A cura dell’Avv.Rotola Mariateresa
Sintesi del caso
La fattispecie in causa ha ad oggetto un incidente stradale, a seguito del quale viene incardinato, innanzi al giudice di pace competente, il giudizio per lesioni personali a seguito di sinistro. Il giudizio, di cui innanzi, viene a concludersi a favore della parte attrice, in quanto viene dimostrato che l’alta velocità, che aveva provocato l’impatto, era da addebitarsi al convenuto; altresì la possibilità di evitare la collisione veniva attribuita al convenuto, in quanto, alla luce della fitta vegetazione e della conformazione della strada, sarebbe stato impossibile alla parte attrice evitare l’urto. Da cui, la parte convenuta violava il codice della strada –agli articoli 140 e 141 –mentre la parte attrice non era nelle condizioni da poter porre in essere nessuna manovra utile al fine di evitare la collisione. Ciò ha permesso di attribuire la responsabilità dell’incidente al conduttore del veicolo, che procedeva ad elevata velocità , disattendendo, così, le disposizioni codicistiche, ed una parte (in percentuale inferiore, pari al 10% ) al comune che non aveva adeguatamente curato la manutenzione della strada, nel tratto di propria competenza.
Le parti soccombenti impugnano la decisione, ed è proprio a seguito di tale impugnazione che viene rilevata, per un verso, l’esattezza della condanna pronunciata dal giudice di pace e, per altro verso la necessità di una pronuncia che tenga conto dell’intero danno subito dalla parte vittoriosa. A proposito di tale ultima necessità, il giudice dell’appello si pronuncia sulla non manifesta infondatezza di incostituzionalità dell’articolo 139, di cui alla legge n 209 del 7 settembre del 2005, in quanto la disposizione normativa risulta fortemente limitativa della risarcibilità del danno; non permettendo la liquidazione di ogni singola componente del danno -cioè in ogni suo aspetto- subito dalla vittima.
La materia del contendere
Attiene alla consistenza (al quantum) del danno risarcibile a seguito di lesioni non patrimoniali . In particolare oggetto di discussione è rappresentato dalla legittimità costituzionale del contenuto normativo dell’articolo 139, di cui al codice delle assicurazioni, laddove prevede un tetto massimo entro il quale deve essere ricompreso, non solamente il danno biologico bensì, a seguito della pronuncia delle SS.UU -la nota sentenza N 26972/2008 – altresì i danni cd esistenziale e morale.
Tanto il danno esistenziale quanto quello morale sono stati inseriti nell’ordinamento nazionale alla luce della necessità di risarcire il danno non patrimoniale, quando il danno biologico veniva inserito nella categoria del danno di cui all’articolo 2043, del codice civile, e quando veniva considerato danno-evento, a differenza di quello morale ed esistenziale che dovevano considerarsi danni conseguenza. La fuoriuscita del danno biologico dal disposto normativo dell’articolo 2059, del codice civile, era dettato da esigenze tanto probatorie quanto legate alla consistenza della liquidazione dello stesso danno. Attualmente -in seguito alle sentenze gemelle degli anni ‘90 della Corte Costituzionale, ed ulteriori successive della stessa Corte, seguite da conformi pronunce da parte della Corte di Cassazione- il danno biologico è rientrato nell’alveo del danno di cui all’articolo 2059. Dunque alla luce di un danno biologico completo, non appaiono più utili queste due categorie di danno che, anzi, presentano connotati fuorvianti, in quanto permettono di liquidare più volte “un medesimo danno ”. Prima della pronuncia delle SS.UU, innanzi citata non pare si sia posta – per lo meno non tanto prepotentemente come accade attualmente – il problema della legittimità costituzionale dell’articolo 139 del codice delle assicurazioni; in quanto, evidentemente, il giudice poteva liquidare, il danno biologico entro i parametri contemplati e, secondo equità, in relazione al caso concreto, tanto il danno morale soggettivo quanto il danno cd esistenziale. Dunque, la problematica emersa a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione a SS.UU è rappresentata dalla compatibilità della norma di cui alla legge n 209 /2005 con talune disposizioni Costituzionali, prima fra tutte gli articoli 32 e 3. Infatti, ciò che pone forti dubbi in relazione, ai succitati articoli, rispettivamente attiene al rispetto del diritto alla salute, inteso nella sua accezione più completa, ed il rispetto del principio di uguaglianza. Dunque, per quanto riguarda il diritto alla salute, questo non pare potersi relegare unicamente al mero danno medicalmente accertabile; dovendosi valutare tutte le componenti della salute -quali sono anche quelle non medicalmente accertabili ma- che, comunque, arrecano un danno alla salute della persona, quali la sofferenza quotidiana nella vita di relazione, nonché la sofferenza dettata dalle menomazioni subite. Per quanto attiene la violazione del principio di uguaglianza, questo si assume violato, in quanto una medesima lesione viene quantificata utilizzando parametri differenti, (solamente) perché varia il mezzo mediante il quale questa è stata arrecata, appare necessario fermarsi un attimo a meditare -se esistono – le motivazioni di questa distinzione.
Quaestio iuris
L’ordinanza oggetto della presente trattazione pone il seguente quesito : “ se l’articolo 139 del d.lgs. n 209 /2005 è conforme agli articoli 2, 3 , 24, 32, 76 della Costituzione nonché agli articoli 2, 3, 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e all’articolo 1 del protocollo addizionale della medesima Convenzione ”.
Normativa di riferimento
Articolo139.
(Danno biologico per lesioni di lieve entità)
1. Il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è effettuato secondo i criteri e le misure seguenti:
a) a titolo di danno biologico permanente, è liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al nove per cento un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità; tale importo è calcolato in base all’applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente secondo la correlazione esposta nel comma 6. L’importo così determinato si riduce con il crescere dell’età del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento per ogni anno di età a partire dall’undicesimo anno di età. Il valore del primo punto è pari ad euro seicentosettantaquattro virgola settantotto;
b) a titolo di danno biologico temporaneo, è liquidato un importo di euro trentanove virgola trentasette per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.
2. Agli effetti di cui al comma 1 per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.
3. L’ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 1 può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.
4. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle attività produttive, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra uno e nove punti di invalidità.
5. Gli importi indicati nel comma 1 sono aggiornati annualmente con decreto del Ministro delle attività produttive, in misura corrispondente alla variazione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertata dall’ISTAT.
6. Ai fini del calcolo dell’importo di cui al comma 1, lettera a), per un punto percentuale di invalidità pari a 1 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,0, per un punto percentuale di invalidità pari a 2 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,1, per un punto percentuale di invalidità pari a 3 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,2, per un punto percentuale di invalidità pari a 4 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,3, per un punto percentuale di invalidità pari a 5 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,5, per un punto percentuale di invalidità pari a 6 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,7, per un punto percentuale di invalidità pari a 7 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,9, per un punto percentuale di invalidità pari a 8 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 2,1, per un punto percentuale di invalidità pari a 9 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 2,3
Costituzione
Articolo 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Articolo 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Articolo 24
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari
Articolo 32
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Articolo 76
L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.
Nota esplicativa
I fatti di cui è causa attengono un incidente stradale a seguito del quale una delle parti, vittima della collisione, subisce una serie di danni aventi carattere non patrimoniale, taluni alla salute, di seguito esplicati , ed ulteriori danni alla persona, i quali, ad avviso dell’organo giudicante, “indipendentemente da come le si qualifichi ” (in ogni caso non compresi nel danno biologico ) non trovano un integrale risarcimento in base all’ applicazione del dettato legislativo .
Nello specifico, viene dimostrata in giudizio la circostanza secondo cui la vittima subiva una serie di lesioni fisiche, medicalmente accertate, quali , in un primo momento, una distrazione dei muscoli del collo, una contusione alla spalla sinistra all’anca sinistra e la regione frontale, l’escoriazione della regione frontale, regione clavicolare sinistra e dalla sinistra del bacino, l’ematoma dell’ala sinistra del bacino, la diagnosi era di sette giorni. In seguito, a causa delle persistenti cefalee, sottopostasi ad ulteriori controlli , alla parte lesa viene certificato un trauma cranico, una contusioni alla spalla sinistra, una contusione regionale frontale sinistra, una ecchimosi della regione laterale sinistra del collo, una escoriazione del fianco sinistro e della coscia destra, la diagnosi era di ulteriori sette giorni.
Le successive visite specialistiche attestavano un trauma contusivo distorsivo del rachide cervicale, limitazione funzionale alla spalla sinistra ed anca sinistra, con prognosi di 20 giorni, prescrizione di mantenimento del collare immobilizzante la spalla sinistra con bendaggi. Ulteriori accertamenti rilevavano l’ispessimento del tendine del capo lungo del bicipite a ridosso dell’inserzione omerale, con piccola formazione cistica probabilmente di origine posto traumatica. Ancora, nel corso dell’anno successivo a quello dell’incidente, la vittima, veniva preso in cura presso il centro cefalee -sin dall’anno, appunto dell’incidente stradale – per cefalea cronica secondaria a colpo di frusta cervicale. A carico della vittima del sinistro, dunque, viene accertata l’esistenza di un danno biologico assoluto temporaneo e permanente.
Alle condizioni mediche innanzi descritte è stata collegata l’impossibilità di praticare le intense attività sportive (quali vela, windserf, spinning, calcio e footbool americano ) che il conducente , della autovettura leso dalla collisione, soleva esercitare prima dell’incidente. Proprio alla luce delle numerose attività sportive esercitate, nonché in considerazione della giovane età della vittima, ed altresì in virtù delle menomazioni non solo temporanee ma anche permanenti, il giudice ritiene non esaustivo il criterio di liquidazione del danno biologico –di cui all’articolo 139 del d.lgs. n. 209 / 2005- . Quanto innanzi viene sostenuto, non solo perché il disposto normativo non tiene conto di un danno differente rispetto a quello medicalmente accertabile, ma altresì perché, tale danno biologico, ipotizzando fosse esaustivo dei danni alla persona (cosa che così non è, ad avviso dell’ordinanza di rimessione ), risulta parametrato su soggetti svolgenti attività standard e, ponendo un tetto massimo, così non permettendo di adeguare il danno subito da soggetti, come accade nel caso di specie, svolgenti attività differenti rispetto al quisque de populo .
