Uno sguardo critico sull’annosa questione del concorso di reati

Massimo Autieri*

ABSTRACT

Il lavoro mette in luce il contrasto giurisprudenziale e le distorsioni applicative della giurisdizione di merito, soffermandosi sul rischio di adire interpretazioni estensive del concorso tra reati volte ad ampliare l’ambito di punibilità del reato di associazione finalizzata allo spaccio. Nella specie, si formula l’auspicio che venga scongiurato il rischio di adire interpretazioni tese ad esasperare la funzione repressiva del diritto penale, auspicando l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Cassazione.

The contribution highlights the jurisprudential contrast and the application distortions of the trial judges, focusing on the risk of bringing extensive interpretations of the concurrence of crimes aimed at expanding the scope of punishment of the crime of association aimed at drug dealing. The aim is underlining the risk of resorting to interpretations aimed at exacerbating the repressive function of criminal law will be averted, in the hope of a clarifying intervention of the Grand Chamber of the Supreme Court of Cassation.

Sommario: 1. Note introduttive – 2. Distorsioni applicative del concorso di reati: l’associazione mafiosa e l’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio- 3. Applicabilità della cd. aggravante mafiosa alla associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti – 4. Conclusioni.

1. Note introduttive

Il presente lavoro prende le mosse dall’annosa questione relativa alle distorsioni applicative in punto di concorso di reati, in particolare tra il reato associativo di cui all’articolo 416 bis c.p. e associazione per delinquere ex art. 74 d.P.R. 309/90, offrendo soluzioni alternative a quelle proposte dalla giurisprudenza di merito.

Sul punto concernente la coesistenza delle due associazioni, va subito chiarito che la giurisprudenza di merito, per lo più, ritiene che la differenza sostanziale tra un’associazione di stampo camorristico (416 bis c.p.) e un’associazione dedita al narcotraffico (art. 74 d.P.R. 309/90) stia nel fine programmatico dell’una, certamente più ampio, rispetto all’altra, caratterizzata dall’esclusivo narcotraffico; che ricorra la sola associazione dedita al narcotraffico se il sodalizio nasce e si sviluppa solo allo scopo di operare nel settore degli stupefacenti[1]; ancora, la prevalente giurisprudenza di legittimità sostiene che le due fattispecie associative concorrano solo a condizione che il fine criminoso perseguito dall’associazione camorristica non si esaurisca nel narcotraffico[2]; in ultimo, generalmente in giurisprudenza si afferma che i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi[3].

2. Distorsioni applicative del concorso di reati: l’associazione mafiosa e l’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio

Al fine di fare corretta applicazione dei canoni ermeneutici in materia, occorre, innanzitutto, chiarire e fare buon uso dell’istituto giuridico del principio di specialità e, comunque, di quello di elaborazione dottrinale[4] e giurisprudenziale dell’assorbimento o continenza, pur in presenza di una affermata commistione tra le due entità associative, essendovi sostanziale sovrapposizione di uomini e mezzi con piena condivisione dei profitti provenienti dalla consumazione dei delitti fine. 

Non può certamente negarsi che l’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, fin dalla sua entrata in vigore quale autonoma fattispecie di reato, pongaproblemi relativi alsuo concorso formale con altre fattispecie delittuose di tipo associativo, in particolare con quelle previste dagli articoli 416 e 416 bis c.p.

Invero, non è infrequente imbattersi in dinamiche delinquenziali ove vi sia un unico sodalizio finalizzato alla commissione di delitti di diversa natura, tra cui quelli in materia di stupefacenti e/o che operi avvalendosi del metodo mafioso, anche in quelle in cui sia riscontrabile una pluralità di sodalizi differenti per finalità delittuosa, ma afferenti alla medesima complessa struttura criminosa, elevata a società criminale “madre”.

In questi casi, il rischio di cadere in ipotesi di violazione del ne bis in idem sostanziale e, comunque, di pervenire a un esito sanzionatorio eccessivo, dovrebbe indurre ogni interprete del diritto a un attento esame dei rapporti tra le diverse fattispecie associative e suggerire una certa prudenza nel valutare un concorso formale tra di esse. 

