PARTE PRIMA
A cura dell’avv. Domenico Di Leo
Il comitato promotore delle c.d. tre leggi (si veda il sito www.treleggi.it) ha lanciato in Italia una campagna di sensibilizzazione su tre macro argomenti di rilevanza nel panorama giudiziario italiano. Lungi dall’essere di matrice squisitamente culturale, l’iniziativa si connota per il suo carattere operativo perché pone l’accento su tre aspetti della legislazione criminale italiana fortemente correlati fra essi.
Sovente, la rilevanza di uno dei tre temi ha portato alla conoscenza della CEDU la realtà italiana: in sede europea, la vicenda – umana, prima che giudiziaria – di volta in volta evidenziata in seno alla Corte, è costata all’Italia la condanna per violazione delle norme, interne e internazionali. A fronte delle molteplici condanne sancite in sede europea, il legislatore italiano non sempre ha adottato le conseguenti misure che fossero utili ed efficaci a porre rimedio ala situazione denunciata.
La campagna di sensibilizzazione, condotta dal comitato promotore che vede al suo interno partecipare, fra i tanti altri, l’Unione delle Camere penali e la rete Giustizia per i Diritti – GD – del Movimento nazionale Cittadinanzattiva, ha ad oggetto tre argomenti distinti:
1. la prima proposta di legge riguarda l’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano;
2. la seconda proposta riguarda il tema della legalità ed il rispetto della Costituzione nelle carceri italiane;
3. la terza riguarda le proposte di modifiche in ordine alla legge sulle droghe, in vista della depenalizzazione del consumo e la riduzione dell’impatto penale.
Come si vede, si tratta di tre temi ciascuno implicante risvolti dogmatici e pratici di non poco momento, che non possono essere relegati al campo della speculazione filosofica – come spesso accade nelle sentenze pronunciate nei consessi giudiziari italiani – e che rivelano realtà umane e giuridiche cui porre rimedio o, quantomeno, provare a risolvere. Le norme di questa proposta di legge sono il frutto del lavoro condiviso di molte organizzazioni. L’intenzione è quella di ripristinare la legalità internazionale e costituzionale, di contrastare in modo sistemico il sovraffollamento agendo su quelle leggi che producono carcerazione senza produrre sicurezza, di cambiare paradigma in materia di droghe.
La prima vuole sopperire a una lacuna normativa grave e di questo si farà cenno nella prima parte di tre di cui si compone la Spigolatura. In Italia non è previsto né punito il crimine di tortura nonostante vi sia un obbligo internazionale in tal senso. Il testo prescelto nella proposta di legge è quello codificato nella Convenzione delle Nazioni Unite.
La proibizione legale della tortura qualifica un sistema politico come democratico: di sicuro, da parte di qualcuno si potrebbe sostenere l’inutilità del reato, o meglio, del delitto di tortura (giacchè prevedere la tortura come reato contravvenzionale svilirebbe sul nascere tutta la portata giuridica che invece si vuole evidenziare con la previsione in parola), data l’esistenza di una norma, quale l’art. 608 c.p. che prevede e punisce l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti. L’art. 608 – bis si inserirebbe nel Libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione II, dedicato ai delitti contro la libertà personale.
Prima di tentare una definizione del delitto d tortura, è opportuno delimitare la sfera operativa del più volte citato art. 608 c.p., onde evitare di ritenere erroneamente inutile la proposta di legge, oggetto delle presenti riflessioni. Lasciando all’interprete l’enucleazione degli elementi consueti della fattispecie penale p.e p. dall’art. 608 c.p., si ritiene di evidenziare in questa sede, breviter, l’elemento oggettivo e i rapporti con altri reati dell’abuso di autorità contro arrestati e detenuti. Lascia sorpresi il fatto che sulla fattispecie testè indicata è scarsa e datata la produzione giurisprudenziale: indice che la norma non è una di quelle di cui si fa un uso ampio!
