Opere pubbliche/Lavori pubblici/Subappalto

di Federica Federici

Massima

 L’art. 38, comma 1, lett. c), prevede che sono esclusi dalle gare i soggetti “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”, per cui la valutazione di incidenza o meno della fattispecie penale consumata sulla moralità professionale dell’impresa, appartiene esclusivamente all’Amministrazione, rientrando nella sua discrezionalità ritenere o meno sussistente siffatta incidenza. Alla Stazione Appaltante spetta valutare, con ampia discrezionalità, il possesso dei requisiti di un partecipante alla gara.

 

Sintesi del caso

Il Comune di Udine ha escluso dalla gara d’appalto la ricorrente a procedura aperta per l’affidamento dei lavori di ampliamento e ristrutturazione di una scuola, a causa di una condanna ex art. 444 c.p.p. subita dall’amministratore per aver concesso in subappalto parte delle opere di una precedente commessa senza autorizzazione della Stazione appaltante), ritenuta ostativa a tenore dell’art. 38[1], comma 1 lett. c), del D.Lg. 163/06, in quanto incidente sulla moralità professionale. La ricorrente impugnava l’esclusione (e non anche l’esito ella gara), deducendo le seguenti censure:

1) illogicità, arbitrarietà e irragionevolezza; violazione di principi di correttezza, trasparenza, imparzialità e giusto procedimento. Violazione del diritto di partecipazione al procedimento; travisamento; violazione dell’art. 4 del Disciplinare e dell’art. 46 del D.Lg. 163/06;

2) illogicità, arbitrarietà e irragionevolezza; travisamento di fatto e di diritto, carenza di motivazione; violazione dell’art. 38, comma 1, lett. c) del D.Lg. 163/06; dell’art. 41 della Costituzione, del diritto di accesso al mercato pubblico e della libertà economica.

 

Questioni

Si tratta di verificare se è logico e razionale il giudizio di una S.A. cui spetta valutare, con ampia discrezionalità, il possesso dei requisiti di un partecipante alla gara. L’art. 38, comma 1, lett. c), prevede che sono esclusi dalle gare i soggetti “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”.

 

Normativa applicabile

Codice Appalti, D. Lgs. 2006/163 e successivi correttivi.

Nello specifico art. 38 comma 1 lett. c), del D.Lg. 163/06, in quanto incidente sulla moralità professionale, mentre il comma 1, lett. g), d.lgs. n. 163/06, è applicabile esclusivamente alle sanzioni amministrative relative alla violazione di obblighi di pagamento di imposte e tasse, e non a condanne penali.[2]

 

Nota esplicativa

 

In linea generale, laddove il bando di gara richieda, a pena di esclusione, la dichiarazione sul possesso dei requisiti di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, anche senza ulteriori specificazioni, tale dichiarazione, con riferimento a quanto previsto dal comma 1, lett. c) dell’art. 38, deve essere presentata ed essere completa, cioè comprendente tutte le condanne penali ricevute, pena, in caso contrario, l’esclusione dalla gara.

 

Mentre la prima parte della norma dell’art. 38 co.1, lett. c), s’indirizza al concorrente prevedendo il divieto di partecipazione alle gare per gli operatori che siano stati condannati con sentenza passata in giudicato per “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”, indicando una categoria di reati non definita compiutamente in cui si lascia alla stazione appaltante un margine di apprezzamento, la seconda parte della norma, facendo riferimento a fattispecie espressamente specifiche (partecipazione ad un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio) s’indirizza alla stazione appaltante, privandola di qualsiasi potere discrezionale di valutazione, nel senso che alle sentenze di condanna per uno dei predetti reati si connette un effetto automatico di preclusione della partecipazione ai pubblici appalti. Va anche evidenziato, sotto il profilo degli obblighi di dichiarazione, che queste ultime fattispecie (partecipazione ad un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio) coincidono con quelle che secondo la giurisprudenza amministrativa incidono negativamente sulla moralità professionale dei concorrenti ai pubblici appalti.

 

Si configura, pertanto, un rapporto da genere a specie tra i reati genericamente previsti dalla prima parte dell’art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 163/2006 (“reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”) e quelli specificati nella seconda parte della norma per cui i secondi (partecipazione ad un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio) rientrano in ogni caso nella categoria dei “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”, le cui condanne devono essere espressamente dichiarate dai concorrenti.