Non vi è dubbio che l’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti mutui la propria struttura dal reato associativo semplice di cui all’art. 416 c.p.: elementi strutturali comuni sono la stabilità del vincolo associativo, la struttura organizzativa e l’indeterminatezza del programma criminoso, ma ne differisce, indubbiamente, in relazione ai reati-fine, al bene giuridico protetto, alla ratio e alle finalità politico-criminali. Infatti, l’art. 74 d.P.R. 309/90 punisce specificamente il traffico di stupefacenti e tutela, oltre l’ordine pubblico, anche la vita e la salute.

Alla luce di quanto esposto è innegabile, come riconosciuto in dottrina[5] e giurisprudenza, che vi sia un rapporto di specialità tra le due fattispecie associative, con aggiunta di elementi specializzanti unilaterali per l’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90. In tal caso è da ritenere non configurabile un concorso formale tra i due reati qualora sussistano, nella fattispecie concreta, detti elementi specializzanti, ovvero l’associazione sia dedita esclusivamente al traffico di sostanze stupefacenti.

Maggiori difficoltà si incontrano nel caso in cui si sia in presenza di un’associazione che presenti un programma criminoso “misto”, ovvero dedita non solo al traffico di stupefacenti ma anche ad altre fattispecie delittuose. In tal caso, stante la diversità dei beni giuridici – perché l’art. 74 tutela, oltre l’ordine pubblico, anche la salute e la vita – la giurisprudenza[6] ritiene possibile il concorso formale tra i due reati, rappresentandosi, nel caso di specie, una specialità reciproca per sotto-fattispecie; pertanto i sodali sarebbero punibili per entrambe le ipotesi associative, pur in presenza di un’unica compagine associativa.

In realtà, non si comprende per quale ragione non possa applicarsi anche per questo caso specifico l’art. 15 c.p. che, in virtù del principio di specialità, ritenga prevalente l’art. 74 d.P.R. 309/90, tale da evitare una duplicazione della punizione del soggetto agente partecipe della stessa realtà associativa, salva la possibilità di condannarlo per i singoli reati-fine, cui abbia concorso, evitando cosìla violazione del ne bis in idem sostanziale.  

Anche l’associazione di tipo mafioso e l’associazione per il narcotraffico presentano taluni elementi fondamentali comuni, quali la stabilità del vincolo associativo, la struttura organizzativa, l’indeterminatezza del programma criminoso, ma differiscono, indubbiamente, in relazione al bene giuridico protetto, alla ratio e alle finalità politico-criminali delle due norme, oltre che, sotto il profilo formale, per la differente formulazione normativa delle due fattispecie[7].

In questo caso, secondo la giurisprudenza, le due fattispecie possono, pertanto, concorrere tra loro[8].

Nonostante la Suprema Corte si sia espressa in favore del concorso formale, anche in questo caso tanto nell’ipotesi concreta dell’unico sodalizio dedito al traffico di stupefacenti che ricorra al metodo mafioso, quanto in quella del sottogruppo della stessa associazione di stampo mafioso che si dedichi stabilmente e in via esclusiva alla realizzazione delle attività di cui all’art. 74 T.U. in materia di sostanze stupefacenti  – sembra possa affermarsi tra le due norme un rapporto di specialità.

In particolare, il rapporto tra i due reati associativi, qualificabile in termini di specialità reciproca, può essere dettagliatamente ricostruito nel senso che l’art. 74 d.P.R. 309/90 è speciale quanto alla tipologia delittuosa perseguita (traffico di stupefacenti – specialità per specificazione), ma è aspecifica quanto al metodo di azione (assenza del metodo mafioso), mentre l’art. 416 bis c.p. è speciale quanto al metodo mafioso (specialità per aggiunta), ma è aspecifico con riferimento ai delitti perseguiti.

In tali termini, ritenendo opportuno valutare le singole posizioni di interferenza, qualora risulti costituito un unico sodalizio, in virtù dell’art. 15 c.p., dovrebbe prevalere l’art. 416 bis c.p., per il maggior numero di elementi specializzanti; nella diversa ipotesi in cui si rinvenga la sussistenza di due sodalizi distinti e autonomi, che abbiano tra di loro relazioni, deve valutarsi attentamente la specifica posizione degli appartenenti, giungendo a conclusioni differenti a seconda che questi ultimi svolgano un ruolo in entrambi oppure abbiano aderito soltanto a uno di essi, perché solo nel primo caso sarebbe possibile il concorso formale tra i due reati associativi.

