Sull’applicabilità dei benefici previsti dall’art.54, comma 1, d.P.R. n. 1092 del 1973 al personale militare, collocato a riposo con una anzianità di servizio superiore ai 20 anni,  che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, ovvero inferiore a 15 anni, ed in particolare se la cd. quota “retributiva” in favore di detto personale debba essere calcolata, invariabilmente, in misura pari al 44% della base pensionabile

Corrado Spriveri

Estratto:La “quota retributiva” della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge n.335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, va calcolato tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile determinato nel 2,44%”. Conseguentemente: “L’aliquota del 44% non è applicabile per la quota retributiva della pensione in favore di quei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un’anzianità utile inferiore a 15 anni

SOMMARIO: 1. Il trattamento pensionistico previsto per il personale militare, ex art.54 d.P.R. n.1092/1973, alla luce della riforma introdotta dalla legge n.335/1995 – 2. I principi di diritto sanciti dalle Sezioni riunite della Corte dei conti con la sentenza n.1/2021/QM/PRES-SEZ del 25.11.2020, depositata il 04.01.2021 – 3. Dubbi sulla corretta interpretazione e applicazione dell’art.54 d.P.R. n.1092/73 – 4. Efficacia vincolante della sentenza emessa dalla Corte dei conti a Sezioni riunite sulla corretta e uniforme interpretazione dell’art. 54 d.P.R. n.1092/73

1. Il trattamento pensionistico previsto per il personale militare, ex art.54 d.P.R. n.1092/1973, alla luce della riforma introdotta dalla legge n.335/1995 –  Il d.P.R. 29 dicembre 1973, n.1092 rubricato “Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato”, nasce con  l’obiettivo dichiarato di realizzare una riforma generale dei trattamenti pensionistici.

Avuto riguardo al sistema pensionistico previsto per il personale militare, l’art.54, commi n.1 e 2 del d.P.R. n.1092/1973, rubricato “Misura del trattamento normale” dispone che “1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile. 2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento di ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”. 

La disciplina ut supra illustrata non è affatto connotata dal carattere della specialità, in quanto definisce i criteri di calcolo della pensione normale per tutti i militari, prescindendo dalle cause di cessazione dal servizio ed è applicabile, indistintamente, a tutti coloro che abbiano maturato la minima anzianità di servizio pari a quindici anni per accedere alla pensione[1].

La legge 8 agosto 1995, n.335, rubricata “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”, ridefinisce il sistema previdenziale, definendo i criteri di calcolo dei trattamenti pensionistici attraverso la commisurazione dei trattamenti alla contribuzione, le condizioni di accesso alle prestazioni con affermazione del “principio di flessibilità”, l’armonizzazione degli ordinamenti pensionistici nel rispetto della pluralità degli organismi assicurativi, l’agevolazione delle forme pensionistiche complementari allo scopo di consentire livelli aggiuntivi di copertura previdenziale, la stabilizzazione della spesa pensionistica nel rapporto con il prodotto interno lordo e lo sviluppo del sistema previdenziale medesimo.

La suindicata riforma, incidendo profondamente sul sistema pensionistico al tempo vigente, ha introdotto tre fasce o sistemi pensionistici per i dipendenti pubblici, secondo la suddetta disciplina: a) per i nuovi assunti dal 1996, il calcolo della futura pensione sarebbe stato effettuato interamente con il nuovo metodo “contributivo”; b) per tutti i dipendenti statali che al 31.12.1995 avevano maturato 18 anni di anzianità, veniva mantenuto il sistema di calcolo interamente retributivo di cui al d.P.R. 1092/1973; c) per i dipendenti statali che invece, a tale data, avessero avuto meno di 18 anni, veniva previsto il cd “sistema “misto”, per effetto del quale le anzianità a partire dal 1996 e sino alla cessazione del servizio sarebbero state calcolate con metodo contributivo, mentre per le anzianità di servizio maturate sino al 1995 la pensione sarebbe stata calcolata con il previgente sistema retributivo di cui al d.P.R. n.1092/1973.