Dunque, le invalidità permanenti e temporanee devono avere un criterio di liquidazione che abbia come parametro il soggetto vittima dell’ incidente e, che, cioè, consideri tutte le perdite allo stesso connesse.
Ad avviso del giudice di appello “ l’attore ha riportato delle conseguenze lesive anche sul piano delle sue condizioni soggettive posto che può ritenersi comprovato, in ragione della tipologia e delle caratteristiche delle attività extra lavorative … che il sinistro ha certamente comportato una minore possibilità di svolgere tali attività ludico sportive. Tanto rende allora necessario incrementare l’importo … per il danno biologico” ; deve, in oltre aggiungersi che all’incremento innanzi precisato è da aggiungere la somma di cui alle spese mediche sostenute dall’attore; l’aumento del quantum dovuto alla vittima non appare , però, in linea con quanto previsto dall’articolo 139 del d.lgsl 209 /2005 a proposito del tetto massimo contemplato per la risarcibilità del danno elargibile a favore della vittima.
La sentenza, oggetto della presente annotazione, palpa un tasto che, da sempre, è fonte di enormi conflitti tanto giurisprudenziali quanto dottrinali.
Il tema del danno non patrimoniale è così ricco di difficoltà ermeneutiche in considerazione della incertezza dei parametri quantitativi. Cioè a differenza del danno patrimoniale, da sempre ben circoscritto nell’ambito dei suoi confini, la quantificazione di un danno non patrimoniale non vanta un equivalente valore monetario certo, bensì, occorre elaborare dei parametri ai quali ancorare il risarcimento di questo tipo di lesione avente carattere non patrimoniale. Tale parametro, però, ebbene sin da ora sottolineare tale aspetto, deve essere rispettoso della persona umana, in tutte le suoi componenti considerata.
Occorre ora esaminare nel dettaglio quali sono le problematiche sollevate dal caso di specie.
Il giudice di appello del tribunale di Tivoli solleva la questione di costituzionalità dell’articolo 139 del codice delle assicurazioni con riferimento agli articoli 2, 3, 24, 32, della Costituzione, considerandolo non manifestamente infondata, per le ragioni di seguito esposte.
Quanto all’incompatibilità dell’articolo citato con il disposto normativo di cui all’articolo 3 della Costituzione, occorre sottolineare che , il medesimo articolo non permette la liquidazione del danno morale diverso da quello esistenziale (ovvero quella lesione riconducibile alla sofferenza pura ). I termini di questa affermazione, apparentemente poco chiari, sono resi lampanti nel corso della trattazione (tanto nella annotazione quanto nella parte dedicata alla dottrina ).
Vero è che, a seguito della pronuncia delle SS.UU dell’ 11 novembre 2008 n. 26972, il danno non patrimoniale deve essere considerato danno unitariamente inteso non suddivisibile in sottocategorie autonome, è altresì vero, però, che il danno non patrimoniale subito deve essere risarcito per intero senza trascurare alcuna “sfumatura” dello stesso. Il quantum risarcito deve, cioè, includere non solo la lesione medicalmente accertabile (il danno biologico ), altresì le ripercussioni sulla vita di relazione (quello che veniva denominato danno esistenziale ), nonché la sofferenza patita a causa della condotta lesiva (il danno cd morale ). Per definizione il danno biologico (danno medicalmente accertabile ) ed il danno subito dal soggetto nelle sue attività quotidiane, sono danni che si fondano su un diverso regime probatorio; il primo medicalmente dimostrabile, il secondo da fondarsi su presunzioni, come, appunto, nel caso di specie.
Cioè, ciò che deve essere rammentato, allorquando venga liquidato il risarcimento di un danno avente carattere non patrimoniale, è che deve essere evitata la locupletazione di un medesimo danno (conformemente a quanto sancito dalla S.C. a SSUU con la sentenza innanzi richiamata ), ma, per altro verso, deve essere liquidata l’intera lesione subita, diversamente incorrendo nella lesione di un diritto fondamentale dell’essere umano, così come tutelato dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo .
La possibilità di aumentare in via equitativa di solo 1/5 il danno biologico e la mancata menzione all’interno del disposto legislativo, del riferimento al danno morale evidenzia una forte discrepanza rispetto a quanto accade nelle ipotesi differenti dal sinistro stradale, nell’ambito delle quali, il danno morale viene risarcito autonomamente.
Quindi, un primo aspetto di incostituzionalità sarebbe rappresentato dalla irragionevolezza della diversità di trattamento di situazioni uguali. Appare privo di ragionevolezza, cioè, far riferimento ad un differente regime equitativo a seconda del mezzo che abbia procurato il danno, a maggior ragione se questo riguardi “la tutela della persona” . Tra l’altro non appare neppure giustificato detto differente trattamento alla luce della necessità di ridurre l’aggravio assicurativo. Infatti, con riferimento agli articoli 2 e 32 della Costituzione, l’ordinanza sottolinea, la prevalenza dell’essere umano, nello specifico del bene salute, rispetto alla riduzione del peso economico sull’attività assicurativa. Cioè, effettuando un bilanciamento di interessi, appare, all’uopo evidente, la necessità di attribuire la prevalenza di tale bene, costituzionalmente garantito, rispetto ad un bene differente, avente solamente valenza sub-costituzioanale.
Non pare ragionevole, secondo quanto evidenziato dalla ordinanza, “sostenere l’interesse all’esercizio dell’attività assicurativa possa essere ritenuto preminente su quello all’integrale risarcimento del danno alla persona, che è collegato alla tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo”. Non appare ragionevole subordinare il bene-salute -inteso nella sua dimensione più amplia- ad un ben avente valenza sub-costituzionale, quale appunto quello di limitare, in termini monetari, gli esuberi assicurativi.
Quindi, occorre sottolineare, in prima battuta, la necessità di ricercare una tutela per l’essere umano indipendentemente da quale che sia il fattore causativo di danno, conformemente a quanto disposto dalla Carta Costituzionale e dalla C.E.D.U.; ed in seconda battuta che il bene individuale “salute ” (inteso nella sua accezione onnicomprensiva ) deve essere considerato primario rispetto ad altri beni che non vantano pari rango: quale, appunto, quello di diritto fondamentale dell’uomo .
La questione di legittimità costituzionale è sollevata, infatti, altresì per incompatibilità con il principio di ragionevolezza. Infatti, la normativa di riferimento implica un differente trattamento sanzionatorio a seconda della causa che abbia procurato la lesione : cioè l’organo giudicante deve attenersi a differenti parametri equitativi a seconda che la vittima sia stata danneggiata a seguito di un incidente automobilistico ovvero di un incidente da caduta dagli sci (questo è l’ esempio riportato dall’ordinanza di rimessione, al fine di evidenziare l’irragionevolezza di tale trattamento diversificato).
Altresì, la disposizione normativa appare, ad avviso del giudice rimettente , non conforme a Costituzione per eccesso di delega, ovvero per incompatibilità rispetto all’articolo 76 della Carta Costituzionale.
La legge delega (l. n. 229/2003, infatti,) che il governo si occupasse del riassetto delle disposizioni vigenti in materia di assicurazioni, adeguando la normativa alle disposizioni comunitarie e internazionali; e, soprattutto, favorendo la tutela dei contraenti più deboli. Dunque, nell’ordinanza, il giudice a quo, precisa che nelle indicazioni fornite dal legislatore delegante non pare rientrare la possibilità di individuare dei limiti alla risarcibilità del danno. Viceversa, il giudice pone in evidenza che :“ l’aver introdotto valori tabellari vincolanti per il Giudice (oltre tutto con importi notevolmente inferiori a quelli normalmente utilizzati dai Tribunali nelle vicende diverse da quelle di cui alla circolazione dei veicoli), si pone in senso contrario rispetto ai criteri guida della legge delega che risultano pur sempre indirizzati alla tutela del contraente più debole...” , rappresentando, in questo caso, l’assicurato la parte più debole, è evidente il contrasto rispetto alla legge delega.
Da ultimo, non per importanza, l’articolo 139 pare non ossequioso della Convenzione EDU, laddove agli articoli 3 ed 8 tutela il diritto alla vita familiare e privata, di fatto non risarcibile alla luce (così come in parte innanzi anticipato e di seguito precisato ) del limite posto dall’articolo 139; nonché degli articoli 2 della CEDU e 1 del protocollo della Convenzione, che dispongono la piena tutela risarcitoria a favore del soggetto leso in un suo diritto privo di consistenza patrimoniale (ma al pari, quando non addirittura maggiormente, rispetto a quest’ultimo degno di tutela da parte dell’ordinamento giuridico).
Il problema messo in luce dal caso di specie ha dei risvolti pratici di preminente spessore, ovvero riguarda tutte quelle fattispecie in cui un soggetto abbia subito si una lesione dalle sembianze non patrimoniali, ma non circoscritto al bene salute, inteso nella sua ristretta accezione di lesione medicalmente accertabile. La questione, già in passato fortemente discussa alla luce degli stringenti limiti enunciati dalla norma in questione, è diventata ancor più attuale a seguito della celebre sentenza delle SS.UU (n. 26972/ 2008) con la quale si è espressamente chiusa l’epoca del danno non patrimoniale connotato da più voci di danno e si è aperto il capitolo del danno non patrimoniale, inteso come unitario, nonché la collegata possibilità di individuare -non ulteriori voci di danno bensì- , nominare un danno; tale nomenclatura deve avere unica funzione descrittiva, ovvero esplicativa della lesione che si intende risarcire.
Il problema che la norma pone è dato dalla impossibilità di procedere ad una liquidazione equitativa completa dei danni subiti dalla vittima. Iniziando dal danno biologico – ovvero quel danno medicalmente accertabile – che esubera il danno standard: cioè il danno biologico differente rispetto a quello subito dal quisque de populo. Deve , cioè, il danno poter essere quantificato rispetto alle perdite subite dal soggetto leso e non rispetto a quelle che sarebbero state sofferte, appunto , dal quisque de populo: quanto innanzi non è reso possibile dal disposto normativo di cui all’articolo 139 del d.lgs. 209/2005. Dunque, ciò su cui si interroga l’organo giudicante, è l’utilità, nonché soprattutto l’equità, dei criteri -di cui all’articolo 139- ai fini della personalizzazione del danno subito, nel rispetto delle previsioni costituzionali e convenzionali EDU.
