Home » News & Rubriche » Lavoro e Previdenza » Il cd. lavoro discontinuo

La prestazione di un portiere di notte di un albergo non ha natura discontinua

Avv. Loretta Moramarco

Corte di Cassazione Sezione Lavoro n. 18211 del 24 ottobre 2012

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La Suprema Corte con la lunga sentenza in esame dirime diverse questioni. Le più rilevanti, di cui si darà brevemente conto, sono la possibilità di ricondurre il lavoro di portiere in orario notturno ad un’ipotesi di lavoro discontinuo; il diritto al riconoscimento dell’indennità sostitutiva per ferie in coincidenza col periodo di aspettativa per malattia; l’accertamento della responsabilità della datrice di lavoro in ordine alla determinazione del danno biologico riconosciuto al lavoratore.

Quanto al primo punto indicato, la Corte di Cassazione parte dalla definizione di lavoro discontinuo (art. 3 r.d.l. n. 692 del 1923) come lavoro caratterizzato da attese non lavorate, durante le quali il dipendente può reintegrare con pause di riposo le energie psicofisiche consumate. Per valutare se la temporanea inattività vada computata nell’orario di lavoro (e possa integrare il lavoro straordinario) la Corte di Cassazione guarda alla possibilità che il lavoratore disponga di sé stesso, pur se costretto a rimanere sul posto di lavoro: solo in questo caso tali ore non vanno conteggiate.  Nel caso di specie il lavoratore aveva adeguatamente provato sia l’orario osservato (dalle ore 21,00 alle ore 9,00 del mattino seguente) sia la continua messa a disposizione delle proprie energie lavorative anche nei momenti di minor traffico, tale da escludere la configurabilità del lavoro discontinuo.

In ordine all’incidenza della malattia sul diritto alle ferie, la Suprema Corte si premura anzitutto di confermare la validità della statuizione della Corte d’Appello in ordine al fatto che il mancato godimento del periodo di ferie era dipeso dalla fruizione del congedo per la riscontrata malattia (disturbo depressivo ansioso cronico quale evoluzione di un disturbo dall’adattamento reattivo a situazione occupazionale stressante). Conferma poi che l’effetto sospensivo della malattia sul periodo di godimento delle ferie (sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza 616 del 1987) può essere derogato solo qualora lo stato morboso sia compatibile con la essenziale funzione di riposo e recupero delle energie psicofische propria delle ferie (Cass. sez. un. n. 1947 del 23/2/1998), non provata – nel caso di specie – dal datore di lavoro.

Infine, per quanto attiene la responsabilità ex art. 2087 c.c. del datore di lavoro, la Quarta Sezione accoglie parzialmente le osservazioni del ricorrente nella parte in cui contestava l’asserita natura oggettiva della responsabilità addebitata ma conferma la sussistenza del nesso causale tra mancata adozione delle misure di sicurezza e il danno lamentato ritenendo privo di vizi l’iter motivazione della Corte d’Appello in ordine alla prova della sussistenza del nesso causale, adeguatamente fornita dal lavoratore. Chiarita la natura colposa della responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c., la Corte evidenzia come tale obbligo possa dirsi adempiuto solo quando siano adottate non solo le misure tassativamente prescritte dalla legge, ma anche le misure richieste in concerto dalla specificità del rischio.

 

Fonte: http://www.studiolegalelaw.net/consulenza-legale/45835

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