È rimasto irrisolto, a livello legislativo, il problema legato alla lettura combinata dei due testi.

2. I principi di diritto sanciti dalle Sezioni riunite della Corte dei conti con la sentenza n.1/2021/QM/PRES-SEZ del 25.11.2020, depositata il 04.01.2021 – La Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale, al fine di risolvere un contrasto giurisprudenziale orizzontale è stata chiamata a pronunciarsi sulla corretta ed uniforme interpretazione dell’art.54, comma 1,  d.P.R. 29 dicembre 1973, n.1092.

Segnatamente, le Sezioni riunite con la sentenza n.1/2021/QM/PRES-SEZ, depositata in data 4 gennaio 2021, si sono pronunciate in merito alle seguenti questioni di  massima:

1. n.710/SR/QM/PRES, deferita dal Presidente della Corte dei conti con ordinanza n.12 del 12 ottobre 2020, sulla corretta ed uniforme interpretazione dell’art.54, comma 1, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n.1092;

2. n.711/SR/QM/SEZ, sollevata dalla Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, con l’ordinanza n.26 del 14 ottobre 2020 e avente ad oggetto: “a) se il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, d.P.R. n.1092 del 1973, spetti o meno al personale militare collocato a riposo con una anzianità di servizio superiore ai 20 anni; in altri termini – avendo riguardo alle modalità di calcolo del trattamento di pensione – se la “quota retributiva” della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge n.335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile in applicazione del ridetto art. 54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile; b) In caso di ritenuta spettanza del beneficio di cui all’art. 54 al personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità, se la medesima aliquota del 44% sia applicabile anche per la quota retributiva della pensione in favore di quei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un anzianità utile inferiore a 15 anni”, pronunciata in relazione all’appello in materia di pensioni iscritto al n.54663 del ruolo generale, proposto dall’INPS contro Carmelo DE STEFANO, nato a Reggio Calabria il 15 ottobre 1963, avverso e per la riforma della sentenza n. 73/2018 della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, pubblicata in data 10 maggio 2018;

3. n.712/SR/QM/SEZ, sollevata dalla Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, con l’ordinanza n.27 del 14 ottobre 2020 avente ad oggetto: “se il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, d.P.R. n. 1092 del 1973, spetti o meno al personale militare collocato a riposo con una anzianità di servizio superiore ai 20 anni; in altri termini – avendo riguardo alle modalità di calcolo del trattamento di pensione – se la “quota retributiva “ della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge n.335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile in applicazione del ridetto art.54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile”, pronunciata in relazione all’appello in materia di pensioni iscritto al n.54665 del ruolo generale, proposto dall’INPS contro Leonardo MINNITI, nato a Melito di Porto Salvo (RC) il 7 luglio 1962, avverso e per la riforma della sentenza n.79/2018 resa dalla Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Calabria, pubblicata in data 10 maggio 2018.

La prima osservazione che le Sezioni riunite ritengono di dover, preliminarmente, svolgere riguarda la specificità dell’esame della materia posta all’attenzione.

Secondo il Collegio la difficoltà maggiore nel definire i quesiti proposti risiede nell’esaminare un sistema giuridico in sé compiuto – quello del d.P.R. n.1092 del 1973 – alla luce di una normativa sopravvenuta – quella della legge n.335 del 1995 –  che risponde a principi ispirati da una politica previdenziale che poggia su presupposti assai diversi rispetto al precedente regime.

Invero, il d.P.R. n.1092 del 1973 nasce con l’obiettivo dichiarato di realizzare una riforma generale dei trattamenti pensionistici.

Si tratta di un testo dove le norme fanno sistema intorno al concetto esplicitato di “dipendente statale”, inteso per tale quello definito al comma 2 dell’art.1 che comprende “gli impiegati civili e gli operai dello Stato nonché i magistrati ordinari, amministrativi e della giustizia militare, gli avvocati e i procuratori dello Stato, gli insegnanti delle scuole e degli istituti di istruzione statali e i militari delle Forze armate dei Corpi di polizia”.