Intanto si afferma che per configurare il reato di cui all’art. 608 c.p. non basta l’impiego della violenza nei confronti della persona in custodia ma occorre che la sfera di libertà personale del soggetto passivo subisca, per effetto della violenza, un’ulteriore restrizione, magari in concorso con altri reati o con effetti sulla durata della privazione della libertà . Sembra quasi affermarsi che l’uso della violenza è consentito purchè avvenga nei limiti di tempo e nelle circostanze costituzionalmente previste per i casi fermo o di arresto! Oppure, nel caso di un individuo recluso in una casa di reclusione, purchè la libertà (sic! Quale ‘libertà’?) di esso non venga ulteriormente repressa! Ancora, si ritiene che il delitto di cui all’art. 608 c.p. è configurato non quando è realizzato un qualsiasi atto illecito nei confronti del detenuto (quindi, lo sporadico (?) episodio di ingiurie o di percosse è ammesso!) ma è necessario che il soggetto attivo, adottando misure di rigore abusive come modalità di custodia abbia determinato una lesione del bene della libertà . Una pronuncia del 2004, afferma che il delitto in parola è integrato dalla condotta del pubblico ufficiale che sottoponga la persona arrestata, di cui abbia la custodia, a misure di rigore non consentite dalla legge e a vessazioni, in modo che la sfera di libertà personale del soggetto passivo subisca un’ulteriore restrizione oltre quella legale, insita nella custodia .
Circa il rapporto con altri reati, va sottolineato che il delitto di violenza privata non è assorbito nel delitto di cui all’art. 608 c.p., dal momento che la configurabilità del reato complesso è esclusa quando il fatto da assorbire è sanzionato con una pena più grave di quella prevista per la fattispecie più ampia . Laddove misure di rigore e lesioni personali siano state inflitte al fine di ottenere dall’imputato dichiarazioni utili alle indagini, il reato di cui all’art. 608 c.p. e quello di lesioni concorrono con quello di violenza privata .
Si tratta di interpretazioni insufficienti a rispondere al bisogno di affrontare e impedire episodi frequenti nei quali l’uso di tecniche e comportamenti riconducibili in via immediata al concetto di tortura: probabilmente, questa e altre pronunce riflettono la sensibilità giuridica e civile del tempo in cui furono pronunciate ma che ora segnano il passo a fronte della mutata sensibilità, non soltanto, giuridica.
Per avere un’idea il più possibile precisa di tortura, è necessario fare riferimento innanzitutto agli strumenti internazionali dedicati a questo tema.
Esiste una molteplicità di strumenti internazionali che proibiscono la tortura. In primo luogo quelli cosiddetti di soft law, adottati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, quantunque di per sé non giuridicamente vincolanti, hanno contribuito allo sviluppo del diritto internazionale consuetudinario in materia. Il riferimento è all’articolo 5 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (che vieta la sottoposizione a trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti) e alla Dichiarazione sulla protezione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1975, il cui articolo 1 contiene anche la definizione di tortura.
Esistono poi talune convenzioni internazionali a livello universale o regionale, volte a prevenire e reprimere la tortura. A livello universale, occorre distinguere tra convenzioni internazionali relative ai diritti dell’uomo, che contengono una disposizione ad hoc sulla tortura, e convenzioni espressamente dedicate a tale crimine. Quanto alle prime, il riferimento è all’articolo 7 del Patto sui diritti civili e politici del 1966; quanto alle seconde si tratta della Convenzione internazionale contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984 e del Protocollo opzionale alla Convenzione in oggetto adottato nel 2002.
A livello regionale, per quanto riguarda l’Europa, la tortura è proibita dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, nonché dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti del 1987, cui sono stati aggiunti due protocolli ambedue del 1993.
