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di

 Rosalia Manuela Longobardi

Roma – 4 febbraio è sulle rive del Tevere che si consuma l’omicidio del piccolo Claudio, ad ucciderlo non è lo sconosciuto o un pazzo ma il proprio padre, che preso da raptus, follia o semplice disumanità(concedetemi lo sfogo) getta il piccolo Claudio nelle gelide acque del fiume, dove è ancora oggi.

Il figlicidio è negli ultimi anni nel nostro paese un delitto in preoccupante crescita; ebbene chiarire che il nostro codice penale prevede solo l’infanticidio e la soppressione di feto, mentre l’uccisione di un bambino da parte del padre è invece punito quale omicidio volontario ex art 565; Ciò è legato a una visione arcaica e alla tendenziale impronta totalitaria che vede nella donna–madre la creatrice della vita umana e quindi soggetto punibile per aver ucciso il suo piccolo (reato di stirpe ndr).

In criminologia le cose stanno diversamente, infatti, con il termine figlicidio che racchiude in sé due tipologie di fenomeni delittuosi sia l’uccisione del figlio con il quale si è già stabilito un rapporto sociale affettivo e l’infanticidio (uccisione del neonato o nei primi mesi di vita).Il figlicidio per alcune scienze psichiche viene anche ricondotto a fenomeni che non causano la morte del figlio ma anche atti di natura violenta e sanguigna quali l’infibulazione, mutilazione rituale, castrazione, violenze fisiche abusi e abbandoni.

L’omicidio di un bambino è sempre un fatto grave e fonte di disgusto e rabbia, e seppure legato a reali patologie mentali e degrado psichico  non trova nell’opinione pubblica mai giustificazioni.

Tuttavia dobbiamo analizzare il fenomeno figlicidio lontano dall’evento al fine di individuarne i tratti salienti.

Spesso l’uccisione del proprio figlio è un fenomeno legato alla figura genitoriale femminile, tuttavia non si può tacere che in realtà il fenomeno è statisticamente egualitario:sicuro che ci sono dei distinguo ma spesso legati a concezioni morali e sociale che vedono nella madre la custode della vita.

Sembra spesso che l’uccisione del figlio compiuta dal padre sia un gesto di minore importanza o un gesto che è compiuto da uno sconosciuto; La realtà è un’altra, il figlicidio quando compiuto dal padre non è meno grave né tanto meno è un fenomeno inspiegabile. Le ragioni per cui si uccide il proprio,seppure hanno diverse matrici,presentano un costante:il senso di inadeguatezza, di impotenza in altre parole il malessere del sé. L’uomo – padre incapace di gestire lo stress o le eventuali situazioni conflittuali con la propria ex (madre del bambino)decide di indirizzare la propria frustazione e di sfogare la propria rabbia sull’individuo più debole.

È infatti sulla famiglia che  il figlicida scatena la sua rabbia, alle volte l’uccisione del proprio figlio (come nel caso di Roma citato) è un evento che si verifica a seguito di forti tensioni con la madre del bambino (ex compagna, moglie, fidanzata).l’assassinio è il frutto di una “vendetta” di un mezzo per “punire” quella donna dalla quale è stato lasciato: Si pensi al caso delle gemelline  italo svizzere di cui si presume oramai certa l’uccisione, da parte del loro padre (Matthias Schepp ndr ).Sulla stessa linea di pensiero è J.R.Meloy, psicologo forense e criminologo, rileva come tali crimini siano il risultato di un accumulo di rabbia e frustrazione.

Un’analisi interessante sul fenomeno degli omicidi familiari è condotta nel testo “Fatal Families” di Charles P. Ewing, criminologo americano, il quale dedica un capitolo ai padri assassini individuando i tratti caratterizzanti; Ewing suggerisce le seguenti ragioni:

1.perdita del controllo/senso d’impotenza;

2. difficoltà ad adattarsi al ruolo di padre;

3. sentirsi sopraffatti e incapaci di permettere alla propria famiglia di vivere mentra lui sta “morendo”;

4. vedere la morte come sacrificio necessario;

5. senso di onnipotenza e di possesso bnei confronti di esseri umani che “sente” come oggetti;

6. proiezione dell’odio che nutrono verso se stessi;

7. senso di compassione/ voler porre fine alla sofferenza (che l’individuo suppone esistente) della propria famiglia

8. storie di abusi familiari che il soggetto ha subito;

9. gelosia nei confronti dei figli/spirito di competizione.

Lo studioso non è il solo che se n’è occupato, nonostante sia un fenomeno che come dicevo è meno sentito, numerosi sono i contributi alla ricerca delle pulsioni  che spingono un padre ad assassinare il figlio. Tuttavia alla base di uno studio del ’94 da LEVIN&FOX , oggi ripreso,le categorie di omicidi familiari sono dettate da due linee tendenziali: delitti per “amore” e delitti di odio/vendetta.

Nella prima categoria vengono condotte quelle stragi familiari dove la ragione dell’omicidio appare inspiegabile;Non vi sono situazione conflittuali  all’interno del nucleo familiare, i problemi sono esterni, ad esempio il licenziamento del capofamiglia. In tale circostanza cominciano a maturare nell’uomo dei sentimenti quali l’angoscia, il senso d’inadeguatezza ed è cosi che poi si scatena attraverso l’atto omicida come rimedio alle sofferenze familiari(  riferimento al punto 7); nella seconda categoria rientrano invece gli omicidi per odio/vendetta, questi sono di più facile lettura in quanto nascono da situazioni di odio con le vittime o quantomeno di rabbia, l’omicida vede nelle figure familiari la fonte del proprio dolore e dei propri “guai” e realizza che solo  con la loro fine  si potrà porre fine al dolore.in quest’ultimo caso può accadere che il soggetto omicida si toglie la vita poiché ha una sorta di “pentimento”o altresì comprende che il suo senso d’inadeguatezza e sofferenza non è eliminato.

Il figlicidio pertanto si presenta come negazione del senso della vita in una sorte di inettitudine, di una incapacità o di un rifiuto a crescere.I figli sono il “futuro” e con la loro uccisione l’individuo manifesta la sua avversione per lo stesso o altresi a rifiutare che un altro essere (il figlio) possa riuscire a vivere come lui non ha saputo (gelosia /senso di possesso dei figli e odio verso di se stesso. (vedere i punti 3,6,9 dei punti di Ewing)

In conclusione credo che il ruolo di genitore nessuno lo possa insegnare ma sono certa che una società più coesa e socialmente orientata alla costruzione di una rete di solidarietà, e che oggi manca del tutto, sia la migliore medicina per un mondo che manca d’amore se no come altro spiegare l’uccisione di un bambino che rappresenta l’assoluta indifferenza ai sentimenti nel mondo moderno

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