La legge n.335/1995 a sua volta, in estrema sintesi, ridefinisce il sistema previdenziale allo scopo di garantire la tutela prevista dall’art.38 della Costituzione[2].

Come già detto, rimasto irrisolto, a livello legislativo, il problema legato alla lettura combinata dei due testi, secondo il Collegio nella sistematica legislativa del d.P.R. n.1092/1973 vi è un evidente richiamo – ma non un parallelismo – fra gli artt.42 e 44 (previsione del trattamento normale di pensione e relativa misura del “quantum” pensionistico del “personale civile”) e gli artt.52 e 54 (previsione del trattamento normale di pensione e relativa misura del “quantum” pensionistico del “personale militare”) del d.P.R. n.1092/1973, va osservato, che l’art.54, ai commi n.1 e n.2, stabilisce indubitabilmente per il personale militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello stabilito per il personale civile disciplinato all’art.44 del medesimo testo unico, prevedendo che “1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile. 2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento di ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

Tuttavia secondo le Sezioni riunite della Corte dei conti “l’applicazione tout court dell’art. 54 (nel combinato disposto dei primi due commi) e l’applicazione dell’aliquota fissa del 44% non possono essere generalizzati per tutto il personale militare, ma circoscritte a coloro i quali sono in possesso dei requisiti previsti dalla richiamata normativa, requisiti letteralmente individuabili in: 1) effettiva e definitiva cessazione dal servizio (essendo questo, ovviamente, il presupposto indispensabile per l’accesso al trattamento pensionistico); 2) concreta maturazione del diritto all’attribuzione della pensione normale, essendo in possesso di quei requisiti d’anzianità minimi, stabiliti espressamente dall’art. 52; 3) possesso, all’epoca di definitiva cessazione dal servizio, esclusivamente di un’anzianità di almeno quindici e non più di venti anni”.

Dalla disciplina del 1995 va, quindi, ricavato secondo il Collegio un correttivo per determinare il trattamento pensionistico in favore del personale militare, mettendo a denominatore il numero di anni che la legge n.335/1995 fissa per essere assoggettati al sistema misto, vale a dire 18 anni meno un giorno.

Così ritenendo secondo il Collegio “il coefficiente sarà, dunque, pari a 44 diviso 17 + 364/365esimi, cioè 44/17,997 = 2,445 per ogni anno”.  La marginale differenza che c’è tra il predetto esito – che tiene conto del dato normativo secondo cui rientra nel sistema misto chi, alla fine del 1995, aveva 18 anni meno un giorno di servizio – e quello che si raggiungerebbe mettendo a denominatore più semplicemente “18 anni”, si apprezza solo approssimando il risultato al millesimo (44/17,997 = 2,445; 44/18=2,444), poiché con l’approssimazione al centesimo, come si fa ordinariamente, i due risultati coinciderebbero in 2,44%.

In definitiva la Corte dei conti, Sezioni riunite, in sede giurisdizionale e in sede di questione di massima, in soluzione ai quesiti posti con le suindicate ordinanze di deferimento del Presidente della Corte dei conti n.12 del 12 ottobre 2020 e della Sezione prima giurisdizionale di appello nn.26 e 27 del 14 ottobre 2020, con la sentenza n.1/2021/QM/PRES-SEZ depositata in data 4 gennaio 2021 ha, in buona sostanza, fissato  i seguenti principi di diritto: “La “quota retributiva” della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge n. 335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, va calcolato tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile determinato nel 2,44%”.

Conseguentemente: “L’aliquota del 44% non è applicabile per la quota retributiva della pensione in favore di quei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un’anzianità utile inferiore a 15 anni”.

Invero, secondo quanto sancito dalle Sezioni riunite della Corte dei conti, per il personale militare che cessa il servizio con oltre 20 anni di anzianità utile, ai fini previdenziali, e che alla data del 31.12.1995 ha maturato un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni,  la cd. “quota retributiva” della pensione, da liquidarsi con il sistema “misto”,  ai sensi dell’art.1, comma 12, della legge n. 335/1995, va calcolato tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con l’applicazione del relativo coefficiente, per ogni anno utile, determinato nel 2,44%.