La tortura è anche proibita dal diritto internazionale umanitario, sia in relazione ai conflitti armati internazionali (ad esempio articolo 12 della III Convenzione di Ginevra del 1949; articolo 75 del I Protocollo addizionale del 1977) sia in relazione ai conflitti armati interni (articolo 3 comune alle quattro convenzioni di Ginevra del 1949; articolo 4 del II protocollo addizionale del 1977).
Infine la tortura può costituire un crimine contro l’umanità e un crimine di guerra, secondo lo statuto della Corte penale internazionale del 1988: articolo 7, paragrafo1, lettera f); articolo 8, paragrafo 2, lettere a) (ii), e c) (i).
La legge 195/2012 – L’Italia è parte contraente di tutti i trattati internazionali qui menzionati.
Per quanto riguarda il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e ogni altro trattamento o punizione crudeli, inumani e degradanti del 2002, il Parlamento italiano ha provveduto con legge 195/2012 ad autorizzare la ratifica e ad adottare l’ordine di esecuzione.
Sin qui il panorama legislativo internazionale ed europeo: emerge chiaramente l’unanimità di opinioni circa la condanna della tortura e di quanto possa essere ricondotto ad essa, nonostante la varietà di nomi e di lievi differenze concettuali, tutte riconducibili ad un unicum qual è la fermezza nel ripudiare tali condotte. Tuttavia, la mancata ratifica degli atti internazionali o, avvenuta la ratifica, la mancata traduzione di quei concetti teorici in previsioni normative sul piano legislativo interno ad opera dei Paesi aderenti, frustra gli aneliti verso la stigmatizzazione di certe condotte e impedisce di raggiungere gli obiettivi di civiltà giuridica di cui l’uomo moderno sembra avere più bisogno perché sembra che li abbia dimenticati, lasciandoli all’epoca dei lumi.
Prima di procedere nella breve disamina del concetto di tortura, sia concesso il rimando – non soltanto per opportuno approfondimento culturale ma soprattutto per l’analisi emotiva e plastica dei processi contro gli untori di manzoniana memoria e della cultura italiana dell’epoca in cui quei tristi fatti si svolsero – all’opera di Pietro Verri ,il quale fu un esponente fra i più rappresentativi della cultura illuminista lombarda.
La tortura è una grave violazione dei diritti dell’uomo, severamente proibita dal diritto internazionale. Poiché colpisce libertà civili e politiche, è uno dei primi problemi di cui le Nazioni Unite (ONU) si sono occupate al momento della creazione di standard di tutela dei diritti dell’uomo. Uno dei primi provvedimenti a riguardo fu l’abolizione della pena corporale nei territori coloniali nel 1949. Il diritto internazionale vieta la tortura e altri trattamenti inumani o degradanti, che non possono essere ammessi in nessun caso.
Ciò nonostante, la tortura continua ad essere praticata nella maggior parte dei paesi del mondo. Un rapporto di Amnesty International del 2001, ha evidenziato che 140 stati tra il 1997 e il 2001 hanno esercitato tortura, e che ogni anno sono migliaia coloro che picchiano, violentano e giustiziano sulla sedia elettrica altri esseri umani.
Secondo la Convenzione contro la Tortura e altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani o Degradanti la tortura è “qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale”. (Art. 1)
I vari trattati internazionali non danno una definizione uniforme di tortura – data l’ampiezza delle condotte, attive e passive, suscettibili di arrecare danno – ma tutti concordano normalmente nel riferirsi a qualsiasi atto che:
• causa gravi pene o sofferenze;
• è intenzionalmente inflitto ad una persona;
• è compiuto al fine di ottenere informazioni o confessioni, di punire per un atto che si è commesso o si è sospettati di aver commesso, di intimidire od esercitare pressioni, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione; ed
• è inflitto sotto istigazione, o con il consenso espresso o tacito di un funzionario pubblico o di qualsiasi altra persona che agisce a titolo ufficiale.
Al termine “tortura” si riconducono diverse azioni: percosse violente, elettroshock, abuso e violenza sessuale, reclusione forzata e prolungata, lavori forzati, parziale affogamento indotto, parziale soffocamento indotto, mutilazione e prolungata sospensione nel vuoto .