Dottrina
Il problema del tetto massimo posto dall’articolo 139 del d.lgs. 209/2005 emerge, evidentemente in tutta la sua problematicità, recentemente a seguito della nota pronuncia delle SS.UU (26972/2008). Prima di questa, infatti, il danno non patrimoniale veniva inteso composto da più voci di danno -quali quello biologico, quello morale nonché quello, rappresentante la categoria più controversa, del danno esistenziale – per cui tanto in dottrina quanto in giurisprudenza non emergeva l’esigenza di affrontare il tema del limite previsto dal codice delle assicurazioni. Dunque, prima delle SS.UU non si ponevano problemi di incostituzionalità della norma –con riferimento agli articoli 3 e 32 della Costituzione – in quanto il giudice si trovava nelle condizioni tali da poter liquidare il danno biologico entro i limiti previsti dall’articolo 139, nonché i danni a carattere esistenziale, ovvero quei danni caratterizzati dalla lesione alla vita di relazione, nonché legati alla impossibilità di svolgere le attività che si sarebbero potute compiere se non fosse stata arrecata la lesione, ed altresì il danno morale, il danno che consta(va) della cd sofferenza pura.
Le SS.UU, con la pronuncia del novembre del 2008, sancisco l’unitarietà della categoria del danno non patrimoniale. La Corte di cassazione delinea i rapporti tra il cd danno esistenziale e quello morale, sostenendo l’impossibilità di scorgere differenze. In primo luogo per quanto riguarda la sofferenza pura, il danno esistenziale rappresenta il risvolto materiale di cui al danno morale, e come tale, ne rappresenta una locupletazione. In secondo luogo, non pare possibile neppure differenziare le due voci di danno quanto all’aspetto della cd consistenza transeunte del danno morale, dovendosi viceversa, sostenere la possibilità che anche il danno morale non sia solamente passeggero, tanto quanto le conseguenze esistenziali. La categoria del danno esistenziale viene definitivamente smantellata in quanto considerata una mera duplicazione di un danno già risarcito tramite la liquidazione del danno morale. Quanto a quest ultimo si sostiene che non possa più essere considerato nella sua tradizionale -ed ormai superata veste di danno morale soggettivo transeunte – ben potendo la sofferenza protrarsi nel tempo. Sebbene quanto innanzi precisato, anche la voce di danno morale viene di fatto inglobata dal danno biologico, così come previsto dall’articolo 139, non potendo, cioè, più rappresentare una autonoma voce di danno. Dunque, il danno morale –non più inteso nella sua veste di danno soggettivo transeunte – rileva, non in quanto autonoma voce di danno, ma ai fini della quantificazione del risarcimento.
L’esegesi della norma di cui al d.lgs , dunque, adottata da taluni tribunali del merito e da taluna dottrina, a seguito della pronuncia della Corte a SS.UU, attiene alla portata applicativa della pronuncia della Corte nella parte in cui dispone a proposito del danno morale. Dunque, per un verso rimane ferma la necessità di eliminare la Categoria del danno esistenziale, in quanto locupletazione di quello biologico come innanzi illustrato, desumibile alla luce del disposto normativo di cui al codice delle assicurazioni, il quale definisce testualmente nei termini che seguono il danno biologico : “lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”; occorre per altro verso valutare lo spazio applicativo rimasto a favore del danno morale a seguito della pronuncia della, ripetutamente richiamata, pronuncia delle SS.UU. tralasciando il rapporto tra il danno esistenziale e quello morale, già esaminato ed alla luce della già appurata inconsistenza dello stesso danno esistenziale con riferimento al biologico, occorre verificare se anche il danno morale rappresenta un duplicato del danno biologico, così come disegnato dalle SS.UU. Pare, appunto, come anticipato, che taluna giurisprudenza di merito e dottrina -evidentemente al fine di salvare la costituzionalità dell’articolo 139- abbia fatto leva su una parte della sentenza della cassazione a SS.UU, che non si esprimerebbe in termini di eliminazione in toto della categoria del danno morale, bensì ne ridisegnerebbe i confini. Cioè, pare, all’uopo necessario, ai fini di una disamina completa, sottolineare l’esistenza di questo filone interpretativo secondo il quale ciò che è stato scardinato non è il danno morale per intero, ma il danno morale solamente nella sua dimensione transeunte, nonché nella sua fattezza esistenziale. Il danno morale nella sua nuova veste, deve essere inteso quale sofferenza pura, ad esempio legato al mero forte spavento; cioè, deve continuare a vivere, non –si badi come categoria autonoma ma – come “indicazione” utile alla comprensione della lesione alla quale si sta attribuendo soddisfacimento risarcitorio, facente parte di un’unica voce di danno, quale è ormai il danno non patrimoniale. Questa esegesi dell’articolo –della cui costituzionalità si dubita – pare essere volta ad individuare un’ interpretazione costituzionalmente orientata della stessa norma di cui al decreto legislativo n 209 del 2005.
Sentenze e precedenti conformi e difformi
Conformi
Corte cost., 22 luglio 1996, n. 293
Corte di cassazione, sez. terza, del 12 luglio 2006, n.15760
Tribunale di Bologna, sez. terza, 29 gennaio 2009
Difformi
Corte di cassazione, sez. terza, del 7 giugno 2011, n. 12408
Bibliografia
Azione risarcitoria rivalsa risarcimento nel C.D.S., G. De Lucia , aggiornato alla legge 26 febbraio 2011, n. 10, ed.Giuffrè;
Manuale di diritto civile, F.Caringella, L.Buffoni, ed. Dike; (pagg 1180-1192 )
Testo sentenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TIVOLI
– SEZIONE CIVILE –
Il Giudice dott. Alessio Liberati, in funzione di giudice di appello, ha emesso la seguente
ORDINANZA
con la quale si solleva questione di legittimità costituzionale
nella causa civile iscritta al n. 2555/2010 del Ruolo Generale affari contenziosi, trattenuta in decisione all’udienza del 22.12.2011, con concessione dei termini di cui all’art, 190 cpc e vertente
TRA
R. A. nata a Roma il 19.8.1967 (CF RBN NNA 67M59 501S) e GTA. nato a Roma, il 29.2.1976 (CF GTR NRC 76B29 H 501B), rappresentati e difesi congiuntamente e disgiuntamente dall’avv. GTA. in proprio e dall’avv. M. G. ** per delega in calce all’atto di appello,
APPELLANTI
E
F. SAI spa, in persona del procuratore speciale avv. E. G., giusta procura speciale rilasciata per atto del notaio**, rappresentata e difesa dall’avv.**, come da procura in calce all’atto di costituzione in appello;
APPELLATA
PROVINCIA DI ROMA, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. G. I. ed elettivamente domiciliata ***, giusta autorizzazione alla lite prodotta in atti,
APPELLATA
B. A., elettivamente domiciliato in Montelibretti, presso lo studio dell’avv. *** che lo rappresentano e difendono giusta procura a margine dell’atto di costituzione e risposta
APPELLATO NON COSTITUITO
D. L. INSURANCE spa, in persona del legale rappresentante p.t.
APPELLATA NON COSTITUITA
OGGETTO: appello alla sentenza GdP di Tivoli n. 732/2009 – lesione personale da sinistro stradale
CONCLUSIONI: all’udienza del 15.12.2012, i procuratori delle parti hanno concluso come da verbale.
ORDINANZA
Premesso:
il signor A. B. A. ha convenuto in giudizio innanzi all’ufficio del Giudice di Pace di Tivoli gli avvocati A.R. ed Enrico G. Tomassetti, unitamente alla Direct Line spa, nel loro qualità, rispettivamente di proprietario del veicolo Fiat 600 tg. B***, di conducente del medesimo e di compagnia assicuratrice per la responsabilità civile obbligatoria.
In tale occasione ha chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali riportati in occasione del sinistro avvenuto in data 1.7.2004 quando il veicolo di sua proprietà e da lui condotto, autovettura Peugeot 206 tg. C*, mentre percorreva la via Palombarese in direzione Palombara, all’altezza del kilometro 29,900 , aveva avuto una violenta collisione con il veicolo Fiat Seicento condotto dall’avvocato T., che si stava immettendo nella via Polo Baresi da una strada secondaria.
Si sono costituiti nel giudizio di primo grado gli avvocati A.R. ed E G. T., agendo in via riconvenzionale, chiamando in giudizio quali terzi interessati la F. Sai assicurazioni spa e la provincia di Roma, e contestando che il sinistro si era verificato per esclusiva responsabilità del signor B. A. e a causa della altissima velocità alla quale viaggiava al momento del sinistro, eventualmente in concorso con la provincia di Roma, intestataria della strada, per la mancata manutenzione del ciglio stradale ed in particolare per l’esistenza di folta vegetazione che pregiudicava la visibilità della curva interessata dal sinistro.
Nel corso della prima udienza di primo grado il signor B. A. ha trovato un accordo transattivo con la compagnia assicuratrice, rinunciando di fatto al ricorso a seguito di transazione, la quale è stata successivamente depositata dalla F. Sai assicurazioni, sua compagnia assicuratrice per la responsabilità civile.
Nel corso del giudizio il signor B. A. non si presentava per rendere interrogatorio formale e venivano espletate le consulenze d’ufficio, al fine di determinare la dinamica del sinistro e l’entità del danno cagionato agli odierni appellanti.
Con sentenza numero 732 del 2009, il giudice di pace di Tivoli ha dichiarato la responsabilità del sinistro ascrivibile per il 60% alla condotta di guida di GTA. e del 40% alla condotta di guida di B. A., condannando la D. L. I. spa, R. A.e GTA. in solido tra loro al pagamento in favore di B. A. della somma di euro 210,30 per danni fisici oltre interessi legali fino al saldo, ed euro 5700,00 per danni materiali, oltre interessi legali dal saldo. Ha altresì condannato B. A. e F. sSi assicurazioni S.p.A. in solido tra loro a pagamento in favore di GTA. della somma di euro 1618,79 per danni fisici con interessi dal giorno del sinistro fino al saldo ed al pagamento in favore di R. A.della somma di euro 1080,00 oltre interessi dal giorno del sinistro fino al saldo, compensando tra le parti le spese di giudizio eccezione fatta per la provincia di Roma in favore della quale R. A.e GTA. sono stati condannati al pagamento delle spese di lite per complessivi euro 850,00 oltre Iva e cpa e rimborso forfettario.
