N.B. Dal momento che la traccia presentava alcuni profili di ambiguità, si provvede a pubblicare una second schiave di lettura

 Traccia a cura del dott. Luca Marzullo

Il sindacato del giudice sulla proporzionalità ed equità del contratto, con particolar riferimento ai contratti del consumatore e fra imprese.

 

 

Volendo procedere ad un inquadramento sintetico, potremmo dire che la traccia imponeva al candidato di affrontare il delicato problema del rapporto tra autonomia privata e sindacato del giudice sulla libera determinazione delle parti.

Prima di verificare la differenza fra i due sintagmi proporzionalità ed equità – ammesso che differenza vi sia – è possibile sostenere che il tema d indagine si focalizzava sulla possibilità del giudice di modificare l’oggetto del contratto che risulti, in un’unica parola, squilibrato.

Sul punto, anche a costo di ripetersi, è bene chiarire che la situazione che la traccia si proponeva di affrontare – secondo la interpretazione qui accolta – è quella di un contratto il cui contenuto non sia necessariamente invalido e quindi caducato, ma di un contratto perfetto ed efficacia il contenuto sia però iniquo.

Proprio in virtù di tale impostazione (utile semplicemente nella misura in cui indica subito un filo conduttore, ma non è l’unica chiave di lettura) si poteva procedere anzitutto ad una breve definizione dell’autonomia negoziale, la quale, generalmente non incontra limiti se non quello (interno) rappresentato dalla necessità di esplicarsi entro previsioni legali e l’altro (esterno) relativo al giudizio di meritevolezza in riferimento ai contratti atipici.

La libertà della contrattazione consente, dunque, alle parti di procedere ad una libera predisposizione del contenuto contrattuale, inteso come riparto dei diritti ed obblighi (equilibrio normativo) ovvero riparto del valore economico delle prestazioni (equilibrio economico).

Il dogma della volontà ha impedito per molto tempo di procedere ad una valutazione dell’equilibrio economico e normativo al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, atteso che la predeterminazione di quelle ipotesi esaurirebbe i profili entro cui l’autonomia contrattuale sarebbe sindacabile da criteri – equità e, quindi, buona fede – che altrimenti opererebbero come meccanismi integrativi ma giammai di valutazione dell’autonomia contrattuale.

La tesi tradizionale, tuttavia, è stato oggetto di ampia rivisitazione ad opera di quanti sostengono, invece, la possibilità di procedere ad un sindacato sull’equilibro contrattuale anche oltre quanto espressamente previsto dalla legge.

A questo punto poteva aprirsi una seconda divisione fra le ipotesi in cui un giudizio è già condotto dal legislatore, quindi tipizzato, e quelle invece in cui tale giudizio, pur non essendo previamente previsto dal legislatore ed attribuito all’interprete, rappresenta ciononostante bagaglio proprio del giudice che, come tale può procedere ad una revisione delle previsioni contrattuali. In tale seconda ipotesi il problema è, per lo più, di tipo rimediale. Detto altrimenti, quale è la sorte del contratto ritenuto squilibrato.

Si poteva, quindi, dalle ipotesi codicistiche, in cui il controllo sull’equità e la proporzione fra prestazioni compare nelle disposizioni di cui agli artt. 1447 e 1448 c.c. La validità dell’assunto che in tal caso equità e proporzione siano una sostanziale endiadi è confermata dall’art. 1450 in cui la domanda di rescissione (id estquale chene siano i motivi) può essere paralizzata ove la parte si offra di riportarlo ad equità.

In tale ipotesi, comune a quella del 1467 c.c., il controllo del giudice è paragonabile a quello di una ratifica di una riconduzione ad equità, ossia equilibrio, formulata, però, dalla controparte negoziale la quale ha in questo lo strumento per paralizzare un’azione. Il giudice può unicamente ritenere non ricondotta ad equità la prestazione e, quindi procedere alla rescissione (o risoluzione). Siamo fuori l’ambito di un potere del giudice di intervenire su un contratto da lui ritenuto iniquo e riequilibrarlo. Ed in cui, in ottica rimediale, ci si muove nel terreno di una azione di rescissione ovvero risoluzione

Altro campo in cui si apprezza il legislatore assegna al giudice il potere di intervenire sul contenuto di una pattuizione è la riduzione della clausola penale, manifestamente eccesiva in sé o perché la prestazione a tutela della quale è posta è stata parzialmente eseguita. Sul punto la giurisprudenza aveva indicato nel potere di ridurre la penale l’espressione di un interesse dell’ordinamento all’equità contrattuale.

Analogamente si potrebbe argomentare guardando la legislazione speciale ed, in particolare, la tutela consumeristica. In questa sede, più che in altre, poteva apprezzarsi una differenza fra proporzione ed equità, riferendo tale ultimo sintagma alla disparità di posizioni fra i contraenti.