Per quanto attiene, invece, all’applicazione dell’art. 54 d.P.R. n.1092/1973, in favore di quei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un anzianità utile inferiore a 15 anni – il Collegio ha sancito che “… esso, tenuto conto di quanto deciso in ordine al primo quesito posto, è da ritenersi assorbito in esso con valutazione coerentemente negativa”, statuendo pertanto che “L’aliquota del 44% non è applicabile per la quota retributiva della pensione in favore di quei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un’anzianità utile inferiore a 15 anni”.

3. Dubbi sulla corretta interpretazione e applicazione dell’art.54 d.P.R. n.1092/73 – Il principio di diritto, ut supra illustrato,  sancito dalle Sezioni riunite suscita dubbi e rende perplessi, in primis, in ordine al mancato riconoscimento della percentuale del 44%, sulla quota cd. “retributiva”, in favore del personale militare che sia cessato tra il quindicesimo e il ventesimo anno di servizio, ovvero con un’anzianità utile anche superiore ai vent’anni, e che alla data del 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità di servizio inferiore ai 18 anni, rientrante quindi, nel cd. “sistema misto[3], così come previsto letteralmente dall’art.54, comma 1,  d.P.R. n.1092/1973.

Invero, il criterio interpretativo letterale, cui ha aderito ad oggi la giurisprudenza maggioritaria[4], si ritiene il più aderente alla volontà espressa dal legislatore; criterio, tra l’altro, sostenuto e rafforzato dal contenuto del successivo comma 2 dell’art.54, il quale prevede, per l’appunto, che  “… spetti al militare l’aliquota dell’1,80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo …” e disciplina, pertanto, l’ipotesi in cui il militare cessi dal servizio con un’anzianità di servizio maggiore di 20 anni, chiarendo, quindi, che la disposizione di cui al comma 1 dell’art.54 d.P.R. n.1092/1973 non può considerarsi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio così come, erroneamente, sancito dal Collegio con la pronuncia in esame   “… l’applicazione tout court dell’art. 54 (nel combinato disposto dei primi due commi) e l’applicazione dell’aliquota fissa del 44% non possono essere generalizzati per tutto il personale militare, ma circoscritte a coloro i quali sono in possesso dei requisiti previsti dalla richiamata normativa, requisiti letteralmente individuabili in: 1) effettiva e definitiva cessazione dal servizio (essendo questo, ovviamente, il presupposto indispensabile per l’accesso al trattamento pensionistico); 2) concreta maturazione del diritto all’attribuzione della pensione normale, essendo in possesso di quei requisiti d’anzianità minimi, stabiliti espressamente dall’art. 52; 3) possesso, all’epoca di definitiva cessazione dal servizio, esclusivamente di un’anzianità di almeno quindici e non più di venti anni”.

In secondo luogo l’interpretazione fornita dalle Sezioni riunite risulta iniqua  soprattutto nei confronti del personale militare che alla data del 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità contributiva utile inferiore a 15 anni, nei cui confronti parrebbe, “prima facie”, non riconosciuto neppure il relativo coefficiente determinato nel 2,44%, calcolato tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31/12/1995.

Invero, posto che è innegabile una sostanziale differenza tra il trattamento pensionistico attribuito al personale militare, rispetto agli impiegati civili dello Stato, senza che con ciò vi sia violazione alcuna al principio di uguaglianza di cui all’art.3 della Costituzione; considerato che anche coloro “ … che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un’anzianità utile inferiore a 15 anni”  rivestono lo status di militari; la domanda che sorge spontanea è: “quale aliquota e/o coefficiente va applicata con riferimento alla quota retributiva della pensione a costoro? perché è palese, come già detto, la sostanziale differenza tra sistema pensionistico attribuito ai miliari piuttosto che agli impiegati civili.

Secondo il principio di diritto affermato dalle Sezioni riunite l’applicazione dell’aliquota fissa del 44% non può essere generalizzata per tutto il personale militare “ … ma circoscritta soltanto a coloro i quali possedevano, all’epoca di definitiva cessazione dal servizio, esclusivamente  un’anzianità di almeno quindici e non più di venti anni”.