Con atto di citazione in appello ritualmente notificato gli avvocati A.R. ed E. GTA.hanno citato in giudizio i convenuti indicati in epigrafe chiedendo la riforma della predetta sentenza.
In particolare hanno chiesto accertarsi l’esclusiva responsabilità del signor B. A. e della provincia di Roma, in concorso o in via esclusiva, con conseguente condanna val pieno risarcimento dei danni e delle spese processuali. L’avvocato E. G. T., ribadendo quanto domandato in primo grado, ha altresì chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali non sofferti – sia di natura morale, sia di natura esistenziale o comunque non ricompresi nel danno biologico – rappresentando che era rimasta incontestata la circostanza che prima dell’incidente egli svolgesse numerose attività ludico sportive, quali il windsurf, il vela, spinning, il calcetto, il football americano, attività tutte in parte compromesse a seguito dell’incidente, ma che tuttavia il giudice di pace di Tivoli non aveva provveduto al relativo risarcimento.
L’avvocato A.R. ha chiesto altresì l’integrale risarcimento del danno arrecato al veicolo. Considerato che dal sinistro era derivato un danno tale da non ritenere economicamente vantaggioso un intervento meccanico sullo stesso, finalizzato alle riparazioni, il Giudice di Pace aveva infatti quantificato il valore in euro 2700,00, somma pari al valore della vettura in caso di vendita al concessionario, ma divergente da quella – pari ad euro 3500,00 – necessaria per acquistare da parte del consumatore un veicolo equivalente nel medesimo stato e condizioni. Ha lamentato inoltre che non le fosse stata liquidata alcuna spesa a titolo di rottamazione e di immatricolazione di un nuovo veicolo.
Si sono costituiti in giudizio, resistendo alle doglianze avverse, la F. sai S.p.A. e la provincia di Roma.
SULLA DINAMICA E SULLA RESPONSABILITA’ DEL SINISTRO
Dagli atti acquisiti dalle consulenze tecniche espletate è risultato che il signor B. A. procedeva ad elevata velocità e che l’impatto è avvenuto a circa 93 km/h (92,98 km/h), dopo una frenata da parte del B. A.. Il G., quale conducente dell’altra vettura, aveva invece una visibilità di soli 10 m, derivante dalla particolare conformazione della strada e dalla esistenza di vegetazione che ne impediva la piena visibilità.
Ne deriva ad avviso di questo Giudice una esclusiva colpa del signor B. A., il quale non ha regolato la velocità in un tratto di strada a visibilità limitata ed in curva, peraltro in prossimità di strada secondaria, così violando le normali regole di prudenza imposte degli articoli 140 e 141 del codice della strada.
Per contro, l’autovettura in cui si trovavano l’avvocato G. e l’avvocato R. non avrebbe potuto in ogni caso porre alcuna manovra utile ad evitare l’impatto.
Infatti considerato che un’ora è composta da 3600 secondi e che 93 km corrispondono a 93.000 m deriva che, considerati i soli 10 metri di visibilità che aveva il G., il tempo intercorrente tra la percezione dell’arrivo dell’autovettura e l’impatto è stato pari a 0,387097 secondi (derivanti dalla seguente equazione: 93.000 (metri) : 3600(secondi = 10 (metri di visibilità) : x (tempo di percorrenza della vettura Peugeot) ).
È dunque evidente che la sola alta velocità tenuta dal B. A. è stata la causa del sinistro e che nessuna responsabilità può invece ascriversi al conducente dell’altro veicolo coinvolto, posto che quest’ultimo nulla avrebbe potuto fare per evitare l’impatto dell’altra autovettura, né poteva vedere la vettura sopraggiungere al momento in cui aveva iniziato la manovra di immissione nella via Palombarese, anche alla luce della limitata visuale che aveva in ragione della vegetazione esistente (visibile anche dai rilievi fotografici) e non curata adeguatamente dalla Provincia di Roma.
Per tale ragione ritiene questo Tribunale che la responsabilità sia da ascrivere al B. A., nella misura del 90%, ed alla provincia di Roma, nella misura del 10%, considerato che l’adeguata manutenzione della strada (ed in particolare la cura della vegetazione adiacente il ciglio stradale) avrebbe consentito una maggiore visuale al G., visuale che è stata invece limitata a soli 10 m.
SUI DANNI RIPORTATI DAL GTA.A CAUSA DEL SINISTRO
La consulenza tecnica medica ha accertato che l’avvocato Enrico GTA.ha riportato – come attestato dal certificato del pronto soccorso dell’ospedale di Monterotondo – una distrazione dei muscoli del collo, una contusione alla spalla sinistra all’anca sinistra e la regione frontale, l’escoriazione della regione frontale, regione clavicolare sinistra e dalla sinistra del bacino, l’ematoma dell’ala sinistra del bacino, con diagnosi prognosi di sette giorni. La successiva certificazione medica rilasciata dal pronto soccorso del Policlinico Umberto I in data 1.7.2004, ove il G. si era recato a causa del persistere della cefalea e della nausea, ha invece attestato una diagnosi di trauma cranico, contusioni alla spalla sinistra, contusione regionale frontale sinistra, ecchimosi della regione laterale sinistra del collo, escoriazione del fianco sinistro e della coscia destra, con rifiuto di ricovero da parte del paziente e consiglio di terapia medica e collare cervicale, con ulteriore diagnosi di giorni sette. Il certificato relativo alla visita specialistica del 5.7.2004 ha poi riscontrato un trauma contusivo distorsivo del rachide cervicale, dolore limitazione funzionale alla spalla sinistra ed anca sinistra, con prognosi di 20 giorni e prescrizione di mantenimento del collare immobilizzante la spalla sinistra con bendaggi. In ragione della protrarsi delle conseguenze il medesimo sanitario ha infine prescritto, stante la sintomatologia algida a carico del rachide cervicale della spalla sinistra, una RMN eseguito in data 31 maggio 2005 con esito di ispessimento del tendine del capo lungo del bicipite a ridosso dell’inserzione omerale, con piccola formazione cistica probabilmente di origine posto traumatica. In ultimo, un certificato del 7 giugno 2005 ha accertato che il G. è stato in cura presso il centro cefalee sin dal settembre 2004, per cefalea cronica secondaria a colpo di frusta cervicale.
Alla luce di tale documentazione e dell’esame obbiettivo il consulente medico ha risposto analiticamente e con considerazioni che si condividono e non contrastano con la documentazione acquisita in atti, che all’infortunato sia derivato dal trauma un periodo di invalidità temporanea assoluta (ITA) di gg. 10 ed un periodo di invalidità temporanea permanente (ITP) al 50% di gg. 15, quantificando l’entità del danno biologico permanente in termini percentuali del 3,5%.
Le spese documentate per l’attività di cura sanitaria sono pari a euro 207,00.
SULLA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO PATRIMONIALE ALLA AUTOVETTURA
Quanto al danno patrimoniale subito dall’autovettura della signora A.R., ritiene il giudice di dover accogliere l’appello, atteso che il valore commerciale dell’automobile al momento del sinistro va considerato nella misura necessaria per il riacquisto dello stesso, sicché deve essere quantificato in euro 3500,00, anziché 2700,00 (costo per l’acquisto da parte del concessionario della vettura usata), a cui si aggiungono le spese di rottamazione e di nuova immatricolazione (passaggio di proprietà) che si liquidano in complessivi euro 300,00, per un totale di euro 3800,00. Sul punto, in riforma della sentenza appellata, la F. Sai spa ed il sig. B. A. dovranno essere condannati al pagamento della superiore somma come sopra determinata.
SULLA QUANTIFICAZIONE DEI DANNI NON PATRIMONIALI NON RICOMPRESI NEL DANNO BIOLOGICO, COME DEFINITO DALL’ART. 139 COD. STRADA
Innanzitutto deve rilevarsi che questo Tribunale non ritiene che il danno, nel caso di specie, si limiti alla lesione della salute, intesa come integrità psico-fisica in senso stretto.
Invero, vi è certamente un danno di diversa natura, correlato alla sofferenza cagionata dalla lesione che, a prescindere da come lo si qualifichi (in giurisprudenza è diffusa la nozione di danno morale), è di natura diversa dalla lesione alla salute.
Tale componente del danno – espressamente richiesta anche in sede di appello dal G. – si diversifica da quello biologico anche per le sue intrinseche caratteristiche, che rendono diverso il regime probatorio, sostanzialmente ancorato alla presunzione.
Per tale componente del danno non patrimoniale si stima equo aggiungere euro 1500,00 al risarcimento del danno alla salute, come quantificato nel successivo paragrafo.
A ciò va aggiunta anche un’ulteriore somma di euro 3.000 a titolo di danno per le attività realizzatrici della persona non ricomprendibili nel danno biologico “standard”.
Invero, si tratta di una componente di danno che non attiene alle attività “di regola” svolte dal quisque de populo, ma di una lesione ulteriore, risarcibile solo ove il soggetto danneggiato svolga una attività (ludica, sportiva, culturale, ecc.) eccedente lo standard dell’uomo medio, e tale attività ne sia compromessa.
Nel caso di specie tale danno, espressamente richiesto, è correlato alle intense attività sportive (circostanza non contestata) che il G. svolgeva prima del sinistro e che, per fatto notorio, possono ritenersi in parte compromesse dal sinistro.
In particolare, si tratta di un danno permanente “limitante” tali attività (e quindi non escludente), in ragione del fatto che le conseguenze del sinistro (come indicate meglio infra) certamente precludono la possibilità di svolgere i medesimi sport (windsurf, calcio, football americano, vela, spinning) allo stesso livello. Ciò in considerazione del particolare tecnicismo e della precisione richiesta (in parte ovviamente compromessa dalle comprovate limitazioni fisiche) per alcuni di essi (windsurf e vela, spinning) e della necessità di non correre ulteriori rischi (limitando così la libertà di gioco) per le patologie sofferte in altri (calcio, football americano).