Sarebbe eccessivo ritenere configurabile il concorso formale tra le due associazioni, quella mafiosa e quella dedita ai traffici di stupefacenti, nel caso di fattispecie associative che presentino la medesima struttura organizzativa, perché in tali casi il fatto appare esprimere un disvalore penale sostanzialmente omogeneo[9].

L’opportunità di applicare la disciplina del concorso apparente di norme ai casi di partecipazione a un unico sodalizio a prescindere dalla varietà del programma delittuoso, può giustificarsi attraverso il criterio dell’assorbimento in luogo di quello strutturale, perché si è in presenza di una unitarietà normativo-sociale del fatto associativo; dunque, il disvalore del fatto concreto verrebbe assorbito dalla fattispecie che sanziona il reato più grave.

In presenza di una struttura organizzativa unitaria, per quanto allettante sia la prospettiva del concorso formale in termini repressivi e di deterrenza per l’eccezionale carico sanzionatorio, sembra davvero inopportuna la contestazione di una pluralità di reati associativi in conseguenza della diversa natura dei reati-fine, posto che la pericolosità insita nella struttura organizzativa, che è alla base del programma delittuoso, è già sufficientemente neutralizzata dall’applicazione di una sola delle disposizioni rilevanti. In pratica, il favor per il concorso apparente di norme pare conseguenza necessaria di un’interpretazione delle fattispecie associative che valorizzi come fulcro del disvalore l’elemento strutturale dell’organizzazione, più che la specifica tipologia dello scopo delittuoso[10].      

Pertanto, non è condivisibile la ricostruzione giuridica operata dalla Corte di Cassazione prevalente, che vuole il concorso formale tra il reato associativo di stampo mafioso e il reato associativo dedito al traffico di sostanze stupefacenti, negando il concorso apparente di norme, pur in presenza di una medesima struttura organizzativa di tipo associativo.

La giurisprudenza della Corte riconosce il concorso tra il reato di cui all’articolo 416 bis c.p. e quello di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, ma con riferimento a un contesto associativo tra gruppi federati o sottogruppi nell’ambito di un’organizzazione associativa “madre”, giammai in presenza di un unico sodalizio con similitudine di uomini, mezzi e condivisione di profitti.

In tal senso, il principio dell’assorbimento o consunzione, in luogo di quello di specialità che ha natura logico-strutturale, si configura quale criterio di valore che inevitabilmente assolve la funzione di venire incontro a esigenze di equità e di giustizia sostanziale. Secondo tale principio, in presenza di fatti astrattamente sussumibili sotto più fattispecie incriminatrici (tra le quali non ricorra un rapporto di specialità ex art. 15 c.p.), è consentito ritenere operante un concorso apparente di norme e non un concorso di reati quando la realizzazione di un reato comporti, secondo l’id quod plerumque accidit, la commissione anche dell’altro, di modo che il primo esaurisce in sé l’intero disvalore del fatto. Questo rapporto di compresenza non sfuggirebbe nemmeno al Legislatore, il quale, nel prevedere il trattamento per il reato più grave, fisserebbe una sanzione adeguata a coprire il disvalore del reato meno grave, in ossequio al principio di legalità. Dunque, in base al criterio di consunzione, lex consumens derogat lex consumptae, troverebbe applicazione la sola norma che prevede la pena più grave allo scopo di venire incontro all’esigenza di evitare l’addebito plurimo di un medesimo fatto quando quello meno grave esaurisca il significato antigiuridico in quello più grave, sicché appare evidente l’irragionevole quanto ingiusta duplicità di sanzione in relazione al criterio di proporzione tra fatto illecito e pena quale principio che ispira il nostro ordinamento (ne bis in idem “sostanziale”). 