 

Giurisprudenza consolidata ritiene infine che la condanna penale dei titolari, amministratori o del direttore tecnico dell’impresa, ai sensi dell’articolo 38, comma 1, lett. c), costituisca circostanza incidente sull’affidabilità professionale dell’operatore economico nel suo complesso, nel senso che, dalla stessa, stante la rilevanza ed il ruolo del condannato nell’organizzazione aziendale e delle decisioni da esso assunte, deriva un’attenuazione della moralità complessiva dell’impresa concorrente ed una limitazione della sua capacità di partecipare alle gare ed alla stipulazione dei contratti di appalto o subappalto. Tale limitazione si protrae per i tre anni successivi alla cessazione della carica del soggetto condannato.

 

Nel collegare l’esclusione alla generalità delle trasgressioni che incidono sulla moralità professionale, è qualificante la commissione di reati di una certa natura sotto l’aspetto sostanziale, al fine di evitare l’affidamento del servizio a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli stessi interessi collettivi che, nella veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare.

La mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa (che fa riferimento a sentenze di condanne o a provvedimenti giudiziali simili per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale del concorrente) lasciano uno spazio di valutazione discrezionale alla stazione appaltante, e consentono alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un equo apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali, a titolo esemplificativo, l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna ed eventuali recidive.

 

E’ sulla base di queste argomentazioni[3] infatti che il ricorso nel caso de quo è stato rigettato. Principalmente il giudice da merito ha ribadito che il reato di cui trattasi non è una qualsiasi violazione della legge penale avulsa dall’ambito in cui il soggetto opera, ma è un “reato proprio” dell’appaltatore pubblico. Infatti la disposizione è contenuta in una delle leggi “antimafia” e ha lo scopo di evitare infiltrazioni malavitose degli appalti pubblici (dispone infatti l’art. 21 della L. 464/82 che “chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente, è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore ad un terzo del valore dell’opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivo dell’opera ricevuta in appalto… (omissis).

L’autorizzazione prevista è rilasciata previo accertamento dei requisiti di idoneità tecnica del subappaltatore, nonché del possesso, da parte di quest’ultimo, dei requisiti soggettivi per l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Costruttori – oggi soppresso.

 

Inoltre, ha evidenziato, l’aver affidato di fatto alcuni lavori in subappalto prima che l’Amministrazione si fosse pronunciata (il che rende irrilevante il fatto che, successivamente, l’autorizzazione sia stata rilasciata) ha comportato rischi sotto il profilo della sicurezza del cantiere e l’impossibilità di porre in essere tutti i controlli necessari. Il comportamento gravemente irregolare tenuto dalla ricorrente nella gestione di un appalto pubblico, non può non riflettersi sulla sua moralità professionale, poiché esprime una intrinseca offensività degli interessi del soggetto pubblico che la normativa in materia di procedure di gara intende tutelare.

 

Sentenza difforme e precedenti conformi

 

–       C.d.S. n. 4520/10, n. 2822/10 e n. 945/07, che ha ritenuto “grave” il reato e tale da incidere sulla moralità professionale del partecipante.

–       Come stabilito da TAR Lombardia – Milano n. 607/11 (in fattispecie simile) è esente da censura il comportamento della Stazione Appaltante che ha ritenuto incidente sulla moralità professionale “un reato connesso al tipo di attività che il soggetto sarebbe chiamato a svolgere, non risalente nel tempo, la cui gravità è correlata alla circostanza che l’accertata condotta consiste nella violazione di doveri inderogabili che proteggono non solo il patrimonio astrattamente considerato ma anche i lavoratori dell’impresa”.

–       È giurisprudenza costante che “è pacifico il principio secondo cui la valutazione di incidenza o meno della fattispecie penale consumata sulla moralità professionale dell’impresa, appartiene esclusivamente all’Amministrazione, rientrando nella sua discrezionalità ritenere o meno sussistente siffatta incidenza” (in termini: Tar Lazio n. 2675/11).

–       TAR Napoli, Sezione VIII – Sentenza 10/02/2011 n. 826.

–       TAR Roma, Sezione III – Sentenza 22/02/2011 n. 1652.

–       TAR Catania, Sezione I – Sentenza 19/10/2010 n. 4217.

 

 

Testo sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 159 del 2009, proposto da:

Temi s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv.  Michele  Coceani,  con

domicilio eletto presso la Segreteria  Generale  T.A.R.  in  Trieste,

p.zza Unità D’Italia 7;

contro

Comune di  Udine,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.  Giangiacomo

Martinuzzi, Claudia Micelli e Giuseppe Sbisà,  con  domicilio  eletto

presso il terzo, in Trieste, via Donota 3;

per l’annullamento

dei verbali della gara a procedura  aperta,  indetta  dal  Comune  di

Udine dd. 2.12.2008 per l’affidamento dei  lavori  di  ampliamento  e

ristrutturazione della scuola d’infanzia G.Zambelli, con i  quali  la

Commissione: a) ha ritenuto di chiedere all’ATER di Udine l’esistenza

di documentazione in possesso della medesima  stazione  appaltante  e

relativa ai lavori oggetto dell’imputazione richiamata nella sentenza

n. 461/08  del  Tribunale  di  Udine,  emessa  a  carico  del  legale

rappresentante di Temi s.r.l.; b) ha escluso la Temi srl dalla gara;

delle comunicazioni di esclusione dd. 23.1.2009 e dd. 26.1.2009

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Udine;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 novembre  2011  il  dott.