Trattandosi di un danno sia temporaneo (totale) che permanente (ma in questo caso limitante, nel senso di non precludere completamente lo svolgimento) alle attività realizzatrici, e considerata l’età della persona (28 anni), si può quantificare il danno – in base al principio di equità contemperata o ragionata già adottato in passato da parte della giurisprudenza (per tutte Trib. Roma, 8 lug 2005 – 16506, Tribunale Pistoia, Tribunale Palmi, 21.5.2005, in Giur. It.2005, 48 ss., e Resp. Civ. e prev. n.1/5, 209 ss. T.A.R. Lombardia – Sentenza 27/7/2005 , n.3438) – in euro 3.000,00, tenuto conto della intensità, della durata e dell’ampiezza delle attività limitate (e temporalmente precluse), oltre che della età del sinistrato.
SULLA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO
Le conseguenze lesive patite dall’attore avv. GTA.vanno calcolate sulla base di un’invalidità temporanea di giorni 10, un’invalidità temporanea parziale al 50% di giorni 15 ed un’invalidità permanente biologica del 3,5%, oltre alle spese mediche, per cui al giudicante non resta che quantificarle.
Eseguendo il calcolo con le c.d. tabelle milanesi, si arriverebbe ad una quantificazione di euro 6.234,00, comprensivo di tutte le poste risarcitorie, aumentabile al massimo ad euro 8.582,00 circa.
Già tale quantificazione è ampiamente divergente dal massimo risarcibile in caso di lesioni cagionate da sinistro stradale e calcolate ex art. 39 cod. strada e giustificherebbe ex se le censure di illegittimità costituzionale che a breve si esamineranno.
Ritiene tuttavia questo Tribunale che sia equa la somma, per il solo danno biologico permanente di 3,5% punti, di euro 6.000,00, comunque inferiore alle c.d. tabelle c.d. milanesi per i sinistri diversi da quelli stradali, in ragione della tipologia della lesione e delle poste risarcitorie abitualmente applicate per tali danni in ipotesi di lesioni non provocate da sinistri stradali o nautici.
Quanto all’importo dovuto per il danno biologico temporaneo assoluto (10 giorni) e parziale al 50% (15 giorni), ritiene equo, per le medesime ragioni, il giudice calcolare in euro 132,00 il quantum dovuto per ogni giorno, per un totale di 1320,00 per i 10 giorni di ITA e di 990,00 per i 15 giorni di ITP al 50%, in questo caso coincidente con i parametri espressi dalle tabelle milanesi.
A tali somme, però, deve aggiungersi l’importo già quantificato per i danni non patrimoniali di diversa natura, come indicati in precedenza.
SULLA VALUTAZIONE DEL DANNO AI SENSI DELL’ART. 139 COD. ASSIC. ED IL CONSEGUENTE AUMENTO DEL 20%: INSUFFICIENZA.
Occorre a questo punto effettuare una valutazione del danno patito dall’attore quale ritenuta da questo giudice congrua (tenuto conto delle caratteristiche del caso in esame), dopo aver effettuato le valutazioni che si ottengono invece con il riferimento ai parametri di legge ed a quelli giurisprudenziali. Va rilevato che la percentuale del 3,5% per l’invalidità permanente, unitamente alla temporanea assoluta non contestata per 10 giorni e di 15 giorni a parziale al 50% quantificata dal CTU, appare comunque congrua a questo giudice in relazione a quanto risulta in atti perché non è in contrasto con le indicazioni del decreto del Ministero della Salute 3/7/2003 ( in G.U. n. 211 dell’11/9/2003) che riporta la tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica ed è anzi ad essa conforme.
Effettuate poi delle valutazioni con riferimento ai criteri di legge, confrontandole con quelli utilizzati dalla giurisprudenza, occorrerà chiedersi se tali criteri consentano un’adeguata personalizzazione del danno, e quindi un suo integrale risarcimento, provvedendo quindi alla sua relativa quantificazione quale considerata invece corretta ed obbiettiva.
Sulla base della valutazione pecuniaria del danno effettuata con riferimento ai valori di cui al decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 19 giugno 2009 (con il quale sono stati aggiornati gli importi del risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti come previsto dal comma 5 dell’art. 139 del d.l.vo n. 209/2005) applicata ratione temporis dal giudice di primo grado, si ottiene la somma di euro 3776,06 per il danno biologico permanente del 3,5% (algia disfunzionale da trauma distrattivo delle strutture miolegamentose del rachide cervicale da trauma contusivo spalla ed anca sn), euro 420,60 per il danno biologico temporaneo assoluto di 10 giorni ed euro 315,45 per il danno biologico temporaneo parziale al 50% di 15 giorni e così in totale euro 4.512,11.
Occorre però tenere conto che l’attore ha riportato delle conseguenze lesive anche sul piano delle sue condizioni soggettive posto che può ritenersi comprovato, in ragione della tipologia e delle caratteristiche delle attività extra lavorative del G., che il sinistro ha certamente comportato una minore possibilità di svolgere tali attività ludico sportive. Tanto rende allora necessario incrementare l’importo come sopra riconosciuto per il danno biologico del 20% come consentito dal comma 3 dell’art 139 del d.lgs. n.209/2005 per cui detto importo di euro 4512,11 diventa euro 5.414,532, con una maggiorazione di euro 902,422, cui dovranno ancora sommarsi euro 207,00 per le spese mediche come risultanti in atti.
Ritiene tuttavia il giudice che tale somma sia non satisfattiva del danno realmente sofferto, in quanto insufficiente nella entità.
Ciò porta a dubitare della compatibilità dell’articolo 139 del decreto legislativo numero 209 del 2005 con diverse norme previste dalla Carta costituzionale e dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, in parte per le ragioni già sollevate da altro ufficio giurisdizionale ed in attesa di risposta dalla Consulta in parte per ragioni non ancora poste alla attenzione del Giudice delle Leggi.
Non resta a questo punto che chiedersi se l’importo come sopra conteggiato per il danno biologico a sensi dei criteri dell’art. 139 del d.lgs. n. 209 del 2005 e dei valori economici adeguati con il d.m. del 17 giugno 2011 possa venir considerato satisfattivo o meno. Occorre in sostanza chiedersi se l’incremento dell’importo tabellare consentito dal comma 3 del richiamato articolo 139 possa, con l’importo previsto dalla tabella, considerarsi adeguato risarcimento del caso concreto con adeguata personalizzazione del danno biologico in funzione delle condizioni soggettive dell’infortunato.
SULLA SOMMA CHE IN CONCRETO IL GIUDICE RITIENE EQUA PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE
Ritiene questo giudice che in considerazione degli effetti lesivi influenti pesantemente sulle condizioni soggettive del danneggiato, in ancor giovane età, quali in precedenza delineate, l’importo previsto dalla tabella di legge e sopra indicato non consenta l’integrale risarcimento del danno non permettendo un’adeguata personalizzazione e possa essere solo preso in considerazione come base per una valutazione uguale per ogni danneggiato con identica percentuale di invalidità, nonché di conseguenze lesive, e dalla quale partire per addivenire ad una liquidazione del danno biologico secondo la definizione che ne viene fornita all’articolo 139 cod. assic. (danno che in base a tali tabelle sarebbe risarcito con il globale importo di euro 5.414,532, (oltre ovviamente alle spese mediche, di consulenza e di lite)).
Ritiene invece il giudice che sia equa la somma di euro 12.810.
In particolare, si ritiene equa valutazione per il solo danno biologico permanente di 3,5% punti l’importo di euro 6.000,00, comunque inferiore alle c.d. tabelle c.d. milanesi per i sinistri diversi da quelli stradali, ai quali si ritiene equo aggiungere euro 1500,00 per il pregiudizio che prima dell’intervento delle Sezioni Unite si calcolava come danno morale ed euro 3.000 a titolo di danno esistenziale ed alle attività realizzatrici non ricomprendibili nel danno biologico “standard”, per quanto detto infra.
Quanto all’importo dovuto per il danno biologico temporaneo assoluto (10 giorni) e parziale al 50% (15 giorni), ritiene equo il giudice, peraltro con valori coincidenti alle c.d. tabelle milanesi (del 2009, ratione temporis) calcolare in euro 132,00 al giorno, per un totale di 1320,00 per i 10 giorni di ITA e di 990,00 per i 15 giorni di ITP al 50%.
Il totale complessivo dei danni non patrimoniali subiti dal G. ammonterebbe così ad euro 12.810.
Se si prendono invero in autonoma considerazione, sia pur in via presuntiva, come ritenuto da certa giurisprudenza, anche le ulteriori conseguenze dannose in termini di dolore e sofferenza soggettiva, prese invece in considerazione dalla tabella di Milano, si vede come i soli importi consentiti dalla tabella di legge siano ancor più lontani da un adeguato risarcimento del danno.
E per tale voce di danno è intenzione di questo giudice riconoscere l’ulteriore importo di euro 1500,00 a titolo di danno morale e 3.000,00 per le ulteriori attività eccedenti la norma e lo standard di un uomo medio. In ogni caso, già l’attuale conteggio come sopra effettuato e senza il conteggio del danno morale soggettivo evidenzia l’impossibilità di un risarcimento adeguato del danno patito dall’attore così evidenziandosi sempre più la necessità di un esame della costituzionalità dell’art. 139 del codice delle assicurazioni.
La liquidazione del danno alla persona effettuata sulla base dei criteri di cui all’art. 139 cod. assic. è oggettivamente insufficiente e contraria all’equità.
In ordine all’utilizzo delle tabelle di legge per il risarcimento dei danni da micropremanenti conseguenti alla circolazione dei veicoli è da rilevare come la Suprema Corte (per tutte, con la sentenza n. 12408/2011) abbia precisato testualmente: “ Quante volte, dunque la lesione derivi dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, il danno non patrimoniale da micro permanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi areddittuali che derivino dalla lesione del diritto alla salute entro i limiti stabiliti dalla legge mediante il rinvio al decreto annualmente emanato dal Ministro delle Attività Produttive (ex art. 139, comma 5), salvo l’aumento da parte del giudice, <<in misura non superiore ad un quinto con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato>> (art. 139, comma 3).
Con tali premesse è la Suprema Corte ad aver evidenziato le ragioni dell’insufficienza del risarcimento secondo i valori dell’art 139 cod. assic., venendo, di fatto, chiarito che l’equità sta nei livelli di risarcimento delle tabelle milanesi. La Cassazione prende poi atto che l’art. 139 costituisce comunque il limite stabilito dalla legge, per il risarcimento del danno non patrimoniale anche con riguardo al pregiudizio di tipo morale. Ma in tal modo si evidenzia anche la contrapposizione che si viene a porre tra la liquidazione dei danni alla persona conseguenti alla circolazione dei veicoli e dei natanti e gli altri e tale squilibrio è contrario all’equità dal momento che il risarcimento deve tendere a fissare parametri uguali per tutti.