La prevalente giurisprudenza di legittimità, più volte citata, nell’affermare la sussistenza di un “nuovo organismo criminale” finalizzato al traffico degli stupefacenti “dotato di autonomia strutturale e finalistica oltre che decisionale e organizzativa” ma con una “commistione di uomini e mezzi mutuati dall’organismo originario impegnando e impiegando i sodali storici più affidati ed esperti e mantenendo anche i ruoli a loro affidati” cede il passo a un percorso argomentativo evidentemente illogico e contraddittorio. Invero, non può ragionevolmente esservi organismo criminale contiguo a quello originario con identità di organigramma (uomini e mezzi) che allo stesso tempo acquisisca e conservi autonomia strutturale, finalistica, decisionale e organizzativa, ancor più se al vertice della nuova struttura vi sia la stessa persona; pertanto, da un punto di vista “fattuale”, l’organizzazione criminale non può che essere la medesima, mentre da un punto di vista “normativo – descrittivo” sarebbe da riconoscerne l’unitarietà in base al richiamato principio dell’assorbimento.

Le distorsive prassi applicative della giurisprudenza di merito scelgono di estremizzare tali concetti, tanto da ritenere che impegnare e impiegare gli stessi sodali, quelli storici più fidati ed esperti al fine di rendere sicura la riuscita delle nuove operazioni illecite nel campo degli stupefacenti, equivarrebbe alla possibile configurabilità delle due fattispecie associative pur quando si tratti di un gruppo criminale non sovrapponibile in toto a quello del clan mafioso.

Appare allora evidente il disallineamento logico di simili argomentazioni in ordine all’applicazione del principio dell’assorbimento.

Tanto a fondamento del ragionamento che gli interessi programmatici di natura delinquenziale s’incentrino nell’ambito di un’unica compagine associativa;  pertanto, avendosi sul piano “fattuale” un’unica struttura organizzativa, al fine di evitare una duplice condanna per l’esistenza sul piano “giuridico” di due diverse associazioni criminali, sarà possibile evocare il principio dell’assorbimento per il quale, pur non essendovi piena identità di bene giuridico tutelato ma comunque uniformità degli scopi prevalenti perseguiti dalle norme concorrenti, secondo cui lo scopo della norma che prevede il reato minore sia chiaramente assorbito da quella relativa al reato più grave inglobandone il disvalore sociale e il significato antigiuridico. Così, argomentando, apparirà irragionevole la duplicità di sanzione in relazione al principio di proporzione tra fatto illecito e pena secondo un criterio di normalità e giustizia sociale che ispira il nostro ordinamento giuridico, e sarà possibile applicare la sola pena per il reato più grave.

3. Applicabilità della cd. aggravante mafiosa alla associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. 

A questo punto, non è un fuor d’opera trattare della problematica relativa all’applicabilità della aggravante mafiosa all’associazione dedita al narcotraffico.

L’aggravante mafiosa di cui all’art. 416 bis 1 c.p.  in relazione al reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti non dovrebbe – diversamente da quanto avviene nella prassi giurisprudenziale – avere riconoscimento, per essere elemento essenziale del concorrente reato di associazione mafiosa e per essere stata contestata quale aggravante dei singoli reati di cessione di stupefacenti, configurandosi, in tal guisa, una violazione del ne bis in idem sostanziale.

Il metodo mafioso e l’agevolazione mafiosa sono elementi tipici del reato di cui all’art. 416 bis c.p.;  pertanto la partecipazione alla concorrente associazione dedita al narcotraffico – quando espressiva di tali connotazioni – presenterebbe modalità dell’azione insite nella partecipazione al reato di associazione mafiosa che ne assorbirebbe l’intero disvalore sociale; diversamente opinando, il soggetto sconterebbe più volte un medesimo “fatto” configurato dal Legislatore nella duplice veste di elemento essenziale del reato associativo di stampo mafioso e quale elemento accidentale di ogni delitto che dell’atteggiamento mafioso si avvale per la sua consumazione o per agevolare l’associazione mafiosa.

Sarebbe logico quanto opportuno convenire, nei casi di concorso formale tra i reati di associazione per delinquere di stampo mafiosa e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, quando espressive del “medesimo contesto associativo”, che l’aggravante ex art. 7 L. 203/91 non possa sussistere con riferimento al reato di cui all’articolo 74 d.P.R. 309/90, invocandosi ancora una volta il principio dell’assorbimento o consunzione.