Rita De Piero e uditi per le parti i difensori come  specificato  nel

verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto

FATTO e DIRITTO

1. – La ricorrente Società impugna gli atti con cui il Comune di Udine l’ha esclusa dalla gara d’appalto a procedura aperta per l’affidamento dei lavori di ampliamento e ristrutturazione della scuola d’infanzia “G.Zambelli”, a causa di una condanna ex art. 444 c.p.p. subita dall’amministratore Be. De Ma. (per aver concesso in subappalto parte delle opere di una precedente commessa senza autorizzazione della Stazione Appaltante ATER), ritenuta ostativa a tenore dell’art. 38, comma 1 lett. c), del D.Lg. 163/06, in quanto incidente sulla moralità professionale.

1.1. – In fatto, espone di aver partecipato alla gara de qua dichiarando la condanna subita dall’amministratore. La Commissione, preso atto di ciò, decideva di sospendere l’esame dell’offerta e di chiedere ulteriori chiarimenti all’ATER, che aveva bandito la gara in cui si erano verificati i fatti. Alla stregua dei chiarimenti ricevuti, la ricorrente veniva esclusa, avendo la Commissione ritenuto la condanna incidente sulla moralità professionale.

1.2. – Col presente ricorso, l’istante impugna la propria esclusione (e non anche l’esito ella gara), deducendo le seguenti censure:

1) illogicità, arbitrarietà e irragionevolezza; violazione di principi di correttezza, trasparenza, imparzialità e giusto procedimento. Violazione del diritto di partecipazione al procedimento; travisamento; violazione dell’art. 4 del Disciplinare e dell’art. 46 del D.Lg. 163/06.

2) illogicità, arbitrarietà e irragionevolezza; travisamento di fatto e di diritto, carenza di motivazione; violazione dell’art. 38, comma 1, lett. c) del D.Lg. 163/06; dell’art. 41 della Costituzione, del diritto di accesso al mercato pubblico e della libertà economica.

2. – Il Comune, costituito, puntualmente controdeduce nel merito del ricorso concludendo per la sua reiezione.

3. – Il ricorso non è fondato.

3.1. – È incontroverso in fatto che l’amministratore e legale rappresentante della Ditta ricorrente, Be. De Ma., abbia subito, nel 2008, una condanna penale per il reato di cui all’art. 21 della L. 646/82, per aver concesso in subappalto parte delle opere della gara per l’affidamento della manutenzione straordinaria di 7 alloggi ATER, di cui era aggiudicatario, “in mancanza dell’autorizzazione dell’autorità competente”. La sentenza, ex art. 444 c.p.p., aveva inflitto all’interessato la pena di mesi tre e giorni venti di arresto ed 1980,00 di ammenda, con conversione della pena detentiva in pecuniaria per totali 6160,00 di ammenda.

Di tale condanna la ricorrente aveva lealmente dato contezza nella propria domanda. La S.A., valutati i fatti, ha ritenuto che la sentenza incidesse sulla moralità professionale, ed ha quindi escluso la Ditta dalla gara.

3.2. – Col primo motivo l’istante lamenta che la Commissione abbia interpellato, per ottenere chiarimenti sul fatto, solo l’ATER e non anche la concorrente medesima, come previsto dall’art. 4 del Disciplinare, che attribuisce la facoltà di “richiedere ai partecipanti integrazioni o chiarimento circa le informazioni contenute nella documentazione di gara”.

La censura non può essere accolta, dato che, come osserva il Comune, tale facoltà riguarda il diverso caso in cui la documentazione presentata dal concorrente necessiti di essere meglio illustrata o integrata. Nella specie, la Ditta, nella propria domanda, ha dato atto dell’esistenza della sentenza. I chiarimenti sulle modalità del fatto sono stati, correttamente, chiesti dall’Ente alla Stazione Appaltante e non all’interessata, non riguardando tali notizie la documentazione presentata a corredo dell’offerta.