Al di là dello squilibrio così evidenziato resta comunque il fatto che i valori che si ottengono con la liquidazione effettuata a sensi di legge risultano insufficienti come risulta dal confronto con i conteggi in precedenza effettuati e con l’importo che questo giudice ritiene conforme ad equità, tanto più se si prende in considerazione anche un quid per il danno morale e per la compromissione delle attività non standardizzate.
A questo punto resta ulteriormente confermata la necessità di esame della questione di legittimità costituzionale dell’art. 139 del d.lvo 7/9/2005 n. 209.
***
Si tratta, infatti, di conseguenze di un certo rilievo sul piano delle condizioni soggettive del danneggiato, che è comunque soggetto ancor in giovane età (28 anni al momento del sinistro), che si trova ad essere in un certo senso menomato anche nelle sua attività relazionale e nella specifica pratica sportiva (in particolare il windsurf e la vela, che richiedono una ottimale condizione fisica) e che ha dovuto affrontare cure mediche di notevole durata ed impegno temporale, comprovati con adeguata documentazione (mesi in cui è stato in cura presso il centro cefalee), il che dimostra che si è dovuto affrontare una tipologia di cure specifiche e di diversa efficacia da quelle adottate nei normali casi di lesioni al rachide cervicale.
Tali conseguenze, secondo l’incremento normativamente previsto in relazione alle condizioni soggettive del danneggiato, si vorrebbero risarcite con una somma integrativa ed aggiuntiva di soli euro 902,422, importo questo che non si ritiene certo conforme ad equità, tenuto anche conto, nel caso di specie, del ridotto importo riconosciuto dalla tabella di legge per un 3,5% di danno biologico permanente.
IMPOSSIBILITA’ DI UN’INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELLA NORMA
L’articolo 139 del d.l.vo n. 209/2005 segue di fatto quanto già previsto dall’articolo 5 della legge n. 57/2001, come modificato dall’articolo 23 della legge 12/12/2002 n. 273, che aveva il chiaro intento di contenere i costi del servizio assicurativo, intento che evidentemente si è inteso proseguire anche con il predetto articolo 139.
Il tentativo di procedere ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma non può allo stato, prescindere dagli attuali principi giurisprudenziali, quali recepiti dal diritto vivente ed indirizzati alla personalizzazione della liquidazione del singolo danno alla persona ed al suo intero ristoro cui tende appunto tale operazione, soprattutto con il ricorso al criterio equitativo (come evidenziato da Cass. n. 12408/2011 che a tal fine fa riferimento alle tabelle milanesi).
Ma l’art. 139 del d.l.vo n. 209/2005 non consente al Giudice alcuna possibilità di adeguare al caso concreto la sua liquidazione sia nei casi in cui gli importi previsti da detta norma risultino inferiori alla reale entità del danno sia nel caso in cui detti importi risultino invece superiori, non potendo, esso Giudice, intervenire in alcun modo, in quanto deve adottare un semplice calcolo matematico che lo limita nel suo potere equitativo. Peraltro è il caso di rilevare che il testo originario dell’articolo 5 della legge n. 57/2001 si limitava a precisare che “…il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato” così consentendo un’adeguata personalizzazione del singolo danno e che solo con la modifica apportata a detta norma con l’articolo 23 della legge n. 273/2002 si è posto il limite di un quinto all’aumento relativo alle condizioni soggettive del danneggiato impedendo di fatto l’utilizzo del criterio equitativo quale ora evidenziato dalla Suprema Corte.
Non è poi da sottacere il fatto che l’attuale diritto vivente non consente più la liquidazione del danno morale in casi del genere di quello in esame e ciò ad evitare la duplicazione del risarcimento di danni già risarciti con il danno biologico quale definito dall’art. 139 cod. assic. per cui non è possibile, nel caso di specie, cercare di adeguare il risarcimento alla reale entità del danno quanto meno liquidando al danneggiato, in aggiunta ai valori del danno biologico tabellato dalla norma, quella ulteriore parte di danno corrispondente alla sofferenza dell’individuo che viene fatta rientrare nel danno biologico.
Si potrebbe allora cercare di giungere ad una liquidazione adeguata del danno sulla scorta delle allegazioni e prove fornite dal danneggiato al fine di individuare quella norma la cui violazione ha provocato un danno non patrimoniale ovviamente diverso dal danno biologico inteso nella sua più ampia accezione, operazione questa che per le micro permanenti, in genere, diventa di indubbia difficoltà se non impossibilità.
Peraltro, nel caso concreto, il giudice a quo ritiene di aver individuato, per il solo danno da risarcire all’attore a titolo di risarcimento della lesione temporanea e permanente alla sua integrità psicofisica che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della sua vita, un’equa valutazione per il danno biologico permanente di 3,5% punti nell’importo di euro 6.000,00, comunque inferiore alle tabelle c.d. milanesi (2009) per i sinistri diversi da quelli stradali, ai quali aggiungere euro 1500,00 per il pregiudizio che prima dell’intervento delle Sezioni Unite si calcolava come danno morale ed euro 3.000 a titolo di danno esistenziale ed alle attività realizzatrici non ricomprendibili nel danno biologico “standard” arrecato al quisue de populo.
Quanto all’importo dovuto per il danno biologico temporaneo assoluto (10 giorni) e parziale al 50% (15 giorni), ritiene equo il giudice, con valori peraltro coincidenti con le c.d. tabelle milanesi (del 2009, ratione temporis) calcolare in euro 132,00 al giorno, per un totale di 1320,00 per i 10 giorni di ITA e di 990,00 per i 15 giorni di ITP al 50%.
Il totale complessivo dei danni non patrimoniali subiti dal G. ammonterebbe così ad euro 12.810,00.
Per contro ai sensi dell’art. 139 cod. assic. il giudice non può liquidare al danneggiato che i soli importi consentiti dalla legge, importi che compreso l’aumento del 20% non possono superare, sempre per il solo ristoro della lesione temporanea e permanente alla sua integrità psicofisica che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della sua vita, l’importo di euro 5.414,532.
Non si vede quindi allo stato in quale modo poter salvare la norma con un’interpretazione costituzionalmente orientata.
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MOTIVI DI CONTRASTO CON NORME DI RANGO COSTITUZIONALE
ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 139 DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 SETTEMBRE 2005 N. 209 CON RIFERIMENTO AGLI ARTICOLI 3, 24, 32, DELLA COSTITUZIONE NONCHÉ DEL PRINCIPIO DELLA RAGIONEVOLEZZA
Un primo profilo di contrasto con la carta costituzionale deve essere rinvenuto, ad avviso di questo Tribunale, del mancato rispetto del diritto alla salute, ove considerata nel suo momento patologico della verificazione del danno.
Infatti, come si vedrà meglio nel successivo punto con riferimento ai profili di ragionevolezza, il diritto alla salute è un bene incomprimibile, la cui protezione non può trovare una limitazione – sotto il profilo risarcitorio – a seconda della causa che ha procurato la lesione. In sostanza, una lesione al rachide non può trovare un risarcimento diverso a seconda che sia stato cagionato dal sinistro stradale piuttosto che da una caduta dagli sci.
Invero, nel primo caso il giudice si trova costretto ad applicare i parametri previsti dall’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 numero 209, mentre nel secondo caso può fare applicazione del criterio equitativo o, comunque, di quello stabilito convenzionalmente attraverso le tabelle dei vari tribunali per assicurare una omogeneità di risarcimento di danni.
In altre parole, il profilo psicologico causativo non può certamente giustificare una minore protezione da parte dello Stato – attraverso l’imposizione dell’assicurazione obbligatoria dei relativi parametri previsti per il risarcimento – nei confronti dei cittadini.
Per tale ragione ad avviso di questo giudice, la differenza risarcitoria che si avrebbe in un caso e nell’altro (vedasi, con riferimento al caso di specie, quanto dedotto in fatto) integra una violazione dell’articolo 2 della Costituzione, in combinato disposto con quanto previsto dall’articolo 32 della Costituzione.
ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 139 DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 SETTEMBRE 2005 N. 209 CON RIFERIMENTO AGLI ARTICOLI 2, 32, DELLA COSTITUZIONE NONCHÉ DEL PRINCIPIO DELLA RAGIONEVOLEZZA
In secondo luogo, ritiene il Tribunale che non sia ragionevole sostenere che l’interesse all’esercizio dell’attività assicurativa possa essere ritenuto preminente su quello all’integrale risarcimento del danno alla persona, risarcimento che è pur sempre collegato alla tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo.
L’eventuale differenza risarcitoria rispetto al danno liquidato a seguito di lesione cagionata con dinamica differente dal sinistro navale o nautico non può infatti trovare giustificazione né con riferimento agli interessi economici delle singole imprese, in ragione del fatto che sono gravate dall’obbligatorietà della stipula, né dalla necessità di assicurare la possibilità per la collettività di continuare a garantire l’assicurazione obbligatoria.
Ciò per diverse ragioni.
In primo luogo, non può certamente ritenersi che la diminuzione dei danni risarciti sia funzionale al mantenimento dell’attuale sistema di assicurazione obbligatoria. Infatti è esperienza comune che, de facto, l’istituto dell’assicurazione obbligatoria non assolve più pienamente la propria funzione. Invero, il costante utilizzo di una modulistica contrattuale non favorevole per il contraente debole, le numerose limitazioni e franchigie previste, il sistema di limitazione dei danni risarcibili normativamente previsto, il frequente diniego dei risarcimenti con conseguente necessità di ricorrere a lunghi, costosi e faticosi iter giudiziari (e conseguente possibilità di sfruttare la debolezza legale delle controparti, certamente meno organizzate delle compagnie assicurative ad affrontare un contenzioso) hanno portano nel tempo le assicurazioni a non assolvere più alla funzione sociale di reale certezza del ristoro patrimoniale, tanto da far dubitare della utilità – allo stato – dell’obbligo a contrarre.
Ciò senza considerare che il legislatore, eventualmente, avrebbe potuto mantenere il livello di danno in misura equivalente a quello risarcito in ipotesi di lesione arrecata in ragione di diversi elementi causali, addebitandone in parte l’onere risarcitorio, in una misura percentuale, all’assicurato (circostanza che, comunque, ad avviso di questo giudice, avrebbe reso ancor più evidente la insostenibilità, allo stato attuale della prassi dei Tribunali, dell’obbligo assicurativo).