Nonostante non esista una lista esauriente di atti formalmente proibiti, il diritto internazionale ha stabilito che la tortura è un qualsiasi “trattamento crudele, inumano o degradante”. Quindi, oltre a quanto detto prima, per tortura si intende anche l’essere costretto a stare braccia e gambe divaricate addosso ad un muro per ore; venire sottoposto a luci intense o essere bendato; venire sottoposto a rumori assordanti e continui; essere privati del sonno, del cibo o dell’acqua; essere obbligati ad alzarsi e accovacciarsi ripetutamente o subire scosse violente.
La tortura non si limita a danni o pene fisiche. Include anche atti che causano sofferenza mentale, come, ad esempio, minacce alla famiglia e ai cari.
La Convenzione contro la Tortura e altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani o Degradanti, non contiene disposizioni riguardo ad esperimenti fatti su esseri umani senza l’espresso consenso delle vittime, anche se il divieto alla tortura introdotto dall’Art. 7 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, precedente alla Convenzione, stabilisce che “nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico”. Gli esperimenti condotti su esseri umani dai nazisti durante la II Guerra Mondiale ricadono in questa categoria.
É un problema complesso quello della pena corporale giudiziaria (es. l’amputazione, la marchiatura e varie forme di fustigazione, come le frustate e le vergate) o della pena di morte come forme di tortura. L’Art. 1 della Convenzione contro la Tortura e altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani o Degradanti dell’ONU, detta anche Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura, esclude “dolore o sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate”. Alcuni stati si sono serviti di questa disposizione per sostenere che sanzioni penali, legalmente autorizzate, che causano lesioni fisiche, non costituiscono tortura. Aggiungono anzi che questa asserzione, per il solo fatto di esistere, legittima il ricorso alla pena di morte o a pene corporali. Gli oppositori dissentono sostenendo che tali disposizioni non pregiudicano quelle di altri trattati che tutelano invece il diritto alla vita e la sicurezza di una persona. Infatti, in alcuni casi, le istituzioni internazionali e regionali, hanno riscontrato che certe forme di pena corporale equivalgono a tortura o a trattamenti inumani o degradanti.
Le leggi sui diritti dell’uomo, sia internazionali che regionali, tutelano una serie di diritti fondamentali relazionati alla tortura ed altri trattamenti inumani o degradanti.
1. Diritto di protezione dalla tortura.
Secondo il diritto internazionale lo stato è l’unico responsabile degli atti di tortura commessi dai suoi funzionari (es. poliziotti, soldati, personale di prigione). Alcuni affermano che, nel caso non faccia abbastanza per prevenirli, sia responsabile anche di tutti gli atti di tortura compiuti da privati (“attori non statali”), che si manifestano, ad esempio, in attacchi razzisti o violenza domestica.
Ogni stato è tenuto a prendere misure di ogni tipo, legislative, amministrative o giuridiche, per evitare che si verifichino episodi di tortura sul suo territorio. Gli atti di tortura devono essere considerati reato dal diritto penale e non sono giustificabili neanche in situazioni eccezionali, come ad esempio in stato di guerra, in un periodo d’instabilità politica o in occasione di qualsiasi altra situazione d’emergenza. Neanche l’obbedienza ad un ordine superiore può giustificare la tortura (Convenzione ONU contro la Tortura, artt. 2 e 4).
2. Dovere di perseguire i torturatori.
Tutti i governi hanno la responsabilità di processare i trasgressori secondo il sistema processuale penale internazionale che si applica ai casi di tortura. Il principio della giurisdizione universale obbliga tutti i paesi, nei quali si trovino presunti trasgressori, ad estradare i torturatori, in modo tale che il governo più direttamente colpito possa processarli (es. i paesi dove le trasgressioni sono state commesse, o il paese del quale il trasgressore o le vittime hanno la cittadinanza), o di iniziare il procedimento giudiziario loro stessi (Convenzione ONU contro la Tortura, artt. 5, 6, 8).