3.3. – Fa peraltro presente l’istante che la risposta dell’ATER appare incompleta ed eccessivamente succinta, non avendo la stessa evidenziato che, in ogni caso, per due delle ipotesi di subappalto (gli episodi contestati sono tre) le autorizzazioni erano state espressamente richieste già prima della segnalazione di ATER all’autorità giudiziaria, e che, sia pure solo successivamente, per tutte e tre vi era stato l’assenso (ancorché postumo) della S.A.. Segnala inoltre, che ATER non aveva risolto il contratto e che la pena irrogata è minimale. Tutte queste circostanze la Commissione avrebbe potuto apprezzarle appieno se avesse fatto intervenire l’istante nel procedimento.

Il motivo non può essere accolto, dal momento che ciò che, nella specie, rileva è solo l’esistenza della condanna e la sua riferibilità alla moralità professionale.

3.4. – E infatti, col secondo motivo, la ricorrente contesta sia la gravità del reato, che la sua incidenza sulla moralità professionale

L’art. 38, comma 1, lett. c), per quanto qui rileva, prevede che sono esclusi dalle gare i soggetti “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”.

Si tratta quindi di verificare se è logico e razionale il giudizio della S.A. (cui spetta valutare, con ampia discrezionalità, il fatto. Si vedano, in proposito. C.S., n. 4520/10; id., n. 2822/10; e 22 n. 945/07) che ha ritenuto “grave” il reato e tale da incidere sulla moralità professionale.

Il Collegio ritiene che la motivazione dell’esclusione sia corretta.

Come sottolinea il Comune, il reato di cui trattasi non è una qualsiasi violazione della legge penale avulsa dall’ambito in cui il soggetto opera, ma è un “reato proprio” dell’appaltatore pubblico. Infatti la disposizione è contenuta in una delle leggi “antimafia” e ha lo scopo di evitare infiltrazioni malavitose degli appalti pubblici (dispone all’uopo l’art. 21 della L. 464/82 che “chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente, è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore ad un terzo del valore dell’opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivo dell’opera ricevuta in appalto…… L’autorizzazione prevista dal precedente comma è rilasciata previo accertamento dei requisiti di idoneità tecnica del subappaltatore, nonché del possesso, da parte di quest’ultimo, dei requisiti soggettivi per l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Costruttori”).

Inoltre, come è stato giustamente evidenziato, l’aver affidato di fatto alcuni lavori in subappalto prima che l’Amministrazione si fosse pronunciata (il che rende irrilevante il fatto che, successivamente, l’autorizzazione sia stata rilasciata) ha comportato rischi sotto il profilo della sicurezza del cantiere e l’impossibilità di porre in essere tutti i controlli necessari. Come stabilito da TAR Lombardia – Milano n. 607/11 (in fattispecie simile) è esente da censura il comportamento della Stazione Appaltante che ha ritenuto incidente sulla moralità professionale “un reato connesso al tipo di attività che il soggetto sarebbe chiamato a svolgere, non risalente nel tempo, la cui gravità è correlata alla circostanza che l’accertata condotta consiste nella violazione di doveri inderogabili che proteggono non solo il patrimonio astrattamente considerato ma anche i lavoratori dell’impresa”.

Il comportamento gravemente irregolare tenuto dalla ricorrente (che, lungi dal difendere il proprio operato in sede penale, ha preferito patteggiare la pena, con ciò dimostrando per facta concludentia di essere ben consapevole del reato commesso) nella gestione di un appalto pubblico, non può non riflettersi sulla sua moralità professionale, poiché esprime una intrinseca offensività degli interessi del soggetto pubblico che la normativa in materia di procedure di gara intende tutelare. È giurisprudenza costante che “è pacifico il principio secondo cui la valutazione di incidenza o meno della fattispecie penale consumata sulla moralità professionale dell’impresa, appartiene esclusivamente all’Amministrazione, rientrando nella sua discrezionalità ritenere o meno sussistente siffatta incidenza” (in termini: Tar Lazio n. 2675/11).

In definitiva, alla stregua delle argomentazioni che precedono, il ricorso va respinto.

4. – Sussistono tuttavia le ragioni di legge per disporre la totale compensazione, tra le parti, delle spese e competenze di causa.

P.Q.M.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli – Venezia Giulia, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Saverio Corasaniti, Presidente

Oria Settesoldi, Consigliere

Rita De Piero, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 24 NOV. 2011.

 



[1] L’art. 38 di recente oggetto di modifica ad opera  della Legge 2100/106, si veda http://www.diritto.it/system/docs/32053/original/art._38_D.Lgs._163_2006.pdf

 

[3] Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2007 n. 1723; 20 marzo2007, n. 1331), parere Autorità per la vigilanza sui LL.PP. (21 maggio 2008, n. 162) e deliberazione 9 maggio 2007, 123).

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