Sotto altro profilo, la politica imprenditoriale tenuta da molte società di assicurazione ha comunque portato all’innalzamento insostenibile dei costi, specie in alcune zone del Paese, tanto da eliminare, di fatto, una buona fetta del mercato assicurativo che, non potendo permettersi di sostenere i relativi costi, o ha rinunciato all’uso di veicoli di proprietà o, in percentuali preoccupanti, ha iniziato a circolare senza alcuna assicurazione, come dimostrano recenti statistiche riportate dai mass-media.
Infine, anche voler ritenere che la semplice previsione di un tetto risarcitorio non può costituire di per sé violazione del richiamato articolo2 Costituzione, la soluzione relativa alla ragionevolezza del limite non può che trovarsi nella verifica dell’esistenza o meno di un equo contemperamento degli interessi in gioco.
Sul punto non pare quindi ragionevole sostenere che l’interesse all’esercizio dell’attività assicurativa possa essere ritenuto preminente su quello all’integrale risarcimento del danno alla persona, risarcimento che come detto è collegato alla tutela della salute come diritto fondamentale diritto dell’individuo.
È quindi ingiustificabile il subordinare diritti costituzionalmente garantiti dall’art. 32 della Costituzione agli interessi economici di singoli soggetti privati ed alle loro scelte imprenditoriali ed organizzative.
In più, a fronte della rigida limitazione risarcitoria imposta al danneggiato, questi non ottiene alcun vantaggio diretto od indiretto nei confronti del responsabile o del suo assicuratore come potrebbe essere ad esempio una responsabilità oggettiva dell’assicuratore stesso, ed anzi, per quanto detto prima, la politica imprenditoriale ha comportato una ulteriore diminuzione dei danni risarciti e in alcuni casi della stessa accessibilità alle polizze assicurative.
Tali elementi portano a dubitare della compatibilità dell’articolo 139 del decreto legislativo numero 209 del 2005 con l’art. 2 e 32 della Costituzione.
ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 139 DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 SETTEMBRE 2005 N. 209 CON RIFERIMENTO AGLI ARTICOLI 2, 3 DELLA COSTITUZIONE NONCHÉ DEL PRINCIPIO DELLA RAGIONEVOLEZZA
Un altro profilo di illegittimità costituzionale, ad avviso di questo giudice, è rappresentato dalla impossibilità di risarcire il danno morale.
Il lungo percorso giurisprudenziale che ha portato alla interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c. ha posto in luce come, a prescindere dal nome con il quale vengano invocati, i danni non patrimoniali assumono diverse “sfumature”, riconducibili al danno alla salute, da intendersi come lesione medica “standard” in un soggetto normale, al danno morale, da intendersi quale sofferenza patita in ragione dell’illecito subito, ed infine alla lesione alle attività realizzatrici della persona esulanti da quella di natura strettamente medica (a prescindere che la si consideri parte del danno biologico, in una accezione lata, o, un danno di diversa natura: esistenziale, da vacanza rovinata, alle attività realizzatrici della persona, eccetera). Infatti è indubitabile che esistano ipotesi in cui il risarcimento deve adeguarsi a tipologie di danno ulteriori rispetto alle attività normalmente realizzate dal quisque de populo e ricomprese nel danno biologico standardizzato.
Fermo restando quanto si dirà breve in merito alla natura ed alla illegittimità della limitazione prevista dall’articolo 139 cod. ass. in merito alla possibilità di aumentare di solo un quinto la lesione biologica, non può tuttavia non rilevarsi l’assoluta mancanza di una previsione della risarcibilità del danno morale.
Tale componente di danno (o elemento o voce) viene solitamente risarcita in via del tutto autonoma nelle lesioni causate da fatti diversi dal sinistro stradale o nautico. In quest’ultimo caso, invece, l’articolo 139 cod. ass. – nel prevedere i criteri e limiti risarcitori – non ha menzionato affatto il danno morale, escludendone così ogni possibilità risarcitoria. Giova solo rammentare che l’entità del danno morale può raggiungere anche quantificazioni elevate, specie laddove si consideri che sovente il sinistro stradale costituisce sovente anche ipotesi penalmente rilevante.
Da tali considerazioni deriva che l’assoluta mancanza di una previsione di risarcibilità del danno morale per una medesima lesione cagionata da sinistro stradale rispetto ad una cagionata in diverso modo (ad esempio cadendo da cavallo) rende ad avviso di questo giudice l’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione.
ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 139 DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 SETTEMBRE 2005 N. 209 CON RIFERIMENTO AGLI ARTICOLI 2, 3 DELLA COSTITUZIONE NONCHÉ DEL PRINCIPIO DELLA RAGIONEVOLEZZA
Nel caso di specie è incontestato che l’avvocato appellante svolgesse attività extra lavorative di tipo ludico quali il football americano, il calcetto, lo spinning, la vela ed il windsurf.
A prescindere dalla qualificazione dogmatica (se si tratti cioè di una componente del danno biologico o di una voce di danno ex se) è fuor di dubbio che nel danno biologico risarcito ai sensi del codice delle assicurazioni (che è risarcito in modo eguale per ogni persona, in base a parametri legati alla età ed al grado della lesione) certamente non viene calcolato il maggior danno che una persona può aver subito (a parità di lesione fisica) in ragione del fatto di non potere svolgere una attività ulteriore rispetto alle normali incombenze tipiche di ogni soggetto.
In altre parole, un violinista in pensione che per hobby pratichi quotidianamente attività concertistica gratuita di beneficienza, il quale riporti una micropermanente ad un dito che gli precluda di suonare lo strumento con l’abituale destrezza, dovendo così rinunciare alla attività concertistica che gli riempie la vita dandole un senso, pur non subendo un danno patrimoniale avrà certamente una lesione alle attività realizzatrici della persona che esulano (e superano) la normale posta risarcitoria prevista in modo standardizzato dal d.lgs. 209/2005 (anche se aumentata di 1/5), a prescindere dal fatto che la si consideri un danno a sé o, invece, un danno biologico “allargato”.
Infatti, l’art. 139 del d.lgs. 209/2005 offre una definizione normativa del danno biologico, affermando testualmente che “2. Agli effetti di cui al comma 1 per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”. Tale formula è evidentemente onnicomprensiva e non consente al Giudice di tenere conto delle differenze di danno (a parità di lesione fisica) che possono prodursi in capo a soggetti che svolgono attività eccedenti la “norma” di ogni persona non rilevanti a fini reddituali, contrariamente a quanto accade per lesione dello stesso tipo ed entità cagionate in modo diverso dai sinistri stradali.
In questa prospettiva è evidente che la possibilità di aumentare al massimo di 1/5 il danno biologico, in relazione alle caratteristiche personali ed al caso concreto, non è affatto satisfattiva, essendo un parametro predeterminato del tutto disancorato dal danno effettivo, il quale, invece, non può che essere risarcito nella sua integrità.
In conclusione, l’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 139 in relazione ai mutati indirizzi giurisprudenziali quali recepiti dal diritto vivente – posto che detta norma non lascia spazi di manovra al giudicante il quale si deve limitare ad un conteggio matematico che impedisce un’adeguata personalizzazione del danno – determina la violazione dei precetti costituzionali. Ad avviso di questo Tribunale è dunque irragionevole e contrario al principio di equità sancito dall’art. 3 della Costituzione l’aver previsto una limitazione del danno risarcibile in relazione al fatto causativo.
ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 139 DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 SETTEMBRE 2005 N. 209 CON RIFERIMENTO ALL’ART. 76 DELLA COSTITUZIONE, PER LA PREVISIONE DI UN LIMITE NON PREVISTO DALLA LEGGE DELEGA 23/7/2003 N. 229
La legge delega (l. n. 229/2003) prevedeva testualmente all’art. 4 che: “ Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di assicurazioni, ai sensi e secondo i principi e criteri direttivi di cui all’articolo 20 della legge 15/3/1997 n. 59, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge, e nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie e agli accordi internazionali; b) tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli, sotto il profilo della trasparenza delle condizioni contrattuali, nonché dell’informativa preliminare, contestuale e successiva alla conclusione del contratto, avendo riguardo anche alla correttezza dei messaggi pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio…”
Il codice delle assicurazioni elaborato con il d.lgs. 209/2005 avrebbe quindi dovuto tutelare i contraenti più deboli con adeguata informazione avendo anche riguardo alla correttezza dei messaggi pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali del relativo servizio.
Non ritiene questo Tribunale che nelle indicazioni fornite dal legislatore delegante rientrasse la possibilità di precedere dei limiti alla risarcibilità del danno.
In particolare, l’aver riguardo alla correttezza del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali del servizio, non sembra a questo Giudice possa significare anche il potere di porre dei limiti al risarcimento.
Si verte dunque in ipotesi di eccesso di delega.
Al contrario, l’aver introdotto valori tabellari vincolanti per il Giudice (oltre tutto con importi notevolmente inferiori a quelli normalmente utilizzati dai Tribunali nelle vicende diverse da quelle di cui alla circolazione dei veicoli), si pone in senso contrario rispetto ai criteri guida della legge delega che risultano pur sempre indirizzati alla tutela del contraente più debole e comunque del consumatore del servizio assicurativo, posizione questa che indubbiamente può rinvenirsi nell’assicurato che a sensi dell’art. 149 agisca direttamente contro il proprio assicuratore per i danni alla persona che restano contenuti nel limite previsto dall’articolo 139 ed identico discorso potrebbe farsi, in considerazione degli scopi cui era diretta l’istituzione dell’assicurazione obbligatoria dei veicoli e dei natanti, anche per qualsivoglia altro soggetto danneggiato da incidente stradale.
Infatti, per quanto detto sopra, l’assicurato che come conducente del proprio veicolo abbia riportato un danno alla persona che si sia concretato in una micro permanente, otterrà un risarcimento che non necessariamente potrebbe corrispondere al suo intero danno proprio per la presenza del limite al risarcimento previsto dall’art. 139 richiamato dall’articolo 149, e tanto non pare in linea con la tutela del contraente più debole il ché pare oggi contrastare anche con gli accordi internazionali, se si pensa che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (in G.U. 23/1/2008 n. 223) precisa testualmente all’articolo 38: “ Nella politica dell’Unione è garantito un elevato livello di protezione dei consumatori.”