Invero, se il sodalizio è “unico” (identità di persone e mezzi) e ha tra le sue finalità anche l’illecito traffico di stupefacenti è di palmare evidenza che i sodali, predisponendo una struttura organizzativa per operare anche nel settore degli stupefacenti, altro non fanno che perseguire il comune programma da tutti condiviso e l’adesione al quale integra la condotta di partecipazione con le modalità di quella mafiosa.

In giurisprudenza, si tende a  valorizzare un criterio di giudizio che implica una consequenzialità automatica (ai limiti dell’imputazione oggettiva) quando si lega l’aggravante mafiosa, sotto il profilo del metodo e dell’agevolazione, al reato associativo dedito al narcotraffico per il semplice dato di appartenere anche all’associazione camorristica, secondo un ragionamento per il quale far parte di un’associazione mafiosa implicherebbe un’inevitabile espressione mafiosa in ogni delitto-fine si volesse consumare.

4. Conclusioni

In conclusione, se appare fondato l’assunto per il quale il contesto ambientale e l’appartenenza a un’associazione mafiosa implichino inevitabilmente un portato mafioso in ogni delitto-fine si voglia consumare (al di là di un criterio di imputazione oggettiva che in violazione del principio di colpevolezza comunque si contesta), allora bisognerebbe disconoscere l’aggravante mafiosa per l’associazione dedita al narcotraffico perché condotta “assorbita” in quella di partecipazione nel reato di stampo camorristico (essendone qui elemento strutturale),  non potendosi duplicare una contestazione per un medesimo “fatto” stante il richiamato principio del ne bis in idem sostanziale.

Pertanto, è pienamente condivisibile la massima secondo la quale “La circostanza aggravante di cui all’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, nelle due differenti forme dell’impiego del metodo mafioso nella commissione del reato e della finalità di agevolare, con il delitto posto in essere, l’attività dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, è configurabile anche con riferimento al reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990”[11]. Tuttavia, bisognerebbe escluderne il portato proprio per l’ipotesi in cui una data persona appartenga a un “unico sodalizio” che sul piano giuridico si configuri sotto il duplice assetto di associazione mafiosa e associazione dedita al narcotraffico; diversamente opinando, evidente sarebbe la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale.

L’aggravante mafiosa di cui all’art. 416 bis 1 c.p., sotto altro ragionamento, è da considerare incompatibile con il reato associativo dedito al traffico di sostanze stupefacenti anche per essere quest’ultimo un particolare reato di natura permanente. Il metodo mafioso e l’agevolazione mafiosa quando costantemente esistenti in un’organizzazione anche specializzata nel traffico di stupefacenti non potranno che qualificare come mafiosa quell’associazione ai sensi dell’art. 416 bis c.p. per il principio di specialità; diversamente, al di fuori di ipotesi associative il metodo mafioso e l’agevolazione mafiosa, quali circostanze aggravanti, connoteranno qualsivoglia reato sotto il diverso profilo della modalità della condotta (metodo mafioso) o dei motivi a delinquere (agevolazione mafiosa), ma riferiti al singolo episodio criminoso e nel momento in cui esso si perfeziona.

Il ragionamento valorizza il medesimo elemento sotto un duplice aspetto: il metodo mafioso e l’agevolazione mafiosa, quando rapportati a un’entità associativa con programma delittuoso indeterminato, incidono sulla struttura del reato stesso; invece, quando rapportati a qualsiasi altro reato, anche permanente ma non di tipo associativo, incidono sotto l’aspetto circostanziale. In particolare, il rapporto tra i due reati associativi, qualificabile in termini di specialità reciproca, può essere dettagliatamente ricostruito nel senso che l’art. 74 d.P.R. 309/90 è speciale quanto alla tipologia delittuosa perseguita (traffico di stupefacenti – specialitàper specificazione) ma è aspecifica quanto al metodo di azione (assenza del metodo mafioso), mentre l’art. 416 bis c.p. è speciale quanto al metodo mafioso (specialità per aggiunta) ma è aspecifico con riferimento ai delitti perseguiti[12]. Pertanto, dovrebbe prevalere la sola norma che punisce l’associazione mafiosa (mostrando una specialità per aggiunta) ogni qualvolta vi sia un unico sodalizio espressivo di ambedue le realtà associative, in ossequio al principio del ne bis in idem sostanziale.