Ne consegue che secondo quanto stabilito dal Collegio per tutti i militari che cessano dal servizio con oltre venti anni di servizio utile (a prescindere che al 31.12.1995 avevano ovvero non avevano maturato almeno 15 anni e non oltre 18 anni di servizio) non può applicarsi l’aliquota del 44%.

Inoltre, come stabilito dalla pronuncia in esame, solo ai militari che hanno maturato al 31 dicembre 1995 un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni,  la cd. “quota retributiva”  della pensione va calcolata tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31/12/1995, con l’applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile, determinato nel 2,44%.

Ciò posto, il quesito che ci si pone è il seguente: “per i militari che al 31.12.1995 avevano maturato un’anzianità contributiva inferiore a  15 anni come deve essere calcolata la “quota retributiva” della pensione, da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge n. 335/1995?”.

Nel silenzio, o meglio dalle scarne conclusioni affermate dalla Corte dei conti, Sezioni riunite, con la sentenza che qui si annota, a parere di chi scrive l’unica interpretazione possibile è quella di applicare, anche ai militari che al 31.12.1995 avevano maturato un’anzianità contributiva inferiore a  15 anni  “ … il relativo coefficiente per ogni anno utile, determinato nel 2,44%”.

4. Efficacia vincolante della sentenza emessa dalla Corte dei conti a Sezioni riunite sulla corretta e uniforme interpretazione dell’art.54 d.P.R. n.1092/73 – In ultimo, in merito all’efficacia dell’indirizzo interpretativo definito dalle Sezioni riunite nella pronuncia in commento, si ritiene che lo stesso potrebbe non essere condiviso dalle Sezioni centrali d’appello della Corte dei conti, che ben potrebbero risollevare la questione di massima ai sensi dell’art.117 del Codice di giustizia contabile[5].

Invero, secondo quanto stabilito dall’art.101, comma 2 della Costituzione “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. La disposizione in parola vuole garantire, in buona sostanza, l’indipendenza di chi esercita la funzione giudiziaria, principio cardine di ogni Ordinamento democratico.

Attualmente, il potere di nomofilachia è disciplinato dall’art.114 del Codice di giustizia contabile[6], che prevede il deferimento ad iniziativa delle Sezioni di appello, ma anche del PG o il Presidente della Corte dei conti in caso di “indirizzi interpretativi” difformi in sede regionale.

Anche in questo caso, però, successivamente alla pronuncia di nomofilachia, è possibile rimettere la questione alle Sezioni riunite per la decisione del ricorso: ciò avviene attraverso il cd. “motivato dissenso” (ex art.117 c.g.c.), esercitato dalle Sezioni di appello (si tenga conto che l’organizzazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti non prevede le Sezioni semplici come per la Corte di cassazione).

In pratica il giudice del “caso” non può essere costretto a decidere in base a norma diversa da quella che egli riconosce nella legge (ex art.101, comma 2 Costituzione), rimettendo la questione e la “decisione” al giudice della nomofilachia.

Alla luce di quanto ut supra esposto, si ritiene che non vi è alcun vincolo giuridico tra le Sezioni di appello e le Sezioni riunite della Corte dei conti, vincolo che, tra l’altro, non troverebbe conforto nel nostro sistema di “Civil law” che, tuttora, non conosce il principio del precedente vincolante.

Si tratta piuttosto di un vincolo di natura processuale nel senso che, come già detto, ove le Sezioni di appello vogliano discostarsi dal precedente delle Sezioni riunite, possono farlo, ma sono tenute a convogliare il loro dissenso in una ordinanza che investa della decisione le Sezioni riunite, nella quale siano indicati i motivi che inducono a tale dissenso.

Concludendo, si ritiene che già dai prossimi mesi assisteremo ad una complessa “fase di armonizzazione”, in cui le Sezioni Giurisdizionali Regionali, in primis, e le Sezioni centrali di appello, in secondo luogo, assumeranno decisioni che, in virtù di quanto sancito dall’art.101 della Costituzione, potrebbero, anche, essere difformi all’interpretazione resa dalle Sezioni riunite nella sentenza in commento.                                    