Da quanto sin qui detto emerge allora come l’articolo 139 del d.l.vo n. 209/2005 risulti costituzionalmente illegittimo difettando della necessaria autorizzazione parlamentare e ponendosi quindi in contrasto con l’articolo 76 della Costituzione.
ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 139 DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 SETTEMBRE 2005 N. 209 CON RIFERIMENTO AGLI ARTT. 2 E 8, E ART. 1 PROT. 1, DELLA CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO
Non vi è dubbio che la lesione derivante da sinistro stradale, comportante un danno biologico, si riverberi sulla integrità psicofisica e quindi anche sulla attività familiare e sulla vita privata.
Orbene, la Repubblica Italiana è una delle Parti contrenti della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e, in quanto tale, è gravata anche dei c.d. obblighi positivi, che impongono cioè di attivarsi positivamente affinché i principi stabiliti dalla Convenzione, come interpretata dalla Corte di Strasburgo, vengano pienamente attuati nel Paese.
La tutela della integrità psico-fisica e quella alla attività privata e familiare trovano il proprio fondamento negli artt. 3 e 8 del testo della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo.
L’art. 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 si pone ad avviso di questo Giudice quale limite ostativo al pieno riconoscimento del diritto alla vita familiare ed alla vita privata, impedendo ex lege, una volta che si è realizzato un sinistro, il risarcimento integrale del danno, necessario a ripristinare i diritti invocati.
Ciò è evidente in quanto la stessa parte aderente al trattato (la Repubblica Italiana) riconosce una diversa entità del danno in caso di sinistri causati in modo diverso dall’incidente stradale, rispetto a quelli derivanti da circolazione stradale, con soluzione legislativa che non consta a questo giudice avere eguali disposizioni in altri Paesi aderenti alla CEDU.
Questo non assicura la piena possibilità di un ristoro del danno alla vita familiare e privata ed incide sugli obblighi positivi previsti per assicurarne il pieno rispetto. Deriva pertanto da tali considerazioni la violazione dell’art. 139 d.lvo 205/2009 degli artt. 3 e 8 della CEDU.
ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 139 DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 SETTEMBRE 2005 N. 209 CON RIFERIMENTO AGLI ARTT. 2 E 8, E ART. 1 PROT. 1, DELLA CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO
Analogamente, un risarcimento minore al danno effettivamente cagionato (quale è, per quanto detto, quello previsto per i sinistri stradali) costituisce lesione al “bene” del soggetto leso, nella larga eccezione elaborata dalla Corte di Strasburgo con riferimento al concetto di proprietà previsto dall’art. 1 del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo.
Invero, si è assistito negli anni, da parte della Corte di Strasburgo, ad una costante elaborazione del concetto di bene in senso “sociale”, con interpretazione estesa dell’accezione di proprietà/bene tutelato dalla Convenzione (come dimostrano, ad esempio, le numerose decisioni relative al diritto alla pensione), che, ad avviso di questo Tribunale, è in grado di ricomprendere anche il diritto al pieno ristoro del “bene vita/integrità psico-fisica” leso da sinistri stradali, rispetto ai quali la legislazione nazionale (ed in specie l’art. 139 cod. ass.) si pone in senso ostativo.
Sussiste quindi ad avviso di questo Tribunale un contrasto tra l’art. 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 e l’art. 1 prot. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo.
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SULLA RILEVANZA NEL CASO DI SPECIE DELLA QUESTIONE DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE FORMULATA
Come fin qui diffusamente argomentato nel presente giudizio il remittente ha individuato nella somma indicata in precedenza l’ammontare monetario che intende attribuire all’attore avv. GTA. a titolo di risarcimento della lesione temporanea e permanente alla sua integrità psicofisica che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita di un uomo medio. Oltre tale somma sarebbe intenzione del giudicante attribuire anche l’ulteriore importo di euro 1500,00 a titolo di danno morale, importo che dopo il noto intervento delle Sezioni Unite non gli è però possibile riconoscere, e corrispondere altresì l’importo aggiuntivo di euro 3.000,00 calcolato in forma equitativa “ragionata”, in ragione della impossibilità di svolgere nel medesimo modo ed intensità le attività ludico sportive che prima praticava (calcio, football americano, windsurf, spinning, vela ecc.) e che certamente eccedono l’attività standard del quisque de populo. A prescindere dalla qualificazione che si vuole dare a tale ultima posta risarcitoria (che si tratti cioè della maggiorazione “ad personam” di un danno biologico o, invece, di un danno autonomamente considerabile alle attività realizzatrici) l’art. 139 cod. ass. non ne consente allo stato il risarcimento, limitandone eventualmente la personalizzazione ad 1/5 del quantum stabilito in base alle previsioni contenute nella medesima norma.
La questione di legittimità dell’art. 139 cod. assic., come in precedenza chiarito, non viene ovviamente sollevata in relazione ai rapporti tra una norma di legge ed una tabella ministeriale, ma in riferimento alla impossibilità per il remittente di provvedere ad un integrale risarcimento del danno sui livelli dell’equità in concreto individuata nei valori come sopra precisati, con riferimento a quanto risultante in atti, a ciò ostando i rigidi limiti della norma di legge.
Resta dunque il fatto che l’attuale domanda non potrebbe essere esaminata nella sua completezza, laddove si debbano applicare rigorosamente i criteri dell’art. 139 cod. assic, sia nella parte in cui detta norma indica i valori che fungono da soglia limite, sia nella parte in cui essa limita ad una percentuale prestabilita, la possibilità per il giudice di procedere all’aumento del valore del risarcimento. L’applicazione dei criteri dell’art. 139 cod. assic. impedirebbe, infatti, di procedere ad una adeguata valutazione del danno o meglio ad una sua personalizzazione alla luce dell’articolo 2059 c.c. come ora concepito dal diritto vivente tanto è vero che questo giudice ha provveduto ad evidenziare quella che a suo avviso deve essere una liquidazione maggiormente aderente alla reale entità del danno, liquidazione ben diversa da quella che sarebbe consentita con l’applicazione dei criteri di legge.
E’ allora evidente l’interesse della parte e dello stesso giudice ad una pronuncia sulla legittimità costituzionale di detta norma sia nella parte in cui fissa una tabella inderogabile, sia nella parte in cui non consente un’adeguata personalizzazione del singolo danno, posto che, laddove tale norma della cui costituzionalità si dubita, venisse confermata, si impedirebbe appunto una valutazione adeguata della domanda impedendo, comunque, una personalizzazione del danno, che finirebbe, quindi, per non venir integralmente risarcito, non osservandosi i criteri posti a base dell’equità dalla più recente giurisprudenza.
In ordine al decreto ministeriale applicato ratione temporis dal giudice di primo grado (e che questo giudice ritiene di dover considerare quale parametro di riferimento, trattandosi di giudizio di appello con cui si muovono censure alla decisione di prime cure) a sensi del comma 5 dell’art. 139 cod. assic. si può ancora osservare che anche qualora si dovesse ritenere applicabile un diverso decreto ministeriale, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 139 cod. assic. qui sollevata, sarebbe comunque attuale e rilevante. Infatti, il ministero competente con il decreto annuale previsto dall’art. 139 si limita a disporre l’aumento dei valori mediante l’adeguamento degli stessi al costo della vita, aumento del quale non potrebbe non tener conto il giudicante e del quale tengono notoriamente conto anche le tabelle milanesi che pur non essendo termine di paragone per la presente questione di legittimità costituzionale, restano comunque, ad avviso del giudicante e della giurisprudenza di legittimità, parametro dell’equità e notoriamente vengono anch’esse aggiornate annualmente per adeguarle all’inflazione dal che ne discende la ininfluenza del decorrere del tempo e dell’eventuale applicazione di un nuovo decreto ministeriale in relazione alla questione di legittimità che qui si solleva.
Tanto precisato la questione di legittimità costituzionale come sopra enunciata appare a questo Giudice seria e non manifestamente infondata e rilevante nel processo il cui esito resta ad essa collegato per cui lo stesso non può essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione.
Ciò considerando anche che le ragioni di possibile contrasto con la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, come sopra evidenziate, potrebbero esporre la Repubblica Italiana, quale parte aderente, alla possibile condA.da parte della Corte di Strasburgo per ogni singola controversia oggetto di ricorso individuale innanzi alla CEDU, in caso di mancato adeguamento della norma, con conseguente carico dei relativi costi sul bilancio dello Stato.
Per Questi Motivi
Il Tribunale di TIVOLI, sezione civile, in persona del Giudice unico dott. Alessio Liberati nella sua funzione di giudice di appello, visti gli articoli 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1984 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza,
– solleva questione di legittimità costituzionale dell’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 con riferimento agli articoli 2, 3, 24, 32, della Costituzione nonché del principio della ragionevolezza, nella parte in cui preclude l’integrale risarcimento del danno non patrimoniale arrecato alla sfera giuridica del soggetto leso, predeterminandone ex lege l’ammontare massimo risarcibile, e conseguentemente crea una disparità di trattamento nel ristoro del danno in base al diverso elemento causativo del danno;
– solleva questione di legittimità costituzionale dell’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 con riferimento agli all’art. 76 della Costituzione per eccesso di delega, nella parte in cui prevede parametri di legge vincolanti l’entità del risarcimento del danno da sinistro nautico o stradale,
– solleva questione di legittimità costituzionale dell’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 con riferimento agli artt. 3 e 8 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 1 prot. 1 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nella parte in cui preclude l’integrale risarcimento del danno non patrimoniale arrecato al bene (sfera giuridica del soggetto leso) tutelato dall’art. 2 della Convenzione EDU e dall’art. 1 prot. 1 della CEDU e conseguentemente crea una disparità di trattamento nel ristoro del danno subito – in base all’elemento causativo – all’interno del medesimo ordinamento nazionale, e nella parte in cui crea un ostacolo di fatto alla piena protezione del correlato diritto alla vita familiare e privata tutelati dagli artt. 3 e 8 della medesima Convenzione, così venendo meno agli obblighi positivi imposti dalla Convenzione EDU.
Ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso.
Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Tivoli, 21 marzo 2012
Il Giudice
Alessio Liberati
Depositato il 23.3.2012