Tale ricostruzione che vuole l’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 c.p. riferita ai singoli reati fine non connotati dal pactum sceleris e dal programma delittuoso indeterminato, offre una soluzione, dunque, in armonia con il principio di proporzione del trattamento sanzionatorio, evitando di punire un medesimo soggetto per il medesimo fatto più volte, oltre che di osservanza al principio di stretta legalità.

Riferimenti bibliografici

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*Avvocato penalista presso il Foro di Napoli. Cultore della materia di diritto penale presso l’Università degli studi di Napoli “Parthenope”, cattedra dei Proff. Alberto De Vita e Fabrizio Rippa. Docente dir. pen. a.c. Link Campus University Roma. Patrocinante in Cassazione.

[1] Cfr. Cass., Sez. Un. Pen. (Pres. V. Carbone, Rel-est. G. Marasca), sentenza 13 gennaio 2009 (ud. 25 settembre 2008), n. 1149, in dejure.it

[2] Cfr. Cass., Sez. IV Pen. (Pres. C. Citterio, Rel.-est. M. Ricciarelli), sentenza 8 gennaio 2016 (ud. 29 ottobre 2015), n. 563, in dejure.it.

[3] Cfr., ex plurimis, Cass. Sez. II Pen., (pres. De Santis Annamaria, rel-est Tutinelli Vincenzo, sentenza 25 novembre 2011 n. 44888 in dejure.it; Cass. sez. II pen, sentenza 30 gennaio 2008 (ud. 30 gennaio 2008), n. 17746 in dejure.it.

[4] Vedi F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte Speciale, volume II, Milano, ed. 2016, p. 247 ss; G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte Speciale, Bologna, VIII ed. 2019, pp. 463 ss.

[5] In tal senso cfr. F. C. Palazzo, Consumo e traffico degli stupefacenti, Padova, Ed. II Cedam, 1994,  p 33ss; cfr. P. Mutti, L’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope, in G. Insolera (a cura di), Le sostanze stupefacenti, Torino, 1992, 272.

[6] Tra tutte, Cass., SS. UU. Pen., sentenza 13 gennaio 2009, n. 1149, cit.

[7] Sul tema, cfr. G. Amato, Configurabilità del concorso tra associazione finalizzata al traffico di stupefacente e associazione di tipo mafioso, in Cass. pen., 2008, 4294-4296.

[8] Cfr. Cass., Sez. I Pen. (Pres Di Lauro, Rel-est Scino), sent. 21 gennaio 2010 n. 17702, CED, Rv 247059; Cass., Sez. IV Pen. (Pres. A. Morgigni, Rel.-est. C. G. Brusco), sentenza 20 marzo 2008, 12349, CED Rv 239298.

[9] F. Albanese, G. Caruso, I. La Russa, C. Morace, S.M. Panella, L. Saruci, in Legislazione antimafia e sistema del doppio binario. Analisi della normativa penale, processuale e penitenziaria, Reggio Calabria, 2009, in part. L. Saruci, Il sistema del doppio binario nell’ambito delle indagini preliminari, 268 ss. e 295 ss.  

[10] Sul punto, cfr. G. Insolera, G. Spangher, L. Della Ragione, I reati in materia di stupefacenti, fattispecie monosoggettive. Criminalità organizzata. Profili processuali, Milano, 2019, 483.

[11] Cfr. Cass., Sez. VI Pen. (P.M. in proc. Corso), 30 ottobre 2013 (udienza 30 ottobre 2013), sentenza n. 462013 in C.E.D. Cass., n. 258163; Cass., Sez. Un. pen., 22 giugno 2017, n. 41588, La Marca, con nota di G. Serra, Le Sezioni Unite e il concorso apparente di norme, tra considerazioni tradizionali e nuovi spunti interpretativi, in Dir. pen. cont., 2017, n. 11, 173-185.

[12] Sul punto vedi, in dottrina, M. Pelissero, Associazione di tipo mafioso e scambio elettorale politico-mafioso, in Id. (a cura di), Reati contro la Personaltà dello Stato e l’Ordine pubblico, Torino, I ed. 2010, pp. 299ss; F. Mantovani, Diritto Penale, Padova, X ed. 2017, 469; G. Marinucci- E. Dolcini, Manuale di diritto Penale, Milano, VI ed. 2017, 521ss. 

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