ragioni per le quali quelle “somme” sono state versate su quel

conto: il denaro è bene fungibile per eccellenza.

n conseguenza dell’opera di lavoro prestata dal dipendente, nessuna preclusione o limitazione sussiste, in ordine alla sequestrabilità e pignorabilità di tali somme, ormai definitivamente acquisite dal dipendente e confluite nel suo patrimonio, sia che esse si trovino nel suo diretto possesso, sia

che esse risultino depositate a suo nome presso banche ed assoggettate, quindi, alla disciplina dell’art. 1834 cod. civ. (cfr. Cass. n. 3518 del 12 giugno 1985).

Neppure può ritenersi che l’autorizzazione all’accredito degli stipendi non comportasse automaticamente anche quella all’accredito del T.F.R.. Va, infatti, ricordato il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto che costituendo istituto di retribuzione differita consente di ricondurre le relative somme sempre nell’ambito degli emolumenti stipendiali. Da ultimo va escluso che l’autorizzazione all’accredito integrasse un atto di disposizione di crediti futuri idoneo a privare detti crediti delle garanzie approntate dagli artt. 545 e 671 cod. proc. civ. e come tale integrasse un regolamento negoziale nullo ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.. Nessun effetto ulteriore può, infatti, essere riconosciuto ad una diposizione di accredito rispetto a quello di ottenere la disponibilità delle

somme oggetto della stessa in modo diverso dal pagamento diretto per cassa.

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