A tal proposito il sindacato che il giudice può compiere è un sindacato afferenteall’equilibrio normativo e non economico (salvo la violazione del dovere di chiarezza e correttezza), ma la cui valutazione è “guidata” dal giudizio di vessatorietà della clausola.

L’aspetto rimediale è presidiato in maniera energica dalla nullità di protezione.

In tale contesto il potere del giudice è circoscritto: sia nel tipo di valutazione che nel tipo di sanzione da irrogare.

Analoga tutela è riscontrabile nella legge sulla subfornitura in cui il concetto di contraente debole è ricondotto ad una relazione intercorrente, comunque, fra dueimprese, una delle quali abusa della posizione di dipendenza economica in cui versa l’altra.

Infine, il decreto 231/2002 sulle transazioni commerciali in cui si prevede la sanzione forte della nullità per gli accordi che risultino gravemente iniqui in danno del creditore. Proprio tale ultimo riferimento si caratterizza per riconoscere al giudice due possibilità in cui non solo si confonde la nozione di equilibrio e quella di equità, ma si confondono anche i poteri integratori potendo il giudice, alternativamente, applicare la disciplina legale – a questo punto, verrebbe da dire – dispositiva ovvero rimodulare la pattuzione sostituendosi all’autonomia privata.

Tale fattispecie, al di là della sanzione forte della nullità, propria di tutte le normative di origine comunitaria, si segnala appunto per questo doppio ruolo riconosciuto al giudice, arbitro nel determinare i criteri di ri-disciplina del negozio.

Le ipotesi ora indicate esauriscono per lo più le ipotesi legislative di valutazione. E’ bene ribadire come in tale ipotesi il problema dell’equilibrio si sposi con quello del rimedio.

Ci si poteva dunque interrogare sull’esistenza di un generale potere di riequilibrio e sui conseguenti rimedi.

Le ipotesi sopra descritte – nell’impostazione qui accolta – non consentono di generalizzare oltre misura il potere di controllo, tanto che salve le ipotesi specifiche, se l’iniquità è frutto di una differente posizione dei contraenti non ci sono rimedi specifici.

Tuttavia, si è affermato che, anche a prescindere dall’analisi sulla forza contrattuale, potrebbe essere necessario consentire un riequilibrio, al fine di garantire un minimumdi proporzionalità ed equità. In questa direzione andrebbero gli arresti giurisprudenziali sulla violazione degli obblighi informativi o sull’abuso del dirittocon tutto ciò che consegue in ottica rimediale.

 

 

Di admin

3 pensiero su “CORREZIONE TRACCIA CIVILE SOLUZIONE N. 2”
  1. Ciao, io ho seguito questa seconda impostazione…il contenuto però è molto più stringato.
    ho iniziato dicendo che, prima di analizzare il potere di sindacato del giudice sulla proporzionalità ed equità,è necessario verificare se il giudice ha effettivamente un potere di sindacato, visto che nel nostro ordinamento vige il princio dell’autonomia contrattuale.
    Da una lettura del 1322 cc sembrerebbe infatti che il giudice non abbia questo potere.
    Occorre però evidenziare che il codice civile affonda le sue radici nella tradizione giuridica napoleonica, per cui al centro del sistema c’è la proprietà e quindi di conseguenza l’autonomia contrattuale delle parti è massima.
    alla luce dell’avvento della costituzione, occorre dare una lettura costituzionalmente orientata delle norme, e quindi l’art. 1322 va letto sulla base dell’art. 41 Cost. il 1375 sulla base del 2 Cost.
    Quindi autonomia contrattuale limitata da quanto dice il secondo comma del 42 Cost., buona fede letta non come norma isolata ma integrata nel sistema, e quindi come fonte di integrazione del contratto. Da ciò discende che la parte è tenuta anche a quello che prescrive la buona fede, e dunque il giudice ha il potere di verificare non solo la validità del contratto,ma anche la buona fede, di cui equità e proporzionalità sono parametri. infatti,alla luce della causa in concreto, anche un contratto con prezzo irrisorio potrebbe essere giustificato, così come clausole inique sono valide se approvate.
    poi ho parlato di una cassazione che pone la buona fede come regola di validità del contratto e conferisce al giudice il potere di sindacato. Sempre la stessa cassazione fa come esempi quello delle clausole nei contratti tra imprese, parlando di procedural justice, e quello degli interessi usurari nei contratti tra imprese, parlando di sustantive justice.
    Quindi in conclusione, anche se non c’è una norma che espressamente prevede il potere di sindacato del giudice, questo è imposto da una lettura costituzionalmente orientata del sistema.
    dici che può andare???

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