Tuttavia, è raro che un processo per tortura abbia esito positivo, in alcuni casi a causa della mancanza di volontà politica e dell’assenza di un’indagine sia pubblica che dei mezzi di comunicazione accurata. I governi sovente sono stati accusati di aver subordinato le loro responsabilità a particolari interessi politici.
Inoltre, non mancano gli ostacoli legali:
– La reale giurisdizione universale e la sua conseguente applicazione possono risultare complicate da definire dato che i paesi conformano il diritto internazionale a quello nazionale in maniera diversa, dando vita così a molteplici definizioni e sanzioni penali (la tortura può non essere un crimine specifico in un dato diritto nazionale o può essere definita in modo troppo restrittivo).
– Altre leggi possono agevolare la perpetrazione della tortura, ad esempio attraverso la detenzione senza possibilità di comunicare (dove cioè si vieta l’accesso ad avvocati, dottori, parenti o amici) o leggi che possono autorizzare confessioni sotto tortura, da usare poi come prove in giudizio per vincere le sentenze.
– Le leggi di amnistia internazionale possono proteggere i perpetratori.
– Può risultare difficile trovare prove. Coloro che praticano la tortura possono nascondere la loro identità o scegliere metodi che lasciano poche tracce fisiche. Le prove possono essere falsificate o distrutte e possono essere presentate relazioni false. Può esistere un codice d’omertà che impedisce di parlare contro i propri colleghi. O i testimoni possono venire intimiditi o minacciati con ritorsioni fisiche o legali.
– I sistemi d’indagine, persecuzione e condanna possono essere viziati, inefficienti o corrotti.
3. Diritto a non essere espulso, respinto o estradato ad uno stato dove si possono correre pericoli.
“Nessuno Stato Parte espelle, respinge né estrada una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere sottoposta a tortura” (Convenzione ONU contro la Tortura, art. 3).
Questo articolo stabilisce il diritto incondizionato di una persona a non essere espulso, respinto o estradato ad un altro paese dove rischia di subire tortura. Il respingimento è vietato in qualsiasi circostanza e incondizionatamente, purché ci siano serie ragioni di credere che esista un rischio di tortura. Questa condizione può essere verificata prendendo in considerazione tutti i più importanti aspetti incluso se ci sia “ un insieme di violazioni sistematiche, gravi, flagranti o massicce, dei diritti dell’uomo”.
Si crea così una più forte disposizione contro il respingimento (refoulement) rispetto a tutti gli altri strumenti, come, ad esempio, la Convenzione sullo Status dei Rifugiati del 1951, nella quale la prevenzione del respingimento è condizionata dal determinare la persecuzione in base alla razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un particolare gruppo sociale. Secondo la Convenzione dei rifugiati le azioni passate, per esempio il coinvolgimento in attività criminale, possono essere la base per l’allontanamento, ma non sono motivo di esclusione per la Convenzione ONU contro la Tortura.
4. Diritto delle vittime ad ottenere un risarcimento dei danni, un compenso adeguato, che includa la riabilitazione e il diritto a denunciare, ad essere indagati in modo imparziale, e ad essere difesi dalle minacce contro le denunce.
Esistono cinque tipi di risarcimento: un compenso finanziario, cure mediche e riabilitazione, riparazione (cercando di reintegrare le vittime nella condizione originaria), garanzie di non ripetizione e forme di soddisfacimento, come la riconquista della dignità e reputazione passate e il riconoscimento pubblico del danno subito (Convenzione ONU contro la Tortura, artt. 13, 14).