[1] L’art.52, comma 1 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n.1092, rubricato “Diritto al trattamento normale” della pensione, prevede che “L’ufficiale, il sottufficiale e il militare di truppa che cessano dal servizio permanente o continuativo hanno diritto alla pensione normale se hanno raggiunto una anzianità di almeno quindici anni di servizio utile, di cui dodici di servizio effettivo…”.

[2] L’art.38 della Costituzione prevede che “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera”.

[3] La legge n. 335/1995 ha previsto per i dipendenti statali che alla data del 31.12.1995 avessero avuto meno di 18 anni, il cd “sistema “misto”, per effetto del quale le anzianità a partire dal 1996 e sino alla cessazione del servizio sarebbero state calcolate con metodo contributivo, mentre per le anzianità di servizio maturate sino al 1995, la pensione sarebbe stata calcolata con il previgente sistema retributivo di cui al d.P.R. n.1092/1973.

[4] Si riportano, di seguito, le principali sentenze emesse dalla Corte dei Conti in merito all’applicazione dell’art.54 d.P.R. n.1092/1973, ante pronuncia delle Sezioni riunite: sentenza n.228/2019 emessa dalla Corte dei Conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello; sentenza n.197/2019 emessa dalla Corte dei Conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale d’Appello; sentenza n. 422/2018 emessa dalla Corte dei Conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello; sentenze nn.43/2020,  44/2020,  385/2019, 730/2019, 731/2019, 732/2019, 734/2019 emesse dalla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Sicilia; sentenze nn. 396/2019 e 593/2019 emesse dalla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Campania; sentenze nn.130/2018, 111/2019 e 113/2019 emesse dalla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Lombardia; sentenze nn.228/2018, 256/2018, 260/2018, 261/2018, 139/2019, 143/2019, 145/2019, 153/2019, 154/2019, 158/2019, 159/2019, 173/2019, 186/2019 emesse dalla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Toscana; sentenza n.53/2019 emessa dalla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Marche; sentenze nn.58/2019 e 59/2019 emesse dalla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Piemonte; sentenze nn.46/2018, 14/2019 e 27/2019 (condanna alle spese INPS) emesse dalla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Veneto; sentenza n.206/2018 emessa dalla Corte dei conti Sezione giurisdizionale Calabria; sentenze nn.444/2018 e 730/2018 emesse dalla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Puglia (condanna alle spese INPS); sentenza n.238/2018 emessa dalla Corte dei conti Sezione giurisdizionale Liguria; sentenza n.145/2018 emessa dalla Corte dei conti Sezione giurisdizionale Sardegna.

[5] L’art. 117 del Codice di giustizia contabile , rubricato “Riproposizione di questione in caso di motivato dissenso”, prevede che “La  sezione  giurisdizionale  di  appello  che  ritenga  di  non condividere un principio di diritto di cui debba  fare  applicazione, già enunciato dalle sezioni riunite, rimette a  queste  ultime,  con ordinanza motivata, la decisione dell’impugnazione”.

[6] L’art.114 del Codice di giustizia contabile, rubricato “Deferimento della questione”, prevede che “1. Le  sezioni  giurisdizionali  d’appello  possono  deferire  alle sezioni riunite in sede giurisdizionale la soluzione di questioni  di massima, d’ufficio o  anche a  seguito  di  istanza  formulata  da ciascuna delle parti.  2.  La  sezione,  con  l’ordinanza  di  deferimento,   dispone   la rimessione del fascicolo  d’ufficio  alla  segreteria  delle  sezioni riunite.    3. Il presidente della Corte dei conti e  il  procuratore  generale possono deferire alle sezioni  riunite  in  sede  giurisdizionale  la risoluzione di questioni di massima oppure di  questioni  di  diritto che  abbiano  dato  luogo,  già  in  primo   grado,  ad   indirizzi interpretativi o applicativi difformi”.

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