Il Fondo Volontario delle Nazioni Unite per le Vittime di Tortura offre assistenza umanitaria, legale e finanziaria alle vittime di tortura e alle loro famiglie. É interamente sostenuto da contributi volontari ed è amministrato dalla Segreteria Generale dell’ONU con l’appoggio del Consiglio d’Amministrazione, che è formato da un presidente e da quattro membri che hanno grande esperienza nel campo dei diritti umani. La maggior parte dei fondi vengono spesi nel finanziamento e nella riabilitazione e il resto per la formazione di medici specialisti.
È fin troppo noto che il dilemma dei sistemi democratici è rappresentato dalla domanda: chi controlla i controllori? Si è visto infatti che a livello internazionale esistono meccanismi di controllo sulla difesa dalla tortura ma è vero che non sempre tali meccanismi sono efficaci come si vorrebbe. A livello europeo esiste il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), creato tramite le disposizioni in tema di tortura poste dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (1987). Questo Comitato è stato creato per eseguire ispezioni senza restrizioni nei luoghi di detenzione. Permette conversazioni private ed esposizione pubblica nel caso lo Stato Parte non collabori. I Protocolli 1 e 2 alla Convenzione Europea per la Prevenzione della Tortura sono elaborati sulla base dei requisiti di appartenenza a questo Comitato.
Il CPT controlla il rispetto della Convenzione Europea per la Prevenzione della Tortura. È composto da esperti indipendenti ed imparziali con un mandato di 4 anni che possono essere rieletti fino a 2 volte; c’è un membro per ogni stato firmatario. Quanto ai suoi obiettivi, “il Comitato esamina, per mezzo di sopralluoghi, il trattamento delle persone private della libertà allo scopo di rafforzare, se necessario, la loro protezione dalla tortura e dalle pene inumane o degradanti”. I sopralluoghi del CPT vengono eseguiti da delegazioni di 2 o più membri nei luoghi di detenzione, come prigioni, centri di detenzione, istituti di igiene mentale, dove vengono monitorati i comportamenti tenuti con i detenuti.
Il Comitato può fare un sopralluogo straordinario a un istituto di detenzione. In questo caso, deve dare preventivamente un avviso al Paese e alla struttura ma può ispezionare immediatamente dopo l’avviso. All’interno di ogni struttura, al Comitato è garantito libero accesso, libertà di movimento e la possibilità di tenere colloqui privati con i detenuti, così come con qualsiasi altra persona che possa fornire informazioni importanti. Il CPT redige una relazione sui paesi ispezionati, e in tali relazioni fa raccomandazioni per assicurare la prevenzione della tortura e dei maltrattamenti. I governi devono poi rispondere a tali raccomandazioni. In rare occasioni, il CPT può fare dichiarazioni pubbliche se lo Stato dovesse non incorporarsi alle sue raccomandazioni: normalmente queste restano confidenziali.
BIBLIOGRAFIA E RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI E DOTTRINALI
Nel testo e nelle note a piè di pagina.
Segue il testo della proposta di legge sull’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano.
Proposta di Legge numero 1
Introduzione del reato di tortura nel codice penale
Art. 1.
1. Dopo l’articolo 608 del codice penale è inserito il seguente: «Art. 608-bis. – (Tortura) – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che infligge ad una persona, con qualsiasi atto, lesioni o sofferenze, fisiche o mentali, al fine di ottenere segnatamente da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o su di una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su ragioni di discriminazione, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La pena è aumentata se ne deriva una lesione personale. È raddoppiata se ne deriva la morte. Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che istiga altri alla commissione del fatto, o che si sottrae volontariamente all’impedimento del fatto, o che vi acconsente tacitamente».
Art. 2
1. Il Governo italiano non può assicurare l’immunità diplomatica ai cittadini stranieri condannati per il reato di tortura in un altro Paese o da un tribunale internazionale.
2. Nei casi di cui al comma 1 il cittadino straniero è estradato verso lo Stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, verso lo Stato individuato ai sensi della normativa internazionale relativa.
A cura dell’avv. Domenico Di Leo – RIPRODUZIONE RISERVATA.